PREMESSA

La narrazione si basa sul romanzo “50 sfumature di Nero” di E.L. James e lo segue diligentemente. I dialoghi appartengono al testo originale e anche alcuni passaggi come le chat.  


CAPITOLO 1


Lui è tornato. La mamma sta dormendo o sta di nuovo male. Io mi nascondo, rannicchiandomi sotto il tavolo della cucina. Attraverso le dita riesco a vedere la mamma. Dorme sul divano. Tiene la mano sul tappeto verde appiccicoso. Lui indossa gli stivaloni con la fibbia lucente e si china su di lei urlando. Picchia la mamma con una cintura. “Alzati! Alzati! Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia.” La mamma singhiozza. “Fermati. Per favore, fermati.” La mamma non urla. La mamma si raggomitola facendosi piccola piccola. Io mi metto le dita nelle orecchie e chiudo gli occhi. Il rumore cessa. Lui si gira e vedo i suoi stivali che entrano in cucina con passo pesante. Mi sta cercando. Si china e sorride. Ha un odore nauseante. Di sigarette e di liquori. “Eccoti qua, piccolo stronzo.”

 

Un urlo mi sveglia, un urlo reale: sono io, ho gridato. IO, ho gridato.

– Cazzo, sono tornati! Il rumore ero io. Quel grido agghiacciante ero io. – Sono sudato marcio, mi prendo la testa fra le mani, mi tappo le orecchie, non voglio sentire, non voglio sentire, non voglio sentire... faccio ondeggiare il busto e rannicchio la testa fra le ginocchia. Prendo un respiro e mi alzo. So dove andare, devo far tacere queste grida che strillano nella mia testa.

Mi siedo al piano. Le mie dita si posano sui tasti e scorrono fluide sull’avorio e l’ebano senza che io mi  renda neppure conto dei miei gesti. È davvero importante che la musica sia perfetta altrimenti non assolverebbe il proprio compito, sovrastare le urla e annebbiare i pensieri, i ricordi.

Avevo trovato un altro modo per ottenere lo stesso scopo...  un modo bellissimo... sereno... appagante... in grado di colmare in un istante questo vuoto che sento. La voragine è di nuovo immensa e potente e rischia di inghiottirmi. Un dolore così grande che non avevo più provato dal giorno in cui mi sono trovato solo ad urlare, gridare, chiamare, chiedere, pregare... ma la mia voce non serviva a niente. A niente. Non mi serviva più. Non mi era mai servita.

Fortuna che ho il mio pianoforte... lei lo sapeva. Sapeva perfettamente che appena uscita da quella porta non sarebbe più potuta tornare. Almeno questa clausola del contratto è stata rispettata.

Sono soddisfatto. Sono Christian Grey.

 

«Signore, la delegazione di Taiwan è arrivata. La signorina Ros mi ha pregato di avvisarla che è atteso in sala riunioni. Aspetta lei per iniziare la presentazione.»

Lo sguardo che rivolgo ad Olivia mentre sistemo il modellino di Blanik sulla scrivania è così eloquente che esce con la coda tra le gambe e la testa china mormorando «d’accordo, signore, riferisco che ritarderà qualche minuto.»

È lunedì mattina, Ros espone il piano d’acquisizione con la solita competente spigliatezza e io rimango seduto immobile con il più amichevole sorriso stampato sulla faccia. Facciamo fare loro il consueto giro dell’azienda prima di pranzo. Alle quattro ho finito, ho assolto tutti gli impegni che il CEO della GEH aveva per oggi.

Faccio cenno a Taylor di accostare davanti al fioraio. Sa che cosa deve fare, lui è il dipendente perfetto, il migliore, anche meglio di Ros e Gail, anche loro non hanno bisogno di tante parole per eseguire gli ordini. Gli consegno un biglietto, prima che scenda dall’Audi.

Devo tornare a casa, non ho voglia di scontrarmi con Claude. Non ho voglia di scontrarmi con nessuno, tanto meno con Flynn. Non saprei che cosa dire, non ho parole da dire. Dovrei dirgli che è di nuovo tutto sotto controllo perché almeno una clausola è stata rispettata anche se il contratto non è mai stato firmato, la monade impazzita è stata eliminata, il mio mondo ordinato è tornato a ruotare correttamente attorno al proprio asse. È importante rispettare i termini degli accordi. Questo gli direi.

Questa sera esco. Devo procurarmi una vera sottomessa. 

 

“Congratulazioni per il tuo primo giorno di lavoro.

Spero che sia andato tutto bene.

E grazie per l’aliante. È stato un pensiero molto carino.

Ha un posto d’onore sulla mia scrivania.

Christian.”

Ripenso mentalmente al biglietto che ho allegato alle rose mentre guido verso Bellevue, sono pur sempre un gentleman, mia madre mi ha insegnato come si tratta una signora.

Ripenso al modellino d’aliante. Ho scaraventato il pacco incartato contro la vetrata della mia stanza, il pacco si è aperto lasciando cadere un’infinità di minuscoli pezzettini. Li ho raccolti,  mi c’è voluta una vita.  Ho trovato anche il biglietto. Li ho assemblati, mi c’è voluta una vita, quasi tutta la domenica,  non avevo niente di meglio da fare, senza una sottomessa...

Sono bravo a rimettere insieme i pezzi. È il mio lavoro: smembrare e ricomporre  Se sono riuscito a rimettere insieme i cocci della mia vita...

 “Questo mi ha ricordato un momento felice”. Felice, un cazzo! Non sono per niente felice, non sono mai stato felice... prima... Forse solo quando è arrivata Mia, un po’ felice.

Parcheggio, prendo l’ascensore di destra, digito il codice. Nell’atrio mi accoglie un gorilla rasato con un’auricolare nell’orecchio, le mani incrociate dietro la schiena e le gambe lievemente aperte.

«Buonasera, Mr. Grey » mi saluta Sam, “Guardia di Porta”, e mi indica la hall dove scorgo  qualche “vecchio amico” e...

«Oh, caro, anche tu qui, stasera?» Elena, accomodata in un elegante divano della sala d’ingresso, mi accoglie con un sorriso, si alza, mi viene incontro.

La bacio sulle guance, guardando avanti a me, anche io le sorrido. «Ti ho chiamato, richiamato. Perché non  mi rispondi? Va tutto bene?» mi dice poi, mentre mi osserva con maggior attenzione, piegando la testa di lato e facendo ondeggiare il suo caschetto perfetto. «Allora la ragazzina se ne è andata, eh? Ha assaggiato il morso della frusta e ti ha già mollato. Te l’ho detto: non va bene per te. Non ha nerbo. Non è del giro. Non può darti  niente. Questa sera c’è un sacco di gente interessante, c’è anche qualcosa che va bene per te, di là, nella sala piccola. Vieni ti accompagno.»

«Ciao, Grey!» Il “Padrone di casa” mi accoglie a braccia aperte, Donald Mcgrath è felice di vedermi. «È un sacco che non ti si vede da queste parti, da quando hai reclutato Susannah, direi. Ho qualcosa di nuovo per te, due o tre signorine che andrebbero giusto bene. Se vuoi puoi far loro il colloquio nel mio ufficio e procedere immediatamente.» Anche Donald non è persona a cui serva molto per intendere. Sa che cosa voglio e cosa deve fare. E poi verrà lautamente ricompensato.

«Vedi, Christian? Gli amici sono amici» mi spiega Elena sorridendomi e mi scorta verso lo studio di Mcgrath, appoggiando la sua bella mano curatissima e inanellata sul mio avanbraccio in un gesto possessivo. I miei occhi si soffermano a  fissarne le dita, come se fosse un particolare importante da registrare. Un ricordo molto sbiadito. Con gentilezza mi sottraggo alla sua presa ed entro nello  “studio”. Elena mi segue ad un passo.

Ho preso ad esempio proprio questo arredo per creare la mia stanza rossa: i toni delle boiserie in mogano, il divano Chesterfield, il colore cupo delle pareti, i tappeti... insomma tutti questi elementi creano un  mix che evoca potenti  suggestioni e la certezza di trovarti davanti a qualcuno che ha potere, che ha potere su di te. A tutti gli effetti “è” un dungeon, anche se attrezzato in modo essenziale. Solo ad un attento esame si possono notare i bracciali di costrizione fissati alla libreria e solo in pochi sanno che, dietro il quadro molto kitsch di Donald seduto in poltrona con due schiave seminude ai suoi piedi, si cela una rastrelliera piena di fruste, canne, cinghie, bacchette e molti altri attrezzi che farebbero inorridire miss..., sì insomma lei...

«Christian, eccoci  qua!» Donald entra scortato da tre begli esempi di fauna femminile, che indossano abitini neri succinti e tacchi a spillo. «C’è l’imbarazzo della scelta» mi dice e posa dei fogli sulla scrivania. Suppongo siano i loro curricula.

–  Scelta? Quale scelta? –

«Jasmin, Sybil e  Geneviève .  Geneviève  è francese» mi dice, indicando una delle tre. «Parla poco l’inglese, ma è una sub esperta. Ha seguito negli States il precedente Padrone e ha deciso di fermarsi qui con noi.»

Faccio un cenno del capo. Ho scelto. Tiro fuori un contratto di riservatezza  e lo stendo sulla scrivania. Non avrei neppure messo piede qua dentro senza portarne dietro una copia. Donald liquida le altre due e sussurra qualcosa all’orecchio di  Geneviève  che annuisce e firma. 

– Non si firma senza leggere, non te l’hanno mai detto  ? – Mi irrita da morire una tale negligenza. Mi irrita, mi irrita!

«Caro, ti lasciamo un po’ solo con lei, così fate conoscenza» dice Elena sfiorandomi il braccio.

– Bene, bravi andate! – Li seguo e chiudo la porta. 

Da esperta sottomessa, Geneviève mi aspetta a capo chino, le gambe un po’ divaricate e le braccia conserte dietro la schiena, ad afferrarsi i gomiti.

Le giro intorno, osservandola, osservandone il corpo slanciato. Infilo una mano sotto la gonna stretta: è senza biancheria! Cazzo! Ma non si usano gli slip a casa tua? Sono sempre più irritato. Incazzato. Che volgarità! Lo decido io se puoi portare la biancheria o no! Almeno questo, l’aveva capito anch...

Mi allontano di qualche passo, faccio scattare il pannello celato dal quadro, prendo una bullwhip dalla rastrelliera e una mascherina per gli occhi. La faccio voltare, la bendo e uso le manette in cuoio fissate alla boiserie per legarla alla parete, la faccia contro il muro. Non ho nessuna intenzione di guardare il suo volto. Veramente  non so che faccia abbia, non so nemmeno distinguerla dalle altre due, distinguerla da chissà quante altre. So solo che è mora.

Le sollevo la gonna esponendole le natiche su cui sono visibili strie sbiadite di numerose precedenti sessioni.  È troppo magra, non ha sedere. Lancio la prima sferzata, la seconda, la terza... non un lamento, niente, anche se non ho calcato la mano. Preferisco testare prima la sua propensione all’obbedienza, piuttosto che la sua tolleranza al dolore. In questo sembra perfetta.  Giro la frusta e le passo il manico nella fessura tra le gambe.  La strofino con il pomolo liscio dell’impugnatura, lo ritraggo per esaminarlo: riluce del liquido viscoso della sua eccitazione. 

–  Cazzo, se le piace! Le piace il morso della frusta –  constato. E constato anche che io, invece, non sono eccitato per niente. Devo alzare un po’ il tiro.

Mi avvicino, non troppo, non sono molto attratto. E sono sempre più incazzato. La strofino nuovamente con l’impugnatura della frusta che, a tutti gli effetti, è un grosso fallo nero e liscio, poi con una mossa rapida glielo infilo dentro e spingo. Lei emette un singulto. Io continuo con movimenti esperti. So che cederà in fretta: io so perfettamente come muovere l’attrezzo per toccare il punto perfetto per farla capitolare. Infatti cede. Geme e trema tutta.

Avvicino il viso al suo orecchio. «Ntzh, ntzh, ntzh, ntzh!» faccio scioccare la lingua e scuoto il capo per dimostrale la mia disapprovazione. –  No, no. No! –  Geneviève  trattiene il respiro.  Io sono sempre più furioso.  Mi sfilo la cintura, faccio un passo indietro e lancio la sferzata. Una, due... A questo punto dovrei sentire un minimo di adrenalina, una piccola scossa, un brivido... Niente. Niente! Solo una furia feroce, però non posso eccedere, non abbiamo  stabilito nessun limite. Non abbiamo neppure concordato la safeword, ma sono tranquillo perché il codice del semaforo è internazionale. Questo è solo un test, sia per me che per lei. Per me, più che per lei, perché non una volta è capitato che una di loro mi rifiutasse. Solo tu...

E tre...

«Rouge» strilla Geneviève.

– Come?!!!?!! Di già? – Sono stupito. Incazzato, ma soprattutto stupito. – Eh no, eh!! Rosso?!! Dopo tre cinghiate? E sei pure in piedi! Puoi anche contrarre le natiche, in piedi, vuoi che non lo sappia?!? Non ho nemmeno ripiegato la cinghia! Sarà un suo limite assoluto. – Vorrei tanto lasciarla qui, appesa alla parete, ma la libero, la prendo per il polso, afferro il contratto di riservatezza firmato e la trascino fuori dalla stanza con la gonna sollevata e il sedere all’aria. Non me ne frega un cazzo. Anzi, di più... voglio che tutti la vedano. Esposta.

Nel salone d’ingresso tutti hanno visto la scena. Donald ed Elena si alzano  dal divano scattando sull’attenti.

Elena si avvicina mentre mi avvio a grandi falcate all’uscita. «Caro...» Le si paralizza la lingua vedendo il mio sguardo sanguinario che si posa feroce sulle sue dita.

Come fosse stata scottata, Elena ritrae la mano che stava per appoggiare sul mio avambraccio e si discosta per lasciarmi libero il passaggio. Ho consapevolezza del silenzio calato sulla sala, infatti riesco a afferrare la voce fluttuante di Billie Holliday che strascica le note di “Strange fruit”. Nessuno apre bocca, mi fissano tutti ammutoliti.

Due minuti più tardi salgo sull’R8 e metto in moto.

Ho la mente vuota. La rabbia sta annebbiando ogni mio pensiero cosciente. È molto utile, la rabbia.

Mentre guido riesco solo a pensare a Ros: a pranzo, una quindicina di giorni fa, se ne esce con uno strano discorso su suo padre, vedovo, che aveva tirato su lei e sua sorella a cibi precotti e hot dog. Mi spiegava che lei, ormai abboccata a cibi sani  e ai piatti ricercati, non riusciva più  ad ingoiare un solo boccone delle schifezze che aveva trangugiato per anni.

Mi sono trovato a concordare con lei, annuendo, anche se mia madre non ci ha mai neppure permesso di mettere piede in un fast-food e possiedo poche esperienze dirette al riguardo. «Quando il palato viene educato ai sapori e alla qualità, è impossibile riabboccarsi» le ho detto, citando mio padre.

Questa chiacchiera leggera è l’unico pensiero che la mia rabbia folle sia disposta a concedermi. Chissà perché.

Sono sempre più furioso.

– Era già tutto pronto. Come facevano a sapere che sarei venuto al club, stasera? – Questa domanda apre a molte speculazioni.  –  Che cosa ci faceva lì, Elena, di lunedì? –

–  Ti aspettava –  mi rispondo. – Le hai mandato quell’assurdo messaggio: “Avevi ragione tu, non è adatta” e  poi non hai risposto alle sue chiamate. Ha capito! Probabilmente ti stavano aspettando già da sabato sera... Sei “lievemente” prevedibile, Grey! – mi dico, riproponendomi di porvi rimedio.

È una vera fortuna che io conosca così bene la strada, perché in questo momento la rabbia mi sta oscurando la vista.

Come cazzo hanno fatto a pensare che Jasmin, Geneviève o come diavolo si chiama quella, avrebbe potuto prendere il post...

Mi è venuta la nausea solo al pensiero di toccarla, di mischiare i miei umori ai suoi, di darle piacere con una qualsivoglia parte del mio corpo. Chissà in quanti l’avevano già fatto!

Mi disgustava persino usare su di lei le mie mani che prudono. Questo  pensiero, stranamente, mi fa sorridere.

In altri momenti mi avrebbe dato un immenso piacere scopare per la prima volta con una nuova sottomessa, mentre, poco fa, volevo solo colpire. E ho colpito,  forte ma non così forte... per lo meno non così forte come...

– L’ho colpita con tutta la mia forza... – ammetto con me stesso, entrando nell’ascensore dell’Escala. Mi soffermo ad assaporare quel ricordo.

Mi dirigo verso il salone, mi sfilo la giacca e la getto sul divano. Mi avvicino al piano, sfioro la superficie del coperchio con la punta delle dita, sperando di riuscire a scacciare il fantasma di donna che è mollemente sdraiato sul legno lucido e mi guarda con sufficienza alzando gli occhi al cielo. Mi seggo e inizio a suonare uno dei Valzer di Mephisto di Liszt: ho bisogno di sfogarmi, è il pezzo giusto.

Inizio le prime note, mi lascio andare alla musica che si fa via via più rabbiosa per poi scendere e risalire, in un ritmo forsennato e altalenante, e diventa lo specchio del mio umore. Questo pezzo è una fatica. Termino con furia. Mi alzo e corro su per le scale.

Entro nella stanza dei giochi.

Rovisto e scovo quello che sto cercando. Stringo tra le mani la stoffa bianca e l’annuso per inebriarmi di un profumo che m’illudo di sentire.  Distendo la stoffa sul letto: è come una nevicata che ammanta e purifica. Ed eccola lì, la macchia bruna, al centro...

– Ho chiamato Gail dall’Heathman  perché non lavasse le lenzuola, le ho chiesto di ripiegarle e portale qui, in questa stanza. Avrà capito... che pensi pure ciò che vuole... che cosa vuoi che importi? Non è mica una ragazzina! Anche se... lei  è la più giovane con cui io sia mai stato. È giovane ma molto, molto matura, molto più adulta di tutte le mie sottomesse messe in fila e, in cima  a tutte, Leila... dove cazzo sarà quella, ora? Mi ci mancava anche lei! Doveva capitare, prima o poi,  che qualcosa andasse storto... più storto di così... ma proprio adesso...–

La mia collera aumenta, riesco a sentire in bocca il gusto amaro della bile.

Scelgo dalla rastrelliera la frusta più grande e spessa, di cuoio intrecciato, e mi metto ai piedi del letto. Osservo attentamente il manto bianco che ricopre il materasso. I miei occhi si fissano sulla macchia bruna, incantati. Di nuovo si materializza il suo fantasma, nudo, legato ai ceppi del letto dalle manette di cuoio.

Aggiusto il lenzuolo in modo che la macchia sia al centro, in modo che sgorghi perfettamente dalla fessura tra le sue gambe.

–  Ecco, così è perfetto. –  Sono soddisfatto. Nelle orecchie ronzano ancora le note del Valzer di Mefisto, ma cedono presto il posto alle voci armoniche che intonano Tallis.

Lancio la prima sferzata sul materasso, fa un rumore sordo, lo schiocco si sente appena, non come la cinghiata che ho sferrato a...

Ho usato una strap di cuoio spesso, larga e lunga, tanto lunga da risultare notevole anche una volta ripiegata, con due impugnature alle estremità in modo che non sfugga di mano quando si sferra il colpo. L’ho acquistata proprio per lei. Per educarla. È ancora lì, per terra...

L’ho usata.

Per educarla.

Non bastava la cintura morbida di Hermès, come questa sera con quella... non diciamo cos’è.

No, non bastava.

–  No! Dovevo darti tutto. Dovevo farlo... Mi hai detto di sì, l’hai voluto tu. –

“Sei cinghiate, di quelle buone!”, così dicevano gli istruttori negli antichi collegi, quando veniva impartita ai ragazzi la disciplina.

 Sei, perché so perfettamente che con sette, massimo otto, avrei squarciato.

Quello era il limite che mi ero prefissato, perché ha alzato gli occhi al cielo e voleva scappare...

–  Ora, però, sarebbero dieci... dodici... perché mi hai mentito, mi hai MENTITO! –

Colpisco con ferocia il suo fantasma, ma è una visione così reale, così vera, così incancellabile che non fa che aumentare la mia collera... e colpisco. Ancora e ancora. Forse sto gridando. Ho la bocca aperta e forse sto gridando, non ne sono certo perché le voci che cantano lo “Spem in alium” nella mia testa sovrastano ogni cosa. E colpisco, con ferocia, perché mi ha mentito!

– Mi hai mentito, mi hai mentito, mi hai mentito... hai-mentito-hai-mentito-hai-mentito-hai-mentito.... Come faccio a fidarmi di te? Come faccio? Devi essere educata, come le altre... Come tutte le altre per cui IO sono il SOLE! Loro amano tutto ciò che faccio per loro, tutto ciò che concedo loro, amano ogni mio ordine, una mia carezza, amano la mano che le punisce, amano essere punite per essere educate a compiacermi. E imparano, così la volta dopo non dovrò ripetermi. Non hanno paura della punizione, hanno paura di non aver compiaciuto abbastanza il loro Signore. QUESTO, QUESTO è il PUNTO! Questo non hai capito! Loro amano tutto ciò che do loro, ogni mio dono! Tu no! Tu NO! Tu hai detto che ami... Devi essere educata! –

Lei è sdraiata sul letto, vedo distintamente le sue lacrime colare lungo le tempie e le gote rese rosse dal dolore. Vedo il suo corpo che vibra sotto i miei colpi. Vedo il sangue sgorgare dalla fonte tra le sue gambe. Grido. Questa volta sono certo di aver gridato.

–  Devi essere educata...

Tu non vuoi concedermi la tua obbedienza.

Non vuoi ascoltarmi.

Non vuoi firmare quello stramaledettissimo contratto che ti metterebbe al sicuro... Saresti al riparo da tutto, ti affideresti, non avresti più bisogno neppure di pensare, diventeresti una regina.

Non vuoi concedermi la tua obbedienza.

Tu devi capire che i miei non sono limiti arbitrari. Sono confini ben definiti da un contratto. Il contratto serve a TE, non a ME! Hai capito  o no? –  Sto gridando, con ferocia, me ne rendo conto.

Ha detto che non mi avrebbe lasciato, invece ha preso la porta ed è uscita. È uscita dalla mia vita e non ha voluto niente di quello che avevo scelto per lei.  Neppure il telefono per richiamarmi, per dirmi: “Scusa, Christian, mi sono sbagliata! Ti prego perdonami...”

 Ah sì, io magnanimamente la perdonerei, infondo non abbiamo firmato nessun contratto. Poi, però, dovrei educarla. Dovrei punirla... 

Ho male al braccio a forza di frustare il fantasma che sta sbiadendo sotto i colpi della mia frusta. 

No, è ancora lì, non sparisce. Non riesco a farla sparire...

Non si aspetterà che la richiami io, vero? Io sono Christian Grey!  

– TU, devi richiamare me, piccola. Ti ho dato tempo. Ti ho dato tempo due giorni... tre. Io non sono un cagnolino che ti corre dietro scodinzolando per una carezza. Io sono Christian Grey! – Grido. Grido sempre più forte, me ne rendo conto. Suoni inarticolati. Grida belluine.

Io posso comprarmi qualsiasi cosa, qualsiasi!

E le ho dato tutto. Le ho comprato di tutto, come a una regina. E lei, che cos’ha dato a me, lei? Le ho chiesto solo obbedienza, ma lei no!!! Che cosa mi ha dato, lei?

Non c’è merito nella verginità: tutte sono state vergini, tutte! E prima o poi non lo sono più. Anche lei, non lo è più. Il fatto che per trovarne una avrei dovuto entrare in un convento è totalmente irrilevante.  

L’ho presa, l’ho scopata, l’ho fottuta... l’ho scopata senza pietà, come piace a me, anche la prima volta, per farle capire, per farle provare.

–  Hai giocato sporco, Grey , sai perfettamente che nessuna riesce a resisterti. Perché lei avrebbe dovuto far eccezione? –

Lei è esattamente come le altre... ... ...

– ... ...Ma come cazzo hanno fatto a pensare che io potessi sostituirti con una di quelle?!!??? Con una qualsiasi??!!!–

Loro non sanno, non sanno...

– Loro non sanno che io non voglio una sottomessa: IO VOGLIO SOTTOMETTERE TE!!!! Loro non sanno che SOLO IO... che tu sei mia, MIA, SOLO MIA!!! – E frusto il letto, sempre più forte, con tutta la mia forza, con tutta la mia rabbia. Sto frustando con tutta quanta la mia ira l’unico segno tangibile del suo passaggio nella mia vita, la sua verginità, tutto ciò che ho di lei.

Quello che mi ha dato lei, non lo posso comprare. Perché proprio a me? Perché lo ha dato proprio a ME?!!! Non sa che io non ne sono degno?

Quello che vuol darmi lei, io non posso accettarlo, non posso...

– Tu non vuoi niente... non ami niente di ciò che io ti do...

...T U...  A M I...   M E!!! –

Tremo di rabbia.

TE NE SEI ANDATA VIA DA ME!

Sento dei rumori, qualcuno sta salendo di corsa le scale. Mi volto, la porta è aperta. Mi appare la faccia angosciata di Taylor che mi scruta preoccupato. Mi guarda un attimo, poi mette la mano sulla maniglia, si volta per richiudere la porta dietro di sé e fa un cenno a qualcuno che è rimasto fuori.

Gail!

Di certo Taylor non le ha permesso di guardar dentro.

Avrebbe visto...

avrebbe visto me, sconvolto,

con una frusta in mano,

completamente nudo...

 ...in erezione! 


CAPITOLO 2


 

Mi devo dare una calmata.

Jason mi ha appena sorpreso nudo come un verme mentre frusto il materasso.

Ha visto di tutto, in questi anni, ma non mi ha mai visto perdere il controllo.

Io non perdo mai il dominio, tanto meno su di me. MAI. Non posso permettermelo. L’ultima volta è stato a quindici anni, ma quella volta ci ha pensato Elena a sistemarmi e ad insegnarmi l’autocontrollo.

Le sarò eternamente grato per questo, ma lei, miss “lingua biforcuta”, non può capire. Sarò riconoscente tutta la vita ad Elena per aver fatto di me quello che sono: l’uomo di successo, il dio del sesso, il Dominatore. Il Dominatore del mondo.

Non può capire. Per lei Elena è una deviata, una pervertita esattamente come... me.

«Sei un bastardo squilibrato! Devi risolvere i tuoi i tuoi cazzo di problemi, Grey!» mi ha urlato e mi ha lasciato.

Problemi? L’unico mio problema è LEI!  Beh, anche Leila... al momento.

Butto la frusta che ho ancora in mano che va a fare compagnia alla cinghia sul pavimento. Mi butto sul letto a guardare nel vuoto, con le mani sul petto a trattenere il mio cuore che batte veloce come un orologio.

Spengo la luce e proverò a dormire, così il domani arriverà più in fretta. Adesso ho un appuntamento con dei vecchi “amici”, i mostri che sono lì ad attendermi, in agguato, nascosti nei miei incubi.

Dormendo con lei, me ne ero quasi liberato. Mi bastava abbracciarla - da dietro però, perché non mi toccasse - tenerla stretta a me mentre io ero libero di esplorarla, addormentata. Di sfregare il mio corpo contro il suo.

“Veramente, Grey, sono i maniaci che si strusciano contro le ragazze, in metropolitana...”, mi dico.

È successo solo due volte! Tre, con Atlanta. Quattro, se contiamo la prima notte all’Heathman.

“Beh, che cazzo!, sono o non sono un pervertito?”. Mi sorprendo a sorridere, per la prima volta in tre giorni.

È stato davvero bello tormentarla nel sonno, insinuare le mani sotto la stoffa, raggiungere i fianchi, quei bei seni rotondi, strizzarle appena i capezzoli tra le dita, spremere e tirare un po’ fino a strapparle qualche mugolio.

“Accarezzare la tua donna addormentata è da pervertiti, mentre prenderla a cinghiate perché ha alzato gli occhi al cielo è normale?”  Questa domanda molesta mi si è insinuata in testa. Devo rispondere.

“Sì, è normale, per me e per quelli come me è più che normale: è necessario, perché io non ho un cuore. Al posto del cuore ho una voragine nera. La rabbia è perfetta per colmare il vuoto. Ecco la spiegazione.”

Ecco la risposta.

Tutte le mie sottomesse lo sanno, lo accettano e assolvono il loro compito, permettendo alla mia rabbia di incanalarsi nella giusta direzione e godendo dei miei sfoghi, traendo piacere da essi.

Io ho a cuore il loro benessere, che viene anche prima delle mie esigenze, loro lo sanno e ne gioiscono. E io le faccio felici, perché darmi piacere è la loro massima gioia.

“Io credevo che anche tu l’avessi capito, la sera a casa tua. Ero proprio convinto che avessi capito e che, anche per te, fosse così.”

Me lo ha scritto lei, nella mail del 27 maggio.

“Eh sì, piccola, conosco a memoria tutte le tue email, le ho studiate. Per capirti.”

«La cosa che mi ha davvero preoccupato,» mi ha scritto dopo che l’ho sculacciata la prima volta, «è stato ciò che ho provato dopo. Ero felice perché tu eri felice. Mi sentivo sollevata, perché non era stato doloroso come pensavo. E quando mi sono trovata tra le tue braccia, ero… soddisfatta...», così ha scritto, ne sono certo. Che cosa deve capire un uomo? Che cazzo deve capire?!!!!

“No, no. Non devo irritarmi. Non devo incazzarmi più, se no finisce che vado di nuovo fuori di testa. Ma non riesco proprio ad addormentarmi?!!?”

Meglio gli incubi, almeno so gestirli.

Hai scritto proprio così, lo hai scritto tu. Ne sono certo perché è quella, fra le tue email, che ricordo meglio: Data, 27 maggio 2011, ore 8,05. Oggetto: Violenza e percosse: i postumi.  

“Violenza e percosse??!! Non è violenza, non sono percosse: te lo vuoi mettere in quella cazzo di testa?!? È solo EDUCAZIONE... e DISCIPLINA. Per darmi piacere, perché io non debba mai più sentirmi come mi sento adesso!”

Tutto il lavoro di tanti anni buttato al vento, per cosa poi? Se tu avessi firmato quel cazzo di foglio ora noi...

Devo ammetterlo, non è tutta colpa sua... Sono stato io. L’ultima volta sono stato io, la settimana scorsa. «Ci proverò. Firmerò il contratto» mi ha detto lei, d’impulso. E io: «Firma dopo essere stata in Georgia. Pensaci sopra. Pensaci bene, piccola» me ne sono uscito, io.

Un genio!  Dovevo correre a prendere il documento e farglielo firmare.

“Una penna! Ha ragione lei, avrei dovuto regalarle anche una penna, per la laurea, così almeno firmava! E ora non sarei qui... Beh, oggi è lunedì, no è martedì, quindi tecnicamente lei starebbe a casa sua. Meno male che mi ha fatto cambiare la durata del contratto: un mese. Un mese è più che sufficiente per instradarla e poi le faccio firmare il rinnovo, ma, in quello, ci metto il “Total Power Exchange”, TPE 24/7, in mio totale potere, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Perlomeno finché non mi passa...”

Passare? Mi domando come faccia a passare.

Sono qui, immobile, in un letto che ha visto passare tante donne che...

Tante donne, tanto simili l’una all’altra che a stento ne ricordo tutti i volti. Simili nell’aspetto, nelle esperienze, nei vissuti, nelle reazioni ai miei stimoli. Uguali risposte, uguali parole e, dopo i primi incontri, nulla di nuovo, nessun nuovo slancio. Era meccanico anche provocarle per farle sbagliare, per avere una banalissima scusa per punizioni sempre più perverse e umilianti, solo così mi eccitavo ancora, solo così riuscivo a trovare ancora qualche guizzo prima di liquidarle, anzi, prima di fare in modo che si liquidassero da sole.

Ogni sessione era sempre più lunga di quelle del weekend precedente, più tormentosa, non solo per loro ma anche per me che facevo uno sforzo per dar loro almeno un po’ di piacere. Tutte, nessuna esclusa, si sono illuse di aver raggiunto la perfezione così da ottenere il diritto di chiedermi qualcosa di più. Ma non sapevano che ormai era già da un po’ che io avevo esaurito ogni interesse. Non avrebbero più potuto compiacermi.

Passerà anche questa. Non è poi così diversa dalle altre, anche lei è mora, anche lei è simile a...

“Eh no, eh! No, no, no. Non è per niente come le altre! Lei è diversa da tutte... l’altra notte, dopo le cinghiate... per la prima volta dopo le cinghiate... non ho visto quella... non ho visto la puttana drogata e il suo magnaccia bastardo con la sua cintura in mano... per la prima volta non avevo voglia di fottere... volevo solo consolarla... e non l’ho fottuta... l’ho abbracciata e lei... ha fottuto me... le ho dato la possibilità di fuggire via da me.”  Prendo un cuscino e me lo premo sulla faccia.  “Io so che è la cosa giusta. Lo so. LO SO! Solo che lei... mi fa stare bene, sono sereno e... sì, felice, quando non mi fa incazzare, e poi mi basta scoparla, tormentarla un po’, mi basta un sorriso e passa tutto. Lei non è per niente prevedibile. È sempre tutto nuovo con lei, con lei è sempre la prima volta.” 

Torno con la testa sopra al cuscino e ripenso alla prima volta. Ci sto sdraiato sopra, alla prima volta.

Quando mi ha detto che era vergine, nell’istante in cui ho realizzato che era vero mi è venuto duro. E sono andato fuori di testa.

È tutta la sera che cerco di cacciare indietro quel ricordo, perché se lo afferro, se ci ripenso, do di nuovo di matto. Eccolo, non riesco più a ricacciarlo indietro... e non voglio..........

 

«Perché sei tanto arrabbiato con me?» mi chiede.

Arrabbiato? Sono tutto fuorché arrabbiato, piccola. Mortificato e imbarazzato, una sensazione che mi è nuova, ma arrabbiato, no.  Mi ha appena appena travolto un ciclone che mi ha shakerato per benino, lasciandomi in dono una verga di marmo tra le gambe.

«Vuoi andartene?» le chiedo col tono più gentile che il mio animo in fermento mi concede.

“Andartene?!? Pia illusione. Non ti permetterei di andare nemmeno se da ciò dipendesse la mia vita! La mia mente sta vorticando, ho già allestito almeno una ventina di possibili scenari e nemmeno uno contempla la possibilità di farti uscire da casa mia nello stato virginale con cui sei entrata.”

«Lasciamo perdere le regole e i dettagli, per stanotte. Ti voglio» dico, ostentando sufficienza.

“Fanculo il contratto, si fottano le regole e gli schemi, io voglio fottere te! Subito!” Dentro sto sbavando. La trascino in camera mia, lontano da tutto ciò che possa distogliermi da lei. Il sangue mi sta ribollendo nelle vene. Un desiderio così intenso da essere quasi doloroso mi ha attanagliato il bassoventre. Non ho mai provato niente di simile.  Parte da dentro, dalle viscere. “Che diamine mi fa, questa femmina?” 

«Hai idea di quanto ti desidero?» le dico. L’accarezzo con la punta delle dita per elettrizzarla, so l’effetto che faccio. «Immagini quello che sto per farti?» aggiungo, cercando di modulare la mia voce in modo che la lieve minaccia sia velata di sensualità.

“No? Non lo immagini? Neanche io: non ho nessunissima idea di cosa sto per farti. Nella stanza dei giochi ho preparato la barra divaricatrice e avevo una mezza idea di incatenarti al letto, avevo pensato che per la prima volta potesse andar bene, ma ora...”

Niente di prestabilito, nessuno schema, niente attrezzi o impalcature mentali, niente. Solo lei, solo io. Anche questa è una novità. Nessun pensiero, nessun’idea. Dentro di me c’è un cane mastino alla catena che sta sbavando e strattona per arrivare all’osso dopo una settimana di digiuno.

“Improvvisa, Grey,”mi dico. «Nozioni di base, mezzo per ottenere un fine, niente sentimentalismi, bla bla bla...» ho sciorinato tutto un discorsetto che mi esce proprio bene, con la giusta dose di arroganza e di dominio e lei... trema.

“Caaazzooo!!!”  SONO STESO. Trema come una foglia! “Piccola, hai ufficialmente alzato l’asticella della dominazione!” Ansima di paura ed eccitazione. Più mi guarda e più trema. “Meravigliosa, sei meravigliosa, non ho parole. Guardami, guardami. Tu puoi. Tu puoi guardarmi, non devi abbassare lo sguardo. Voglio godermi ogni tuo sguardo.”  Riesco a riacquistare il controllo. Beh, almeno un po’.

Comincio a spogliarla. Ho tutta l’intenzione di scartocciare la mia caramellina prima di mangiarla, e darle una succhiatina. Che profumo sublime ha la sua pelle! Le ho dato un bacio, uno solo, meglio non eccedere: sono un elettrone instabile, vicino a lei.

Mi focalizzo sulla sua pelle perfetta, la vedo già arrossata da qualche mia amorevole cura. Ecco, i miei pensieri stanno prendendo la corretta direzione. Sono tornato sul terreno familiare e il mastino che sbava dentro di me è tornato a cuccia con il suo osso fra i denti. 

Meglio una bella treccia invece della coda, casomai mi venisse qualche idea...  Le sfilo l’elastico e i suoi capelli si sciolgono e fluttuano mentre le ricadono morbidi sulle spalle, al rallentatore, come nelle pubblicità. Manco un respiro e trasalisco.

Mormoro qualche altra banalità alla vaniglia, non riesco a farne a meno.

E la bacio. Non riesco a farne a meno.

Le afferro quel bellissimo musetto e le infilo la lingua in bocca, risponde al bacio, mi lecca con sua lingua dolce e il suo gemito mi vibra sulle labbra, esplodo. L’abbraccio, la stringo, la strizzo. Le stringo forte le natiche e la premo contro la mia erezione. “Ho voglia di metter le mani sul tuo sedere da quando l’ho inquadrato bene, tra gli scaffali della ferramenta. Ecco, piccola, sentimi, sentimi bene. Ora ti scopo, ora ti scopo... lo so che lo vuoi anche tu.”  Sto di nuovo perdendo il controllo, ma poi lei mi passa le mani tra i capelli...

“No, piccola, non toccarmi... oppure sì, toccami. Le braccia, i capelli, il viso... va bene... Sì, mi rendo conto che va bene. È quasi bello essere toccato da te... Poi ti do qualcos’altro da toccare. Chissà se ne hai mai toccato uno?” Mi sorprendo a desiderare che il mio sia il primo.

“Solo io, solo il mio!” e sono di nuovo vinto, sconfitto, questo saliscendi di desiderio ed emozioni mi annienta: vorrei tanto evitarlo ma non posso e crollo in ginocchio, ai suoi piedi. Ai piedi di una vergine vestale, una dea mora che mi ha fatto un incantesimo, mi ha somministrato un filtro.

“Ma ora ti voglio vedere, ti voglio toccare. Sei una visione. Mi piaci, mi piaci. Non ho neanche bisogno di immaginarti legata per eccitarmi. Ma sei solo una ragazzina, stupenda, ma una ragazzina.”

Non posso farmi mettere k.o. da una verginella, così riafferro le redini.

La tocco, la bacio... è davvero bellissima, più bella di quanto avessi immaginato. Sono emozionato e attratto. Mi dedico alle parti periferiche del suo corpo, per riuscire a restare saldamente alla guida. Lascio la mia erezione imbrigliata nei boxer perché ho paura di eccedere, anche se mi piacerebbe andarci giù pesante. Voglio dare il meglio, ci sto riuscendo. Lei è molto sensibile. Ora però la spoglio. È dal primo istante che voglio guardarla nuda.

Mio Dio, è davvero bellissima, anche in reggiseno e mutandina. Non lo sa di essere così bella: è proprio una gran fortuna che non se ne renda conto! Non credo che sappia di avere un corpo stupendo, una bocca da morsi... Gli occhi sono due laghi profondi... ha un viso da fata. La guardo estasiato.

«Sei bellissima. Non vedo l’ora di essere dentro di te» le mormoro, poi urge un bisogno: «Fammi vedere come ti tocchi.» Sembra reticente, insisto: «Non essere timida. Fammi vedere.»

«Non lo faccio» farfuglia. Lei arrossisce. Io brucio. “Non. Lo. Fa! Non ha mai avuto un orgasmo! Oh, quante possibilità, piccola!”  

Mi metto subito all’opera finché ho la forza di resistere, mi attacco al suo seno come ad una fonte nel deserto e succhio, succhio per farla godere, sono io che godo delle piccole scosse che mi martellano le tempie e si riverberano sulla mia punta, mentre l’asta è percorsa da corrente elettrica.

“Voglio farti venire così!”  E ci riesco in fretta. Esulto. Dovrò insegnarle il controllo. “Vedi? Io, a differenza tua, so controllarmi, avrei tanto voluto scoparti, ma mi sono controllato. Ora controlliamo un’altra cosa” mi dico e le infilo due dita nella fessura, scostandole il pizzo degli slip.

È bagnatissima, un lago. La sfioro, m’insinuo, scavo, mi accerto... Lei grida, di piacere.

 “Ahhh, non ce la faccio più. Non ce la faccio più! Proprio io, che posso resistere ore e ore, non ce la faccio più!”

Le strappo via gli slip, mi tolgo i boxer e mi posiziono tra le sue gambe, in ginocchio. Mi volto verso il comodino per afferrare il preservativo. Nell’istante in cui mi giro noto che il suo sguardo si posa sul mio membro eretto, gli occhi si dilatano per lo stupore. Ora ne ho la certezza, è il primo che vede!

“Tranquilla, poi te lo faccio anche assaggiare!”    M’infilo il preservativo, le apro le gambe. Le prendo la testa tra le mani e glielo chiedo: «Sei sicura di volerlo fare?» ma so già la risposta.

«Ti prego.»

Non so se lo sai, piccola, ma questa è la risposta di una vera sottomessa.

«Alza le ginocchia» le ordino. Le incertezze di poco prima sono dimenticate, ora sono il suo Signore.

«Sto per fotterti...» posiziono la punta all’entrata della vagina, «...senza pietà» ed entro, sfondo, come piace a me. Voglio sfondare: ecco, questo sì che un colpo di frusta! Lei grida.

Godo.

Lei grida, mi blocco: torno indietro di dieci anni, quando la mia Padrona mi negava il piacere e mi chiedeva l’edging, fermarmi a un passo dall’orgasmo, più e più volte. Lo so fare. Le leggo il dolore sul viso, di sicuro sul mio c’è trionfo, piacere, gioia. Non ha nemmeno fatto resistenza, è scivolato dentro come un treno. Ecco che arriva l’orgasmo, così, subito. Lo sento. Lo fermo. Lo so fare, anche con lei, lo so fare.

Mi fermo, immerso in questo piccolo pertugio: se il mio uccello respirasse sarebbe già rimasto soffocato, strizzato e avvolto qua dentro. Grugnisco: vorrei evitare di gemere come uno stupido adolescente, così grugnisco. Apro la bocca, sto annaspando nel tentativo di resistere all’orgasmo. Bene, è passato!

«Sei così stretta. Stai bene?» Sarà opportuno fare un po’ di conversazione, si usa così nei rapporti vaniglia? Parlo, così mi distraggo dal massaggio della sua fica che mi strizza e dal fuoco delle sue mani che mi serrano le braccia.

«Ora inizierò a muovermi, piccola» tiro fuori il mio tono da super-boss. Meno male che mi sta toccando le braccia, così trovo la forza necessaria per riprendermi.

Indietreggio, sprofondo. Indietreggio, sprofondo. Tengo un ritmo lento, studiatamente cadenzato.

Le mordo il labbro. “Un po’ di dolore, come aperitivo, miss? No, è meglio di no se voglio resistere, è peggio di quando se lo morde lei!”

Ad ogni colpo chiedo se ne vuole ancora. “Sì, certo, come dubitarne?” Lei sa che io la sto dominando, la guido, la posseggo. Non sa, però, che per me ogni affondo è un edging, una barriera. Non sa che sono sempre a un passo dall’abisso. È molto intenso. Funziona così l’edging, nel sesso alla vaniglia? Mi devo informare un po’ meglio: non saranno mica tutti idioti, quelli che scopano così! 

Elena me ne ha imposti dodici, una volta, dodici di fila, prima di lasciarmi venire. E non è stato per niente bello, intenso sì, ma doloroso. Una punizione più che una concessione.

Ripenso a quel periodo, non è un ricordo piacevole, ma mi distrae e mi permette di radunare le forze per l’ultimo assalto.

“Non ce la faccio più, piccola, vedi di venire perché, se no, resti all’asciutto” e parte la mia carica, non mi fermo: cavalco, galoppo, spingo, sto godendo. Le addento di nuovo il labbro, sto godendo come non ho mai goduto. Sento l’orgasmo partirmi dalla testa, non ho più neanche un pensiero. È un piacere smisurato.

«Vieni per me» biascico, con il fiato corto. 

“Brava, obbedisci! Eccola qua!” Quando sento il suo orgasmo, faccio partire il mio che era ancora imbrigliato nella testa e grido, urlo, la chiamo. Spingo, spingo finché non mi sono svuotato fino all’ultima goccia.

Ho appena avuto il più appagante orgasmo della mia lunga carriera e sono di nuovo pronto, alla faccia del periodo refrattario: era da un po’ che non mi succedeva. “Ma cosa mi fai, piccola?”

Sarà che sono il primo e questo mi procura un’emozione indecifrabile, sarà che è bellissima e ricettiva, ma sembra che ci sia, tra noi, un’alchimia perfetta che ci ha portati alla vetta in tre minuti. A ripensarci... se escludiamo i preliminari... insomma sì... a pensarci bene è stata una sveltina!  Fortuna che sei vergine e non lo sai, non sai ancora bene come funziona, perché è stata proprio una sveltina.

“Niente di preoccupante: sono stato troppo tempo senza scopare. È per questo che ero così su di giri e combinato al fatto che ero il primo... Sì, è così. Adesso che l’ho fottuta torna tutto come prima!”  ............

 

...........Le ho domandato come stesse, in realtà avrei tanto, tanto voluto chiederle se le era piaciuto, perché a me era piaciuto più di qualsiasi cosa riuscissi a ricordare in quel memento. E anche adesso, ripensandoci... ho fatto l’amore. Con lei ho fatto l’amore. Per la prima volta.

Con questo pensiero in testa e la voragine nel petto sempre più profonda mi addormento.

 

Mi sveglia la luce del sole che rischiara le pareti cupe della Stanza dei giochi.  Non ho avuto incubi e sono stranamente riposato, anche se mi sento infastidito dal lenzuolo della prima volta che mi avvolge come in un bozzolo. Emergo dalla stoffa come una crisalide più sudato che dopo una corsa di cinque miglia. E come dopo una corsa, ho un gran bisogno di una doccia.

Scendo di sotto, mi lavo velocemente, vado nel mio studio in accappatoio, mi attacco al computer e mando una serie di mail per organizzare la giornata. Oggi non andrò al lavoro, nessun impegno improrogabile, comunque niente che richieda la mia presenza: può provvedere a tutto Ros. Vado in cucina, faccio un cenno di saluto a Mrs. Jones che, impassibile, mi serve un succo d’arancia e omelette con un sorriso professionale. Niente caffè, è meglio.

Oggi, dopotutto, andrò a correre.

La giornata passa, nonostante tutto. Mi sono chiuso nella stanza TV. Ho cercato tra gli scaffali una vecchia VHS. Ho anche la versione DVD di quel film, ma oggi voglio vederlo in videocassetta. Lo guardo due volte.

Poi, come faccio da circa quattro giorni, accendo il MacBook e analizzo tutto quello che c’è nel suo computer, ogni singolo file, tutta la cronologia, le immagini, la musica, ogni mail, anche le mie: tutto! Leggerei molto volentieri anche i messaggi del cellulare, ma l’ho spento sabato quando il suo telefono ha cominciato a ricevere messaggini a raffica. Ho provato a riaccenderlo, ma c’era il PIN. Domani, in ufficio, lo darò a Barney, ci penserà lui a forzarlo.

È quasi notte, un’altra notte da solo. Dovrebbe essere la normalità.

Questa volta, se mi addormenterò, non sarò così fortunato da non ricevere visite.

Infatti mi sveglio all’alba, seduto sul letto: sempre lo stesso incubo, ma questa volta quasi lo aspettavo.

Mi basterebbe chiamarla, dirle che... insomma qualcosa da dirle troverei.

“È lei che se ne è andata! Se aspetta che la chiami io, può aspettare in eterno! Lo sapeva. Sapeva che una volta fuori non sarebbe potuta tornare da me, sono stato chiaro! Poi è un vicolo chiuso, non ci porterebbe da nessuna parte, lei non accetta il mio stile di vita. Punto.” E non chiamerà.

Mi devo preparare, andrò al lavoro presto, l’ho trascurato anche troppo.

Sotto la doccia mi godo il getto caldo, prendo il bagnoschiuma, me ne verso automaticamente un po’ sul palmo, lo sfrego e il suo profumo si espande anche sotto l’acqua invadendomi le narici rievocando e rianimando ricordi dolci e amari, rendendoli quasi tangibili: lei è di nuovo qui con me nel box-doccia, come qualche ora prima che se ne andasse... qualche giorno fa... una vita fa...

 

...«Girati! Voglio lavarti» le ho ordinato.

«Ho un’altra cosa da dirti...» ha cominciato impaurita. Mi sono spaventato, che cazzo doveva dirmi che la faceva agitare così?

«Dimmi!» le ho sbraitato.

«Gio... giovedì, a Portland, c’è... c’è l’inaugurazione della mostra di foto del mio amico José.»

«E allora?!??!» Io non sono geloso! Il fatto è che io non condivido!

«Gli avevo promesso che sarei andata. Vuoi venire?» Ci vuole andare. Ci andrà!

«A che ora?!» Ma nemmeno nel sogno più bello di quel pervertito ubriacatore tu ci vai da sola, piccola!

«Alle sette e mezzo di sera.»

... !!!!!!!!!!!

 

“Giovedì, a Portland, alle sette e mezzo di sera. Giovedì, a Portland, alle sette e mezzo di sera. Giovedì, a Portland, alle sette e mezzo di sera. Giovedì. Portland. sette e mezzo” mi ripeto come un mantra, mentre con urgenza mi risciacquo veloce. Mi fiondo fuori dalla doccia.

Ora è tutto chiaro. Ora sono di nuovo lucido. Ora so cosa devo fare.

La mattina scorre in fretta, ho mille cose da controllare, mille email a cui rispondere e una da scrivere.

Ci sto lavorando da ore, alla mail. Beh, sto lavorando anche alla nuova acquisizione: è tutto pronto. Ma sono più interessato alla mail.

Lima di qua cancella di là, è pronta.

Vado a pranzo da solo.

Torno. Ricontrollo la mail: rileggere a distanza di qualche tempo, aiuta.

“Va bene,” mi dico, “Niente implorazioni, nessuna preghiera. Non mielata, educata. Distaccata, lievemente interessata. Sono pur sempre un gentleman. Mia madre mi ha insegnato come si trattano le signore”. 

Rileggo ancora una volta.

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 8 giugno 2011 14.05  

 

Oggetto: Domani

 

Cara Anastasia,

perdona questa intrusione al lavoro. Spero che stia andando bene.

Hai ricevuto i miei fiori? Ho visto che domani ci sarà l’inaugurazione della mostra del tuo amico alla galleria, e sono sicuro che non hai avuto il tempo di comprare una macchina. La strada è lunga. Sarei più che felice di accompagnartici io, se tu lo volessi.

Fammi sapere.

Christian Grey

___________________________________

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Perfetta! 

Sono soddisfatto.

Tentenno. Rifletto. Sì, sono soddisfatto anche perché ora so con certezza, con assoluta certezza che non la amo.

NON LA AMO, perché se la amassi almeno un pochino, solo un po’, io ora non premerei il tasto d’INVIO.

“Click!”

Anzi: “Click, click.” “Click!”, persevero.

Nei dieci minuti successivi controllo di averla inviata correttamente.

Alle 14,17 mando una mail a Barney. Alle 14,19 alla mia casella di posta arriva un messaggio. Sobbalzo. Barney ha controllato: “mail giunta e non ancora aperta”. Mi tocca aspettare, comincio ad irritarmi. Di nuovo.

“È al lavoro”  mi spiego da solo, cercando di controllarmi, ma sono un vulcano che sta per eruttare.  E poi “bip”. Eccola, è lei!

Apro in fretta la sua risposta.

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 8 giugno 2011 14.25

 

Oggetto: Domani

 

Ciao, Christian,

grazie per i fiori. Sono bellissimi.

Sì, gradirei un passaggio.

Grazie.

Anastasia Steele

__________________________________

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

 

Leggo velocemente il messaggio, breve e coinciso, sempre dritta al punto, MISS STEEL.

Espiro profondamente, perché ho trattenuto il fiato. “SÌ. Ha detto sì. Tanto basta.”

Afferro il telefono, chiamo Taylor.

«Taylor!» quasi grido alla cornetta. «Per domani è confermato! È tutto pronto?»

«Sì, signore, come da sue disposizioni, signore.»

«Grazie, Taylor, a dopo» il mio tono è di nuovo normale e vorrei tanto tornare alla mia mail, devo rispondere, ma Taylor mi trattiene.

«Signore, volevo dirle...» comincia incerto, «beh, è un piacere sentire di nuovo la sua voce, signore.»  


CAPITOLO 3


Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 8 giugno 2011 14.25

 

Oggetto: Domani

 

Ciao, Christian,

grazie per i fiori. Sono bellissimi.

Sì, gradirei un passaggio.

Grazie.

Anastasia Steele

__________________________________

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

 

Rispondo immediatamente, anzi, avevo già preparato la risposta. Sono un inguaribile ottimista.

– Certo che ti sei sprecata, Anastasia! Potevi scrivere qualcosina di più –  mi dico, indispettito.

–  Anastasia – penso. –  Come suona bene, il suo nome. Ha un suono così avvolgente, proprio come lei. Un nome che riamane inciso dentro. È come un tatuaggio indelebile... non si può cancellare. Come ho potuto pensare di riuscire a cancellarlo? A cancellare lei? –  mi domando ed invio la mail.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 8 giugno 2011 14.27

 

Oggetto: Domani

 

Cara Anastasia,

a che ora passo a prenderti?

Christian Grey 

_________________________________

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Ora posso dedicarmi alle mie congetture nell’attesa della sua risposta.

– “Anastasia Steel, Assistente di Jack Hyde”. Jack Hyde! –

Il nome mi è balzato agli occhi: questa è l’ennesima prova che i miei pensieri si sviluppano esponenzialmente, portandomi a formulare in un picosecondo un milione di conclusioni.

Jack Hyde: non lo conosco. Non so chi sia. Ho notato quel nome nei rapporti per l’acquisizione della SIP quando ancora stavo valutando tutte e quattro le possibilità.

–  Fortuna che hai scelto la SIP, piccola. È l’unica, tra le quattro case editrici di Seattle, che abbia ampi margini di sviluppo e le caratteristiche più affini al mio progetto. Dopotutto si rivelerà un affare, anche se un po’ prematuro. Tra le poche pecche dell’azienda avevo individuato proprio Mr. Hyde. –

Forse sono stato attratto dal nome: Jack Hyde, “Dr. Jekyll e Mr. Hyde”, ed ho studiato meglio il suo profilo... troppe assistenti in un lasso di tempo molto breve... le cose sono due: o non sa valutare il personale di cui si circonda, quindi è incompetente, quindi deve saltare, oppure...

La seconda ipotesi, che so essere quella corretta, mi fa accapponare la pelle e mi pone in uno stato d’inquietudine che non mi è familiare. E mi fa incazzare parecchio.

–  E tu, piccola, gli sei caduta in bocca, cara Anastasia Steele, assistente dell’“ottimo” direttore editoriale della SIP!  –

Chiamo Welch: «Welch? Voglio tutto su Jack Hyde, uno dei direttori editoriali della SIP. TUTTO! Voglio sapere anche a che ora si rade la mattina!»

Chiudo senza aspettare la risposta di Welch. So che è già all’opera.

Tamburello con le dita sulla scrivania.

«Bip!» – Eccola! –

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 8 giugno 2011 14.32

 

Oggetto: Domani

L’inaugurazione è alle 19.30.

A che ora suggerisci?

Anastasia Steele

___________________________

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

 

– Suggerisco? Io non suggerisco, cara! È già tutto organizzato! Conosco perfettamente l’orario della mostra, il luogo e tutto quello che c’è da sapere. Pensi davvero che io dimentichi qualcosa? Qualcosa che riguarda te, per giunta? –

Mi avvicino la tastiera, butto giù due righe in fretta e premo ‘INVIO’.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 8 giugno 2011 14.34

 

Oggetto: Domani

 

Cara Anastasia,

Portland è piuttosto lontana.

Posso venire a prenderti alle 17.45.

Non vedo l’ora di incontrarti.

Christian Grey

_____________________________

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

– “Non vedo l’ora d’incontrarti”? L’ho scritto davvero? – Ricontrollo. – Sì, l’ho scritto e l’ho spedito. – 

È quello che sento.  

Inconsciamente devo averlo scritto per forzare un po’ la sua risposta, per farla aprire un tantino. Devo ammettere che sono deluso dalla freddezza delle sue mail.

– Ho una voglia pazza di rivederti, Ana –  una voce urla dentro di me, erompendo dal profondo. –  Non ce la faccio più... – I miei pensieri sono interrotti dal bip della casella di posta.

Qualcosa dentro il mio petto fa un balzo.

– Vediamo cos’ha risposto. –

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 8 giugno 2011 14.38

 

Oggetto: Domani

 

Ci vediamo, allora.

Anastasia Steele

_________________________

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

 

–  E ti pareva! “Ci vediamo, allora” –  la imito fra me. –  Sì, tesoro, ci vediamo. “Niente può impedirlo, ormai.” –  Sorrido.

Mi sento quasi sereno.

Sto analizzando questa piacevole sensazione invece di rivedere i bilanci della SIP e dedicarmi  a studiare i contratti. Domani firmeremo il passaggio e, ufficialmente, la Sip entrerà nel gruppo GEH.

Non importa, è già tutto qui, nella mia testa, nonostante il blackout di questi giorni.  Fortuna che ora sono tornato lucido, altrimenti avrebbe dovuto pensarci di nuovo Ros, a dirigere l’incontro.

Lucido... più o meno. Ho passato quattro giorni a tentare di rimettere indietro l’orologio. Ho cercato di cancellarla, eliminarla, far finta che non sia mai esistita. Ho tentato di cancellarne anche il nome...

Impossibile. È impossibile!

So.  Io lo so che sarebbe meglio per lei! Per lei!

No, non per me. Per lei... solo per lei...

È così pura, innocente... una ventata d’aria fresca nella mia stanza inondata di fumo nero e greve.

–  No, no! Ormai quell’aria è irrespirabile, mi è irrespirabile! Non posso più... non ce la faccio... – mi ripeto. Sento l’agitazione che torna a tormentarmi e il tarlo fastidioso ha ripreso a rodere, consumando il delicato equilibrio che ho faticosamente riconquistato.

Mi agito nella poltrona, sfrutto il movimento delle rotelle per dondolarmi avanti e indietro. Mi alzo, guardo fuori. Guardo Seattle.

Eccolo, arriva...

–  E se non mi volesse più?  – Eccolo qua, il pensiero molesto che ricompare!

–  Se avesse capito che la cosa più saggia sarebbe proprio... sarebbe proprio meglio che...  –

Non riesco nemmeno a pensarci. Non riesco neppure a valutare l’ipotesi, non riesco a completare la frase e... la rivedo...

Ho il ricordo vivido di me con la cinghia in mano e di lei con l’accappatoio sollevato, una visione che da sola, fino a pochi giorni fa, sarebbe bastata ad accendermi come un fiammifero, invece...

«Sei» ha biascicato, tra le lacrime.

Ho visto che erano lacrime di rabbia. So riconoscerle.

Avrei dovuto essere eccitato...

Lo ero... all’inizio... Ero eccitato ed ho colpito con tutta la mia forza...

«Sei»... Penso solo al suo mormorio, non penso ad altro, da giorni.

– Sei, sei, sei... sei di quelle buone, di quelle buone... sei, sei...– 

«Lasciami andare… no…»

–  Ti lascio andare? – No! Io. Non. La. Lascio!

Ha lottato contro di me, per liberarsi dalla mia stretta. Per respingermi... per combattermi.

«Non mi toccare!» mi ha ruggito fiera, raddrizzando le spalle. Si è asciugata le lacrime col dorso della mano.

«È questo che ti piace davvero?» mi ha domandato sconvolta, ma non dal dolore. Sconvolta da me.  Posso ancora vederla strofinarsi il naso sulla manica di spugna.

«È questo che ti piace davvero? Vedermi così?» Sento ancora la sua voce che mi vibra nelle orecchie.

– È questo che mi piace davvero? –  mi sto ripetendo da quattro giorni.   

NON MI PIACE PER NIENTE! Non voglio vederla così, io voglio solo vederla. Guardarla, toccarla.

In piedi davanti alla vetrata che incornicia lo skyline di Seattle, sto guardando la città senza vederla, gli occhi fissi su un punto lontano, le mani in tasca e penso che non mi piace per niente, vederla così e il suo bellissimo viso mi appare davanti agli occhi come una vetrofania.

Penso che è proprio un mio limite assoluto, farle del male.  

Penso, però, che sia inevitabile.

Le farò del male.

Quello che sento... quello che provo... se fosse amore... Per quel che so, l’amore è generoso, no?

Dovrei lasciarla andare... dovrei...

Una rabbia feroce erutta dentro di me a sovrastare ogni pensiero coerente: – Io non ti lascio andare, Ana, io non ti lascio!  

Non me ne frega un cazzo di quello che è giusto per te! Io sono solo un bastardo figlio di puttana, posso affermarlo con assoluta certezza,  e mi riprendo ciò che è mio!

Quello che è MIO!

E tu sei MIA!

Anche senza contratto.

Non ho bisogno di un fottuto contratto che mi dica che sei mia, che stabilisca i limiti!

Non me ne frega un cazzo! Anzi, non voglio dei limiti che mi dicano fino a che punto sei mia!

Tu. Sei. Mia. Senza limiti e senza regole!

No, beh, le regole sì. Tu hai proprio bisogno di regole, perché altrimenti io...

Se credi che ti lascerò andare... non mi conosci, Ana. Non mi conosci.

Non me ne importa un cazzo di ciò che è giusto, sono un fottuto bastardo e ti rivoglio!

Ti rivoglio nella mia vita: hai detto che mi ami... Bene, eccomi! –

È davvero molto utile, la rabbia. So incanalarla e gestirla. So farne un punto di forza: in questo momento riesce a schiarirmi i pensieri. Ora so.

Lo so, anche senza il rapporto di Welch e del suo uomo che piantona casa sua: so che è uscita di casa solo per andare al lavoro.

So che l’unica persona che ha bussato alla sua porta è il fattorino che le ha consegnato le mie rose.

So che non ha fatto né ricevuto telefonate da quando ha messo il piede fuori da casa mia. So che ha ancora le chiamate deviate sul BlackBerry, lo so perché Barney ha controllato i tabulati telefonici.

Io so... che lei sta esattamente come me...  

– Tu vuoi di più? Oh, Ana, non hai capito niente! Sono io, IO,  che voglio di più! IO! –  mi ripeto. Questo lo avevo già capito. Volevo di più e sono volato fino a Savannah per prendermelo.

– E lo voglio subito, in fretta, perché ora sei debole e sola. Sei una preda facile per quella schiera di avvoltoi che ti svolazzano intorno pronti ad azzannarti, con la scusa di consolarti. E tu, anche se non l’hai mai fatto in ventun anni, per disperazione, potresti cedere. –  Un coltello dalla lama rovente ha appena lacerato la mia anima oscura, procurandomi un lampo di vero dolore.

– Sono un’infinità –  penso allucinato. –  L’elenco è troppo lungo, anche senza contare quelli che non conosco: il fotografo, il fratello del ferramenta, anche il figlio di Kavanagh, ho visto come ti guardava il giorno della laurea. E il più pericoloso di tutti, Jake Hyde. Più pericoloso anche di me, perché io t... –

«Avanti!» grido alla porta, voltandomi.

«Signore, hanno consegnato questi per lei» mi dice Andrea, depositando due scatole bianche identiche sul ripiano della scrivania. «Signore» ripete congedandosi.

– Sono già arrivati – penso soddisfatto. –  Ecco qualcosa di mio per te. Un regalo che non puoi rifiutare e liquidare come tutti gli altri miei doni. Questo è speciale: è tuo e mio. E mi farà passare il tempo... fino a domani, piccola. –

 

– Finalmente sono le cinque e venti –  mi dico, osservando il mio Omega. È da un po’ che io e Taylor giriamo attorno all’isolato della SIP e gli do ordine di fermarsi.

Ancora pochi minuti e la vedrò.

Non riesco a distogliere lo sguardo dall’ingresso del palazzo. Esce una coppia di ragazze. No, non è lei.

Non uscirebbe mai in anticipo. Speriamo che non la trattengano, non sopporterei di aspettare oltre le 17,46.

17,39. Eccola! Ho riconosciuto il colore dell’abito. Un uomo con un ridicolo codino le sta galantemente aprendo la porta. Quel pugno nero che mi batte al centro del petto manca un battito.

Taylor è già sceso dall’auto per aprirle la portiera.

– Ma che cazz... –  Il pugno nero batte più veloce e la rabbia monta anche se cerco di imbrigliarla. – Ma quanti chili ha perso in cinque giorni?!?  E chi è quello stronzo che la sta seguendo? Scommettiamo che indovino? – Taylor apre la portiera del SUV. – Lo stronzo sta guardando dentro l’Audi... –  Il suo profumo mi distrae. –  Eccola, è qui. Finalmente... – Guardo incantato il mio sogno che è diventato reale. È tutta occhi. E bocca... se continua così finisce che mi scompare.

«Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?» sono le prime parole che le rivolgo.

 «Ciao, Christian. Anche per me è bello vederti.»

«Lascia perdere la tua lingua biforcuta, adesso. Rispondimi.» – Ah, quanto mi sei mancata! –

«Mmh… ho mangiato uno yogurt a pranzo. Ah… anche una banana.»

«Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato un vero pasto?» ruggisco. Conosco anche questa risposta e, dentro di me, ruggisco.

Taylor mette in moto e si infila nel traffico. Lo stronzo la sta salutando con la manina come se potesse vederla attraverso i vetri scuri. Lei gli risponde sollevando la sua bella mano troppo magra.

 –  Non può vederti, è inutile che lo saluti – vorrei dirle, invece le abbaio: «Chi è quello?»

«Il mio capo» mi risponde diffidente, io serro le labbra.

 – Indovinato! Ma che strano! L’ottimo Jack Hyde, direttore editoriale, il suo capo. No no, cara, sono io, il tuo capo. Da oggi. –     

«Allora? L’ultimo pasto?» insisto. Mi fa incazzare parecchio vederla così.

«Christian, davvero non ti riguarda» mormora. Fa la spavalda.

«Tutto quello che fai mi riguarda. Dimmelo.»

Mormora di nuovo e alza gli occhi la cielo, la guardo di sottecchi.

–  Cazzo, Ana, non sfidarmi – le chiedo, come se potesse sentire i miei pensieri. L’ultima volta che ha alzato gli occhi al cielo è finita come è finita. Di merda. – Che fai, ora? Ridi? Mi ridacchi in faccia? –  E un sorriso mi parte da dentro, non riesco a trattenerlo, mi arriva agli occhi.  –  Io ti adoro, Ana. Quando ridi, ti adoro. –

«Dunque?» le chiedo di nuovo. Non penserà mica di sviare il discorso, vero? – Non mi distrai, bella. –

«Pasta alle vongole, venerdì scorso» sussurra.

Serro le palpebre. Non voglio che veda il dolore nei miei occhi. «Capisco» dico solo, con la voce più atona possibile: non voglio che il dolore trapeli dalle mie parole, lascio che pensi che sia rabbia. «Hai l’aria di aver perso almeno tre chili, forse di più. Per favore, Anastasia, devi mangiare» la rimprovero. Sembra mortificata. «Come stai?» le domando. So benissimo la risposta a questa domanda idiota: stai come me.  

Deglutisce prima di rispondere. «Se ti dicessi che sto bene, mentirei.» Volevo la conferma: eccola.  

«Anch’io» espiro. –  Devo toccarla. Devo toccarla! –

 Allungo la mano e le afferro le dita: –Mia! – È il mio corpo che reclama il possesso e che anela il contatto. Non resisto e glielo dico: «Mi manchi.»

«Christian, io…»

– Stai facendo resistenza, piccola? – «Ana, per favore. Dobbiamo parlare.»

«Christian… per favore… Ho pianto così tanto» mi sussurra.

«Oh, piccola, no.» Sono vinto. Basta! Non ce la faccio più. La attiro tra le mie braccia, in braccio a me.

Mi inebrio del suo profumo: «Mi sei mancata così tanto, Anastasia» le sospiro tra i capelli che odorano di viole e vaniglia. Sento il suo corpo fare un po’ di resistenza, solo un po’, poi abbandona il capo sul mio petto. Chiudo gli occhi. – Ecco, non voglio altro. –  La mia anima oscura non richiede altra offerta per placarsi e le mie labbra si posano sulla seta dei suoi capelli. È sufficiente. Per ora. 

 

«Vieni.» Qualche minuto dopo sono costretto a farla alzare dalle mie ginocchia. «Siamo arrivati. L’elisuperficie… sul tetto di questo palazzo»  le spiego.

Ana si rivolge timidamente a Taylor che sta scendendo per aprire la portiera, con quello sguardo dolce che ha il potere di rimestare le viscere di qualsiasi dominatore:  «Dovrei restituirle il fazzoletto» gli dice, incerta.

«Lo tenga pure, Miss Steele, con i miei migliori auguri» le risponde Jason.

– Fazzoletto? – Credo di aver capito e non voglio indagare.

«Nove?» chiedo al mio collaboratore più efficiente.

«Sì, signore.»

Le ho afferrato la mano. Non ho nessuna intenzione di lasciarla andare. Le sfioro le dita, le stringo, le accarezzo, le lambisco, le strofino in un contatto sensuale che non è altro che un minuscolo preludio ad un altro tipo di danza. Uso la pressione del pollice per massaggiarle il centro del palmo. Per accenderla.

E ci riesco. Sono Christian Grey!

Non la lascio, neppure per un attimo: anche se volessi non potrei, siamo legati da un’alchimia fatata che ci lega l’uno all’altra.

So di possedere questo dono, di attrarre le donne, e l’ho usato con tutte quante, a partire da Elena, probabilmente anche quando non ne ero consapevole. Ho sempre visto il desiderio brillare nei loro occhi: so che effetto faccio.

In questo, lei non è diversa da tutte le altre.

È uguale, solo che...il fatto è che... lei... ha lo stesso potere su di me!

È come se - quando siamo tropo vicini - scoccasse una scintilla in grado di sparare una corrente elettrica che può spegnersi solo in un orgasmo. Mi lascia senza fiato. Ecco, come adesso, qui, vicino all’ascensore, esattamente come il primo giorno... il mio nome, che è uscito dalle sue labbra come un bacio, è stata... è stata una frustata.

– Prima o poi la scopo in ascensore! Ma che cazzo di effetto mi fanno, gli ascensori? Ho capito: lo spazio è angusto e l’elettricità ci avviluppa e ci trafigge. Anche a te. Lo vedo.  Ti vedo! –

«Oddio.» Le esce un sussurro e ansima.

Sì, è palpabile e intenso. La guardo. Trattengo un ansito.

«La sento anch’io» le confesso. Devo toccarla. Le prendo la mano e, come al solito, i suoi denti bianchi affondano nel cuscino rosso del suo labbro.

Nulla sarebbe, se non fosse che il mio membro si ricorda di esistere ogni volta che lo fa, sussultando sull’attenti come un soldato all’ispezione.

«Per favore, non morderti il labbro, Anastasia» riesco a mormorare. «Sai che effetto mi fa.»

– Lo sai, lo sai: infatti fai di peggio. –  Fa scorrere il labbro tra i denti lentamente prima di liberarlo.

E io ho un altro fremito: – Ora ti scopo! Al diavolo tutti i buoni propositi e i miei piani, Ana, ora ti fotto! –

Di colpo, le porte dell’ascensore si aprono, spezzando l’incantesimo, e siamo sul tetto.

L’attiro a me e andiamo verso Charlie Tango che ha le pale del rotore accese. Stephan ci viene incontro.

«Pronto a partire, signore. È tutto suo!»

«Fatti i controlli di rito?»

«Sì, signore.»

«Verrà a riprenderlo intorno alle otto e mezzo?»

«Sì, signore.»

«Taylor l’aspetta fuori.»

«Grazie, Mr. Grey. Buon viaggio fino a Portland. Signora.»

La faccio salire e, una volta dentro, la lego.

Sorrido. Stringo le cinghie al limite del soffocamento e le sorrido.

«Queste ti terranno al tuo posto.» – Che gioia, che piacere! –   «Devo dire che mi piace vederti legata. Non toccare niente.»

Le sfioro la guancia di seta che è diventata più rossa delle lenzuola della Stanza dei Giochi.

Le passo le cuffie e noto il suo sguardo arrabbiato. – Sarà meglio cambiare argomento, almeno finché non sarò rientrato nelle tue mutandine, Miss Steel. –

Mi seggo, allaccio le mie cinture e faccio i controlli.

–  La sicurezza prima di tutto. –  Su questo non transigo.

«Pronta, piccola?»

«Sì.»

Le sorrido. Sono felice: sto facendo la cosa che mi piace di più con la persona che mi piace di più. – Beh, no. La seconda cosa che mi piace di più, ma entrambe mi piace farle con te. Tutto è più bello se lo faccio con te. –

«Sea-Tac torre di controllo, qui Charlie Tango, Golf… Golf Echo Hotel, autorizzato al decollo verso Portland, via PDX. Confermate, per favore. Passo.» La voce incorporea del controllore di volo risponde, impartendo istruzioni. «Ricevuto, torre di controllo, Charlie Tango pronto. Passo e chiudo.» Premo due pulsanti, afferro la leva, e l’elicottero si innalza lentamente e dolcemente nel cielo serale.

«Abbiamo inseguito l’alba, Anastasia, e ora inseguiamo il crepuscolo.» Mi sento poetico. «Così come il sole di sera, c’è molto di più da vedere stavolta. L’Escala è laggiù.» Le indico casa mia. «Il Boeing è là, e lì puoi vedere lo Space Needle.»

«Non ci sono mai stata» mi dice.

«Ti ci porterò. Possiamo andarci a mangiare.»

«Christian, noi abbiamo rotto.»

– Rotto? Questo lo pensi tu, Miss Steel – mi dico.

«Lo so. Ma posso sempre portarti lì per nutrirti» dico, invece, a lei che mi guarda torva e devia il discorso.

«È bellissimo quassù, grazie.»

–  Grazie a te, piccola. –

«Impressionante, vero?»

«È impressionante che tu riesca a fare questo.»

«Mi stai adulando, Miss Steele? Io sono un uomo dai molti talenti.»

«Ne sono pienamente consapevole, Mr. Grey.»

Io le sorrido ammiccando. Oggi, dopo cinque giorni, non faccio altro che sorridere.

«Come va il nuovo lavoro?» le domando. M’interessa moltissimo e per molti motivi.

«Bene, grazie. È interessante.»

«Com’è il tuo capo?»

«Oh, lui è okay.»

C’è una nota d’incertezza nella sua voce. Mi volto di scatto per guardarla negli occhi. Possibile che il maiale abbia già colpito?

«Cosa c’è che non va?» le chiedo.

«A parte l’ovvio, niente.»

«L’ovvio?» – Che cosa c’è di ovvio in un lavoro appena cominciato? –

«Oh, Christian, a volte sei veramente molto ottuso.»

«Ottuso? Io? Non sono sicuro di gradire il tuo tono, Miss Steele.»

–  Ah, si riferiva a noi. –

«Be’, allora non farlo.»

Sorrido di nuovo. «Mi è mancata la tua lingua biforcuta.»

Arriviamo e scendo sul tetto dello stesso edificio di Portland da cui siamo decollati meno di tre settimane fa.

È passato pochissimo tempo, eppure mi sembra di conoscerla da una vita.

Spengo Charlie Tango.  Mi libero dalla cintura e libero lei.

«Piaciuto il viaggio, Miss Steele?»

«Sì, grazie, Mr. Grey.»

«Bene, andiamo a vedere le foto del ragazzo.» Le tendo la mano per aiutarla a scendere e lei esita prima di accettarla.

Riconosco Joe che ci viene incontro per accoglierci. «Tienilo al sicuro per Stephan. Verrà a prenderlo tra le otto e le nove» gli comunico.

«Sarà fatto, Mr. Grey. Signora» dice, e la saluta. «La macchina l’aspetta di sotto, signore. Oh, l’ascensore è fuori servizio. Dovrete usare le scale.»

«Grazie, Joe.»

La prendo di nuovo per mano, non mi va di lasciarla nemmeno per un secondo. Non voglio lasciarla più.

La guido verso le scale di emergenza.

«Sei fortunata che questo edificio ha solo tre piani, visti i tuoi tacchi.»

Sono irritato. Se si storcesse una caviglia? Passeremmo la serata al Pronto Soccorso, altro che mostra. Non ci pensa proprio alla sua incolumità? Ha bisogno di regole. E io più di lei.

«Non ti piacciono gli stivali?» mi chiede.

«Mi piacciono molto, Anastasia.»  Sarà meglio cambiare discorso prima di finire in uno dei nostri soliti gineprai prima del tempo. «Vieni. Andremo piano. Non voglio che tu cada e ti rompa l’osso del collo.»  Forse sto esagerando...

 

Sediamo in macchina in silenzio, mentre l’autista ci porta alla galleria.

No, non esagero. Ho bisogno di saperla al sicuro... anche da me. È un mio limite assoluto.

Ho bisogno di sapere... Sono pensieroso...

Mi sta assalendo il dubbio che lei possa volere il fotografo, o chi per esso, qualcuno che possa darle quello di cui ha bisogno...

–  IO, posso darti tutto quello di cui hai bisogno: posso farlo e lo farò, Ana. Lo so che tu vuoi me. –

Lo so, ma sono comunque in apprensione. Guardo fuori dal finestrino.

«José è solo un amico.» Sento la sua voce timida che risponde ai miei dubbi.

– Ma come fa? Mica ho parlato. –

Mi volto e la guardo, circospetto. Arrabbiato. «Quei bellissimi occhi sono troppo grandi per il tuo viso, Anastasia. Per favore, dimmi che mangerai.»

«Sì, Christian. Mangerò» mi dice, infastidita.

«Dico sul serio.»

«Ah, sì?» Mi guarda arrabbiata.

«Non voglio litigare con te, Anastasia. Ti rivoglio, e voglio che tu sia in salute.»

– Ecco. Gliel’ho detto! Sentiamo che mi dice. –

«Ma non è cambiato niente.»

– È cambiato tutto, Ana. Tutto. – «Ne parleremo al ritorno. Siamo arrivati.»

La macchina si ferma davanti alla galleria.  

Scendo veloce per aiutarla ad uscire dalla macchina. – Non so se lo sai, Anastasia, ma mia madre mi ha insegnato come si tratta una signora.–

«Perché fai questo?» mi dice, arrabbiata.

«Faccio cosa?»

«Perché dici una cosa come quella e poi ti fermi.»

«Anastasia, siamo arrivati. Siamo dove volevi essere. Facciamo questa cosa e poi parliamo. Non ho proprio voglia di fare una scenata in mezzo alla strada.»

So con certezza che ci sarà una bella lite. È inevitabile.

«Okay» borbotta imbronciata.

La prendo per la mano ed entriamo: è un magazzino riconvertito  e c’è molta gente che si aggira, sorseggiando vino e ammirando il lavoro del fotografo.

«Buonasera e benvenuti alla mostra di José Rodriguez.» Ci accoglie una ragazza castana vestita di nero, un rossetto rosso fluorescente, capelli corti  e grossi orecchini a cerchio. Guarda Ana poi mi fissa i suoi occhi addosso.

– Ma non lo vede, signorina, che sono in compagnia? Poi, anche se fossi solo... – però, dopo avermi praticamente spogliato con uno sguardo, riposa gli occhi su Ana. Avrà gusti eclettici, mi dico e invece...

«Oh, sei tu, Ana. Ci farà piacere conoscere la tua opinione su tutto questo.» Le sorride, le passa una brochure e ci fa strada verso il buffet.

«La conosci?» chiedo ad Ana, stupito. Anastasia sembra non conoscerla: è più stupita di me. Infatti scuote la testa.

 – Mah! Boh! – «Che cosa vuoi da bere?» le domando.

«Un bicchiere di vino bianco, grazie.»

– Tu, Ana, sai davvero come farmi incazzare! Con te non c’è bisogno di usare la fantasia per trovare banali scuse per nuove punizioni: sei avanti anni luce! È quasi una settimana che non mangi e vuoi un bicchiere di vino a stomaco vuoto?!? Vabbè, è proprio meglio far finta di niente altrimenti finisce come finisce... Finisce. Punto. –

“Un bicchiere di vino bianco”, mi ripeto accostandomi al buffet.

La coppia davanti a me blatera qualche banalità, si voltano e mi coinvolgono in una discussione sull’opera di Bert Stern e le analogie con le fotografie di Mr. Rodriguez.

– Ma Stern non faceva quasi esclusivamente dei ritratti?  Io qui vedo solo dei paesaggi. –

Mi guardo intorno a cercare una conferma e la vedo. Col suo amico. Troppo vicino.

Riesco a catturare il suo sguardo: – Lo sai che sei più bella, tanto più bella, di qualsiasi paesaggio? Sei una visione mozzafiato, come il tramonto rosa sul lago di Vancouver. –

È bravo, il ragazzo. Devo ammetterlo. E mi piace l’occhio con cui guarda il mondo. Potrei comprare qualcosa... Però non mi piace per niente dove sta puntando l’obbiettivo in questo momento. Meno male che la signorina dai capelli corti se lo porta via.

Alla fine riesco ad afferrare due bicchieri e la raggiungo.

«È all’altezza?» mi domanda  mentre le porgo il bicchiere.

– Chi? Il fotografo? – le domando mentalmente.

«Il vino» risponde pronta alla mia muta domanda.

 – Mi sa proprio che io e te conosciamo. “Intimamente”. – «No. Raramente lo è ad eventi come questo. Il ragazzo ha talento, vero?» ammetto.

«Perché pensi che gli avrei chiesto di farti un ritratto, altrimenti?»

Sto per risponderle, ma sento pronunciare il mio nome.

«Christian Grey?» Il fotografo del “Portland Printz” si avvicina. «Posso scattarle una foto?» mi chiede.

«Certo.» – Guarda, amico, se vuoi ti concedo anche uno scoop – e attiro Anastasia a me, impedendole di scappare. – Così domani lo sanno tutti, che sei mia. –

Il fotografo ci guarda entrambi, senza riuscire a trattenere lo stupore. «Grazie, Mr. Grey.» Scatta un paio di foto. «Miss…?» chiede.

«Ana Steele» dice lei.                               

«Grazie, Miss Steele.» Scappa via.

«Ho cercato tue foto con altre donne su Internet. Non ce ne sono. Ecco perché Kate pensava che fossi gay.»

La bocca mi si piega in un sorriso. «Questo spiega la tua domanda inopportuna. No, io non do mai appuntamenti a donne, Anastasia. Solo a te. Ma questo lo sai.»

«Così non porti mai le tue…» si guarda intorno per controllare che nessuno ci ascolti «… le tue sottomesse fuori?»

«Qualche volta. Ma non per un appuntamento. Per fare shopping, sai.» Mi stringo nelle spalle, la guardo, non credo che abbia capito.

– Non me ne è mai importato nulla di loro, Anastasia. –  

Ora mi rendo conto che non mi faceva piacere passare del tempo extra con loro. Mi interessava poco o niente ciò che facevano o avevano da dire: solo quello che riguardava il loro benessere formale per tutta la durata dell’accordo. Era di vitale importanza per un corretto funzionamento del contratto.

Provvedevo, e provvedo ancora, al soddisfacimento delle loro necessità. M’interessa ancora sapere se stanno bene, così come accade per ognuno dei miei più stretti dipendenti.

Ecco, sì: era come un contratto di lavoro. Sono state molto ben retribuite per la loro sottomissione, tutte quante, anche Leila, e sapevano perfettamente quali fossero le condizioni.

Tutte cercavano la sottomissione, basta pensare dove sono state reclutate, tutte quante. E Leila più di tutte. Ammetto che lei era un pochino più interessante delle altre, solo un po’. Infatti è durata un po’ più a lungo. Osava qualche cosa in più e metteva un pizzico di pepe in tutte le sessioni... incontri... relazioni... lei la considerava una relazione, ora lo capisco, perché se ha fatto ciò che fatto è perché, per lei, ero qualcosa di più, questo già lo so.

Ora non voglio pensare a lei, ha già fatto anche troppi danni: ero - e sono - talmente preoccupato che ho riversato su Anastasia le mie frustrazioni ed è finita com’è finita.  Ma non è finita... anche se ora lei mi stai guardando con malcelata disapprovazione.

Lo vedo, come mi guarda, proprio come si guarda un bambino che fa i capricci per i giocattoli... anzi, per le bambole, se vogliamo essere precisi. Tante Barbie more a cui compravo i vestitini...

–  Ti conosco, Ana, so che è quello che stai pensando di me adesso: un adulto che gioca con le Barbie. –

«Solo a te, Anastasia» ripeto, in un sussurro. – Solo a te. Mi piace dare appuntamenti solo a te. – 

«Il tuo amico sembra più un fotografo di paesaggi che di ritratti. Facciamo un giro.» Siamo qui per questo ed una buona scusa per cambiare argomento. La prendo per mano e voglio verificare ciò che sto dicendo.

Ci soffermiamo davanti ad altre stampe e noto una coppia che annuisce verso Anastasia, sorridendo come se la conoscessero.

Giriamo l’angolo e capisco perché la coppia anziana del buffet stava parlando di Bert Stern: appesi sulla parete di fronte ci sono sette, dico sette, ritratti enormi: Anastasia!

Guardo la modella accanto a me con uno sguardo obliquo: è sbigottita. Non ne sapeva niente.

Poi torno a fissare ammaliato “lei” stampata alla parete. LEI: corrucciata, seria, imbronciata, sorridente, divertita. Tutti primi piani, tutti in bianco e nero. E mi viene in mente proprio Bert Stern che mi ha sempre dato l’impressione di essere innamorato dei soggetti femminili che ha ritratto, in tante dichiarazioni d’amore impresse sulla pellicola.

«A quanto pare, non sono l’unico» mormoro. E non mi riferisco all’attrazione. Probabilmente sono furioso, non lo so...  Sì, lo so, sono furioso! 

Lei è mia. E, visto che posso, me la compro. «Scusami» le dico e mi dirigo verso il banco della reception.

Tiro fuori la carta di credito, non chiedo neanche il prezzo e acquisto tutti e sette i ritratti.

Devo cedere perché non ne vogliono sapere di staccare le foto dalla parete prima della fine della mostra, neppure raddoppiando la cifra, perché sono il clou della personale.

Chissà perché, me l’ero immaginato.

Mi consegneranno i ritratti alla fine della mostra. Posso aspettare: mi “accontenterò” dell’originale.

Torno da Ana che è stata assaltata da un ragazzo con un assurdo ciuffo biondo.

– Eh no, cazzo! Non posso lasciarla un attimo, senza che qualcuno attenti alla sua virtù? –

Arrivo da Anastasia e da dietro l’afferro per il gomito, trasalisce.

«Sei un tipo fortunato» mi dice quello e mi sorride.

«Lo sono» gli abbaio e me la porto via.

«Hai comprato un ritratto?» mi chiede Anastasia.

«Uno?» sbuffo.

«Ne hai comprato più di uno?» È allibita.

Alzo gli occhi al cielo, come fa lei. «Li ho comprati tutti, Anastasia. Non voglio che qualche sconosciuto sbavi sulla tua foto nell’intimità di casa sua.»

«Meglio che sia tu a farlo?» Ride, mi sta prendendo in giro.

Sono divertito. «Francamente sì» le rispondo.

«Pervertito» trattiene il sorriso afferrandosi il labbro coi denti.

Mi strofino il mento: «Non posso ribattere a quest’affermazione, Anastasia.»

«Potrei discuterne più approfonditamente con te, ma ho firmato un accordo di riservatezza» se ne esce lei, con gli occhi che le luccicano.

–  Oh, Ana, quanto mi piaci!  –  penso e poi : «Che cosa mi piacerebbe fare a quella lingua biforcuta!» – Sì, sono proprio divertito: anzi, giochiamo. Ti ho lasciato senza fiato, eh! –

«Sei molto volgare.»

Mi piace giocare con te, Ana, vorrei che piacesse anche a te come piace a me. –  Sorrido, non ho fatto altro da che ti ho rivista, tu invece... – Osservo ancora le foto alla parete e aggrotto la fronte.

«Sembri rilassata in queste fotografie, Anastasia. Non ti vedo spesso così.»

 – Veramente sono “IO” che non ti vedo così. Gli altri ti vedono felice. –  Mi viene in mente la Kavanagh che mi sbraita contro e mi dice che da quando lei sta con me non fa che piangere.

E mi sta scomparendo davanti agli occhi!

Poi penso che non ha firmato nessuna delle clausole che sarebbero servite il per suo benessere.

– Deve averle scritte un coglione, quelle clausole. – Ci vuole giusto un coglione per pensare che il benessere di una persona risieda solo nella sua perfetta forma fisica.  – Per te, Grey, è sempre stato così – mi dico e poi penso agli ultimi giorni e mi sento un vero coglione. C’è dell’altro oltre al dormire, mangiare il giusto e cibi sani e fare attività fisica,  solo che non mi aveva mai sfiorato... prima. 

«Voglio che tu sia altrettanto rilassata con me» le sussurro, grave.

«Devi smetterla di intimidirmi, se vuoi che lo sia.»

«Devi imparare a comunicare e a dirmi come ti senti.» – Altrimenti non ne usciamo, Miss Steel. –  So che è questa l’unica via.

«Christian, tu mi vuoi come tua sottomessa. Il problema è proprio qui, nella definizione di sottomesso. Una volta me l’hai mandata via mail.» – Mi sta sciorinando il discorsetto, adesso cominciano le danze! – «Credo che i sinonimi fossero: “compiacente, adattabile, condiscendente, passivo, accomodante, rassegnato, paziente, docile, domato, soggiogato”.» – Un commento sorge spontaneo: ovvio che quella non sei tu. –  «Non era previsto che ti guardassi, né che ti parlassi a meno che tu non mi avessi dato il permesso di farlo. Che cosa ti aspetti?» –  Wow, che sguardo! Vai avanti, principessa, m’interessa. –  «Stare con te mi confonde. Non vuoi che io ti sfidi, ma poi ti piace la mia “lingua biforcuta”. Vuoi obbedienza, eccetto quando non la vuoi, così puoi punirmi. È solo che non so mai che cosa succederà quando sono con te.»

La scruto attraverso la fessura dei miei occhi. «Ottima analisi, come sempre, Miss Steele.» La mia voce si fa dura, da amministratore delegato: stanno iniziando le contrattazioni. No, non ora. Ora devo nutrirti. «Vieni, andiamo a mangiare.»

«Siamo qui soltanto da mezz’ora.»

«Abbiamo visto le foto. E tu hai parlato con il ragazzo.»

«Si chiama José.»

«Hai parlato con José. L’uomo che, l’ultima volta che l’ho visto, stava cercando di infilarti la lingua in bocca, sebbene tu non volessi e fossi ubriaca e stessi per vomitare» le sto ringhiando contro.

«Lui non mi ha mai picchiata» ribatte, col mio stesso tono.

Questa è una cinghiata! La rabbia mi arriva agli occhi. Sto fumando. «Questo è un colpo basso, Anastasia.»

–  Non qui. Non ora. – Mi passo una mano tra i capelli. «Ti porto a mangiare qualcosa. Mi stai sparendo davanti. Trova il ragazzo e salutalo.»

«Per favore, possiamo rimanere un altro po’?» piagnucola.

«No. Vai. Salutalo.» La mia voce si alza di due toni.

–  Non me frega un cazzo se sei arrabbiata. Io lo sono più di te. – Questo saliscendi di emozioni mi destabilizza. Io voglio l’equilibrio! E mi riprendo il controllo.

– Ecco, brava! Obbedisci. Una buona volta, obbedisci! – La guardo avvicinarsi al suo amico, vedo anche gli sguardi delle ragazze che stanno intorno al fotografo. Sguardi diffidenti ed invidiosi. 

Lui le mette un braccio intorno alle spalle. –  Eh no, eh! Giù le mani! –  La rabbia torna prepotente. Scorre insieme al sangue. – C’è troppa confidenza... Che fa ora? La abbraccia?!?  –  Sto fumando. Fischio, come una pentola a pressione.

Lei gli avvolge le braccia intorno al collo.

–  No no. Ferma, ferma! Io non condivido, eh! Tranquillo, Grey, ha detto che è solo un amico. Prima, in auto... – Io non sono geloso, solo che io non condivido. Punto. –  E va bene, sono geloso! Cazzo se sono geloso! La sta quasi stritolando! Metti giù le mani, stronzo! –  

Probabilmente, anche se non può vedermi, Rodriguez mi sente arrivare e mette giù le mani da lei.

Lo sento dire: «Non sparire, Ana. Oh, Mr. Grey, buonasera» mi saluta.

«Mr. Rodriguez, sono molto colpito.» Sono freddo e cortese. Ma sono anche sincero, perché è davvero bravo, anzi, mi piace il mio acquisto. Mi piace molto. «Mi dispiace che non possiamo rimanere di più, ma dobbiamo tornare a Seattle. Anastasia?» – Dobbiamo tornare. Io e LEI. Non sognare, amico, non la lascio qui! –

«Ciao, José. Ancora complimenti.» Lei lo saluta con un bacio sulla guancia.

Ho visto anche troppo: la trascino fuori.

Una volta in strada mi guardo velocemente intorno, poi prendo a sinistra e la spingo in un vicolo laterale, ho notato che lì non c’è nessuno. La sbatto contro il muro. Le afferro quel musetto che mi sta ossessionando da più di un mese e lo stringo tra le mani. Voglio che lei mi guardi. Che guardi me!

Sussulta.

– Devo ristabilire  il mio possesso. Devo penetrarla, devo entrarle dentro. Subito! –

Faccio la sola cosa che la legge mi consenta in questo luogo: le mangio la bocca.

Le mie labbra si avventano su di lei. –  Te lo mordo io, il labbro. TI MORDO IO! – Per un attimo i nostri denti si scontrano e finalmente la mia lingua è nella sua bocca e la lecco. Risponde al bacio, sento tutto il corpo che risponde e si infiamma.

–  Oh, Ana, conosco il tuo corpo troppo bene! – La sento esplodere e vibrare sotto di me.

Esplodo, esplodo anch’io. Sono già esploso. Il sangue non scorre nelle vene, no: si sta infrangendo nelle tempie come un mare in tempesta sugli scogli e poi risacca fino al bassoventre il un moto perpetuo.

Sento la collera, il desiderio e la smania di questi giorni  infrangersi qui, in questa tempesta perfetta.

Il mastino che ho scoperto abitare dentro di me sta strattonando la catena, è quasi libero e si avventa, sbava, ulula e guaisce.

Lei mi afferra per i capelli e li tira, mentre mi bacia. Nessuno lo ha mai fatto, nessuno mi ha mai toccato i capelli a parte Elena e il parrucchiere, e lo odiavo da morire.

– Invece tu... tu... tirami i capelli, fa’ quello che vuoi, fai quello che vuoi perché mi piace... – 

Ce l’ho così duro che ci potrei battere un fuoricampo!

Gemo, le gemo in gola. Ho proprio bisogno di un orgasmo per mettere a tacere questa belva che mi abbaia dentro. Dov’è il Padrone? Dov’è il Padrone del cane bastardo? So che c’è, è lì da qualche parte, appoggiato alla parete con le braccia conserte e si sta godendo la scena. Non vuole intervenire e lascia che la bestia prenda il sopravvento. Infatti mi struscio, annuso, lecco, tocco, strizzo e mi lascio andare all’istinto primordiale dell’accoppiamento, mentre quel raffinato Signore che è il Padrone del mio animale guarda divertito ancora un po’, per vedere fino a che punto arrivo.

Poi afferra il mastino per il collare ed interrompo il bacio. Ansimo. Anche lei è affannata, incollata al muro.

«Tu. Sei. Mia» ringhia il mastino e io scandisco ogni parola.

Mi stacco da lei, mi stacco dal muro. Ci riesco. Ce la faccio, ma mi si piegano le ginocchia come dopo dieci miglia di footing.  

«Per l’amor di Dio, Ana.»

«Mi dispiace» mormora. Sa di avermi scatenato.

«Sì, fai bene.» Non lo so neanche io che cosa sento, sono sfibrato. E geloso. Ora mi ricordo perché sono geloso: «So cosa stavi facendo. Vuoi il fotografo, Anastasia? È evidente che lui prova dei sentimenti per te.»

«No, è solo un amico.»

–  L’hai già detto, Ana! – «Ho passato tutta la mia vita di adulto cercando di evitare ogni emozione estrema.» Sto parlando con lei, ma mi rivolgo anche a me stesso, mi devo dare una spiegazione:   «Eppure tu… tu scateni in me sentimenti che mi sono completamente sconosciuti. È molto…» aggrotto la fronte, cercando di trovare la parola, «… sconcertante. Mi piace avere il controllo, Ana, e vicino a te questo… evapora.» La guardo e  faccio un gesto con le dita, mimando il mio controllo che va in fumo. Mi sono calmato. Mi passo le dita fra i capelli, devo riordinare le idee. Ok: il Padrone è tornato e il cane è di nuovo a cuccia, alla catena.  

 La prendo di nuovo per la mano. Non posso perdere il contatto. «Vieni, dobbiamo mangiare, e dobbiamo parlare.»


CAPITOLO 4


Mi do un’occhiata intorno per orientarmi, poi punto diretto verso la Southwest Third Avenue, lì dovrebbe esserci qualcosa che fa al caso mio.

Quasi me la trascino dietro, le ho afferrato il polso ma mi trattengo dallo stringere perché ho paura di sgretolarla.

Devo nutrirla. Immediatamente.

Devo prendermi cura di lei se lei non è in grado di farlo.

È una missione.

“Le Picotin”, leggo l’insegna sopra un localino intimo.

– Va bene, – penso.

«Questo posto andrà bene. Non abbiamo molto tempo» dico più che altro a me stesso, aprendo la porta.

– Ella Fitzgerald. Va bene anche la musica – registro mentalmente, mentre un cameriere ci conduce ad un tavolo appartato, in una specie di nicchia.

Non mi sfugge lo sguardo che il cameriere le lancia mentre la faccio accomodare. Ha sgranato gli occhi: è lo stesso sguardo che vedo nelle donne quando mi guardano.

Dovrei essere lusingato degli apprezzamenti degli altri uomini nei confronti della mia compagna, invece... So che per Elliot è così, sto scoprendo che io, al contrario, ne sono irritato, anzi peggio.

«Non abbiamo molto tempo,» comunico al cameriere mentre ci accomodiamo, «perciò prendiamo tutti e due una bistecca di manzo, media cottura, con salsa bernese, se l’avete, patatine fritte e verdure, di qualunque tipo. E mi porti la lista dei vini.» –  E vedi di andartene in fretta, –  ma questo lo tengo per me.

«Certo, signore» risponde e corre via.

«E se a me la bistecca non piacesse?»

«Non cominciare, Anastasia.» –  Ecco che cominciamo. –

«Non sono una bambina, Christian.»                                            

«Bene, allora smettila di comportarti come se lo fossi.»

«Sono una bambina perché non mi piace la bistecca?»

Si è offesa. A volte è proprio una bambina. Non le importa nulla della propria incolumità, della propria salute, del proprio benessere?

Poco fa,  col fotografo, si è comportata proprio come una bimbetta  e glielo dico: «Perché hai tentato deliberatamente di farmi ingelosire. È una cosa infantile. Non hai alcuna considerazione per i sentimenti del tuo amico, provocandolo in quel modo?»

Sarebbe più corretto chiedere se non ha nessuna considerazione per i miei, di sentimenti, ma non si sentirebbe in colpa per quello, dal momento che lo ha fatto apposta. È sicuramente più interessante metterla di fronte ad un suo comportamento sbagliato - uno dei pochi, in verità - e vederla mortificata. Infatti è arrossita.

Guardo la lista dei vini. «Vuoi scegliere il vino?» le chiedo sprezzante.  –  Visto che ci tieni tanto a scegliere da sola! – 

«Scegli tu» risponde imbronciata ed ingoia il rospo.

«Due bicchieri di Shiraz della Barossa Valley, per favore.»

«Ehm… quel vino lo serviamo solo in bottiglia, signore.»

«Una bottiglia, allora» ribatto, seccato, al cameriere.  – Ce la fai ad andartene o no? – 

«Signore.» Il cameriere si ritira, con aria sottomessa.

«Sei molto scontroso» mi dice lei.

«Mi domando perché.» Sollevo appena il sopracciglio.

«Be’, sarebbe il caso di assumere il tono giusto per un’intima e onesta discussione sul futuro, non sei d’accordo?» mi sorride con quella sua espressione dolce. La guardo torvo. Dentro mi sciolgo. – Futuro, ha detto futuro... – Dentro mi sciolgo.

«Mi dispiace» dico.

«Scuse accettate, e sono lieta di informarti che non ho deciso di diventare vegetariana dall’ultima volta che ci siamo visti.»

«Dato che quella è stata anche l’ultima volta in cui hai mangiato, credo che la questione sia opinabile.» – Disquisizioni e variazioni sul tema, Miss Steel. –

«Ancora quella parola, “opinabile”.» È divertita, piacciono anche a lei, le nostre scaramucce verbali.

«Opinabile» ripeto. Sorrido, è inevitabile. Poi  mi passo la mano tra i capelli, faccio un bel respiro e affronto il discorso: «Ana, l’ultima volta in cui ci siamo parlati, tu mi hai lasciato. Sono un po’ nervoso. Ti ho detto che ti rivoglio, e tu… non hai replicato.» – Ci siamo –  mi dico. Sono in trepidante attesa: dalla sua risposta dipende tanto... dipende tutto.

«Mi sei mancato… sul serio, Christian. Gli ultimi giorni sono stati… difficili.»  Deglutisce e posso leggere il dolore sul suo volto, ma non mi sta dicendo nulla che plachi ciò che sento, che sedi il dolore indescrivibile che ho provato in quest’ultima settimana, anzi, gira il coltello affilato nella mia anima nera lacerata. «Non è cambiato niente. Non posso essere quella che tu vuoi che io sia» e chiude il discorso.

«Tu sei quella che voglio che tu sia» ribatto immediatamente.

«No, Christian, non lo sono» replica troppo risoluta. Categorica.

– Eh no, no, no. NO! Piano, torniamo indietro. Non pensare che questa volta mollerò la presa, Ana. – Non mollo, ribatto e ammetto: «Sei turbata per via di quello che è successo l’ultima volta. Mi sono comportato da stupido e tu…» mi prendo un attimo per ordinare i pensieri... – Da stupido? Mi sono comportato come sempre. È stato stupido permetterti di andare, pensando di fare la cosa giusta. È stato stupido pensare che avrei potuto rimettere indietro l’orologio e fare come se tu non fossi mai ruzzolata nella mia vita. Aspetta un attimo, piccola, guarda come ti sistemo...– «...anche tu. Perché non hai pronunciato la safeword, Anastasia?» Le pianto addosso il mio sguardo da dominatore. «Rispondimi» la incalzo. – Dai, rispondimi, bella. Guarda come ti rigiro la frittata. Se insisto un po’, mi chiedi perdono in ginocchio. –

«Non lo so. Ero sopraffatta. Stavo cercando di essere quella che tu volevi che io fossi, cercavo di gestire il dolore, e la cosa mi è sfuggita di mente. Capisci… me ne sono dimenticata» mi sussurra confusa, timida. Pentita. Si vergogna e si stringe nelle spalle con aria di scuse.

«Te ne sei dimenticata!» esclamo con orrore e afferro l’estremità del tavolo. Lei diventa piccola piccola.

La guardo allucinato... e insisto, non mollo, azzanno.

È un colpo da maestro, il mio: – Bimba, io sono un dominatore, il lupo perde il pelo... Io sapevo perfettamente che non avresti usato la safeword! –  

“Fammi vedere, fammi vedere fino a che punto può far male”, mi ha detto e io ho pensato: –  Sei. –  Sei è il numero perfetto, il numero limite: sono poche, ma, al massimo della potenza, al massimo delle mie capacità, sei sono tutto!

–  E io sapevo che tu non mi avresti fermato, perché a te, sei, sembravano poche e tu dovevi vedere fino a che punto... dovevi vedere tutte quante le mie sfumature di tenebra. Lo so io. Lo sai tu. O, almeno, lo sapevi sabato scorso, adesso no, perché, in questo preciso momento, io sto minando le tue certezze, ti sto dominando. – È una partita a scacchi, la mia, che devo assolutamente vincere.

«Come posso fidarmi di te?» dico a bassa voce. –Piccola, guarda il maestro all’opera: – «Come potrò mai fidarmi?» – Oh, Ana, io ti sottometto! Io, prima o poi, ti sottometto... D’accordo, non sarai mai la mia “sottomessa” nel senso stretto del termine: lo so io, lo sappiamo entrambi, ma, in un modo o nell’altro, io ti sottometto. –  

Non è per umiliarla, ma devo trovare un modo se voglio mantenere il mio equilibrio, per la sua sicurezza e il nostro benessere, perché mi pare proprio che, lontani, benessere sia una parola senza alcun significato.

Lei non distoglie lo sguardo. Io nemmeno: sono un dominatore! Restiamo seduti a fissarci, occhi grigi negli occhi azzurri. Enormi occhi azzurri.

Il cameriere arriva con il vino, stappa la bottiglia con un gesto plateale e versa un po’ di vino nel mio bicchiere.

Automaticamente lo afferro e ne bevo un sorso. «Va benissimo» dico, il mio tono è brusco. Non ho distolto il mio sguardo da lei nemmeno per un battito di ciglia.

Il cameriere ci riempie i bicchieri cautamente e poi posa la bottiglia sul tavolo, prima di battere in ritirata.

–  Se credi che io abbassi lo sguardo, stiamo qui fino a domani. Ecco, brava, Ana, abbassa gli occhi! –  

Ana prende il bicchiere e trangugia un abbondante sorso di vino. «Mi dispiace» sussurra.

«Ti dispiace per cosa?» Fingo di essere stupito: –  Sono proprio bravo! Ho di nuovo il pallino in mano. – 

«Per non aver usato la safeword.»

Chiudo gli occhi. «Avremmo potuto risparmiarci tutta questa sofferenza» mormoro. – Era troppo presto, ho sbagliato. Volevo portarti nel mio mondo, ma era troppo presto. –

Mi chiedo se avremmo potuto risparmiarci davvero tutta questa sofferenza: credo di no. Credo proprio di no.

«Tu hai un bell’aspetto» mi dice, ammirata.

«Le apparenze possono ingannare. Sto tutt’altro che bene. Mi sento come se il sole fosse tramontato e non sorgesse più da cinque giorni, Ana. Vivo in una notte perpetua.» Sono terribilmente

sincero ora, anzi, vuoto il sacco: «Hai detto che non te ne saresti mai andata, poi le cose sono peggiorate e tu eri fuori dalla porta.»

«Quando ho detto che non me ne sarei mai andata?» mi domanda pronta. È stupita.

«Mentre dormivi. È stata la cosa più confortante che abbia mai sentito da lungo tempo. Mi ha fatto sentire rilassato.»

Lei prende un altro sorso di vino.

«Hai detto che mi ami» sussurro. «Ora è una frase al passato?» La mia voce è bassa, carica di aspettativa.  Sono nudo, ora sono nudo.

– È qui che la volevo portare – dico a me stesso. –  E ora rispondi, per favore. –

«No, Christian, non lo è.»

Sospiro.  –  Dio, ti ringrazio – dico al Cielo.  «Bene» mormoro a lei.

Arriva la cena e si spezza questo momento troppo intenso. Per fortuna. «Mangia» le ordino. «Per l’amor di Dio, Anastasia, se non mangi ti metterò sulle mie ginocchia, qui al ristorante, e la cosa non avrà

niente a che vedere con il mio piacere sessuale. Mangia!»

– Mi farai andare fuori di testa, Ana. Sei in grado di farmi incazzare come nessuno al mondo! – Sospiro. – Calmati, Grey!  –

«Okay, mangerò. Tieni a freno le mani che prudono, per favore.»

Questa volta non rido, nemmeno la sua lingua biforcuta riesce a sciogliere il nodo che sento in gola vedendola così. Non posso vederla soffrire, non posso: è diventato un mio limite assoluto.

– Devo avere il controllo, su di te, Anastasia, perché non posso tollerare che tu abbia così poca considerazione di te stessa, non posso tollerare che tu stia male. –

In questo momento non sono un cazzo di dominatore, no, sono solo un uomo preoccupato.

Non sorrido, la fisso: sono io che l’ho ridotta così, l’ho sfibrata, l’ho svuotata al punto che non riesce neanche a mangiare. La guardo e vedo riflesso in lei il dolore che ho provato da quando mi ha abbandonato, un dolore così forte che mi ha tolto la voce per quattro lunghi giorni, come se mi avessero piantato la lama affilata di un coltello alla base della gola. Quattro giorni nel silenzio. Non avevo più parole, le parole non servivano più.

Guardo lei, penso a Leila, non voglio ridurla come lei, come le altre. NON VOGLIO consumarla, NON VOGLIO sporcarla, macchiarla, svuotarla, NON VOGLIO fare di lei una sottomessa: potrei, se insistessi ce la farei, ma questo splendore di ragazza non accetterebbe per convinzione, accetterebbe per amore. Sporcherei anche quello... ed è mio. Il suo amore è MIO. E’ tutto per me, per me che proprio non ne sono degno... Sì, è  un mio limite assoluto.

La osservo mentre, riluttante, prende coltello e forchetta e taglia un pezzo di bistecca. Lei mangia, io mi rilasso.

Ceniamo in silenzio.

Penso che non sarò mai più la stessa persona dacché  lei è entrata nella mia vita.

La guardo. Mangio e la osservo. Fame, desiderio e ansia in un unico sguardo ardente.

«Sai chi canta?» mi chiede, per rompere il silenzio.

«No… ma è brava, chiunque sia» rispondo.

«Anche a me piace.»

–  Abbiamo gli stessi gusti, in tante cose. Eh sì, troverò il modo, infondo... sono Christian Grey. Saprò far funzionare le cose, piccola. Abbi un po’ di fiducia in me: ti stupirai di quello che sono disposto a fare per noi, anzi, ho già in mente qualcosa  per te, per rimetterti al tuo posto –  e le sorrido malizioso.

«Cosa c’è?» mi chiede.

–  Niente. – Scuoto la testa. «Mangia» la esorto.

«Non ce la faccio più. Ho mangiato abbastanza, Signore?»

– Signore? Non mi provocare, Ana. – La fisso impassibile, senza rispondere, poi guardo l’orologio. – E’ tardi, dobbiamo andare, dobbiamo parlare. Qualcosa ha mangiato: per questa notte sopravvivrà.–

«Sono davvero sazia» e sorseggia un po’ di vino.

«Tra poco dobbiamo partire»  le dico. «Taylor è qui. Domani devi svegliarti presto per andare al lavoro.»

«Anche tu.»

«Io ho bisogno di molto meno sonno di te, Anastasia. Perlomeno hai mangiato qualcosa.»

«Non torniamo con Charlie Tango?»

«No, ho pensato che avremmo bevuto un po’. Ci riporterà Taylor. Inoltre, in questo modo ti avrò tutta per me in macchina per qualche ora. Cos’altro possiamo fare se non parlare?»

Mi guarda stupita.

Chiedo il conto. Chiamo Taylor: «Siamo al “Le Picotin”, Southwest Third Avenue.»

«Sei molto brusco con Taylor. In realtà lo sei con molte persone» mi fa notare con un certo disappunto.

«Arrivo al dunque velocemente, Anastasia.»

«Stasera non sei arrivato al dunque. Non è cambiato niente, Christian.»

«Ho una proposta da farti.»

«Tutto questo è cominciato con una proposta.»

«Una proposta diversa.»

Consegno la carta al cameriere che fa la passare nel lettore. Il BlackBerry squilla, è Jason.

«Vieni. Taylor è qui fuori.» Ci alziamo e la prendo per mano. – Non ti lascio più. – «Non voglio perderti, Anastasia.» Le bacio le nocche per sugellare con le mie labbra la veridicità delle mie parole. È un’emozione sentire sulla bocca il contatto della sua pelle profumata e la sento vibrare. È meglio salire in auto...

 

Taylor si immerge nel traffico, puntando verso la I-5 e Seattle.

Mi sposto sul sedile per parlarle. «Come stavo dicendo, Anastasia, ho una proposta da farti.»

Lei guarda Taylor nervosa.

«Taylor non può sentirti» la rassicuro e le dimostro che Jason ascolta la musica con le cuffie e guida: è come se non ci fosse.

«Okay. La tua proposta?» mi chiede, è impaziente.

In questo momento sono Christian Grey, CEO della GEH e sto negoziando.

«Prima desidero chiederti una cosa. Vuoi una regolare relazione vaniglia senza alcun tipo di sesso estremo?»

L’ho lasciata a bocca aperta. «Sesso estremo?» quasi rantola.

«Sesso estremo» ripeto. Insisto.

«Non posso credere che tu l’abbia detto.» Lancia un’occhiata nervosa a Taylor.

«Be’, l’ho fatto. Rispondimi» dico calmo. – Non guardare Taylor, piccola, guarda me. –

«Mi piace il tuo sesso estremo» sussurra.

«È quello che pensavo.» – Bene! Partiamo proprio bene, ho un certo margine di movimento. – «Perciò che cosa non ti piace?» – Qui devi essere molto chiara, piccola. Anche se so che cosa non ti piace: il morso della cinghia, il dolore e il fatto di non potermi toccare. –  

«La minaccia di punizioni crudeli e insolite» dice invece lei.

«Che cosa significa?»

«Be’, tutte quelle verghe, quelle fruste e quella roba che hai nella stanza dei giochi… mi spaventano a morte. Non voglio che le usi su di me.»

«Okay, niente fruste né verghe… né cinture, per quel che importa» – Solo questo? Sono lì in esposizione per creare l’atmosfera, ti assicuro che basta una cintura dei calzoni, la bacchetta di una tenda o qualsiasi altra cosa passi per le mani in quel momento per avere effetti anche più devastanti. È solo suggestione. –

Lei mi guarda stupita. «Stai tentando di ridefinire i limiti assoluti?»

«Non in quanto tali. Sto solo cercando di capirti, di avere un quadro più chiaro di ciò che ti piace e di ciò che non ti piace.»

«Fondamentalmente, Christian, è la tua gioia nell’infliggermi dolore che mi risulta difficile da gestire. E l’idea che tu me lo infliggerai perché ho oltrepassato un limite arbitrario.»

«Ma non è arbitrario. Le regole sono scritte.» –  Non c’è niente d’arbitrario, sono i paletti che mi permettono il dominio, la gestione su di te. Per non impazzire. E poi... dolore... insomma, è meglio dire gioia nell’infliggerti UN PO’ di dolore, perché farti male sul serio, dentro e fuori, è diventato un mio limite assoluto. Da sabato mattina. Ma questo non te lo dico. –

«Io non voglio una serie di regole.» –  E ti pareva! –

«Non ne vuoi affatto?»

«Niente regole.» Scuote la testa.

–  Senza regole sarà un tormento! –  Sono preoccupato.

Ridefiniamo bene la questione: «Ma non ti dà fastidio se ti sculaccio?»

«Se mi sculacci con cosa?»

«Questa.» Le mostro la mano.

Si agita, a disagio. «No. Non veramente. Soprattutto con quelle sfere d’argento…»

Ridacchio. «Sì, è stato divertente.» Ammetto.

«Più che divertente» mormora. In questo momento so che più rossa di un pomodoro, anche se non posso vederla, la conosco troppo bene.

«Quindi riesci a sopportare un po’ di dolore» le chiedo, sono speranzoso.

«Suppongo di sì.»

– Risposta confortante, piccola. E ora ascolta bene: – «Anastasia, voglio ricominciare tutto daccapo. Limitarci al sesso vaniglia e poi forse, quando tu ti fiderai di più di me e io confiderò che tu sia sincera e comunichi con me, potremo andare oltre e fare alcune delle cose che mi piacciono.»

La guardo ansioso, lei è stupita, lo so, lo vedo anche al buio. –  Gradirei una risposta, Miss Steele... Senti, guarda... mi va bene tutto, anche il sesso vaniglia, a palate, basta che dici di sì... allora? – 

«Ma le punizioni?»

«Nessuna punizione.» Scuoto la testa. «Nessuna.» – Ti sei proprio rincoglionito, Grey. Proprio rincoglionito... –

«E le regole?»

«Nessuna regola.» – Nessuna regola? Credo proprio che il mio Dominatore di fiducia sia stato legato ad una croce di Sant’Andrea con una ball gag in bocca, perché è stato proprio messo a tacere. –   

«Nessuna? Ma tu hai dei bisogni.»

«Ho più bisogno di te, Anastasia. Questi ultimi giorni sono stati un inferno. Il mio istinto mi diceva di lasciarti andare, mi diceva che non ti meritavo. Quelle foto che il ragazzo ti ha fatto… Riesco a capire come lui ti vede. Sembri serena e bellissima. Non che tu non sia bellissima ora, ma sei seduta qui e io vedo la tua pena. Ed è dura, sapendo che sono io quello che ti fa sentire così. » Sono un torrente in piena, tutto quello che ho provato a tavola, tutto quello che ho sentito da che l’ho rivista, tutto, tutto quello che ho provato da che mi ha lasciato, sta erompendo come l’acqua all’estuario di un fiume. «Sono un uomo egoista. Ti ho desiderata fin da quando sei capitata nel mio ufficio. Sei raffinata, onesta, entusiasta, forte, arguta, incantevolmente innocente. L’elenco è infinito. Provo un timore reverenziale di fronte a te. Ti voglio, e il pensiero che un altro possa averti è come un coltello che lacera la mia anima oscura.» – Ecco, mi sono fermato: ho detto tutto. – Sembra una dichiarazione d’amore, constato.

«Christian, perché pensi di avere un’anima oscura? Io non lo direi mai. Triste forse… Sei generoso, sei gentile, e non mi hai mai mentito.» – Mentito, proprio mentito, no: diciamo che ho dissimulato un po’ la verità in talune occasioni, ma ogni cosa è lecita in... –  «Io non mi sono impegnata molto» prosegue lei. «Sabato scorso è stato uno shock per me. È stato una specie di risveglio. Ho capito che ci eri andato leggero con me e che non potevo essere la persona che volevi che io fossi. Poi, quando ti ho lasciato, mi sono resa conto che il dolore fisico che mi infliggevi non era niente in confronto a

quello che provavo avendoti perso. Io voglio compiacerti, ma è difficile.»

«Tu mi compiaci tutto il tempo» sussurro. «Quante volte te lo devo dire?» – Davvero non so più come spiegarti quanto io sia compiaciuto da te. –

«Non ho mai saputo quello che pensi. Qualche volta sei così chiuso… come un’isola.» – La definirei più una bolla. – «Mi intimidisci. È per questo che rimango zitta. Non so quale direzione prenderà il tuo umore. Passa da un estremo all’altro in un istante.» –  Io?!! Non sarà, forse, perché tu riesci a farmi incazzare in un modo che mai avrei ritenuto possibile? –  «Mi confonde. E non mi permetti di toccarti, mentre io desidero così tanto mostrarti quanto ti amo.»

– Quanto ti amo: ha detto proprio così. –  Sbatto le palpebre. Non è possibile. –  Me?!? Ah, ma ha detto anche “toccare”... –  

Si slaccia la cintura di sicurezza e si siede sulle mie ginocchia. Mi prende il volto tra le mani. Mi sta toccando! ... il viso... e... poi...

«Io ti amo, Christian Grey...»  dice convinta.

Ana sta ancora parlando, colgo qualcosa del suo discorso: “non ti merito”, “mi dispiace”, “col tempo”...  Ma l’unica cosa che sento, come un’eco infinita, il suono delle sue labbra che soffiano “Io ti amo, Christian Grey, io ti amo, io ti amo, io ti amo, io ti amo, Christian Grey...”  e poi afferro ancora: «… ma sì, accetto la tua proposta. Dove devo firmare?»

La abbraccio,  me la stringo al petto.  –  Finalmente, finalmente. –

Affondo il naso nei suoi capelli, sospiro, m’inebrio.

 

Stiamo seduti abbracciati ad ascoltare la musica, la calma dopo la tempesta.

Si rannicchia tra le mie braccia, appoggiando la testa nell’incavo del mio collo. Mi sento appagato, perché lei si sente protetta, quando invece pensavo che avrebbe avuto paura di me. Non voglio spaventarla così mai più.  

Amo questo contatto, mi piace se mi accarezza il viso, se mi tocca i capelli. I suo abbraccio mi rasserena. Vorrei poter... Le accarezzo la schiena: io ho bisogno di toccarla.

Io.  

Devo almeno spiegarle...

«Il toccare è un limite assoluto per me, Anastasia.»

«Lo so. Vorrei capire perché.»

Ne ho parlato solo a Flynn, due anni fa, con nessun altro. Chi doveva sapere, già sapeva. Sospiro: «Ho avuto un’infanzia terribile. Uno dei protettori della puttana drogata…» M’irrigidisco, è tormentoso parlarne, ma ne ho bisogno. Voglio che lei sappia questo di me. «Ricordo tutto» rabbrividisco.

Mi abbraccia, forte. È confortante. E piacevole. È benessere, nessun fastidio. Mi si scalda qualcosa proprio al centro del petto.

«E lei era violenta? Tua madre?» So che questa merda è qualcosa di molto lontano da lei, così pura, così dolce, così generosa.  Non fa parte dei suoi  vissuti, deve essere stata una bimba molto amata.

«Non che io ricordi. Era indifferente. Non mi proteggeva dal suo magnaccia.» Sospiro. «Penso di essere stato io a prendermi cura di lei. Quando alla fine si è ammazzata, sono passati quattro giorni prima che qualcuno desse l’allarme e ci trovasse… Me lo ricordo.»

Sussulta in braccio a me. «È veramente un gran casino» sospira.

«In cinquanta sfumature» aggiungo io. Mi deposita un bacio lieve sul collo. Resta lì, immobile.

Sento il suo respiro rallentare, si è addormentata... è così confortante... resto immobile, lascio che riposi su di me, abbandonata... è così confortante...

 

«Ciao» le dico quando sento dai suoi movimenti che è sveglia. Siamo arrivati a Seattle.

«Scusa» mormora, si tira su e si stiracchia.

«Potrei guardarti dormire per sempre, Ana.» Potrei tenerti qui per sempre.

«Ho detto qualcosa?»

«No.» Mi viene da ridere. – Hai paura di rivelare qualche scottante segreto? Credo di essere io l’unico segreto scottante della tua vita, Ana.–  «Siamo quasi arrivati al tuo appartamento» le comunico.

«Non andiamo da te?» mi chiede, delusa.

«No.»

Si tira su a sedere e mi guarda. «Perché no?»

«Perché domani devi lavorare.»

«Ah.» Fa il broncio.

«Perché, hai in mente qualcosa?» – Dimmelo, piccola, dimmelo. –

«Be’, forse.»

Ridacchio. – Ho creato un mostro. –  «Anastasia, non ti toccherò di nuovo, non finché non mi supplicherai di farlo.» – L’ho detto che avevo qualcosa in serbo per te, Ana. Mi riprendo il controllo. Sarò io a decidere dove, come, quando. E tu mi implorerai. – 

Ma non stasera.

Devo creare delle aspettative, deve desiderarmi per implorarmi, solo così posso avere il controllo.

– Anche su di me, perché stasera, come sto stasera, mi lascerei andare: ho troppo bisogno di annegare nell’oceano di seta della tua pelle. –  E devo riprendere il controllo della mia vita e della sua. – E tu mi implorerai. – 

«Cosa?»

«Così inizierai a comunicare con me. La prossima volta che faremo l’amore mi dirai esattamente quello che vuoi, nei dettagli.»

«Oh…» La faccio spostare, siamo arrivati. Purtroppo.

Scendo e faccio scendere lei.

«Ho qualcosa per te.» Prendo il pacco che ho preparato per lei dal portabagagli.  «Aprila quando sarai dentro.»

«Tu non vieni?»

–  Ci provi, piccola? – «No, Anastasia.» –  È più difficile per me che per te, puoi crederci. –

«Allora quando ti rivedrò?»

«Domani.» – Oltre proprio non posso. –

«Il mio capo vuole che esca a bere qualcosa con lui domani.»

«Ah, sì?» Tutto, in me, si tende. Sono una belva pronta ad azzannare.

– Quell’uomo è uno sciacallo che ha individuato la sua preda. So riconoscere un animale quando ne vedo uno. Stai attenta, per favore, sei un boccone troppo gustoso, profumi di buono, sei irresistibile per certi demoni, e fidati, lo so per esperienza. –

«Per festeggiare la mia prima settimana» mi spiega.

«Dove?»

«Non lo so.»

«Potrei venire a prenderti.» Domani sarò lì, anche dovessi venire in capo al mondo.

«Okay… Ti scriverò una mail o un messaggio.»

«Bene.»

L’accompagno al  portone. Aspetto che trovi le chiavi nella borsa.

Mentre apre la porta, mi avvicino e le prendo il mento, poso le mie labbra sulle sue, solo un attimo, non posso baciarla davvero, non resisterei, me la caricherei in spalla e inaugurerei il suo letto nuovo...  – No, non stasera. – Così le copro il viso di baci dall’angolo dell’occhio a quello della bocca. Lei geme.

«A domani» sussurro.

«Buonanotte, Christian» piagnucola.

Sorrido. «Entra» le ordino. «A più tardi, piccola» le dico, enigmatico, e la lascio. Per questa sera.

 

A casa mi precipito nello studio e accendo il computer e il mio iPad nuovo, uguale a quello di Anastasia.

Anche i contenuti sono identici, stesse app, stessa musica, stesso screensaver. Le piacerà, lo adorerà.

 

Anastasia, questo è per te.

So quello che vuoi sentirti dire.

La musica qui dentro lo dice per me.

Christian

 

Questo le ho scritto nel biglietto che accompagna il mio regalo. 

Faccio scorrere le app e individuo la playlist. Do un’occhiata ai brani, scelgo una canzone, non è che mi piaccia così tanto, ma mi ronza in testa da due giorni... Abbi un po’ di fiducia in me, Ana. Solo un po’ di fiducia...

– Have a little faith in me – canticchio mentalmente le note un po’ strozzate di Bon Jovi. Preferisco questa versione all’originale.

 https://www.youtube.com/watch?v=nDs2DDxrCOU

Volevo metterti anche un’altra cover di Bon Jovi, Mrs. Robinson, ma non so se avresti apprezzato l’ironia. 

Nell’attesa, perché so che mi scriverai non appena sarai riuscita ad accendere la macchina infernale, accedo ad internet e controllo il sito del Portland Printz. Sì, c’è già la nostra foto.

Scarico l’articolo. Lo leggo in fretta, c’è anche la foto alla laurea. Si sono informati bene e in fretta.

“Anastasia Steele... misteriosa accompagnatrice del giovane magnate... ragazza della porta accanto...” e tutta una serie di stupide banalità che non avevano mai scritto su di me. Ne sono divertito.

– Le sole foto che ho di te sono insieme a me... beh, ho appena acquistato sette gigantografie. Sono proprio belle: la modella è proprio bella... –

“Bip.”

Ecco la mail. Sorrido.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 9 giugno 2011 23.56

 

Oggetto: iPad

 

Mi hai fatto piangere di nuovo.

Amo l’iPad.

Amo le canzoni.

Amo l’app della British Library.

Amo te.

Grazie.

Buonanotte

 

Ana XX

_____________________________________

 

 

“Amo te”... Andiamo meglio. Tutta un’altra musica rispetto alle mail di ieri. Rileggo un decina di volte, la so già a memoria. “Amo te”...  Medito, poi rispondo.

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 00.03

 

Oggetto: iPad

 

Sono contento che ti sia piaciuto.

Ne ho comprato uno anche per me.

Ora, se fossi lì, asciugherei le tue

lacrime con i miei baci.

Ma non ci sono… perciò va’ a dormire.

Christian Grey

_________________________________________

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

                                             

– “Va’ a dormire”: controllo, piccola. Il controllo anche a distanza. –

“Bip” 

– E ti pareva! –

Leggo, rileggo.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 00.07

 

Oggetto: Mr. Scontroso

 

Come al solito, sembri autoritario

e forse difficile, forse scontroso,

Mr. Grey.

Io conosco qualcosa

che potrebbe addolcirti.

Ma non sei qui, e non

mi lasceresti fare, e ti aspetti

che ti supplichi…

Sogna pure, signore.

Ana XX

 

PS: Ho notato anche che hai incluso l’inno

dello stalker, Every Breath You Take.

Mi diverte il tuo senso dell’umorismo,

ma il dottor Flynn lo sa?

__________________________________________

 

– Che meraviglia! Si ricomincia... quanto mi sei mancata, Miss Steele! –

Leggo, rileggo e rispondo.

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 00.10

 

Oggetto: Calma zen

 

Mia carissima Miss Steele,

le sculacciate sono ammesse

anche nelle relazioni vaniglia, lo sai.

Di solito consensualmente e

in un contesto erotico… ma sono più

che felice di fare un’eccezione.

Sarai sollevata di sapere che anche

al dottor Flynn piace il mio

senso dell’umorismo.

E adesso, per favore, va’ a dormire

o domani mattina non ti alzerai.

A proposito… mi supplicherai, fidati.

E io non vedo l’ora.

 

Christian Grey

____________________________________________

 

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

– Figurarsi se non vuole avere l’ultima parola –  penso quando sento l’ennesimo “bip”. Veramente lo stavo aspettando.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 00.12

 

Oggetto: Buonanotte e sogni d’oro

 

Be’, visto che me lo chiedi gentilmente

e mi piacciono le tue deliziose minacce,

mi accoccolerò con l’iPad che mi hai regalato e

mi addormenterò navigando

nella British Library, ascoltando la

musica che lo dice per te.

A XXX

________________________________________________

 

 

Sorrido, felice. –  Non avrai l’ultima parola, Miss Steele! –

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 00.15

 

Oggetto: Un’ultima richiesta

 

Sognami.

X

 

Christian Grey

______________________________________

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Aspetto ancora qualche minuto casomai le venisse in mente di ribattere, intanto ascolto due brani di Jeff Buckley.  –  Non ti lascerò l’ultima battuta, piccola. –

Attendo che Jeff Buckley finisca di cantare il suo Hallelujah, spengo tutto e vado a dormire, sperando che il pensiero di lei basti  a scacciare i miei demoni notturni. Infondo devo aspettare solo fino a domani.

 

Sono al buio. Non vedo nulla.

Sono sdraiato su questo letto...

Sta arrivando... so che sta arrivando... non posso muovermi...

Sono bloccato... incatenato. Provo a strattonare un braccio, l’altro. Niente. Niente! Anche le gambe, aperte, legate. Immobili. Sollevo il bacino, lo riabbasso: è tutto quello che riesco a fare. Forse sono riuscito a sollevare un po’ il bacino.

Giro la testa sul cuscino, non ho il cuscino. Giro la testa ma qualcosa mi ostacola, in bocca. Qualcosa mi ottura la bocca.

Ball gag!  

Di nuovo! No, la ball gag, no!

– Respira, Grey, respira –  mi dico, in un momento di lucidità. Regolo il respiro ma continuo ad ansimare.

–  Adesso lui arriva. Non sono più un bambino, ma così, bloccato in questo modo, sono più inerme di quando avevo quattro anni. Sono più inerme di “lei”. Userà la cinghia, userà quella dannata cinghia di cuoio lurido, unto dalle sue mani che la impugnano troppo spesso. –

Non posso gridare, così! Non posso urlare e sbavo. Sbavo, scrollo il capo  e sbavo.

Escono dalla mia bocca suoni inarticolati.

Sono nudo. Nudo come un verme sopra le lenzuola. Dov’è finito il mio pigiama? Sono sicuro di aver indossato il pigiama... Invece sono nudo.

– Dove sono? Dove cazzo sono i miei soliti incubi?!!?? Perché non mi sveglio?–  

Aspetto, cerco di dominare la paura e aspetto.

Ecco: il controllo. Solo per un attimo ho perso il controllo.

Sta arrivando, la mia Padrona sta arrivando.

Si sarà accorta che ho perso il controllo e mi punirà per questo.

Lo so. Lo accetto. Sono rilassato. Sento che è qui, la mia Padrona, Elena.

Non è Elena.

Ma Elena lo sa, lo sa e non mi cederà più ad un’altra Dominatrice. Sa come reagirei e sa che non basterebbe una safeword a fermarmi. Lo sa dal giorno in cui l’Altra non ha rispettato i miei limiti. Ed Elena si è sottomessa a me. Non è più la mia padrona, da troppo tempo.

Non è Elena.

Riconosco il profumo.

Annuso. Annuso l’aria. Profumo di vaniglia. E viole.

È la mia Padrona.

Ora so quale sarà la mia punizione. La punizione per non aver saputo imporre il controllo.

Sudo. Sto sudando copiosamente, perché so quale sarà la punizione: la cosa che più mi spaventa, l’unica cosa che mi spaventa.

No, ora ho anche un'altra paura. Grande. Devo chiedere a Flynn. Devo analizzarla con Flynn.

Il pugno nero posizionato al centro del mio petto batte così furiosamente che posso sentirlo riverberare dentro le mie orecchie.

Lei è qui. Accanto a me.

Sento il suo alito profumato che rinfresca la mia fronte sudata. Mi sta soffiando sul viso, riconoscerei il suo respiro fra tutti gli altri respiri.

Trattengo il fiato, sento un languore feroce che mi serpeggia nelle viscere. Desiderio. Desiderio e paura. Qualcosa che non avevo più provato da molto tempo.

So quale potente afrodisiaco sia la paura: è in grado di creare tali aspettative che, combinate al dolore, liberano corpo e spirito da inibizioni, consentendo di toccare vette di piacere altrimenti irraggiungibili.

E questo è Piacere: la sua bocca umida che risucchia il mio labbro è Piacere.

La ball gag? Dov’è finita, la ball gag? Me la sarò sognata. Non che ne senta la mancanza...

– Ah, sìiiiiì, leccami le labbra, piccola. Leccamele, ancora e ancora. Mordimi, così, dolcemente... succhiami... –

Il sangue ora pompa velocemente alle tempie, martellando nelle orecchie. Sento la mia erezione stagliarsi sempre più prepotente verso l’alto.

Il mio membro ha bisogno di cure.

Cure amorevoli che la sua lingua sta ancora dedicando alla mia bocca, regalandomi un bacio languido. Se riuscissi a muovermi userei la mano per dirigere l’attenzione della sua bocca al mio membro in attesa, ma non riesco neppure a parlare... Devo accontentarmi di godere del suo bacio, dei baci sulle palpebre, sul naso, sul mento... sul collo... oh no, no. No: sta scendendo.

– Non mi toccare lì, non mi toccare! –

Si è staccata da me, come se fosse riuscita a sentire la mia muta implorazione. –  Oh, no. No. Non te ne andare. Continua, ti prego continua... Ah sì, così... ancora. – Adesso sento nitidamente le sue dita che mi sfiorano l’interno delle cosce, precedendo solo di poco la sua bocca adorata che segue lo stesso percorso. Ogni tocco è una scossa elettrica, le sue unghie mi graffiano l’inguine e io gemo, gorgoglio... rantolo. Godo. Godo perché so che tra poco affonderò nella sua bocca.

Mugolo. Sento i suoi baci sul mio ventre e mugolo. Sbuffo e scrollo il capo da una parte all’altra.

–  È questo il sesso vanilla? Beh, continua pure! Così... Oh sì, proprio così...–

Ora sento nitidamente la sua lingua girare intorno alla mia punta. Sta eseguendo un’umida danza al suono dei battiti tribali di un tamburo.  

– Ahhh!!! – Finalmente riesco a far uscire un gemito. Finalmente sono riuscito ad affondare nella sua bocca. Il mio membro affonda e riemerge, affonda e riemerge, avvolto e coccolato dalla sua lingua. Sto per affogare nella sua bocca. Lo sento.

– Godo, sto godendo... –  devo dirglielo che sto godendo. –  Chissà se l’hai capito che sto godendo? – Se non l’ha capito, lo capirà fra qualche istante perché... –  sto veneeendo... –

– No, no no... non ti staccare! Non te ne andare, che cosa fai? Che cosa fai!!?! Che cosa stai facendo? – La sua bocca mi abbandona, le sue mani mi sfiorano e mi accarezzano i fianchi, più su, più su verso il mio petto. Mi tocca, mi tocca! Mi sta toccando!

–  Rosso! Rosso! Rosso! – Sbuffo, sbatto, tremo... e godo, sto ancora spasimando per l’orgasmo, ma vado in fiamme. –  Fuoco, fuoco... È come il fuoco! Brucio, brucio! Basta: rosso! Rosso! Ho detto ROSSO! –  Sbatto la testa, non posso muovermi, così legato, allora sbatto la testa e tremo, per l’orgasmo e la rabbia.

Una rabbia folle si è impossessata di me ma, incatenato, non riesco a muovermi, non riesco ad opporre resistenza, perché non è ancora finita, no: lei, in ginocchio in mezzo alle mie gambe appoggia le sue mani sul mio petto, è metallo fuso incandescente che dilaga sotto la pelle, incendiandomi, e io sibilo tra i denti serrati e sbuffo, e rantolo, emetto un fischio strozzato come una scimmia impazzita su un ramo... posso sentirmi... lei persevera... accosta le labbra... mi guarda negli occhi ancora un attimo, su di me, ... e... mi stampa un bacio sullo sterno, un bacio di fuoco proprio sopra al cuore...

 

Ora sono sveglio, seduto al centro del letto. La t-shirt è bagnata e sono umidi anche i pantaloni del pigiama, come quando ero un fottuto adolescente.

Mi prendo la testa tra le mani, inspiro, espiro. Provo a ragionare. Provo ad analizzare... la premonizione, perché so, e lo so con certezza, LEI MI TOCCHERA’.


CAPITOLO 5


Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 08.05

 

Oggetto: Perciò aiutami…

 

Spero che tu abbia fatto colazione.

Mi sei mancata stanotte.

 

Christian Grey

 

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

_________________________________________

 

“Mi sei mancata”...

Quando c’è lei non sogno, è un fatto ormai appurato. Di sicuro, se fosse stata nel mio letto, non l’avrei sognata. Mi sarei evitato questo nuovo incubo. Feroce.

  – Devo parlarne con John: che fantastico argomento di conversazione sarà –  rido fra me al pensiero. – Non mi propinerà la solita lezioncina sui sogni come fanno tutti gli altri... –

  Se lo avesse fatto avrei preso la porta e me ne sarei andato la prima ora del primo appuntamento. No, Flynn è diverso: userà l’ironia, quel suo misto di umorismo inglese e distacco da medico d’assalto. E mi massacrerà.

  Lui mi è piaciuto subito e mi sono aperto, con lui, per la prima volta. So che non mi giudica, ma al tempo stesso non c’è, in lui, quell’indifferenza forzata da psicoterapeuta che mi ha sempre e solo fatto venir voglia di prenderli per il culo. Tutti quanti. Anche da bambino.

  Dio, quanti ne ho visti!

  Mamma e papà li hanno provati tutti. Era persino divertente inventare nuove fandonie da propinare a tutti quei palloni gonfiati. Sì, mi divertivo... era molto stimolante.

“Bip”.   

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011  08.33

 

Oggetto: Vecchi libri…

 

Mentre ti scrivo,

sto mangiando una banana.

Non ho fatto colazione

per diversi giorni,

perciò è un passo avanti.

Adoro l’app della British Library.

Ho iniziato

a rileggere Robinson Crusoe…

E ovviamente, ti amo.

Ora lasciami in pace,

sto cercando di lavorare.

 

Anastasia Steele

 

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

_____________________________________

 

 

Ovviamente... mi ama.

Che cosa ci sia di ovvio, proprio non so. Non lo capisco, mi spremo, faccio uno sforzo... proprio non capisco.

– Vabbè, pensiamo ad altro... –

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 08.36

 

Oggetto: Tutto qui quello che hai mangiato?

 

Puoi fare meglio di così.

Hai bisogno di energie per supplicarmi.

 

Christian Grey

 

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

__________________________________________

 

 

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 08.39

 

Oggetto: Rompiscatole

 

Mr. Grey, sto cercando di lavorare

per guadagnarmi da vivere, e sei tu

quello che supplicherà.

 

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde,

Direttore editoriale, SIP

_____________________________________________

 

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 08.40

 

Oggetto: Fatti sotto!

 

Certo, Miss Steele, io adoro le sfide…

 

Christian Grey

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

____________________________________________________

 

 

Adesso è proprio meglio che mi rimetta al lavoro.

In mattinata Barney ha coraggiosamente lasciato la sua tana e si è avventurato fin qui per portarmi personalmente i risultati della verifica sul sistema informatico della SIP.

È più pallido del solito.

– Chissà quando è stata l’ultima volta che la sua epidermide è stata baciata dalla luce del sole? –

«Capo» mi saluta. Lo faccio accomodare. Credo sia uno sforzo eccessivo, per lui, restare in piedi per più di un minuto. Ed ha già affrontato l’estenuante fatica di due piani in ascensore e la maratona di quattro lunghi corridoi.  

«Qual è il problema?» chiedo. Sono un po’ preoccupato: che ci fa qui Barney?

«Capo, alla SIP, alcuni computer sono monitorati» se ne esce. È illegale che la direzioni spii i dipendenti, lo so bene, ma, a campione, anch’io faccio qualche indagine ed è proprio Barney che se ne occupa. «Capo... non credo sia il management... anche Jerry Roach, il vice Kay Bestie, il direttore del commerciale, Courtney  e Hyde, Elizabeth Morgan e... Anastasia Steele» fa, incerto. 

«Hyde?» domando.  – Hyde, anche Hyde è monitorato? Strano! – Poi, però, penso: –  In caso di che qualcuno scopra l’effrazione, quale modo migliore per sviare l’attenzione? – Quell’uomo mi piace sempre di meno: il nome che stride è quello di Anastasia Steele, una semplice assistente, l’intruso tra nomi di vertice, e so che Barney ha lo stesso sospetto, infatti solleva le sopracciglia, gli si muovono anche gli occhiali sul naso, e mi guarda con una strana smorfia.

«Vede, è stato usato un programmino freeware canadese, semplice e micidiale, che ha più o meno le stesse funzioni di quello che ho installato nel laptop di Miss...» si ferma, come se stesse per rivelarmi un segreto scabroso. «È stato inserito nelle singole postazioni e non nel server, per questo escluderei il management, visto che anche loro sono monitorati. Il computer della spia non si trova all’interno della SIP ed è ben schermato.» Risponde alla domanda che i miei occhi gli hanno appena formulato. «Ci sto lavorando, signore, ma ci vorrà qualche giorno.»

– Lavora pure Barney, intanto io, un sospetto su chi ci sia dietro, ce l’ho già –  ma mi piacerebbe avere la conferma nel più breve tempo possibile.

 

Nel pomeriggio sto ancora pensando alla visita di Barney. Non ho altri appuntamenti, ho smaltito velocemente la posta, ho organizzato nei minimi dettagli due incontri importanti per lunedì insieme a Ros e ora sto aspettando che il tempo passi. Non vedo l’ora che inizi questo weekend. Me ne sto stravaccato  sulla poltrona con le dita incrociate sul petto e giro i pollici. Sto aspettando la sua mail.

Bip.

–  Finalmente! –

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 16.05

 

Oggetto: Annoiata…

 

Mi giro i pollici.

Come stai?

Che cosa stai facendo?

 

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

_______________________________________________________

 

Sorrido. – Ti giri i pollici, piccola? Annoiata? Ci penso io a trovare un uso più proficuo per le tue dita. –

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 16.15

 

Oggetto: I tuoi pollici

 

Saresti dovuta venire a lavorare per me.

Non ti staresti girando i pollici.

Sono certo che per loro avrei trovato un uso migliore.

Infatti sto pensando a un certo numero di opzioni…

Sono immerso nella solita routine degli affari.

È tutto molto noioso.

Le tue mail alla SIP sono monitorate.

 

Christian Grey

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

____________________________________________________

 

È meglio che sia informata. Non so ancora se sia il suo capo o chi per esso, ma la fase è molto delicata. L’acquisizione sarà ufficializzata solo tra quattro settimane, non vorrei venir meno ad una clausola del contratto per una banale mail, infondo Hyde è solo un mio sospetto, potrebbe esserci qualcun altro dietro.

Non ho più tempo di annoiarmi, una videoconferenza non programmata con il mia sede di Hong Kong tiene impegnati me e Ros fino a fine giornata. Controllo velocemente le mail dal BlackBerry mentre salgo in auto.

 

 

Da: Anastasia Steele                                                                                     

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 17.36

 

Oggetto: Ti sentirai a casa

 

Stiamo andando in un bar che si chiama Fifty.

L’ironia che se ne evince è senza fine.

Non vedo l’ora di vederti lì, Mr. Grey.

A X

________________________________________________

 

 

Sorrido. 

–  Brava, usa il BlackBerry. –

 

Da:. Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 17.38

 

Oggetto: Rischi

 

Evincere è un’occupazione molto pericolosa.

 

Christian Grey

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

______________________________________________

 

Sono volutamente enigmatico.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 10 giugno 2011 17.40

 

Oggetto: Rischi?

 

Qual è il punto?

______________________________________________

 

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 10 giugno 2011 17.38

 

Oggetto: Solamente…

 

Facevo un’osservazione, Miss Steele.

Ci vediamo tra poco.

Prima di quanto tu creda, piccola.

Christian Grey

 

Amministratore delegato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

_____________________________________________

 

 

 

Faccio prima che posso, o meglio, costringo Taylor a fare il prima possibile.

Il Fifty, noto entrando, è un locale cupo e impersonale, con gagliardetti di baseball alle pareti, e noto subito quell’animale che l’ha stretta alle corde, bloccandole la via di fuga dal bancone del bar.

Non posso sbagliare: quello è una bestia, lo vedo, è così chiaro, per me. No, non mi sbaglio.

Lo sento mentre le chiede se ha programmi per il weekend.

– Sì, amico. Ha programmi per questo e per tutti gli altri weekend! –

Lei è imbarazzata. In difficoltà.

– Eccomi, sono qui, piccola, sono qui. – So che lei mi sta aspettando.

Le metto un braccio intorno alle spalle in quella che sembra una dimostrazione d’affetto casuale, ma è  qualcosa di ben diverso. Tutto in lei si rilassa.

–  Sono qui – e le poso un bacio delicato sui capelli, come a una bambina. «Ciao, piccola» le sussurro e l’attiro a me, sto marcando il territorio e  fisso il suo “capo” negli occhi. 

–  Sono io il maschio alfa, amico. Dovresti capirlo da come mi guardano le femmine, anche qui dentro. Non sfidarmi, è un consiglio –  penso e attiro a me Anastasia casomai avesse ancora qualche dubbio. Hyde distoglie per primo lo sguardo e posso rivolgere la mia attenzione a lei, le sorrido, ha capito. Le sfioro le labbra con un bacio: è sollevata. E ammirata.

Hyde si ritrae, imbarazzato.

«Jack, lui è Christian» mormora Ana. «Christian, lui è Jack.»

«Sono il suo fidanzato» aggiungo, con l’ombra di un sorriso freddo, che non coinvolge gli occhi, mentre stringo la mano di Hyde che mi sta mentalmente prendendo le misure.

«E io sono il suo capo» replica lui in tono arrogante. «Ana mi ha parlato di un ex fidanzato.»

Ana dilata gli occhi. – Tranquilla, non ti preoccupare, lo sistemo io. –

«Be’, non più ex» replico con calma. «Vieni, piccola, è ora di andare.»

«Per favore, rimani e bevi qualcosa con noi» dice quello in tono mellifluo.

«Abbiamo dei programmi» replico con un sorriso enigmatico. «Un’altra volta, forse» aggiungo. «Vieni» dico ad Ana e la prendo per mano.

«Ci vediamo lunedì.» Lei sorride e saluta i suoi colleghi mentre la trascino fuori.

Taylor è al volante dell’Audi, parcheggiata accanto al marciapiede.

«Perché mi è sembrata una gara a chi fa pipì più lontano?» mi chiede mentre le apro la portiera.

«Perché lo era.»  – Ci siamo capiti? –

Ana saluta Jason e si sorridono.

Mi siedo accanto a lei, le afferro la mano e le bacio delicatamente le nocche. «Ciao» le dico sorridente. –  Finalmente – penso.  – Io. La. Voglio. Punto. –

«Ciao» sospira. – E lei lo sa. E mi vuole. –

«Che cosa ti piacerebbe fare stasera?» le domando. Voglio che me lo dica.

«Pensavo che avessi detto che avevamo dei programmi.»

«Oh, io so cosa mi piacerebbe fare, Anastasia. Sto chiedendo cosa piacerebbe fare a te.» – Sono più chiaro, così? –

Sorride. Un sorriso ampio e brillante. Le sorridono anche quegli splendidi zaffiri che ha al posto degli occhi.  Un sorriso malizioso e al tempo stesso sbarazzino e pieno di promesse. Un sorriso che fa innamorare, io, invece, mi accendo.

«Capisco» dico con un ghigno lascivo e malizioso. «Quindi… supplicami. Preferisci farlo nel mio appartamento o nel tuo?»

«Penso che tu sia molto presuntuoso, Mr. Grey. Ma tanto per cambiare, potremmo andare nel mio appartamento.»

Lei si morde il labbro deliberatamente.

– Stronza! Provoca, provoca... intanto ti fotto. Ti fotto mentre mi implori.–

«Taylor, da Miss Steele, per favore.»

«Sì, signore.» Taylor annuisce e si immerge nel traffico.

«Allora dimmi, com’è andata oggi?» le chiedo.

«Bene. E a te?»

«Bene, grazie.»

La ripago con il suo stesso sorriso e le bacio la mano, di nuovo. Solo la mano.

È tornata la mia Ana. In un solo giorno quell’aria pallida ed emaciata ha abbandonato il suo volto. È ancora troppo magra ma è bellissima.

«Sei incantevole» le dico.

«Anche tu» risponde lei, convinta.

–  Sei proprio bella come un angelo – penso e so che non sono il solo a vederla così. Mi torna alla mente il suo capo che cerca di bloccarla al bancone del bar: in me ogni più piccolo nervo si tende, come le corde di un violino suonato da un sordo e tutto, in me, stride. Non resisto e le chiedo: «Il tuo capo, Jack Hyde, è bravo nel suo lavoro?»

Lei aggrotta la fronte. «Perché? Non c’entra con la gara della pipì, no?»

Le faccio un sorrisetto. «Quell’uomo vuole entrare nelle tue mutandine, Anastasia» rispondo secco. – Solo io, Miss Steele, solo io, se ancora non lo avessi capito. –

Resta a bocca aperta e diventa scarlatta. Lancia un’occhiata nervosa a Taylor. «Be’, può volere quel che gli pare…» scatta. «Perché stiamo parlando di questo? Sai che non nutro alcun interesse per lui. È solo il mio capo.»

Ha già fiutato qualcosa. – Sarai anche ingenua, Ana, ma sei molto intelligente e parecchio furba. Decisamente sei di molto superiore alle mie sottomesse. E hai poco più di vent’anni... sarà un vero piacere domarti, domare la tua intelligenza, batterti... Avere la meglio su di te sarà un gioco molto intrigante, una partita a scacchi, questo già lo so. –

In questo momento il mio Dominatore di fiducia è in biblioteca, ha tirato fuori la scacchiera d’alabastro, sta sistemando i pezzi e fa la sua apertura. Dà un’occhiata alla sua mossa. Batte, sul palmo della mano aperta, il righello di metallo che ha afferrato dalla scrivania, si accomoda in poltrona, socchiude gli occhi e... attende.

«È questo il punto. Lui vuole ciò che è mio. Ho bisogno di sapere se è bravo nel suo lavoro» dico.

Si stringe nelle spalle. «Penso di sì.» Sta pensando, sta focalizzando ciò che le sto dicendo.

«Be’, sarà meglio che ti lasci in pace, oppure si troverà con il culo sul marciapiede.»

«Oh, Christian, di cosa stai parlando? Non ha fatto niente di male.» Alza un po’ la voce.

– …Non ancora. – penso io.

«Se fa una sola mossa, tu dimmelo. Si chiama condotta gravemente immorale. O molestie sessuali.»

«Era solo un drink dopo il lavoro.»

«Te lo ripeto. Una mossa ed è spacciato.»

«Non hai questo tipo di potere. Oppure ce l’hai, Christian?» Parla sottovoce, calca solo il mio nome. Ora ne è certa: sa.

In risposta le faccio un sorrisetto che sembra una smorfia. 

«Stai comprando la casa editrice» afferma. È inorridita.

«Non esattamente» rispondo serio.

«L’hai comprata. La SIP. Di già.» La sua reazione è eccessiva.

«È possibile.» Sbatto le palpebre, diffidente.

«L’hai fatto o non l’hai fatto?» grida  a voce bassa.

«L’ho fatto.» –  E ti sto rivelando informazioni strettamente riservate. Non è mia abitudine. –

«Perché?» esclama, sgomenta.

«Perché posso farlo, Anastasia. Ho bisogno di saperti al sicuro.» È davvero un bisogno primordiale, viscerale.

«Avevi detto che non avresti interferito nella mia carriera!»

«E non lo farò.»

Strappa via la mano dalla mia. «Christian…» Ammutolisce. Non riesce a continuare.

«Sei arrabbiata con me?» – Che cazzo di domanda idiota! – Certo che è arrabbiata: furiosa, sarebbe più corretto dire.  

«Sì, certo che sono arrabbiata con te» sibila. «Che razza di manager di alto livello prende decisioni basate su chi si sta scopando al momento?»

–  Molti, in verità, e per i più svariati motivi – ma non voglio parlare di questo al momento perché lei  sbianca e ancora una volta lancia un’occhiata nervosa verso Taylor, che ci sta stoicamente ignorando. – Merda! Dovevo almeno aspettare di esserci rientrato io, nelle sue mutandine, così, tanto per rinfrescarle la memoria, perché, almeno a letto, lei è in mio totale potere. Sono davvero un coglione. – 

Apro la bocca, la richiudo, la guardo accigliato. Lei mi fissa irata,  ci lanciamo occhiate torve, non abbassa lo sguardo. Improvvisamente sembra di stare al polo, tanto il gelo fra noi è palpabile.

Siamo arrivati davanti al suo appartamento. Taylor accosta. Lei si precipita fuori, scappa. Da me.

–  Eh no, eh! Un’altra volta no, non mi scappi – penso, ma sono preoccupato. Non capisco perché, ma l’ho fatta davvero incazzare. «Credo che sia meglio che aspetti qui» dico piano a Jason.

Devo infilarmi in testa che lei non pensa come una sottomessa: non gliene importa un cazzo se faccio qualcosa per lei, se “compro” qualcosa per lei. Le altre avrebbero fatto i salti di gioia per un mio atto così generoso e avrebbero ricambiato felici regalandomi la loro schiavitù.

Lei no. 

Il punto è che non ho mai affrontato in altro modo una relazione. Devo essere cauto.

«Anastasia» le dico calmo. Si volta e noto che il suo sguardo è ancor più feroce, se possibile. 

Con qualsiasi altra sarei ricorso a punizioni crudeli per molto, molto meno. Nessuna ha mai osato tanto: le punivo anche per un’occhiata non richiesta.

Ho lasciato Margot legata alla croce per due ore precise, nuda.  Poi sono tornato e, dopo averle scaldato per bene le natiche col paddle, l’ho scopata, senza pietà, per un’ora e mezza, solo per mio esclusivo piacere, senza lasciarla venire. Le ho dato il buongiorno. Non ha mai più sollevato lo sguardo. –  ...una noia! –  Questo commentino inopportuno sfiata da dentro come un piccolo geyser. 

Se dovessi commisurare le punizioni al grado di incazzatura che riesce a farmi raggiungere lei,  finirebbe davvero male. Lei riesce a scatenare sul serio la mia rabbia. Non c’è nulla di finto, nulla di pilotato al solo scopo di dare il via al gioco dei premi e delle molte punizioni. È tutto vero, solo che... ora... in questo momento... non sono minimamente incazzato e ne sono stupito. Dovrei... ma sono ben altre le cose che mi fanno imbestialire. Cerco di focalizzare... –  Vado in bestia quando non ho il controllo sulla tua sicurezza, Ana. –  mi dico e so che farò di tutto per tenerla al sicuro e protetta. –  Devi fartene una ragione, piccola. Su questo non transigo. –

«Primo, è un po’ che non ti scopo.» Cerco di stemperare gli animi, non vorrei compromettere ogni cosa per una cazzata. A ben vedere non abbiamo ancora concluso nulla. «Un bel po’, mi pare»  sottolineo, anche se è passata solo una settimana, come da routine. Solo che, con lei, non mi basta mai. «Secondo, volevo entrare nel settore dell’editoria. Delle quattro case editrici qui a Seattle, la SIP è quella più redditizia, ma si trova a un bivio e rischia di fossilizzarsi. Ha bisogno di espandersi» le spiego, calmo e professionale, anche convincente, mi pare.

«E così adesso sei il mio capo» dice secca.

«Tecnicamente, sono il capo del capo del tuo capo.»

«E, tecnicamente, questa è grave condotta immorale… il fatto che mi stia scopando il capo del capo del mio capo.»

«In questo preciso momento ci stai litigando.» Purtroppo. Preferirei scopare.

«Perché è un tale coglione» sibila.

Sgrano gli occhi. Faccio un passo indietro, sbalordito. La fisso, anche lei sgrana gli occhi.

«Un coglione?» mormoro.  

«Sì.» Fa l’offesa. Persiste.

«Un coglione?» chiedo di nuovo. Cerco di non ridere. Ma lo sto pensando anch’io, di me, in questi giorni e il fatto che lei me lo dica... che osi dirmelo... dovrebbe farmi esplodere... invece...

È imprevedibile. –  Sei imprevedibile, Ana, – o meglio,  –  per me, sei imprevedibile! Nessuno oserebbe mai... tu puoi... solo  tu... – e cerco faticosamente di trattenere il riso. So che anche lei è divertita, spaventata e arrabbiata, ma soprattutto divertita.

«Non farmi ridere quando sono arrabbiata con te!» grida.

Potrei esplodere. – Con chiunque, chiunque!, sarei esploso. – So, però, che se lo facessi con lei, ora, la perderei. – E si dà il caso, Ana, che io sia tutto fuorché un coglione!  –  Rido.

«Solo perché ho un sorriso cretino sulla faccia non significa che non ce l’abbia a morte con te» mormora senza fiato.

Vorrei baciarla, ma no, non lo farò: –  Devi implorarmi , Anastasia, devi IMPLORARMI! –

Avvicino il mio viso al suo. Vorrei tanto baciarla, sono inebriato dalla fragranza del profumo imprigionato tra i suoi capelli. So bene che mi cattura e risveglia le mie più erotiche fantasie, l’ho appurato la notte scorsa.

Mi limito a strofinare il naso tra i capelli e inspiro. Faccio rivivere fantasie oscure, ma sono sereno perché ormai è questione di poco, poi sarò di nuovo dentro di lei. So dominarmi, so aspettare, so ritardare l’appagamento.

– Mi piacerebbe sapere che profumo usi, Miss Steele, così, per curiosità. Non lo avevo mai sentito, è unico, come te –  e glielo dico, che è unica e imprevedibile: «Come sempre, Miss Steele, sei imprevedibile.» Mi allontano un po’ da lei per ristabilire la distanza. «Allora, mi inviterai a salire o dovrò appellarmi al mio diritto democratico di cittadino americano, imprenditore e consumatore di comprare qualunque accidenti di cosa mi faccia piacere?»

«Hai parlato di questo con il dottor Flynn?»

Rido. «Vuoi farmi entrare o no, Anastasia?»

Apre il portone, ha ceduto.

Congedo Taylor con un’alzata del mento e l’Audi se ne va.

 

«Bell’appartamento» dico, dopo aver valutato l’openspace con un’occhiata circolare .

«Lo hanno comprato i genitori di Kate per lei.»

– Lo so. –  Annuisco. Non sono molto interessato ai business immobiliari dei Kavanagh. Le pianto gli occhi addosso.

So che arrossirà.

Infatti arrossisce mentre fa gli onori di casa.

«Ehm… vuoi qualcosa da bere?»

«No, grazie, Anastasia.» Ho in mente altro. Mi sembra molto più agitata del solito. Bene. Forse la rabbia le è passata. Posso riprendere il comando. «Che cosa vuoi fare, Anastasia?» le chiedo dolcemente, mi avvicino. «Io so cosa vorrei fare» aggiungo, suadente.

Indietreggia finché non sbatte contro l’isola di cemento della cucina. «Sono ancora arrabbiata con te» dice per difesa, ma so che è alle corde.

– Io posso metterti alla corde, Miss Steel. Solo io, – ma non la voglio arrabbiata, non con me. «Lo so.» Mi scuso. So che non è più arrabbiata.

«Vuoi mangiare qualcosa?» chiede.

Annuisco lentamente. «Sì, te» mormoro. La guardo, voglio sedurla con un unico sguardo famelico da ti voglio-qui-e-ora…

Le sto di fronte, senza quasi toccarla, le pianto  gli occhi negli occhi: voglio confonderla, eccitarla, farla spasmare perché ceda e mi desideri almeno quanto io desidero lei. Non so, a questo punto, se sia possibile. Non dopo tutto quello che ho passato in questi giorni.

La voglio.

Più di quanto abbia mai desiderato.

Questo lo avevo già capito, ma non posso... così, non posso. Non devo, per me, per lei. C’è una parte selvaggia in me che se fosse slegata dalla catena, completamente libera... non so... non so davvero... devo avere il controllo su di lei, per averlo su di me.

Devo parlarne con Flynn.

Ho bisogno del controllo, come mai prima d’ora.

Per la sua sicurezza. Lei non ci pensa a se stessa. L’unica cosa che le importa è scatenare la mia belva, anche ora, anche dopo sabato.

Lei non ne ha paura, si fida. Lei non pensa a se stessa allora ci devo pensare io. – Penserò io a te, piccola. –

«Hai mangiato oggi?» le chiedo cupo.

«Un sandwich a pranzo» mormora. Ho proprio la convinzione che non le importi niente di se stessa.

«Hai bisogno di mangiare.»

«In questo momento non ho fame… di cibo.»

«E di cosa sei affamata, Miss Steele?» le domando. Non resisto. Faccio fatica a resisterle. Ho bisogno del suo corpo.

«Penso che tu lo sappia, Mr. Grey.»

Vorrei baciarla, ma mi attengo al piano. È quasi cotta a puntino, cederà... come voglio io.

Mi protendo verso di lei, desidera che io la baci.

«Vuoi che ti baci, Anastasia?» le sussurro dolcemente all’orecchio.

«Sì» sospira.  Sì, è cotta a puntino.                                  

«Dove?»

«Dappertutto.»

«Dovrai essere un po’ più specifica di così. Ti ho detto che non ti toccherò finché non mi supplicherai e non mi dirai che cosa fare.»

–  È questo il gioco, Miss Steele, se ancora non l’avessi capito. –

«Per favore» sussurra.

«Per favore cosa?» –  Per favore? Sì, siamo sulla strada giusta, stai cedendo piccola. Finalmente! –

«Toccami.»

«Dove, piccola?»

Allunga una mano...

«No, no...» Gli  occhi improvvisamente mi si spalancano, allarmati.

«Cosa?» anche lei è spaventata. Lo vedo.

«No.» Scuoto la testa.

Di già? Sta già per succedere? No, no. Non  le permetterò di toccarmi ancora... non dopo questa notte. Non posso, slegherei la beva... come a scuola... mi bastava uno spintone... una pacca sulla spalla ed esplodevo... ora... ora che farei?...dopo ieri notte... che cosa le farei...? Non so...

«No del tutto?» quasi m’implora.

– Vorrei... una parte di me... davvero... lo vorrei... –

Lei fa un passo verso di me. Indietreggio ancora, le mani sollevate come per difendermi. – Da lei? –

Sorrido, perché penso alla sua ingenuità, al suo entusiasmo: è disarmante e io amo le sue mani su di me, anzi, le bramo... ma solo nei limiti.

E lei non ha limiti. 

«Stai attenta, Ana.» È un avvertimento, e mi passo una mano tra i capelli, esasperato.

«Qualche volta non t’importa» osserva.

– M’importa sempre! E... mi piace... nei limiti... – Sono preoccupato.

«Magari potremmo prendere un evidenziatore, e tracciar la mappa delle zone off-limits» se ne esce. Alzo un sopracciglio.

– Mi hai letto un’altra volta nel pensiero!–  Perché no? Infondo sono io che preferisco mettere tutto per iscritto.

«Non è una cattiva idea. Dov’è la tua camera da letto?»

Mi sto rilassando, anche dopo il sogno di questa notte.

Ed ho una gran voglia di scopare. –  Infondo hai ceduto: hai chiesto “per favore”, può bastare. –

Lei me la indica, ma un pensiero molesto mi assale:

«Stai prendendo la pillola?» le domando a denti stretti.

So la risposta anche prima di leggergliela negli occhi. Anche prima di sentirla dalle sue labbra...

«No» geme.

«Capisco» dico. E capisco davvero!

La consapevolezza delle sue parole m’investe come un T.I.R..

Non me ne frega  un cazzo di usare quei fottuti preservativi, godo lo stesso!

Non me importa un cazzo se lei è la solita stralunata...

La furia erompe, perché se non ci ha pensato... se ha interrotto... se non ha pensato di continuare  è perché sapeva di non averne più bisogno, sapeva che NON SAREBBE MAI TORNATA!  LEI NON SAREBBE TORNATA DA ME!  Non sarebbe tornata. Non lei. Da me...

«Vieni, mangiamo qualcosa» dico. È meglio. Mi devo calmare.

«Pensavo che stessimo andando a letto! Io voglio venire a letto con te.»

«Lo so, piccola.» Le sorrido. Voglio stringerla. La voglio tra le mie braccia, non voglio che mi tocchi, ma voglio sentirla vicina a me, per cancellare questo nuovo pugno allo stomaco che mi ha appena rinfrescato la memoria su come sono stato da sabato mattina.

«Hai bisogno di mangiare e anch’io. D’altra parte… l’attesa è la chiave della seduzione, e in questo momento sto ritardando l’appagamento.»

La verità è che in questo momento sto riacquistando il mio equilibrio, sempre in bilico tra la rabbia e il dolore, in questi giorni. Non devo più pensare che potevo perderla, che potrei perderla: è passato.

«Sono già sedotta e voglio l’appagamento ora. Ti supplico, per favore» piagnucola.

«Mangia. Sei troppo magra.» Le bacio la fronte.

Mi guarda torva. È convinta che faccia parte del mio piano per tenerla sulla corda: lo è, ma non solo. 

«Sono ancora arrabbiata perché hai comprato la SIP, e ora sono arrabbiata perché mi stai facendo aspettare.» Fa di nuovo l’arrabbiata, so che le è passata.

«Sei una signorina arrabbiata, vero? Ti sentirai molto meglio dopo un buon pasto.»

«So dopo cosa mi sentirei molto meglio.»

«Anastasia Steele, sono scioccato.»

«Smettila di prendermi in giro. Non stai giocando lealmente.»

– No, non sto giocando lealmente. Non ho mai giocato lealmente, con te, e non credo che lo farò mai. – Soffoco un sorriso mordendomi il labbro inferiore.

«Potrei cucinare qualcosa…» se ne esce, «solo che dobbiamo andare a fare la spesa.»

«La spesa?»

 – Cazzo, Ana! Ora io ti appendo e ti frusto! – Il sangue mi arriva tutto al cervello.

«Per comprare qualcosa da mangiare» mi spiega.

 – Avevo capito. Ho capito!– È una settimana che non mangia! Non ha neanche contemplato la possibilità di mangiare. Sono fuori di me.

«Non hai cibo qui?» le domando esasperato.

Scuote la testa.

Mi ero ripromesso di non arrabbiarmi per niente al mondo...

«Andiamo a fare la spesa, allora! »

–  È proprio meglio uscire a prendere una boccata d’aria! – 

 

Abbiamo fatto la spesa. Sono riuscito ad acquistare una bottiglia decente e dei preservativi, mentre lei era in fila alla cassa del supermercato. Mi è anche passata l’incazzatura.

Mi basta stare con lei.

«A cosa stai pensando?» le domando interessato.

È pensierosa. Ho bisogno di sapere che cosa pensa. Non voglio perdere il contatto.

Mi tolgo la giacca  e la sistemo sul divano.

«A quanto poco ti conosco veramente» mi dice.

– Tu? Tu mi conosci benissimo. Sai di me più di chiunque. A letto e fuori. Conosci il mio corpo, conosci il mio  passato, conosci le mie tenebre... quasi tutte, quasi tutte le mie sfumature... a volte sai persino a cosa penso. – 

«Tu mi conosci meglio di chiunque altro» le confesso.

«Non credo.»

Io, invece, sono certo di conoscerla benissimo: sta pensando ad Elena.

– Vedi, piccola, Elena conosce tutto di me, ma non sono stato io a dirglielo. Ci hanno pensato i miei, in passato. A te ho confidato più cose che a John. Puoi credermi. Solo a te. – «È così, Anastasia. Sono una persona molto riservata.»

Le porgo un bicchiere di vino  che ho appena stappato.

«Alla salute» dico. –  A noi, Ana –  brindo.

«Alla salute» risponde.

Metto la bottiglia nel frigorifero. Mi piacerebbe aiutarla, non so che fare e se sto lì  a fissarla mentre spignatta finisce che mi viene di nuovo il nervoso.

«Posso aiutarti?» le chiedo.

«No, va bene così… Siediti.»

«Mi piacerebbe aiutarti» insisto.

«Puoi tagliare le verdure.»

«Io non cucino.»

«Immagino che tu non ne abbia bisogno.»  Mi mette davanti un tagliere e alcuni peperoni rossi. – Me la sono cercata. –

«Non hai mai tagliato le verdure?»

«No.»

Mi  fa un sorrisetto.

«È un sorriso condiscendente quello?»

«A quanto pare, questa è una cosa che io so fare e tu no. Vediamo di affrontarla, Christian. Credo che questa sia una prima volta. Ecco, ti faccio vedere.»

–  Mi stai prendendo per il culo, Miss Steele? – Sì, decisamente solo tu puoi osare tanto.

Mi sfiora avvicinandosi. Faccio un paio di passi indietro.

«Così» mi mostra e taglia a fette il peperone rosso, facendo attenzione a togliere i semi.

«Sembra abbastanza semplice» osservo.

«Non dovresti avere problemi.»  Decisamente mi sta prendendo per i fondelli, ma è un gioco molto divertente. E spensierato.

Mi metto all’opera. – Ho messo su un impero, saprò tagliare due fottute verdure, o no? – Inizio ad affettare con cura e precisione maniacale. – Mai peperoni saranno stati sminuzzati con tanta accuratezza, piccola. Guarda il maestro all’opera. –

Non mi sembra molto impressionata, anzi, è velocissima e io sono ancora qua... sembra spazientita. E provoca.

Si struscia!

Lo fa apposta!

–  Oh, piccola peste! Se non la pianti io... Di nuovo?–

«So cosa stai facendo, Anastasia» mormoro cupo, e continuo ad affettare il peperone come un intagliatore di diamanti.

«Credo che lo chiamino cucinare» dice e sbatte le palpebre, mi viene vicino e continua ad urtarmi.

«Sei piuttosto brava in questo» dice mentre attacco il secondo peperone.

«A tagliare?» Mi guarda maliziosa, sbattendo di nuovo le palpebre. «Anni di pratica» mi sussurra col sorriso e mi sfiora ancora, questa volta col sedere.

Mi irrigidisco. “Tutto”!

–  Col culo no, eh! –

«Se lo fai un’altra volta, Anastasia, ti prendo sul pavimento della cucina» la minaccio. Non mi sembra impressionata.

«Prima dovrai supplicarmi» se ne esce. Mi sta combattendo con la mia stessa moneta. E io ho solo voglia di fotterla. Subito. «È una sfida?» chiedo.

«Forse.»

Poso il coltello spengo il fuoco.

«Credo che mangeremo più tardi. Metti il pollo nel frigo» ordino.

Obbedisce, mi avvicino.

«E così, stai supplicando?» domanda, continua a sfidarmi.

«No, Anastasia. Niente suppliche.»

Il desiderio per questa femmina mi prende, infiammandomi il sangue, inghiottendomi il respiro, accumulandosi nel basso ventre. Vedo le mie reazioni riflesse in lei, nei suoi occhi.

Ho raggiunto il mio limite.

La prendo per i fianchi e per stringerla a me. La bacio, finalmente.

Lei mi afferra per i capelli: ha capito, sa che può farlo. Sa cosa può toccare, ancora non sa che cosa non può fare.

“Un evidenziatore”... può essere un’idea.

La sbatto contro il frigo, non me ne frega un cazzo e rompo tutto. Le infilo la lingua in bocca. Come ieri sera la belva ruggisce in me ed ho assoluto bisogno di un orgasmo.

«Che cosa vuoi, Anastasia?» Mi stacco, sospiro. Mi domino e la guido.

«Te» ansima lei.

«Dove?»

«A letto.»

–  Bene! Te lo insegno io a comunicare. –

La prendo in braccio, – È troppo leggera! –  la porto in camera e la deposito ai piedi del suo letto. Accendo l’abat-jour sul comodino, chiudo le tende. Non voglio che qualcuno ci veda, che la vedano.  

–  Nessuno deve vederti tranne me. Nessuno! –

«E adesso?» le chiedo piano. –  Parlami. Dimmelo, quanto mi vuoi. Dimmi cosa ti piace. –

«Fa’ l’amore con me» dice lei. È solo un sussurro, il suo.

«Come? Devi dirmelo, piccola.»

«Svestimi.» Ansima.

–  Bene. Proprio così, Ana. Proprio così. –

Le sorrido e con l’indice aggancio la sua camicetta aperta, attirandola a me.

«Brava ragazza» mormoro e comincio lentamente a spogliarla.

Per non perdere l’equilibrio si tiene a me, si appoggia alle mie braccia. Sa che può farlo. Deve farlo.

–  Ti tengo io, piccola. Non preoccuparti, tieniti a me. –

Le sfilo la camicetta che ha il colore dei suoi occhi e le slaccio i jeans, tiro giù la cerniera. Mi fermo.

«Dimmi che cosa vuoi, Anastasia.» Ansimo.  Sono in piedi difronte a lei. Faccio fatica a regolare il respiro.  

«Baciami da qui a qui» mi indica col dito la linea del suo volto fino alla gola. Devo scostarle i capelli per eseguire nel dettaglio ciò che mi è stato richiesto. La sfioro con le labbra, dissetandomi con la seta della sua pelle, non sono sazio, torno indietro facendo il percorso inverso ed inalando il suo profumo dolce. Angelico.

«I miei jeans e le mutandine» mi interrompe.

– Sempre impaziente, Miss Steele?  – Mi viene da ridere. Bene, così almeno distraggo per un attimo la mia erezione.

Mi lascio cadere in ginocchio davanti alla mia dea. So che cosa vuole. Lo avrà. Non vedo l’ora.

Le sfilo i jeans, le mutandine. Lei mi aiuta e si toglie tutto, è rimasta nuda, per me. Ha solo il reggiseno. È così sexy. Ed è tanto più sexy perché non sa di esserlo.

Resto in attesa.  – Io so esattamente cosa ti farei. Non sono sicuro che gradiresti... oppure sì? –

«E adesso, Anastasia?»

«Baciami» mi sussurra, audace.

«Dove?»

«Lo sai dove.»

«Dove?» –  E dimmelo! –

Imbarazzata mi indica velocemente l’apice delle cosce.

«Con piacere» ridacchio.

– Sono sempre più convinto che saresti una schiava perfetta, Ana. Non ne hai l’indole, questo lo so, ma le tue reazioni agli stimoli e la tua timidezza hanno il potere di far ribollire il sangue al Padrone che è in me. –   

Allungo la lingua, la insinuo nella sua fessura. Prima l’accarezzo, è velluto. Aspetto di sentirne il sapore per poi inalarne il profumo: è odore di sesso e di cielo, infatti sono volato su una nuvola.

E la mia testa è avvolta in un nembo soffice che mi fascia i pensieri... mi capita sempre quando facciamo... sì, quando facciamo l’amore.

Con lei non devo pensare... non sono celebrale... non ho bisogno di immaginare, di strutturare... con lei ho solo bisogno di godere e quando comincio devo andare fino in fondo...

E lei geme: le assedio il clitoride con movimenti circolari, sempre più veloci, e fluidi, per il liquido viscoso della sua eccitazione. Lo lecco, lo bevo: mi sento potente, questa femmina mi fa sentire potente solo aprendo le gambe...  mugola, gode... –  Oh sì, godi! Godi am... Ecco! Mi tira di nuovo i capelli! – Ma lei mi fa uno strano effetto...

Elena mi tirava i capelli per punirmi, per domarmi e io reprimevo a fatica la rabbia.

Lei, invece, tira le ciocche ed è come se tirasse ogni terminazione nervosa del mio cazzo che si protende verso di lei. Lei ha una linea diretta col mio membro, anche senza passare dal cervello. 

Non mi fermo. Voglio farla venire. Subito.

«Christian, per favore» mi supplica invece lei.

«“Per favore” cosa, Anastasia?»

Le ho chiesto di dirmi esattamente cosa fare: devo obbedire... mi sa che mi si sta ritorcendo contro.

«Fa’ l’amore con me.»

«Lo sto facendo» mormoro.  – Cazzo se lo sto facendo! –  Le respiro tra le gambe.

«No. Ti voglio dentro di me.» – Ah! Anche io!–

«Sei sicura?» –  Non vuoi venire così, piccola? Uno stuzzichino come aperitivo... –

«Per favore» – Decisamente implori proprio come una vera sottomessa. A letto sei perfetta. Incredibile, direi. – E continuo, lecco, mordo, non resisto, voglio darti tutto, voglio darti il mondo, Anastasia!

Lei geme, forte.

«Christian… per favore.»

Mi alzo. A fatica. Ho le labbra umide di lei.

«Allora?» le domando. –  Che cosa si fa ora? Non mi lascerai mica così, vero? La mossa tocca a te, piccola. –  

«Allora cosa?» sospira più che parlare, sembra sconvolta.

– Ecco, sei mia. In mio totale potere. – «Sono ancora vestito» le spiego. Non mi va di scopare coi vestiti addosso, voglio sentire il contatto con la sua pelle.

È confusa.

Allunga la mano verso la mia camicia, mi tiro indietro.

«Oh, no» la ammonisco. – Dovresti avere capito, ormai. –

– Sì, ha capito! – Infatti cade in ginocchi davanti a me e con mani tremanti mi slaccia la cintura, i jeans e tira giù tutto, liberandomi.

 – Tu sei perfetta, Ana, non sbagli mai. – La guardo con venerazione, lei alza su di me uno sguardo timido, da sottomessa. Esco dai jeans e mi tolgo le calze, ora è libera di... me lo prende in mano e lo stringe forte, facendo scorrere il palmo... le ho insegnato bene.

 Sibilo, serro i denti, m’irrigidisco. Lei mi guarda,  molto esitante, lo prende in bocca e succhia. Forte. Mmh…

«Aah. Ana… ferma. Piano.» –  Piano, cazzo!, altrimenti vengo in un istante, sono caricato a molla. –

Le accarezzo i capelli, le vado incontro, ora sono completamente dentro la sua bocca e lei succhia forte.

«Oh, sì» sibilo.

Ancora.

Più a fondo, mi passa la lingua tutt’intorno alla base, Mmh… come nel sogno...

«Ana, basta. Fermati.»

Prosegue, non si ferma.

Sta giocando al mio stesso gioco.

«Okay, hai vinto» sbuffo attraverso i denti. «Non voglio venirti in bocca.» L’ho già fatto la scorsa notte.

Lei ripete il movimento ancora una volta.

–  Basta! –

La butto sul letto, mi sfilo la camicia, recupero un preservativo. Sono senza fiato, sto facendo uno sforzo.

«Togliti il reggiseno» le ordino.

Si mette a sedere e obbedisce.

«Sdraiati. Voglio guardarti.»

Mi infilo il preservativo a fatica, sto facendo l’improbo sforzo di domare il tremore delle mie mani. Non voglio che veda quanto sono eccitato.

Mi passo la lingua sulle labbra. Sono annientato dal desiderio.

–  Cazzo, sei una fica da paura! A letto sei ancora più bella –  penso, ma sono un gentleman così le dico: «Sei una visione meravigliosa, Anastasia Steele.»

Me la bacio tutta, prima di penetrarla. Soprattutto voglio arrivare ai suoi seni, gioco un po’ con i suoi capezzoli, mi trastullo, la eccito, deve desiderarmi come io desidero lei... deve dirmelo...

«Christian, per favore» implora.

«Per favore cosa?» mormoro, sprofondato tra i suoi seni.

«Ti voglio dentro di me.»

«Mi vuoi adesso?»

«Per favore.»

–  Così, brava piccola, implorami, sono il tuo Signore! E ora te lo do. –

Le allargo le gambe senza smettere di guardarla e la penetro, lentamente. Mi gusto questo breve momento.

Anche la prima volta avrei dovuto entrarle dentro piano piano, assaporando ogni millimetro, guardare, come ora, mentre le entro dentro... sono stato un coglione... invece di sfondare avrei potuto godermela molto di più, come adesso.

Volevo farle male, ci sono riuscito senza sforzo, ma ho sacrificato qualcosa di meglio.

Mi adagio su di lei, siamo una cosa sola, entro, fino in cima, poi esco, piano, non del tutto, molto piano.

Non voglio lasciarmi andare... lo farei, ne ho bisogno... ma lei deve ancora cedere, cedermi il suo scettro. Istintivamente solleva il bacino per venirmi incontro, per accogliermi, per unirsi a me, geme.

Scivolo via ancora una volta poi, molto lentamente, la riempio di nuovo. Mi accarezza i capelli: è piacere. Mi muovo ancora, molto lentamente. Non la bacio, non posso...

 «Più veloce, Christian, più veloce… per favore.»

–  Eccola qui! – So che ha ceduto, è mia, in mio potere. La guardo, so che c’è trionfo nei miei occhi e la bacio.

Esplodo.

Inizio a muovervi. Voglio godere. Lei si muove sotto di me.  Non resisterò a lungo.

– Vogliamo parlare di terapia breve orientata alla soluzione? Guarda bene dove mi vedo nel mio più roseo futuro, caro Flynn, proprio qui, sprofondato tra le sue gambe!  Chi cazzo se ne frega dell’appagamento ritardato! Vieni, piccola, vieni subito! –

Me ne sono andato di testa, m’interessa solo il piacere. Una settimana d’inferno che si esaurisce qui, in questo momento.

Dimentico tutto, il cuore mi martella nelle tempie, mi muovo come un forsennato, il mio scopo è solo il piacere, piacere, ancora piacere. Ogni spinta è piacere, bramo l’orgasmo che spazza via tutto il dolore di questi giorni bui e silenziosi, senza l’ombra di un sorriso. E l’orgasmo arriva, impetuoso come avevo sospettato...

 «Avanti, piccola» ansimo. «Vieni...» – perché io sto già venendo... – «Ana!» grido. Urlo, gemo, senza controllo.  «Oh, cazzo, Ana!» Crollo su di lei, la testa abbandonata contro il suo collo, annego nel suo profumo. 


CAPITOLO 6


Resto un momento così, finché non ho ascoltato ogni più piccola contrazione del mio corpo e del suo.

Assaporo questo istante di assoluta beatitudine.

Non ho l’energia necessaria per sollevare il capo, ma faccio uno sforzo e serro le sue mani dentro alle mie, casomai le venisse la brillante idea di toccarmi e rovinare questo attimo perfetto.

Sembra passata un’eternità, invece sono solo sette giorni... anche qualche ora di meno... uhm... – Mi sorprendo a pensare, ancora una volta, che, più o meno, è sempre stato così per me, con le altre... con le sottomesse.

«Tutto questo mi è mancato» le confesso, in un sospiro.

«Anche a me» sussurra, distraendo il miei pensieri.

Le afferro il mento per trovare meglio la sua bocca, quella bocca che mi ha torturato dalla prima volta che i miei occhi l’hanno sfiorata.

Sono ancora dentro di lei, svuotato, sgonfio, ma non voglio uscire mai più, anzi, devo entrare e affondo la lingua tra le sue labbra a cercare, dalla sua lingua, una carezza.

Mi piace anche baciarla, anche solo baciarla. Voglio sentire il suo sapore in bocca, sono sensazioni che sto focalizzando per la prima volta, e mi rendo conto che mi basta questo per sentirmi friggere le tempie. Sono solo sensazioni, ma forti... solo sensazioni... niente pensieri...

Le accarezzo il viso, riesco solo a pensare a quanto è bella, a quanto sto bene ora, a quanto mi è mancata...

«Non lasciarmi più.» –  Cazzo, è un ordine!  Se fossi la mia sottomessa ti imporrei il Total Power Exchange, non c’è altra soluzione, nessuna... Devo farle firmare un fottuto contratto, devo! Devo a tutti i costi... –  Dovrei ordinarglielo, di non lasciarmi più, invece glielo chiedo, la imploro, perché... perché con lei è giusto così, se voglio che mi risponda...

...«Okay» mormora infatti, e sorride.

Che bel sorriso che hai, piccola! – Le sorrido anch’io, è inevitabile. –  Il tuo sorriso vale il viaggio... –

«Grazie per l’iPad» se ne esce. – Sei davvero imprevedibile, Miss Steele–  ma sono proprio contento che le piaccia un mio regalo, senza riserve.  

«Di niente, Anastasia.»

«Qual è la tua canzone preferita tra quelle?»

«Ora vuoi sapere troppo.» –  Sono tante, piccola, ma ora preferisco quelle che mi ricordano te, però non te lo dico. – «Vieni, cucinami qualcosa, donzella. Sono affamato.»  Mi sollevo ma non la lascio, me la trascino dietro. Non sono ancora pronto a staccarmi da lei.

«Donzella?» ridacchia.                                                                      

«Donzella. Cibo, ora, per piacere.»

«Visto che me lo chiedete gentilmente, sire, mi dedicherò immantinente all’opre.»

Scende dal letto, inciampando come al solito, col piede nel cuscino e agitandomi in faccia quel suo magnifico sedere nudo. 

Non resisto, ora la sculaccio, due sculacciate... una di qua, una di là e poi glielo mordo, così impara a sbattermelo il faccia così.

Allungo una mano per afferrarla e noto un palloncino sgonfio, a forma di elicottero, sul materasso, che era rimasto nascosto sotto i cuscini.

Non afferro lei, afferro il palloncino. E mi si scioglie qualcosa dentro al petto, un misto di malinconia e gioia inaspettata.

–  Allora non è vero che non ti piacciono i miei regali. –  L’ho comprato da un ambulante mentre passavo in Pike Place Market, ho fatto la figura dell’idiota, sono arrivato al punto di litigare con un bambino per averlo di quel colore: gliene ho dovuti regalati sei, al moccioso, per avere proprio quello.

Ne è valsa la pena.

La guardo, stupito.  –  Con te vale sempre la pena.

 «Quello è il mio palloncino» quasi piagnucola e io rimango così, annichilito, e perdo l’attimo, perché lei si infila l’accappatoio abbandonato sulla poltroncina e copre il suo meraviglioso corpo.

«Nel tuo letto?» mormoro inebetito, quasi senza fiato.

«Sì.» Arrossisce, ovvio. «Mi tiene compagnia.»

«Beato Charlie Tango» dico solo. – Strano quanto queste cazzate riescano a farmi felice e, al contrario,  mi basti un suo sguardo, un’alzata d’occhi, per farmi infuriare in maniera feroce. –  Rifletto su quanto lei riesca ad influire sul  mio umore: sono inspiegabilmente felice che lei abbia qualcosa di mio a cui tenga tanto. Nulla di costoso, nulla di vistoso, qualcosa che è prezioso solo per lei, perché è mio.

–  A lei non gliene frega un cazzo, dei tuoi fottuti soldi, Grey, proprio niente!

Mi stupisce.

–  Tu mi stupisci sempre, Ana, sempre, sempre, sempre per questo che sei... imprevedibile...

Mi sento... amato.

Io.

Non perché sono Christian Grey, proprietario della GEH, no. E neppure perché sono il figlio desiderato e il fratello stimato, cose che so, non capisco bene neppure quelle, ma so. So che per tutti è così e lo accetto... No, con lei sono io che mi sento amato. Io.

Anche se lei sa, anche se lei ha visto...

Mi prende un vago senso di malinconia oscurato da una gioia strana.  

«È il mio palloncino» ribadisce lei. Si volta, se ne va e mi lascia qua con un sorriso infinito stampato sulla faccia.

 

Seduti vicini sul tappeto mangiamo la sua cena cinese con le bacchette.

«È buono» dico con ammirazione. Cucina benissimo e io dovrei smetterla di essere stupito delle sue molte doti.

Mi tornano alla mente le sue parole, su Charlie Tango, la prima sera, “la prima volta”: “C’è qualcosa che non sai fare bene?” mi ha chiesto. “Sì… alcune cose” le ho risposto.

Ora sono certo che le cose che non so fare io, le sai fare bene tu, piccola. –  Siamo perfetti... insieme.

Mi viene in mente anche il vecchio detto che la via più veloce per il cuore di un uomo passa dal suo stomaco: la guardo e penso che sto bene. Sto proprio bene. I Buena Vista Social Club stanno cantilenando parole d’amore: “Due gardenie per te... ti desidero… ti adoro… vita mia...”

«Di solito sono io che cucino. Kate non è una gran cuoca» mi spiega e la sua voce distoglie la mia attenzione dalla canzone.

«È stata tua madre a insegnarti?»

«No davvero!» esclama sarcastica. «Quando ho iniziato a interessarmi alla cucina, mia madre era andata a vivere con il Marito Numero Tre a Mansfield, in Texas. E Ray, be’, lui sarebbe andato avanti a toast e cibo da asporto, se non fosse stato per me.»

«Perché non sei andata in Texas con tua madre?» domando stupito. – M’interessa tutto, di te.

«Steve, suo marito, e io… non andavamo d’accordo. E mi mancava Ray. Il matrimonio con Steve non è durato molto. Lei è rinsavita, credo. Non ha mai più parlato di lui» aggiunge tranquillamente.

«Perciò sei rimasta a vivere con il tuo patrigno.»  

«Sì.»

«Sembra che tu ti sia presa cura di lui.»

«Suppongo di sì.» Si stringe nelle spalle.

«Sei abituata a prenderti cura delle persone

Voglio pensarci io, a te. Devo. Per la mia salute mentale. So che staremo bene. Lo so.

«Cosa c’è?»  mi chiede,  mi guarda e sembra spaventata.

«Io voglio prendermi cura di te.» È diventato il mio progetto più importante.

«L’ho notato» sussurra. «Solo che lo fai in un modo bizzarro

  Bizzarro?Aggrotto la fronte. «È il solo modo che conosco» le spiego.

«Sono ancora arrabbiata con te per aver comprato la SIP.»

Sorrido. «Lo so, ma la tua rabbia, piccola, non mi avrebbe fermato.»

«Cosa dirò ai miei colleghi? A Jack?»

«Quello stronzo fa meglio a stare attento.»

«Christian! È il mio capo.»

La guardo severo. Questa cosa non deve uscire, per il momento.

«Non dirglielo» dico.

«Non devo dirgli cosa?»

«Che possiedo la SIP. I termini del contratto sono stati approvati ieri. C’è il divieto di divulgare la notizia per quattro settimane, mentre il management della SIP fa alcuni cambiamenti.»

«Oh… perderò il lavoro?» chiede allarmata.

«Sinceramente ne dubito.» Sbuffo e trattengo un risolino.  –  Sì, brava, così poi mi tocca inseguirti da un’altra parte. Perché, poi, non dovresti lavorare per me? ...Sarebbe meglio che non lavorassi affatto. –

Mi guarda torva. «Se dovessi andarmene e trovare lavoro in un’altra azienda, comprerai anche quella?»

«Non stai pensando di andartene, vero?» Sollevo un sopracciglio.

«Forse. Non sono sicura che tu mi stia dando molta scelta.»

«Sì, comprerò anche quell’azienda.» Sono categorico. – Non posso comperare te, Ana? Comprerò tutto quello che hai intorno.

«Non pensi di essere un tantino iperprotettivo?»

«Sì. Sono pienamente consapevole di dare quest’impressione...» –...ma è inevitabile, con te.

«Chiama il dottor Flynn» mormora e sospira.

Non voglio litigare.

Lei si alza, posa le ciotole sul bancone della cucina. L’ultima cosa che ho in mente è litigare.

«Vuoi il dolce?» mi domanda, neanche lei ha voglia di litigare.

Sì, Ana, – penso, – ho voglia di dolce e si dà il caso che tu sia molto, mooolto, dolce. –   «Ora sì che ragioniamo!» le dico, con un sorriso lascivo.

«Non me» risponde pronta.

Perché non te, piccola? Io voglio proprio te. –

«Abbiamo il gelato. Vaniglia» ridacchia, maliziosa.

«Davvero?»Ora ti do un’interpretazione tutta personale del sesso “vaniglia”. –  «Credo che possiamo inventarci qualcosa con quello» le spiego e lei rimane a bocca aperta, le è letteralmente cascata la mascella, come i cartoni animati. Le sue reazioni sono così evidenti che diventa buffa, proprio come i bambini. Non c’è niente di finto, in lei, eppure alle volte sembra un cartone animato. Mi è proprio simpatica... quando non rompe le palle con la sua passione per il terzo grado.

«Posso restare?» È meglio chiederlo, per educazione. Intanto non me andrei comunque. Non ho proprio voglia di passare un’altra notte in preda agli incubi... anzi, devo risolvere il problema. Definitivamente.

«Che cosa intendi?»

«Stanotte.»

«Avevo dato per scontato che lo facessi.»

«Bene. Dov’è il gelato

«Nel forno.» Mi sorride. –  Sfotti, Miss Steele? –  Sospiro e scuoto la testa. «Il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia, Miss Steele.» Mi brillano gli occhi. – Tu sfotti. Io ti fotto.«Potrei sempre rovesciarti sulle mie ginocchia» le dico. – Prima mi è sfuggita, ma ora...

«Hai quelle sfere d’argento?» mi domanda, mentre mette le ciotole nel lavello.

–  Sì, sei simpatica. Devo risponderti a tono. –  Mi tasto il petto, l’addome, e poi le tasche dei jeans. «Stranamente, non le porto sempre con me. Non ci faccio molto con quelle in ufficio

«Sono lieta di sentirlo, Mr. Grey. Pensavo che avessi detto che il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia.»

«Be’, Anastasia, il mio nuovo motto è: “Se non puoi batterli, unisciti a loro”.»

Le è di nuovo cascata la mascella. Mi dirigo al freezer, prendendo il barattolo della miglior vaniglia Ben & Jerry’s. «Questo andrà benissimo.» La guardo, gli occhi fiammeggianti. «Ben & Jerry’s & Ana.» Pronuncio lentamente ogni parola, scandendo le sillabe.

Devo portarla da un ortopedico, per la mascella, deve essersi incastrata. Mi sto leccando le labbra in un chiaro richiamo, sto sfoderando ogni arma per sedurla, per incatenarla.

Prendo un cucchiaio dal cassetto delle posate e, per lei, è come se afferrassi una frusta dalla rastrelliera. Deglutisce.

Devo stare più attento a queste sue reazioni e godermele. – Tu, Ana, porti tutto su un altro piano, il poco diventa enorme: sei imprevedibile. Eccitante. La tua ingenuità eccita in maniera feroce il Master che è in me. –

«Spero che tu abbia caldo» sussurro. «Ti raffredderò con questo. Vieni.» La prendo per mano ed è come la prima volta che l’ho portata nella Stanza Rossa. Sono eccitatissimo. So di essere eccitatissimo perché sono perfettamente controllato. Completamente a mio agio. Ho la situazione in pugno; per la prima volta da quando lei è partita per Atlanta, sono di nuovo me stesso. –  Ma tu questo non lo sai.

Andiamo in camera. Appoggio il barattolo del gelato sul comodino, scosto la trapunta dal letto, tolgo i cuscini e li impilo sul pavimento.

«Hai lenzuola di ricambio, vero?»

Annuisce.

Prendo “Charlie Tango” con l’intenzione di riporlo sul comò.

«Non impiastricciarmi il palloncino» mi ammonisce.

«Non mi sognerei mai, piccola, ma voglio impiastricciare te e queste lenzuola.»

Poso il suo tesoro sul comò e, nel farlo, scosto i pochi oggetti appoggiati sul ripiano. Noto una boccetta di profumo, viola, che sembra una composizione di cristalli di quarzo. Leggo senza farmi notare: “Angel”.

E ti pareva!Il mio corpo freme. È un richiamo oscuro, primordiale.

Mi volto e le dico: «Voglio legarti.» Dirà di sì.

«Okay» sussurra infatti.

«Solo le mani. Al letto. Ho bisogno che tu stia ferma» ordino,  ricomincio ad impartire i miei ordini e, come d’abitudine, spiego ciò che sto per farle. Ma non devo pressarla troppo. E non voglio, anche se il gioco del “farò solo quello che mi chiederai, nei dettagli” è finito da un pezzo.

«Okay» sussurra di nuovo, incapace di dire altro.

Mi avvicino, senza staccare gli occhi dai suoi.

«Useremo questa.» Afferro la cintura del suo accappatoio e la sfilo lentamente. L’accappatoio si apre, trattengo un ansito. Il suo corpo mi attira come il profumo del miele per un’ape. La voglio nuda: le sfilo l’indumento dalle spalle e la spugna cade a terra, come la neve.

La voglio nuda, a disagio, e lentamente le sfioro il viso, mentre so che lei si carica di aspettative. E inquietudine. E smania. Lo so. Sono io il Padrone.

La sua pelle di seta è pronta, per me.

Non bacio mai, me lo ha insegnato Elena, solo quando mi aiuta a realizzare i miei piani e favorisce i miei orgasmi. I baci non sono funzionali al raggiungimento dei miei scopi, sono roba da sesso vanilla, alimentano aspettative. Però, ora, la mia  bocca è attratta dal canto di una sirena e poso le labbra nel punto esatto da cui parte la sua seducente melodia: è un bacio veloce. Non posso indugiare.

«Sdraiati sul letto, supina» mormoro. – Cominciamo – penso eccitato.

Obbedisce. La fisso per un po’, con uno sguardo lascivo. «Potrei rimanere a guardarti tutto il giorno, Anastasia

È meravigliosa. La mia sirena, la mia dea. M’incanta e troppo spesso mi lascio prendere dalla brama, lei libera una parte selvaggia di me che non voglio... non posso... che so domare. Ho imparato ad incanalarla. Con lei... è difficile. E non posso più permettermelo.

Sono ansioso di cominciare. Non credevo che avrei ricominciato a   giocare così presto, sono sempre più eccitato. Ma anche calmo e consapevole. Lei lo vuole.

Non eccederò. Non più. 

Devo possederla. Incatenarla.

So che cosa devo fare. Ora è perfettamente chiaro. Concluderò anche questo contratto: d’accordo, dovrò negoziare con regole nuove. – Per arrivare ad essere il tuo Padrone non dovrò tentare una scalata ostile. No, dovrò essere molto più scaltro. E porterò a termine  anche questa acquisizione. –  Sì, dovrò essere molto scaltro perché ho davanti un abile negoziatore.

Salgo sul letto e mi metto a cavalcioni su di lei.

«Alza le braccia sopra la testa» le ordino.  

Obbedisce.

È fantastico quanto sia obbediente e remissiva a letto. I suoi sguardi sono così timidi e sinceramente imbarazzati che non ho mai desiderato che abbassasse gli occhi. Domata, educata, soggiogata, timida. Servizievole. Tutti aggettivi di una perfetta sottomessa. A letto mi concede l’Obbedienza. Assoluta.

Fuori del letto è tutt’altro discorso, ma ha ragione lei, non solo non la voglio remissiva, neppure mi piacerebbe.

Infondo m’interessa solo a letto.

Sì, basta.

E le altre “Regole”... anche quelle... a ben pensarci... sui “Comportamenti” e le “Qualità Personali” può dare lezioni a chiunque. Per il resto, ci lavorerò, per il momento questo basta.

Oh sì, basta – e una scarica da seicento watt mi percorre tutto, scorrendo nelle vene, ora che sto stringendo la cinta dell’accappatoio intorno al suo polso.

Lego. Forte. Faccio passare la stoffa tra le sbarre di ferro del letto. Tiro, forte.  La costringo a piegare il braccio sopra la testa. Lego anche la mano destra, stringo.

La guardo, rilassato. Trionfante.

Mia – penso. Sospiro. Godo.  –  Così non scappi, non tocchi. Sei in mio potere. –  Come le altre. Molto più delle altre, perché nessuna avrebbe osato muoversi senza un mio ordine, anche senza corde.

Scendo dal letto e le do un rapido bacio sulle labbra. Mi spoglio. In fretta.

Sono già in erezione, inevitabile.

Mi guarda con gli occhi spalancati. Meravigliata.

Le piaccio.

Non me n’è mai importato un’acca di piacere. Ho usato il mio fascino solo per miei scopi: l’ho usato con quelle che volevo a contratto. L’ho usato qualche volta negli affari. Lo so, lo accetto, ma la maggior parte delle volte è davvero seccante e m’innervosisce.

 –  Con te, invece Ana, è un’altra cosa: sono felice di piacerti. Felice. – Con te ho usato il mio fascino subdolamente. E lo userò tutte le volte. Ogni santa volta. Sempre.

Mi sposto in fondo al letto e le afferro le caviglie, tirandola verso il basso con uno strattone veloce e vigoroso. Adesso ha le braccia tese e le è impossibile muoversi.

«Così va meglio» mormoro. –  Così è perfetto. –

Prendo il barattolo del gelato e mi rimetto a cavalcioni del suo corpo sublime. Molto lentamente, tolgo il coperchio dalla confezione e infilo il cucchiaio.

«Mmh… è ancora piuttosto duro» dico alzando un sopracciglio, poi prendo una cucchiaiata di gelato e me la infilo in bocca. «Delizioso» e mi lecco le labbra. «È sorprendente come la buona e semplice vaniglia possa essere gustosa.»

La guardo e le faccio l’occhiolino. «Ne vuoi un po’?» scherzo.

–  Ah, come sto bene! – La merda di tutta questa settimana infame? Non me la ricordo più.

Prendo un’altra cucchiaiata di gelato e  gliela porgo.

Lei apre la bocca, non so se voglia proprio il gelato.

–  No, no, no. Non ancora  –  e me lo mangio io. – Aspettative, piccola. E appagamento ritardato. Per te è sesso vaniglia? Pensala come vuoi... Io lo chiamerei “percorso educativo”. –  «È troppo buono per dividerlo» le dico e le sorrido.

«Ehi» protesta.

«Perché, Miss Steele, ti piace la vaniglia?»

«Sì» e cerca di disarcionarmi.

«Diventiamo irritabili, eh? Io non lo farei se fossi in te.» Sarai punita, piccola. È inevitabile.

«Gelato» mi supplica. Fa il broncio.

–  Sei così carina con il broncio... devo accontentarti. – «Be’, visto che oggi mi hai compiaciuto così tanto, Miss Steele…»

Mangia di gusto il suo gelato. La sto imboccando.

–  Sta mangiando –  constato e insisto. Mi viene da ridere.  –  Questo sì che è un TPE – ma lei comincia ad irritarsi. 

«Mmh. Be’, questo è un modo per assicurarmi che mangi. Alimentazione forzata. Potrei abituarmici» e continuo, ma lei serra le labbra. Lascio che il gelato si sciolga e coli sulla sua gola e sul suo petto.

Non posso sprecarne neppure una goccia e lecco via ogni residuo di vaniglia dalla sua pelle profumata.

«Mmh. È ancora più gustoso su di te, Miss Steele.»

Lei strattona i legacci.

Oh no, piccola, non fare resistenza! – 

Prendo dell’altro gelato e lo faccio cadere sul suo seno, col retro gelido del cucchiaio glielo spalmo sui capezzoli che s’induriscono all’istante. «Freddo?» le chiedo. Te li scaldo io e comincio a succhiare  e mordere, ma sono così gelati e la mia bocca è tanto calda da rendere il contrasto talmente inteso che non si rende conto di quando forte sia la stretta dei miei denti. Lei spasma. Io godo, mordo e godo.

Succhio il gelato sul suo corpo, dal suo petto.

Cazzo, comincia a piacermi davvero, la vaniglia! – La lecco, succhio, mordo, aspiro. Sono inebriato da suo odore, la vaniglia del gelato copre quella del suo profumo e sento solo un vago sentore di violetta, ma, prepotente, si fa avanti un altro odore a catturare le mie narici: l’odore di sesso.

Devo assaggiare anche la sua bocca, prima di scendere, prima che il suo sesso mi catturi definitivamente e mi privi del piacere di gustare un bacio.

 Ansima, sempre più forte.

«Vuoi qualcosa?» le chiedo. Non aspetto la risposta ed invado la sua bocca: la bacio. Lo voglio io!... Io, lo voglio! Tu. Sei. Così. Dolce” le ho detto in ascensore, la prima volta che l’ho baciata.

 – Auhm... Deliziosa.

Mi stacco dal bacio e riempio il centro del suo ventre di gelato, so che è gelo e fuoco. È una tortura. Dolce, ma è una tortura. E riempio il suo ombelico. Lascio che il gelo e il fuoco le entrino dentro da questa via breve.

«L’hai già fatto prima» mi chiede in preda ai tremori. Ci sta arrivando: – Hai capito? Te lo ricordi o no, il ghiaccio, fra le forme di dolore/ punizione/ disciplina? –  Tutto, in me, si accende.

«Devi stare ferma, o ci sarà gelato dappertutto, sul letto

Intanto lecco, torno ai suoi seni, li bacio, li succhio e mordo, forte, ma è così eccitata che non si rende conto. Non riesce a stare ferma.

–  No, piccola. Lo sai, non muoverti. – Il gelato  cola, lei muove i fianchi. – Dovrò continuare: ti muovi, allora devo continuare... – 

Mangio il gelato dal  vallo al centro esatto del suo ventre, pieno di gelida crema, lecco, insinuo i denti dentro all’ombelico e morsico tutto intorno, ma neppure adesso lei si rende conto che la sto mordendo.

Metto un’altra cucchiaiata di gelato, le spalmo un po’ di crema sul pube, ma è sul suo clitoride che svuoto il piccolo contenitore.

Grida forte.

«Zitta adesso» le ordino gentile e perentorio.

Comincio leccando piano, aspetto che il gelato faccia il suo effetto e bruci. Geme sommessamente. «Oh… per favore… Christian

«Lo so, piccola, lo so» sospiro, e affondo dentro di lei con la mia bocca. Lecco, faccio ruotare la lingua, lecco e ingoio vaniglia e lei, non mi fermo. E poi mordo le grandi labbra, forte, e il clitoride e sento tutto il suo corpo tendersi. Voglio che lei venga mentre la torturo e mi aiuto con le dita che insinuo dentro, al caldo: tocco dove so e la trascino nell’orgasmo tirando con i denti, toccando e leccando crema dolce e salata di lei che mi esplode in bocca.

Trionfo. «Ecco qui» gemo. Il più assoluto trionfo: il trionfo del Dominatore. So che mi appartiene, il suo corpo e la sua anima appartengono al raffinato Signore che, strappata la bustina, indossa il preservativo per portare a termine il suo spettacolo.

La Sottomessa acconsente ad accettare le seguenti forme di dolore/punizione/disciplina: ... morsi, ghiaccio...” Scorro e rileggo mentalmente l’appendice 3 del contratto. “Quanto dolore la Sottomessa è disposta a provare? Dove 1 significa ‘mi piace intensamente’ e 5 ‘lo detesto intensamente’: 1 - 2 - 3 - 4 – 5.” 

Ghiaccio?

 – 1.  È evidente – constato.

Morsi ?

 Anche ai morsi  attribuirei un bell’1. –  

Sculacciate?

2.  Anche se, “con quelle sfere d’argento...” sono praticamente certo che assegnerebbe un altro 1. A frustate, bacchettate, pinze, cera e alle altre varianti penseremo in seguito... –  penso  e glielo spingo dentro, duro, veloce.

«Oh, sì!» gemo mentre godo. «Così!» Sento ancora il suo orgasmo anche attraverso il preservativo. Colpisco un’altra volta, come piace a me. Poi mi chino su di lei, le libero i polsi e la giro.

Voglio prenderla da dietro. E voglio toccarla. La sollevo e la faccio sedere sul di me.

Così posso sfiorarla, possederla. Muovo le mani sui suoi seni, afferrandoli entrambi e titillandone i capezzoli, piano: voglio farla godere ancora. Geme, getta la testa contro la mia spalla. Strofino il naso sul suo collo, la mordo, di nuovo. Sollevo le anche, riempiendola ancora e ancora, lentamente.

L’accarezzo, la posseggo. Godo, lentamente. Senza fretta. Non c’è più nessuna urgenza, la fame feroce del mastino è stata saziata. Mi ha già compiaciuto, come nessuna prima, come nessuno mai. Trattengo col palmo aperto il suo bel viso sulla mia spalla e guardo il suo piacere filtrare dalle sue palpebre socchiuse come un raggio azzurro che irradia e illumina. Godo. Gode il Padrone, gode il mastino, gode Christian Grey con tutte le sue cinquanta sfumature.

Godi, Grey. Goditela tutta quanta. –

«Hai idea di quello che significhi per me?» le dico in un sospiro.

«No» ansima.

«Sì che lo sai. Non ti lascerò andare via» le sussurro sul collo, trattenendole il volto con più forza, con la mano aperta, contro di me. Lei geme, ansima, mentre comincio a spingere sempre più forte, più veloce, aiutato dalla posizione: in ginocchio posso muovermi sotto di lei come preferisco. Mi spingo dentro di lei più su che posso. Non cedo. Ho tutto sotto controllo. Posso resistere ore così e continuare a provare questo piacere che mi sta inondando le viscere finché ne ho voglia, ma finirò quando finisce lei.

«Tu sei mia, Anastasia» le ruggisco nell’orecchio. Casomai non lo avesse capito.

«Sì, tua» mormora, senza fiato.

– Mia! Mia, mia! Come niente e nessuno prima! Mio il tuo corpo, mio il tuo cuore! –  E quel pugno nero che batte furioso al centro del mio petto mi deflagra in mille battiti scomposti, lo sento dentro le orecchie colpire estenuante le pareti dei miei timpani. È un piacere immenso, nuovo... no... non nuovo, l’ho già provato... con lei, solo che ora è ancora più forte. Immenso. Godo.

Le addento il lobo e tiro e spingo.

Tu sei solo mia, non ti premetterò più di allontanarti da me. Nessun altro ti avrà, nessuno. Sei bellissima, perfetta, mi concedi ogni cosa, ogni piacere. Anche il piacere infinito di sapere che sono l’unico. Ti posseggo, ne ho la certezza: “questo” è l’appagamento totale del Dominatore, del Tuo Padrone. – «Mi prendo cura di ciò che è mio» le sibilo. Le addento il lobo e tiro e spingo.

Strilla.

«Ecco, così, bambina, voglio sentirti

Le faccio scivolare una mano intorno alla vita, mentre con l’altra le afferro il fianco e mi spingo dentro con tutta la mia forza, per dimostrarle il mio possesso. Grida, ancora.

È un assedio, mi si spezza il respiro, ansimo, ma sto ben attento a non gemere. Serro i denti e sibilo. Ormai ansiamo insieme, e si muove con me.

«Avanti, piccola» ringhio tra i denti. So che sta per venire e questo è il mio segnale: lei è mia ed obbedisce, così anche io mi libero, chino sulla sua schiena. Esulto.

Siamo appiccicati, non solo per via del gelato. Appoggio la fronte alla sua schiena nuda, regolo il respiro inebriandomi del profumo dei suoi capelli.

«Quello che sento per te mi spaventa» sussurra e la sento a stento, riuscendo ad afferrare la sua voce che per fortuna non si perde nel materasso: quello che lei mi dice non è che un’eco dei miei pensieri.

M’irrigidisco.  «È lo stesso anche per me, piccola» le confesso.

Però... tu mi ami... e io? – rifletto.

«Cosa farei se mi lasciassi?» La sua voce interrompe di nuovo i miei pensieri.

«Non vado da nessuna parte. Non penso che potrei mai stancarmi di te, Anastasia.» –  E chi ti lascia più? – La stringo a me, seduta sulle mie cosce.

Si volta, mi guarda e mi bacia.

Le sfioro il viso, le tolgo una ciocca che le è finita sugli occhi e le parole escono così, come le note da una radio accesa: «Non avevo mai provato ciò che ho provato quando mi hai lasciato, Anastasia. Farei qualsiasi cosa pur di non sentirmi mai più in quel modo.»

–  Mai più! –  penso e il suo viso si riavvicina al mio. – Ecco brava, baciami ancora.

«Vieni alla festa d’estate di mio padre, domani? È un appuntamento annuale a scopo benefico. Ho detto che ci sarei andato.» Questo è il momento migliore per chiederglielo, non mi dirà di no.

È arrossita, anche per un invito.  –  Ma come devo fare, con te? –

«Certo che ci vengo» mi dice ma subito sprofonda nel panico. In un altro momento mi avrebbe detto di no. Ho scelto il momento giusto.

Sì, è nel panico. «Cosa c’è?» le domando.

«Niente.»

«Dimmelo» insisto.

«Non so cosa mettermi» confessa.

–  Oh mio Dio. Ora se le ricordo dei vestiti nuovi, ricominciamo. –  

«Non ti arrabbiare, ma ho ancora tutti quei vestiti per te a casa mia. Sono certo che ci sono un paio di abiti adatti

Fa una smorfia. «Ah, sì?» mormora in tono sarcastico e va a farsi la doccia.

 

Mi sono lavato dopo di lei e al mio ritorno l’ho trovata in accappatoio, sdraiata sul letto sopra le lenzuola pulite, con la schiena appoggiata alla testiera del letto intenta a leggere il suo iPad. Nella stanza perfettamente in ordine si sente ancora profumo di vaniglia, ma forse è il suo profumo.

Ana solleva il viso dal lettore e mi sorride.

«Adoro l’app della British Library, ma te l’ho già detto, vero?»

«Sì» rispondo solo. Mi sdraio accanto a lei su un fianco, la testa sorretta dalla mano e la guardo leggere per qualche istante. Ma non è più interessata a Defoe, spegne l’iPad, lo ripone sul comodino e avvicina il suo viso al mio, solo un po’,  a cercare un  bacio. Non la bacio, attendo e lei abbassa gli occhi in una muta richiesta.

È sufficiente, mi infiammo. Basta davvero poco. Le spalanco l’accappatoio e mi tolgo l’asciugamano stretto in vita, cerco con la mano i preservati che ho fatto scivolare sotto al cuscino dove prima riposava Charlie Tango. Non ho neppure bisogno di bloccarle le mani perché ha già ripiegato le braccia sopra la testa. –  Non sbagli mai, mai, mai... – mi ripeto, come una lunghissima litania, movendomi piano sul suo corpo, come le onde che rifluiscono sulla battigia, dentro e fuori in  un movimento estenuante. Dolce.

Non riesco neppure a pensare a lei, non ho ricordi, mi accontento di assaporare questa dolce beatitudine e ascolto il mio corpo. Sono tutto una sensazione. È solo piacere. Desidero aumentare il mio godimento allora la bacio. Sferzo con la lingua, dura, la sua bocca mentre faccio roteare il bacino. Le lecco le labbra e mordo quel dannato labbro con tutta la forza dei miei denti, ma solo un istante. Poi tiro. Succhio una goccia di sangue. E godo.

Continuo, implacabile, alla fine, solo alla fine, pronuncio nella sua bocca le parole magiche dell’illusionista: «Vieni per me» e lei, da perfetta schiava,  obbedisce. Immediatamente.

Obbedienza per me è uguale ad appagamento, così posso concedermi di lasciarmi andare dentro di lei, ancora una volta esaudito.

Non ho voglia di alzarmi e non lo farò. Mi accomodo, l’abbraccio da dietro e lei si accoccola, la schiena appoggiata al mio petto.

«Dormi ora» le ordino. Non è molto tardi, saranno sì e no le undici di sera, ma devo accertarmi che dorma il giusto, è una Regola. Va rispettata.

«Uhm» mormora assonnata. «Non ho dormito molto in questi gior...»

Non finisce la frase.

Mi sa proprio che si sia già addormentata. Neanche io, piccola, ho dormito granché e, quel poco, molto male –  faccio solo in tempo a pensare e scivolo con lei in un sonno profondo e sereno. 

 

Un movimento strano e inaspettato mi inquieta e mi sveglia. Scatto immediatamente, preoccupato. –  Perché si agita? Non l’ha mai fatto. –

Ora sono sveglio e sento il suo grido sforzato, mentre continua ad agitarsi fra le mie braccia.

Cerco di svegliarla. – No, piccola, no. Non voglio proprio passare a te i miei incubi –  e la scrollo, per non farla sognare più.

«Ana!» la chiamo. È disorientata. Scuote la testa. «Piccola, va tutto bene? Stavi facendo un brutto sogno.»

«Oh» mormora e io accendo l’abat-jour, che ci inonda della sua luce fioca.

«La ragazza» sussurra.

«Cosa c’è? Quale ragazza?»

«C’era una ragazza fuori dalla SIP, quando sono uscita ieri. Sembrava me… ma non proprio.»

–  Leila! –  Improvvisamente sono di ghiaccio, come il gelo che mi serpeggia nelle vene. «Quando è successo?» Mi tiro su a sedere e la fisso.

«Quando sono uscita dal lavoro, ieri pomeriggio. Sai chi è?»

«Sì.»  Mi passo una mano tra i capelli. Esasperato. Preoccupato.

«Chi è?» domanda. «Chi è?» mi incalza.

«È Leila.»

«La ragazza che ha messo Toxic sul tuo iPod?»

«Sì» rispondo. «Ti ha detto qualcosa?»

«Ha detto: “Cos’ha che io non ho?”. E quando le ho chiesto chi fosse, lei ha risposto: “Io sono nessuno”.»

Chiudo gli occhi colpito da una fitta di dolore. Dolore per Leila. E paura.

Come sa di Ana?

Il ‘Portland Printz’ e la foto della laurea che circola in internet, mi rispondo.

Come cazzo a fatto a trovarla? Come ha fatto a sapere dove lavora?!?

Linc.

Il mio passato, tutta quanta la merda del mio fottuto passato sta sgorgando copiosa a rovinarmi il futuro.

Scendo dal letto, m’infilo i jeans e vado nel soggiorno dove ho lasciato il telefono.

Welch.

Risponde al secondo squillo. –  Avrà una suoneria dedicata, oppure non dorme mai –  mi sorprendo a riflettere.

«Sì, fuori dalla SIP, ieri… tardo pomeriggio» spiego pacato al capo della divisione sicurezza della GEH.

Mi volto verso Ana che mi ha seguito, con indosso la mia camicia.

Bellissima – non riesco a non pensare quando inquadro il suo corpo nel salone. «A che ora esattamente?» le chiedo.

«Verso le sei meno dieci» mormora.

«Sei meno dieci. Scopri come… Sì… Non l’avrei detto, ma non avrei neppure pensato che lei potesse fare questo.» Chiude gli occhi, l’espressione dolente. «Non so come calmarla… Sì, le parlerò… Lo so… Segui la faccenda e fammi sapere. Devi solo trovarla, Welch… È nei guai. Trovala.» Chiude la comunicazione.

«Vuoi un tè?»  mi chiede.

–  No, non voglio ‘un thè’. Voglio ‘te’. Voglio affondare dentro di te che sei la mia terapia breve e l’unica soluzione a tutta la merda del mondo, ecco cosa voglio! Ora. Sempre.  – 

Riempie  il bollitore dell’acqua.

«A dire il vero, vorrei tornare a letto.»  Sono piuttosto esplicito.

«Be’, io ho bisogno di un po’ di tè. Vuoi farmi compagnia?»

Mi passo una mano tra i capelli, esasperato. «Sì, grazie» sono molto irritato, diciamo così, perché lo so, so benissimo che sta per iniziare il suo terzo grado e, siccome in questo momento non posso fare altro per risolvere il problema “Leila”, mi piacerebbe tanto accantonarlo.

Ma so che non mollerai la presa, Miss Steele. – La conosco troppo bene e la osservo mentre traffica con tazze e bustine.

«Cosa succede?» chiede infatti.

Scuoto la testa.

«Non me lo dirai?»

«No.»

«Perché?»

«Perché non dovrebbe riguardarti. Non voglio che tu sia coinvolta in questa cosa.»

Eppure sei coinvolta, lo sai tu, lo so io. È inutile che ci giriamo intorno, ti ho trascinato con me in un gioco che solo io volevo giocare.

Proprio io, che non faccio che infuriarmi con te per la tua sicurezza, ti ho messa in pericolo. In un vero pericolo. Io. Avresti dovuto starmi lontana, Anastasia. Molto lontana. –

Una nuova considerazione su cui non avevo ancora riflettuto mi ha appena investito: – Tu, Ana, eri la mia via per uscire da quell’ambiente che mi stava nauseando. Cercare una sottomessa al difuori dal circuito... creare, io stesso, la schiava perfetta... infangarti... –  

Non ci sono riuscito, ad infangarla... e non ci riuscirò mai. Ed è confortante.

«Non dovrebbe riguardarmi, ma mi riguarda.» Anastasia interrompe le mie riflessioni. «Leila mi ha trovata e mi ha avvicinata fuori dal mio ufficio. Come sa di me? Come sa dove lavoro? Credo di avere il diritto di sapere cosa sta succedendo. Per favore» mi prega.

–  Non vorrei dirti niente perché è passato , è qualcosa di finito, chiuso. Lo capisci o no? Non ti riguarda, non riguarda te e vorrei chiudere definitivamente anch’io. – Sono esasperato, alzo gli occhi al cielo, come fa lei.

«Okay» faccio, rassegnato. «Non ho idea di come abbia fatto Leila a trovarti. Forse ha visto la foto di noi due a Portland, non lo soSospiro. «Quando ero con te in Georgia, Leila si è presentata nel mio appartamento senza avvertire e ha fatto una scenata davanti  a Gail.»

«Gail?»

«Mrs. Jones.»

«Cosa intendi dire con “ha fatto una scenata”? Dimmelo» mi incalza. È un mastino, non molla mai, constato. «Mi stai nascondendo qualcosa.»

«Ana, io…»   Io non voglio dirtelo! –

«Per favore.»

–  Okay sospiro, sconfitto: «Ha fatto un goffo tentativo di tagliarsi le vene.»

«Oh, no!»

«Gail l’ha portata all’ospedale. Ma Leila si è fatta dimettere prima che io arrivassi. Lo strizzacervelli che l’ha visitata ha detto che il suo è stato un tipico grido d’aiuto. Non crede che lei sia davvero a rischio. A un passo dall’ideazione suicidaria, così ha detto. Ma io non sono convinto. Sto cercando di rintracciarla da allora per aiutarla.»

È per questo ti ho abbandonato, ad Atlanta, Anastasia. È per questo che ero così teso quando sei tornata. Ho cercato in te una valvola di sfogo, scaricando su di te - su di noi! - tutti i miei problemi. Sono quasi riuscito a rovinare ogni cosa. Non rifarò lo stesso errore, Anastasia, mai più. –

«Ha detto niente a Mrs. Jones?»

«Non molto» rispondo. Tentenno.

Ana sta versando il thè, ma so che cosa sta macinando la sua testolina: ha già fatto cento ipotesi e si è già data mille risposte.

«Non riesci a trovarla? E i suoi familiari?»Sempre dritta al punto, Miss Steele. A Quantico hanno bisogno di te. –

«Non sanno dove sia. Neppure suo marito.»

«Marito?» – Cia, Fbi, Ncis? Il  problema annoso è quale scegliere fra le varie agenzie investigative. La DIA! A loro serve senz’altro il tuo fiuto da cane antidroga. 

«Sì. È sposata da circa due anni.»

«Veniva con te mentre era sposata?» mi domanda allucinata.

«No! Buon Dio, no. Stava con me più o meno tre anni fa. Poi se n’è andata e di lì a poco si è sposata.» –  Sono monogamo, te l’ho detto e ridetto e, soprattutto io non condivido.

«Allora perché sta cercando di attirare la tua attenzione adesso

– Questo proprio non lo so, ma sospetto che abbia a che fare con te. –  «Non lo so» le confesso. «Tutto quello che siamo riusciti a scoprire è che è scappata dal marito circa tre mesi fa.»

«Fammi capire. Lei non è più la tua sottomessa da tre anni, vero?»

«Due anni e mezzo.»

«E voleva di più.»

«Sì.» – Tutte volevano di più, Ana. Tutte. –  

«Ma tu no.» –

«Questo lo sai.» – Con te, invece, sono io che voglio di più. Voglio di più.

«Così ti ha lasciato.»

«Sì.»

«Allora perché viene da te adesso?»

«Non lo so.»

«Ma sospetti che…»

«Sospetto che abbia qualcosa a che fare con te.»Ba-sta! – «Perché non me l’hai detto ieri?» le domando. Al solito, il sistema migliore, con lei, è farla sentire in colpa, farle credere che sia colpa sua.

«Me ne sono dimenticata.» Si stringe nelle spalle con aria di scuse. «Sai, il drink dopo il lavoro, la fine della mia prima settimana, tu che arrivi al bar con la tua… scarica di testosterone contro Jack, e poi siamo venuti qui. Mi è uscito di mente. Hai l’abitudine di farmi dimenticare le cose

«Scarica di testosterone?» Storco la bocca.

«Sì, la gara a chi fa pipì più lontano

«Ti faccio vedere io una scarica di testosterone.» Ecco un altro buon modo per distrarla: sesso. Il modo migliore.

«Non vuoi piuttosto una tazza di tè?»

«No, Anastasia, non la voglio.» –  Voglio. Te. – «Dimenticati di lei. Vieni.» Le tendo la mano.

 

Mia, mi stai facendo il solletico, non toccarmi, per piacere, non toccarmi...” Mia sorella sta cercando di salire in braccio a me, sono seduto e lei mi si sta arrampicando in braccio. Si tiene alla mia t-shirt con le sue manine paffutelle e mi sta facendo il solletico sul petto. “Smettila” borbotto, ma è così carina e dolce. È sempre allegra, mi fa felice averla intorno e l’abbraccio anche se mi tocca. Lei può... 

Apro gli occhi, riposato. Rilassato. Non sono nel mio letto, oppure sì. Sono a casa, ho lei tra le braccia: sono a casa. È sveglia, con la testa appoggiata sulla mia spalla, e mi guarda sorridente: ha una strana espressione.

«Ciao» mi saluta.

«Ciao.» So che cosa stava facendo, ma glielo chiedo ugualmente: «Cosa stai facendo?»

«Ti sto guardando» e fa scorrere il dito sulla peluria del mio addome. – STOP! –  Le afferro la mano, stringo gli occhi, le sorrido, sereno. Poi le salgo sopra e le chiudo le mani nelle mie, mi sfrego su di lei e la inchiodo al materasso. Strofino il suo nasino con il mio. «Credo che tu stia combinando qualcosa, Miss Steele» le chiedo e  sorrido.

«Mi piace combinare qualcosa, quando ti sono vicina.»

«Davvero?»  La bacio. – Uhmm! – «Sesso o colazione?» – Sesso “a” colazione, sarebbe più corretto dire – perché sono già entrato dentro di lei con un movimento fluido, anche senza preservativo. – Ci penserò dopo... devo averne ancora uno o due sotto il cuscino... –

«Ottima scelta» mormoro contro il suo collo, quando sento che allarga bene le gambe e mi accoglie agitando il bacino. – Ecco un altro vantaggio di dormire con te, Miss Steele,  soddisfazione immediata dopo una notte senza sogni... beh, almeno per me... ma ora non voglio pensarci... –

 

Mi devo vestire. Ana è in piedi davanti al cassettone. Si pettina guardandosi allo specchio attraverso cui mi scruta accigliata.

«Quanto spesso ti alleni?» mi chiede mentre mi osserva.

«Ogni giorno feriale» le dico e mi tiro su la cerniera dei jeans. –  Non puoi immaginare quanto piacere mi faccia la tua domanda, piccola. –

«Che cosa fai?» Sembra sempre più preoccupata. Sta pensando alle Regole. E anche io.

«Corsa, pesi, kick boxing.» Mi stringo nelle spalle.

«Kick boxing?»

«Sì, ho un personal trainer, un ex campione che mi insegna. Si chiama Claude. È molto bravo. Ti piacerebbe.»

Si volta e mi guarda con gli occhi sbarrati. «Che cosa vuoi dire

«Che ti piacerebbe come personal trainer

«Perché avrei bisogno di un personal trainer? Ho già te per tenermi in forma» obbietta guardandomi diffidente.

L’abbraccio e incontro i suoi occhi nello specchio. Sono perfettamente conscio di avere uno sguardo perfido e trionfante, ma sono troppo felice della piega che hanno preso gli eventi, meglio, molto meglio di quanto avrei potuto sperare, perché ora so che cosa voglio e come ottenerlo. È tutto perfettamente chiaro e le spiego: «Ma io ti voglio in forma, piccola, per quello che ho in mente. Ho bisogno che tu stia al passo» le dico apertamente.

Arrossisce.  Sta pensando alla stanza dei giochi. Ha capito che non ho mollato la presa, ha capito che le Regole vanno rispettate. «Lo so che lo vuoi» le sussurro all’orecchio. –  E sarai tu a chiedermelo. Quando sarai pronta. –  Il suo sguardo, però si è incupito e, visto l’argomento delicato, m’incupisco anch’io. «Cosa c’è?» Sono vagamente preoccupato.

«NienteScuote la testa. «Okay, incontrerò Claude» mi concede.

«Davvero?» Un sorriso enorme invade il mio volto, lo vedo riflesso nello specchio. Ora sì, che sono soddisfatto, ha praticamente accettato tutte le mie Regole, ora so che andrà tutto per il meglio.

«Sì, accidenti. Se questo ti fa felice» dice in tono ironico.

L’abbraccio e la bacio. «Non sai quanto» sussurro. «Allora, che cosa ti piacerebbe fare oggi?» le domando, di ottimo umore.

«Vorrei andare a tagliarmi i capelli, e mmh… ho bisogno di depositare un assegno e comprare una macchina.»

«Ah» annuisco e medito. So che sto per innescare un’altra miccia,  mi frugo nella tasche e tiro fuori la chiave dell’Audi.

«È qui» mormoro. –  Ora esplode – lo so.

«Cosa significa che è qui?»

«Taylor l’ha riportata ieri.»

Apre la bocca, la richiude, mi fissa, poi infila anche lei la mano nella tasca dei jeans e tira fuori una busta che mi porge. «Ecco, questo è tuo» se ne esce.

Riconosco la busta dell’assegno e sollevo le mani. Era già qualche ora che non mi faceva incazzare, abbiamo superato il tempo limite. «Oh, no. Quello è il tuo denaro.»  Sono categorico.

«No, non lo è. Vorrei comprare la macchina da te.»

Furia. Furia ceca.

«No, Anastasia. I tuoi soldi, la tua macchina» ribatto.

«No, Christian. I miei soldi, la tua macchina. La comprerò da te.»

«Ti ho dato quella macchina come regalo di laurea.»

«Se mi avessi dato una penna, sarebbe stato un regalo di laurea opportuno. Invece mi hai dato un’Audi.»

«Vuoi davvero litigare su questa cosa?»

«No.»

«Bene. Eccoti le chiavi» e le appoggio sul cassettone.

«Non è quello che intendevo!»

«Fine della discussione, Anastasia. Non mi provocare.»

Non voglio litigare ma sto focalizzando ciò che sta facendo, sta stracciando un assegno da ventiquattromila dollari.

«Sei polemica, come sempre, Miss Steele» le dico secco.

– Inutile litigare: ti sistemo io! – Vado nel salone alla ricerca del BlackeBerry.

«Andrea? Un versamento urgente sul conto di Miss Anastasia Rose Steele. Sì, ventiquattromila dollari. Direttamente

È arrivata ad ascoltare, mi guarda stupita. «Bene… lunedì? Eccellente… No, è tutto, Andrea

Chiudo il telefono e mi rivolgo a lei: «Depositati sul tuo conto corrente lunedì. Non fare giochetti con me

«Ventiquattromila dollari!» urla. «E come fai a sapere il mio numero di conto?»

«So tutto di te, Anastasia» dico pacato, devo calmare la gatta furiosa che mi sta ruggendo davanti. Temo che sarà un’impresa.

«La mia macchina non valeva certo ventiquattromila dollari.»

«L’avrei detto anch’io, ma bisogna conoscere il mercato, quando si vende o si acquista. Qualche pazzo là fuori voleva quella trappola mortale ed era disposto a pagarla quella cifra enorme. A quanto pare è un classico. Chiedilo a Taylor, se non mi credi.» Ovviamente Taylor mentirà anche se è davvero riuscito ad ottenere la cifra record di settemilaquattrocentocinquanta dollari per quel catorcio, io gli avevo dato ordine di farlo rottamare, invece... Jason è un altro buon negoziatore.

Continua a guardarmi in cagnesco. Le lancio uno sguardo torvo e lui fa altrettanto con me: due pazzi testardi che si fissano in cagnesco.

E sento l’elettricità tra noi… è tangibile e ci attrae l’uno verso l’altra. Non resisto: lei mi sfida e io mi accendo, cresce prepotente la voglia di domarla. L’afferro e la spingo contro la porta, devo farle sentire chi comanda. Una parte di me ruggisce e riaffiora dal profondo, la mia bocca reclama famelica la sua. La devo toccare, la devo stringere: le afferro il sedere per premerla contro la mia erezione e uso l’atra mano per tirarle i capelli e spingerle il volto indietro. Lei mi tira i capelli, ormai sa bene che lo può fare e osa, osa sempre di più spingendosi al limite... e spingendo me, al limite. Le infilo la lingua in bocca, la bacio, la ribacio, lecco, sfondo. Ansimo nella sua bocca stordito dal desiderio.  La voglio: è così semplice. E mi eccito tanto di più quando mi sfida, quando non piega il capo e io piego lei. È trionfo. È giubilo. 

«Perché, perché mi sfidi?» le sputo in bocca la mia domanda.

«Perché posso» mi risponde tremante, sulle labbra.

Sì, lo so: tu puoi. Solo tu.

Poi premo la fronte sulla sua. «Dio, quanto vorrei prenderti adesso, ma ho finito i preservativi.» Forse ce n’è ancora uno, nascosto tra i cuscini oppure li ho usati tutti, stanotte, non so, non mi ricordo, ne avevo una voglia da morire. Non mi fermavo più e glielo dico, glielo dico che me la scoperei  all’infinito:  «Non sono mai sazio di te. Mi fai impazzire, letteralmente impazzire, donna

«E tu mi fai diventare matta» sussurra. «In tutti i sensi.»

Scuoto la testa. «Vieni. Andiamo a fare colazione fuori. E conosco un posto dove puoi tagliarti i capelli.»

«Okay» acconsente.

Sembra quasi obbediente. – Non vedo l’ora di portarti lì. –

 

«Questo lo prendo io.» Afferra il conto della colazione prima che lo faccia io.

La guardo torvo. Con lei, in qualcosa devo cedere.

«Devi essere veloce da queste parti, Grey

«Hai ragione, devo» scherzo, ma sono irritato che una donna paghi in mia presenza, figuriamoci lei.

«Non fare quella faccia. Sono più ricca di ventiquattromila dollari rispetto a stamattina. Mi posso permettere ventidue dollari e sessantasette centesimi di colazione

«Grazie» bofonchio. «Vuoi davvero tagliarti i capelli– A me, veramente, piacciono proprio così, lunghi e folti. – 

«Sì, guardali.»

«Per me sei adorabile. Come sempre.»

«C’è la festa di tuo padre stasera.»

«Me lo ricordo. È in abito da sera.»

È di nuovo nel panico.

«Dov’è?»

«A casa dei miei genitori. Hanno installato un tendone. Sai com’è.»

«A chi va la beneficenza

Mi sfrego le mani sulle cosce, a disagio. «A un programma di recupero dalla droga per genitori con figli piccoli. Si chiama Affrontiamolo Insieme.»

«Mi sembra una buona causa» dice, dolcemente.

«Vieni, andiamo.» Mi alzo, le prendo la mano.

“Affrontiamolo Insieme” è un’ottima causa, che sostengo anch’io in modo molto sostanzioso, ma, non so perché, parlarne con lei... - in verità parlarne con tutti, di queste cose -  mi mette in imbarazzo.

Usciamo, ci incamminiamo a piedi per le vie affollate del centro di Seattle. Tengo stretta la sua mano e la guido verso la mia meta: un’altra delle mie mete che sto per raggiungere, penso soddisfatto. 

«Dove stiamo andando?» mi domanda curiosa.

«Sorpresa» le dico.

Non credo che ami molto le sorprese, è sempre così impaziente. Per lo meno, non credo che amerà molto questa, di sorpresa.  Forse non è stata un’ottima idea, ma non mi va di separarmi da lei, neanche per lasciarla qualche ora dal parrucchiere. Poi, Elena è impegnata ad avviare il nuovo salone, non c’è di sicuro, posso stare tranquillo...

O forse no... –  Mi fermo davanti ad un grande salone di bellezza dall’aspetto elegante e noto la smorfia di Anastasia che solleva lo sguardo mentre legge l’insegna “Esclava”. 

  Ha il fiuto di un cane da caccia  mi dico notando il suo sguardo guardingo, mentre si guarda intorno e scruta l’interno del salone. «Buongiorno, Mr. Grey» dice vivace Greta, la biondina della reception, arrossisce come sempre e sbatte le palpebre. È l’effetto Grey. Tira su le spalle mostra il petto strizzato nella divisa bianca inamidata.

Ana è sempre più rigida.

«Ciao, Greta.» Saluto la ragazza, guardo di sottecchi Anastasia. È in caccia, sta fiutando.  

«Il solito, signore?» chiede lei gentile.

«No» rispondo pronto.

Lancio ad Ana un’occhiata nervosa. – Proprio il solito, no, altrimenti è facile che mi molli qua, in compagnia di Greta... per sempre.  –

Ha spalancato gli occhi: ha capito.

Sì, piccola! È la Regola numero sei, il maledetto salone di bellezza. A questo punto non sono per niente convinto che sia una buona idea, ma la tentazione è stata troppo forte. Sì, ha perfettamente capito che sto applicando le Regole di nascosto.

«Miss Steele ti dirà che cosa vuole» dico a Greta. Ana mi guarda furiosa.

Sì, ha capito. –  Controllo, piccola. Controllo. –

«Perché qui?» sibila infatti.

«Questo posto è mio, e per di più mi piace» spiego, innocente.

«È tuo?» esclama sorpresa.

«Sì. È un’attività extra.» Uso il mio tono professionale da CEO, ha sempre un certo effetto su di lei. «Comunque, qualsiasi cosa tu voglia, qui la puoi fare, offre la casa. Tutti i tipi di massaggio: svedese, shiatsu; pietre calde, riflessologia, bagni di alghe, trattamenti per il viso, tutta quella roba da donna tipo… tutto. Qui lo fanno.» Liquido la questione con un cenno della mano.

«Ceretta?» praticamente ruggisce. È proprio arrabbiata.

E io rido, non riesco più a trattenermi. «Sì, anche la ceretta. Dappertutto» sussurro con fare cospiratorio.

«Vorrei tagliarmi i capelli, per favore» dice rivolta a Greta, ignorandomi.

«Certo, Miss Steele.»

Greta è tutta efficienza teutonica mentre controlla il computer. «Franco è libero tra cinque minuti» dice.

«Franco è fantastico» la rassicuro.

Ed è l’unica cosa che vengo a fare qua dentro, farmi tagliare i capelli, oltre ad accompagnare le mie sottomesse, naturalmente. – Figuriamoci se mi faccio mettere le mani addosso! – penso e la coda del mio occhio viene attirata una figura familiare che sta sbucando dal retro.

So di essere sbiancato.

Elena.

Elena chiude una porta dietro di sé mentre parla con uno dei parrucchieri. Si volta e mi vede. “Ci” vede. Attraversa il salone per raggiungermi, oltrepassando quasi di corsa i parrucchieri, tutti rigorosamente vestiti di bianco e i lavoranti al lavaggio dei capelli.

«Scusami» bofonchio e la raggiungo prima che arrivi lei da noi, prima che arrivi da Ana. Prima che le si faccia sfuggire qualcosa che...

Ora sono certo che essere venuto qui non è stata una buona idea. 

«Christian» mi saluta sorpresa e felice, mi bacia su entrambe le guance e mi attira a sé afferrandomi per gli avambracci. «Che fai qui oggi?»

«Che fai tu qui, credevo fossi al un nuovo salone, al Bravern» domando io.

«Rhoda è malata, serviva qualcuno qua, sai... di sabato. Ma tu come stai? Ero preoccupata. Sabato scorso mi hai mandato quei messaggi, ti ho chiamato, richiamato e poi al club, lunedì, io credevo... stai bene? Non ti sei più fatto sentire» mi chiede, sembra preoccupata, allunga una mano, mi massaggia il braccio come per confortarmi e si morde il labbro. «E lei, vero? È molto giovane» constata. «È molto bella, acqua e sapone» dice. La guarda, la scruta e le sorride. Un sorriso smagliante, quello che sfoggia nelle grandi occasioni.

Noto che Ana le risponde con un sorriso incerto.

Ora sono certo di essermi messo nei guai.

«Così è tornata.» continua Elena. Mi sta parlando ma sta guardando lei, non le ha tolto gli occhi di dosso. «Non si è fatta sfuggire la sua occasione, la ragazzina. Continuo a pensare che porti solo guai, non è dell’ambiente. Stai attento, a lei.»

«Credimi, sto attentissimo.» Non mi va di dare spiegazioni, voglio solo accertarmi che stia lontana da Ana.

«Sei qui per il trattamento completo? Ha ceduto? Ha firmato?»

«Veramente cercavamo Franco, per stasera» le spiego.

«Stasera? Dai tuoi?» Sembra scioccata. 

«Sì, qualcosa in contrario?»

«No, figurati, solo è... sì, insomma... è strano che tu... beh, intanto io non ci sarò. Questa sera finiremo tardi. Ho telefonato a tua madre. Ho offerto alcuni pacchetti benessere per l’asta di stasera, se per te va bene.»

«Certo, figurati. Non devi chiederlo a me.»

Noi due parliamo. Anastasia ci osserva come incantata.

«Così sei sicuro, caro? Per me stai facendo un grosso errore, ora posso dirtelo, dopo sabato, dopo che ho visto come stavi, ti conosco da sempre e non voglio mai più vederti in quello stato. Ti ha già piantato in asso una volta...»

«Non sono problemi tuoi, Elena» la interrompo. «Credo di sapermela cavare anche da solo, comunque grazie» e le sorrido gentilmente.

«Io adesso ti devo lasciare, il lavoro mi chiama» mi dice. Sa che l’ho tagliata e vuole uscirne da primadonna, come sempre. «Allora buona fortuna, ne avrai bisogno» mi saluta ed emette una risata gutturale. Mi bacia, intanto io osservo Anastasia che confabula con Greta, alla reception.

Elena scompare di nuovo nel retro richiudendo la porta dietro di sé.

 Faccio un bel respiro e torno da Anastasia, ferma in piedi che mi sta guardando con quei due immensi fari spalancatati che hanno appena inquadrato... Mrs. Robinson.

CAPITOLO 7

Raggiungo Ana al bancone.

Non le sfugge nulla. E io so di essere nei guai.

La guardo accigliato. «Stai bene?» le chiedo, diffidente.

«Veramente no. Perché non mi hai presentata?» La sua voce è fredda, dura.

«Ma io pensavo…» dico a bocca aperta. Ora sono io ad essere alla corde e mi ci sono messo da solo.

«Per essere un uomo intelligente, a volte…» le mancano le parole. «Vorrei andarmene, per favore» chiede.

«Perché?»

«Lo sai perché.» Alza gli occhi al cielo.

La fisso, il mio sguardo brucia. Mi fa sempre lo stesso effetto: quando alza gli occhi al cielo m’incazzo. E mi rendo conto di non saperne proprio niente di dinamiche di coppia. Non le ho mai capite, nei libri, nei film...

Perché preoccuparsi per incontri imbarazzanti, scenate o roba simile?  Una sottomessa non si permetterebbe mai questo tipo di confidenza. Una sottomessa non ha questo tipo di gelosie, rancori e sentimenti.

Oppure non li manifesta – mi dice una vocetta molesta. – Tengono tutto dentro e poi il tutto erutta in uno sfogo di pazzia, proprio come Leila che sta usando la follia per cercare di domarmi. Ha sempre provato ad usare la dominazione dal basso per farmi fare ciò che voleva, i suoi comportamenti provocatori nell’ultimo periodo, i suoi quadri, l’organizzazione di quella specie di mostra... le canzoni sull’iPod–  rifletto pensando a Leila.

Leila, al momento, anche se non lo vorrei, è un mio pensiero costante. Ed è un’illuminazione: ecco qui le sue ingerenze proprio ora che ha capito che c’è qualcosa di diverso nella mia vita, proprio come Elena, che mi compare davanti nei momenti meno opportuni. 

«Mi dispiace, Ana. Non sapevo che lei fosse qui. Non c’è mai. Sta aprendo un nuovo salone al Bravern Center, ed è lì che va di solito. Ma oggi qui c’è qualcuno malato» mi giustifico con Anastasia. Con lei devo imparare in fretta questi nuovi meccanismi altrimenti sono solo discussioni sterili, visto che non posso punirla.

Per tutta risposta lei volta le spalle e si dirige alla porta.

«Non avremo bisogno di Franco, Greta» mi giustifico con la receptionist e la saluto con un cenno del capo prima di lanciarmi all’inseguimento della mia monade impazzita. – Non faccio altro che giustificarmi, cazzo! Io! – penso stizzito.

Le cammino accanto, in silenzio, lungo il viale della Second Avenue. Non tento di toccarla, credo sia la cosa più saggia. Sta quasi correndo, si stringe le braccia al petto come se le avessi appena dato dei pugni nello stomaco. Forse è così. Mi sento in colpa.

–  Questo cazzo di sentimento: mai avuto sensi di colpa in vita mia, mai saputo cosa fossero, prima di te. Invece, adesso... non basti tu, ci si mette anche Leila, ci si mette. –

«Portavi lì le tue Sottomesse?» mi chiede a bruciapelo.

«Qualcuna sì» le rispondo piano, il tono pacato. Meglio andarci cauti, è proprio incazzata. E ferita. È un animale ferito di cui non si possono prevedere le reazioni.

Io, veramente, le sue reazioni, non riesco a prevederle mai –  penso disorientato.

«Leila?» domanda.

«Sì.»

«Il posto sembra nuovo.»

«È stato ristrutturato recentemente.»

«Ah, ecco. Quindi Mrs. Robinson ha conosciuto tutte le tue Sottomesse.»

«Sì.»

«E loro sapevano di lei?»

«No. Nessuna di loro. Solo tu.»

«Ma io non sono una tua sottomessa.»

«No, chiaramente no

Si ferma e mi guarda. Ora sono davvero in apprensione.

E se mi molla? Per questa cazzata? –  Grey, sei davvero un coglione  – mi  dico. –  Ma che cosa accidenti ne so di queste cose, io??!? –  Stringo forte le labbra.

«Capisci che gran casino è questo?» Mi fissa.

No.

Davvero non lo capisco, ma che cosa le rispondo?

«Sì. Mi dispiace.» Cerco di sembrare mortificato. Sono mortificato.

«Voglio tagliarmi i capelli, preferibilmente in un posto dove tu non ti sia scopato lo staff o la clientela.» Sussulto.

«Ora, se vuoi scusarmi…»

Adesso sono nel panico. «Non stai scappando, vero?» le chiedo.

«No, voglio solo tagliarmi questi dannatissimi capelli. Da qualche parte dove io possa chiudere gli occhi, mentre qualcuno mi lava la testa, e dimenticarmi tutto il fardello che ti porti sempre dietro.»

Mi passo una mano tra i capelli. «Farò venire Franco nel mio appartamento, o nel tuo» dico, pacato. Non esiste proprio  che ti lasci da sola adesso. Neppure un momento.

«È una donna molto attraente

«Sì, lo è.»

«È ancora sposata?»

«No. Ha divorziato cinque anni fa.»

«Perché non sei con lei?»

«Perché tra noi è finita. Te l’ho detto.»

Mi vibra il BlackBerry. Rispondo. È Welch.

Ascolto il suo breve e dettagliato rapporto. Leila ha lasciato il marito tre mesi fa perché è fuggita con un altro, che è... «...morto in un incidente d’auto? Quando?» ripeto a voce alta. Troppo alta. 

Welch mi spiega brevemente dinamiche e tempi. Poi accenna al marito di Leila. «È la seconda volta che quel bastardo non è disponibile. Deve saperlo. Non prova proprio nessun sentimento per lei?» scuoto la testa disgustato. «Tutto questo inizia ad avere un senso… no» dico a Welch e a me stesso.

Adesso ho  capito perché Leila è andata fuori di testa.

Ma dov’è? «… spiega perché, ma non dove» dico al cellulare e mi guardo intorno a cercare Leila, come se lei fosse qui nei dintorni e ci stesse seguendo.

Ana fa lo stesso, mi guarda e poi guarda intorno a sé, ma non capisce, però è questione di tempo, perché sta già facendo tutte le sue congetture, rumina, e arriverà presto alla verità. È davvero molto intelligente, dandomi l’ennesima conferma che i suoi voti e i risultati dei suoi test sono più che meritati.

«Lei è qui» spiego a Welch, ma sto ammonendo me stesso, perché non dovrei proprio farmi sentire dall’“agente della CIA in gonnella”, qua vicino a me. Ma lei ha già capito. «Ci sta guardando… sì,» Welch mi dice che concorderà con Taylor il nuovo piano per la sicurezza, «… no. Due o quattro, ventiquattr’ore su ventiquattro,» le metteranno una scorta alle calcagna, «sette giorni su sette… Non ho ancora affrontato l’argomento.» La guardo, so che diventerà furiosa.

E poi Welch lancia la sua bomba e mi dice che Leila ha ottenuto la licenza per acquistare una pistola. «Cosa…?» gemo e impallidisco, il terrore mi sta mangiando le viscere: è pura paura, paura che possa accadere qualcosa a causa mia... a Ana.

Io detesto le pistole, tutte le armi. – Mi guardo intorno, perché so che lei è qua fuori, da qualche parte, so che è una minaccia reale, per sé e per gli altri... per Anastasia. L’ha già trovata. A causa mia.

«Capisco» dico al telefono. «Quando?… Così recente? Ma come?…nessuna ricerca sul territorio?… okay. Mandami una mail con il nome, l’indirizzo e le foto, se le hai…» ...cambiamo argomento, parliamo della sorveglianza, «...ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette, da oggi pomeriggio. Tieniti in contatto con Taylor

Riaggancio e metto via il telefono.

«Allora?» chiede esasperata.   

«Era Welch.»

«Chi è Welch?»

«Il mio consulente per la sicurezza.»

«Ah. E cos’è successo?»

«Leila ha lasciato il marito circa tre mesi fa ed è scappata con un tizio, che è morto in un incidente stradale quattro settimane fa.»

«Oh.»

«Quel coglione di strizzacervelli avrebbe dovuto scoprirlo» dico rabbioso. «Una seccatura, ecco cos’è. Vieni.» Le prendo la mano. Ora più che mai non posso lasciarla andare, ma lei strappa via le dita dalla mia stretta.

«Aspetta un attimo. Eravamo nel mezzo di una discussione su di noi. Su di lei, la tua Mrs. Robinson.» E’ davvero incazzata.

«Non è la mia Mrs. Robinson. Possiamo parlarne nel mio appartamento

«Non voglio venire nel tuo appartamento. Voglio tagliarmi i capelligrida.

Tu vieni a casa mia ora, senza discussioni! –  Prendo il cellulare e chiamo l’Esclava. «Greta, Christian Grey. Voglio Franco nel mio appartamento tra un’ora. Chiedi a Mrs. Lincoln… Bene.»

Rimetto via il telefono. «Arriva subito.»

«Christian…!» esclama, esasperata.

«Anastasia, è chiaro che Leila ha un esaurimento nervoso. Non so se sia a me o a te che sta dietro, o quanto oltre è disposta a spingersi. Adesso andremo a casa tua, e tu prenderai le tue cose. Potrai stare da me finché non l’avremo rintracciata.»

«Perché dovrei voler fare una cosa del genere?»

«Perché così potrò proteggerti.»

«Ma…»

La guardo severo. «Verrai a stare da me, a costo di trascinartici per i capelli.»

Mi fissa a bocca aperta… Devo chiamare l’ortopedico, oltre la parrucchiere, per la mascella.

«Penso che tu stia esagerando» dice poi.

«No. Possiamo continuare la discussione nel mio appartamento. Vieni.»

Incrocia le braccia sul petto e mi guarda torva.

«No» dichiara testarda. Si è impuntata. «Puoi camminare, oppure posso caricarti in spalla. Scegli tu, Anastasia.»

«Non oseresti.» Mi guarda con uno sguardo... uno sguardo... sì, uno sguardo da Mistress.

– A me! Lei, a me!

Mi viene quasi da ridere, ma non rido: – Oserò, eccome! Guarda come ti sistemo.–  «Oh, piccola, sappiamo entrambi che se lanci il guanto della sfida, io sarò più che felice di raccoglierlo.» In un attimo me la sono caricata in spalla. Pesa quanto una piuma.

«Mettimi giù!» strilla. Le tengo strette le gambe dietro le ginocchia con un braccio e ho una mano libera per darle una portentosa pacca sul sedere. –  Ah, come mi fa star bene!

«Christian!» urla. La gente ci fissa.  – Grida, grida. Grida pure. –

«Cammino! Cammino!» mi implora.

La metto giù e lei scappa in direzione di casa sua.

 Ora ti acchiappo!

Vorrei caricarmela di nuovo in spalla ma evito perché è furiosa, ha lo stesso sguardo di sabato scorso, quando mi ha lasciato.

E sta pensando.

Chissà che cosa sta macinando in quella testolina.

Poi si ferma di botto, mi scruta. Mi fermo con lei.

«Cos’è successo?» chiede.

Aggrotto le sopracciglia. «Cosa intendi?»

«Con Leila.»

«Te l’ho detto.»

«No, non l’hai fatto. C’è qualcos’altro. Ieri non insistevi perché venissi a stare da te. Perciò, cos’è successo

–  Caaazzo, Ana, non ti si può nascondere niente! – Sono a disagio.

«Christian! Dimmelo!» grida, m’incalza.

«Ieri è riuscita a ottenere il permesso di circolare con un’arma» confesso. Vuoto il sacco, intanto è inevitabile.

Sbianca. «Significa solo che può comprare una pistola» mormora.

«Ana» dico preoccupato. Le metto  le mani sulle spalle e l’attiro a me. La voglio vicina. «Non penso che farà una sciocchezza, ma… è solo che non voglio correre questo rischio con te

«Non con me… E tu?» dice sottovoce.

Mi abbraccia, è preoccupata per me? Lei? Per me? – Oh, tesoro... –

«Torniamo a casa» le dico piano.

 

L’accompagno a casa sua per prendere le sue cose. La osservo mentre prepara una piccola valigia e mette nello zaino l’iPad e Charlie Tango.

«Viene anche Charlie Tango le domando stupito.

Annuisce.

Io sorrido.

«Ethan torna giovedì» borbotta.

«Ethan?»  Chi diavolo è Ethan?

«Il fratello di Kate» mi spiega. «Starà qui finché non troverà un altro appartamento a Seattle

Dirmelo: noho? È una cosa superflua? –  Sono fottutamente geloso, ma dico: «È un bene che tu venga a stare da me, allora. Così lui avrà più spazio» ostento indifferenza.

«Non so se ha le chiavi. Dovrò tornare qui.»

– Ora sbotto. Tu. Qui. Con quello. Non ci torni! –

«È tutto» mi comunica.

Prendo la sua valigia e andiamo al parcheggio. Le apro la portiera del passeggero dell’Audi. Aspetto che salga ma lei mi guarda e non si muove.

«Vuoi entrare?» le chiedo allora.

«Pensavo che avrei guidato io.»

«No, guido io.»

«C’è qualcosa che non va nella mia guida? Non dirmi che conosci il punteggio del mio esame per la patente… Non mi sorprenderebbe, viste le tue tendenze da stalker.»

– Lingua biforcuta! – «Entra in macchina, Anastasia» taglio corto, stizzito.

«Okay.» Sale.

M’infilo nel traffico.

«Le tue Sottomesse erano tutte castane?» mi chiede dopo un po’.

«Sì» borbotto. – Dove vuole andare a parare ora? –

«Me lo stavo solo domandando.»

«Te l’ho detto. Preferisco le brune.»

«Mrs. Robinson non è bruna.»

«Probabilmente è questo il motivo» ringhio. «Mi ha fatto perdere l’interesse per le bionde.»

«Stai scherzando» esclama.

«Sì, sto scherzando» replico, esasperato.

Per un po’ tace. Che pace! Ma so che è solo una tregua.  

Scuote la testa.

Ecco che ricomincia. –  

«Parlami di lei

«Che cosa vuoi sapere

«Parlami del vostro accordo commerciale.»

Mi rilassa visibilmente parlare di lavoro, ma so che sta solo partendo da lontano.

«Sono un socio accomandante. Non ho un interesse particolare per il business della bellezza, ma lei ne ha fatto un’impresa di successo. Io mi sono limitato a metterci i soldi per aiutarla a iniziare.»

«Perché?»

L’ho voluta? Bene! Questa è la gogna sotto cui devo passare. Li ho messi in conto, i suoi interrogatori: sono il rovescio della medaglia – e rispondo: «Glielo dovevo.»

«Oh!»

«Quando mi sono ritirato da Harvard, lei mi ha prestato centomila dollari per iniziare l’attività.»

«Ti sei ritirato dall’università?»

«Non faceva per me. Ho fatto due anni. Sfortunatamente, i miei genitori non sono stati così comprensivi.» – Questa è una notizia di dominio pubblico, Anastasia: non ti sei informata su di me? Io, invece conosco anche il tuo numero di scarpe. –

«Non mi sembra che tu abbia fatto poi tanto male a lasciare. Che cosa studiavi?»

«Politica ed economia.»

«E così lei è ricca?» mormora.

Lo è diventata. «Era un’annoiata moglie trofeo, Anastasia. Suo marito era facoltoso, un magnate del legno. Non le permetteva di lavorare, la controllava sempre. Alcuni uomini sono così.» La guardo, mi esce un ghigno perfido.

Penso a Linc. Mi sorprendo ad ammettere di avere molto in comune con lui. Troppo. La guardo di traverso.

«Davvero? Un uomo che vuole controllare tutto! È di sicuro una creatura mitologica!» Non potrebbe essere più sarcastica. Il mio ghigno si fa più ampio.

«Ti ha prestato il denaro di suo marito?» chiede.

Annuisco con un sorrisetto malizioso.

«È terribile

«Lui si è rifatto» dico cupo, mentre entro nel garage sotterraneo dell’Escala.

«Come?» chiede.

Scuoto la testa. Stop!

Il ricordo di Elena nel letto dell’ospedale mi ricompare davanti agli occhi.

Parcheggio accanto al SUV Audi. «Vieni. Franco sarà qui a momenti

 

«Sei ancora arrabbiata con me?» le chiedo con nonchalance in ascensore. 

«Molto

Annuisco. «Okay» e guardo avanti.

Quando arriviamo nell’atrio, Taylor ci sta aspettando e le prende la borsa.

«Welch si è messo in contatto con te?» gli chiedo.

«Sì, signore

«E?»

«È tutto pronto.»

«Ottimo. Come sta tua figlia?»

«Bene, grazie, signore.»

«Perfetto. Tra poco arriverà un parrucchiere. Franco De Luca.»

«Miss Steele» Taylor fa un cenno di saluto con la testa a Ana.

«Salve, Taylor. Ha una figlia?»

«Sì, signora.»

«Quanti anni ha?»

«Sette.»

Allora? Fai il terzo grado anche a Jason, ora? – Eh già, lei non investiga, non fa ricerche per raccogliere informazioni: va direttamente alla fonte.

«Vive con sua madre» chiarisce Taylor.

«Oh, capisco

Taylor le sorride. Piace pure a lui. E anche lui vuota il sacco, noto.

«Hai fame?» le chiedo. Mi sembro mia madre, anche lei mi chiede sempre se ho mangiato.

Ana scuote la testa.

–  E figuriamoci!La guardo per una attimo, decido di non litigare.

«Devo fare qualche telefonata. Fa’ come se fossi a casa tua» dico invece.

«Okay» mi risponde incerta.

 

Chiamo Welch per aggiornamenti e delucidazioni sulla scorta, Taylor ha già preso in mano la situazione. Ha già scelto gli uomini. Francamente non so come abbia fatto, ma l’ho assunto perché ha sempre un asso nella manica. Come tutti i miei uomini di vertice. Scelgo sempre il meglio.

A proposito, chissà dov’è finita Miss Steele?

Suonano al citofono, Jason dà le indicazioni al visitatore: è Franco.

La cerco.

Do un’occhiata nel salone: niente.

La sala TV è vuota, desolata.

Provo nella mia camera. Non è neanche lì. Controllo i bagni.

La biblioteca!

È il posto giusto per lei. No, non credo che ne conosca neppure l’esistenza.

Comincio ad essere preoccupato.

Salgo le scale, la stanza dei giochi è chiusa. Ovvio.

Apro la porta della sua stanza. Il deserto.

Il sangue affluisce al cervello tutto insieme. Ho paura.

Se ne è andata! – è il mio primo pensiero. –  È furiosa con me e tuti i miei casini e se ne è andata. – Il nodo nero che ho al centro del petto mi è salito in gola, strozzandomi. Il sangue è affluito alla fronte. È proprio paura, terrore di sprofondare ancora nell’oceano di dolore di questi giorni.

«Cosa?!» la sua voce allarmata mi arriva attutita, da lontano, e mi blocco sulla porta.

Stavo per tornare giù e cominciare con Taylor le ricerche, faccio dietro front e la cerco nell’armadio.

«Eccoti. Pensavo che fossi scappata.» Non riesco a trattenere un sospiro di sollievo. Lei è seduta per terra a gambe incrociate, come una bambina. Alza la mano per indicarmi che è al telefono. «Scusa, mamma. Devo andare. Ti richiamo presto.»

– Ah, sta parlando con sua madre – mi dico, sollevato.

«Anch’io ti voglio bene, mamma.»

Riaggancia e mi guarda.

«Perché ti stai nascondendo qui dentro?» le chiedo.

«Non mi sto nascondendo. Mi sto disperando.»

«Disperando?»

«Per tutto questo, Christian.» Mi indica i vestiti.

Una donna che si dispera davanti ad un armadio pieno di vestiti nuovi firmati: questa sì che è una creatura mitologica.

«Posso entrare?» le domando incerto.

«È la tua cabina armadio.»

Devo proprio mettermi in testa di non farmi prendere dalla rabbia per ogni più piccola cazzata: con lei non funziona così. –  Aggrotto la fronte e mi siedo incrociando le gambe, davanti a lei, come lei.

«Sono solo vestiti. Se non ti piacciono, li riporterò indietro» dico pacato.

«Sei un peso considerevole da sopportare, lo sai?»

Mi gratto il mento…  – Lo so? – mi domando.

No. Io. Non. Lo. SO! – mi rispondo. – Non capisco. Io non capisco perché. Perché ti è così difficile accettare di essere trattata da regina? Da regina poi... sono solo quattro vestiti, un auto ed un computer. Sono solo noccioline , Anastasia! Come fai a non capire? –

Devo usare la stessa tattica di prima, mi sembra che abbia funzionato. Adattabilità e repentini cambi di strategia sono indispensabili per la buona riuscita di un business un po’ ostico: sono pur sempre Christian Grey e so come si tratta un affare.

Così bofonchio: «Lo so. Sono insopportabile.»

«Sì, davvero.»

 Ah, sarei insopportabile? Io? –«Come te, Miss Steele» aggiungo. – Anche tu sei proprio insopportabile, signorina. Non riesco proprio a sopportare quel tuo... non sopporto la tua... non sopporto il fatto che... Io non sopporto di starti lontano! Cazzo!

«Perché fai tutto questo?»

Ecco, ci risiamo. Un’altra discussione. Ma non puoi prendere senza fare questioni? Poi mi domandi perché voglio una sottomessa, ma chi diavolo me lo fa fare, a me!, di stare qui a discutere? –

«Lo sai il perché» le dico.

«No, non lo so

Ovvio, non lo sa. «Sei una donna frustrante» le dico. Non sono proprio sicuro di sapere di cosa stiamo parlando. Di vestiti? Di regali? Di discussioni? Di sottomissione?

«Potresti avere una bella bruna sottomessa.» Ah, stiamo parlando di sottomissione. È già qualcosa. – «Una che dice: “Quanto in alto?” ogni volta che tu le chiedi di saltare,» mi spiega, «sempre, ovviamente, che abbia il permesso di parlare. Allora perché io, Christian? Non riesco a capire.»

La guardo. Me la sto guardando tutta. Non saprei che dire, che cosa le dico: che mi è mancata come l’aria? Che sto bene con lei? Quanta indecisione, quanti pensieri per una semplice risposta.

–  Meglio, ma molto meglio, con una sottomessa che neppure si sogna di chiederti qualcosa, a meno che non si a pronta ad essere educata. Che le dico?

«Mi hai fatto vedere il mondo in modo diverso, Anastasia.» Ed è la prima cosa che mi viene in mente. Ma vera. Io SO che non le interessano i miei soldi, come SO che lei è solo mia. LO SO. Lo so perché non sono il primo coglione che passa per la strada e ho costruito un impero fidandomi del mio giudizio sugli eventi e sulle persone. «Tu non mi vuoi per i miei soldi» e sei la prima. E unica. Una creatura mitologica. «Tu mi hai dato...speranza» le confesso.

«Speranza per cosa?»

Mi stringo nelle spalle. «Di più» dico solo, tranquillamente.  – Io, da te, voglio di più. –  «E hai ragione: sono abituato al fatto che le donne facciano esattamente quello che dico e quando lo dico, e facciano sempre quello che voglio. Si invecchia in fretta. C’è qualcosa in te, Anastasia, che mi attrae a un livello profondo, che non riesco a capire. È il canto di una sirena» che è una creatura mitologica. «Non posso resisterti, e non voglio perderti.» Le prendo la mano. «Non scappare, ti prego. Abbi un po’ di fiducia in me e un po’ di pazienza. Per favore.»

Lei si mette in ginocchio e si protende per baciarmi sulle labbra.

«Okay. Fiducia e pazienza, posso sopportarlo» mi sussurra sulle labbra. Fa la spiritosa.

«Bene. Perché Franco è qui.» – Io sono più spiritoso di te, signorina. –  

E tronco l’annoso discorso.

 

L’ho lasciata nelle abili mani Franco. Ne approfitto per controllare un’ultima volta i tabulati per l’incontro di lunedì.

Speriamo che non li tagli corti. Se fosse una sottomessa sarei io a decidere come deve portarli.

–  Adoro i suoi capelli, mi piacciono così come sono. –  Ammetto che sono lievemente preoccupato.

Sento dei rumori, alzo gli occhi dai miei fogli di calcolo. Sorrido sollevato: è stupenda.

«Vedi? Te lo dicevo, gli piace» dice Franco, entusiasta.

«Sei adorabile, Ana» dico sincero.

«Il mio lavoro è finito» esclama Franco.

Mi alzo per accompagnarlo.

«Grazie, Franco.» Ana lo ringrazia e lui la stringe in un abbraccio travolgente e la bacia. Se non sapessi che è gay lo avrei già buttato fuori a calci.

«Non lasciare mai che nessun altro ti tagli i capelli, bellissima Ana

Lei ride.

–  Ma è questo l’effetto che fa a tutti? – mi domando mentre scorto Franco all’ascensore.

«Sono contento che tu li abbia tenuti lunghi» dico poi, sollevato. Le prendo una ciocca tra le dita. «Sono così morbidi» mormoro e la studio. «Sei ancora arrabbiata con me?»

Annuisce. Io le sorrido.

Vorrei dirle: – Non essere arrabbiata con me. – Poi penso che io, invece, sono sempre arrabbiato.

«Per quale motivo di preciso sei arrabbiata con me?» le domando. Non capisco. Mi sforzo ma non riesco a capire che cosa io abbia fatto di così grave.

Alza gli occhi al soffitto.  – Ecco! Allora è lei che vuole farmi incazzare! 

«Vuoi l’elenco?» chiede.

«C’è un elenco?» –  Addirittura! –  

Lei annuisce vigorosamente.

«Ne possiamo discutere a letto?» Ci provo. So che è una vana speranza.

«No.» Mi fa il broncio come una bambina. È carina da morire, quando fa il broncio.

«A pranzo, allora. Sono affamato, e non solo di cibo.» Credo di essere riuscito a dirle tutto quello che le farò dopo pranzo con un unico, famelico sguardo.

«Non mi lascerò abbindolare dalle tue abilità sessuali» mi risponde pronta. – Abilità sessuali? Non hai ancora visto niente, Miss Steele!Trattengo un inopportuno sorriso. «Che cosa ti dà fastidio nello specifico, Miss Steele? Sputa il rospo

Sarà meglio chiederglielo, che cosa la fa arrabbiare, così posso orientarmi, perché capire che cosa passa per la sua testolina pettinata di fresco è una delle cose che proprio non so fare.

«Cosa mi dà fastidio? Be’, la tua clamorosa invasione della mia privacy e il fatto che mi porti nel salone di bellezza dove lavora la tua ex Padrona e dove portavi tutte le tue amanti...» distolgo per un attimo l’attenzione dalle sue parole e mi dico:– Amanti? Quali amanti? Io non ho mai avuto amanti: sottomesse, non amanti – «...per farsi fare la ceretta; inoltre mi hai maltrattata per la strada, come se avessi sei anni. E, soprattutto, hai lasciato che la tua Mrs. Robinson ti toccasse!» quasi urla. Questo fatto la  fa incazzare più di tutto. Devo tenerne conto.

«È un bell’elenco» dico, pensoso. «Ma, giusto per chiarire un punto: lei non è la mia Mrs. Robinson.»

«Può toccarti» ripete.

«Sa dove farlo.»

«Che cosa significa?»

Mi passo entrambe le mani tra i capelli e chiudo gli occhi un istante e mi ritrovo nel sogno, sdraiato sul letto della stanza rossa con lei che mi tocca e mi bacia. È terrore. Terrore, piacere e desiderio miscelati in un cocktail micidiale che può mettermi a k.o. e annientarmi.

Di sicuro perderei il controllo.

«Tu e io non abbiamo regole» le spiego. «Non ho mai avuto una relazione senza regole, e non so mai dove mi toccherai. Mi rende nervoso. Il tuo tocco completamente…» mi fermo, cerco le parole.

Lo sapevo, lo sapevo! Sapevo che saremmo finiti a discutere di questo. So perfettamente che quello stramaledetto sogno significa questo: lei vuole toccarmi. Io no. Cioè... sì... io vorrei la sua bocca su di me... –  Il solo pensiero di essere sfiorato dalle sue labbra,  dalle sue dita, dal suo corpo che mi accarezza, mi accende come la fiamma di un mangiatore di fuoco, ma è proprio come fuoco, per me, e so che mia reazione infrangerebbe il mio più recente limite assoluto: farle del male. Davvero lo vorrei... «È solo che significa di più… così tanto di più» cerco di spiegarle che non sono pronto. Non ce la faccio. Non posso.

Cerca di capirmi, Ana –  le chiedo con gli occhi.

Lei allunga in braccio, mi tiro indietro e lei, delusa, lo lascia ricadere.

«Limiti assoluti» le ricordo.

«Come ti sentiresti se non potessi toccarmi?» mi domanda.

«Devastato e defraudato» rispondo senza esitazione. Così mi sono sentito quando ha stretto le cosce, a casa dei miei. E poi l’ho scopata nel capanno, per punirla. La punirei per avermi negato ciò che mi appartiene perché lei è mia, senza discussioni. In un modo o nell’altro la punirò se si negherà a me perché lei mi appartiene: non l’ho contrattualizzata e tantomeno l’ho comperata  e per questo mi appartiene ancor di più.

Scuote la testa e mi sorride. Mi rilasso.

«Un giorno devi dirmi esattamente perché c’è questo limite assoluto, per favore.»

«Un giorno» dico piano e glielo devo. Almeno questo.

«Allora, il resto del tuo elenco. Invasione della privacy…» riprende.

Ah, non è finita!«Perché conosco il tuo numero di conto corrente?»

«Sì, è inammissibile.»

«Faccio ricerche sulla vita privata di tutte le mie sottomesse. Ti farò vedere.»

Mi dirigo nel mio studio, lei mi segue.

Non ha menzionato la SIP, questa deve esserle passata – noto.

Nello studio apro lo schedario, estraggo un file e glielo porgo.

Mi stringo nelle spalle, come per scusarmi. «Puoi tenerla» le dico. Intanto lo conosco a memoria.

«Be’, accidenti, grazie» replica seccamente. E legge.

Posso vedere la rabbia riaffiorare sul suo viso. Alza gli occhi dalla cartella e mi guarda fisso. «Perciò sapevi che lavoravo da Clayton?»

«Sì.»

«Non è stata una coincidenza. Non sei capitato lì per caso, vero?»

«No.» Mi esce un ghigno perverso. No, Anastasia, non sono capitato lì per caso. Non c’eri ancora arrivata? Non ti sembra un tantino assurdo che il CEO di un’azienda come la GEH entri in un ferramenta di periferia per acquistare materiale da bricolage a centottanta chilometri da casa? Mi stupisce, vista la tua intelligenza, ma forse ti ho ingannata con le fascette stringicavo, indispensabili nel kit da viaggio del perfetto dominatore. –

«Questa è una stronzata. Lo sai, vero

Uhmm... no.

«Io non la vedo in questo modo. Con quello che faccio, devo essere cauto.» Non è per niente una stronzata.

«Ma queste sono cose private

«Non faccio mai un uso improprio delle informazioni. Sono dati che tutti possono ottenere se si applicano un po’, Anastasia. Per avere il controllo, ho bisogno di informazioni. È così che ho sempre fatto.»

«Tu fai un uso improprio delle informazioni. Hai depositato ventiquattromila dollari che non volevo sul mio conto.»

«Te l’ho detto. È quanto Taylor ha ricavato dalla tua macchina. È incredibile, lo so, ma è così

«Ma l’Audi…»

«Anastasia, hai idea di quanti soldi guadagno?»

Arrossisce.

Ovviamente no. Non si è mai informata su di me.

«Perché dovrei? Non ho bisogno di sapere il saldo del tuo conto corrente, Christian

Mi si allarga il cuore. «Lo so. È una delle cose che amo di te» dico di getto. «Anastasia, io guadagno circa centomila dollari all’ora.» Ora è ben oltre il è rosso, è quasi viola. «Ventiquattromila dollari non sono niente. La macchina, i volumi di Tess dei d’Urberville, i vestiti, non sono niente» cerco di spiegarle.

Mi  guarda corrucciata come se avesse di fronte un alieno con cui deve cercare di comunicare al primo incontro.

«Se fossi in me, come ti sentiresti di fronte a tutta questa munificenza che ti viene imposta?» cerca di spiegarmi.

La guardo, cerco di capire, di immedesimarmi, ma proprio non vedo il problema, quale cazzo di differenza c’è tra un palloncino sgonfio e un libro? Per me hanno lo stesso valore. Che cosa vuoi che sia un’auto, per me? – Dieci minuti. Dieci cazzo di fottuti minuti! È un regalo. Un fottutissimo regalo.

Silenzio tra noi.

Alla fine scrollo le spalle. «Non lo so» dico e  mi viene quasi da ridere.

«Non mi fa sentire bene. Voglio dire, tu sei molto generoso, ma mi fai sentire a disagio. Te l’ho già detto.»

 – Tu me lo hai detto, io non lo capisco. Nessuno ha mai rifiutato un mio regalo. Nessuno. E io non capisco perché proprio tu non voglia niente da me. Qualsiasi ragazza accetta un dono dal suo fidanzato, perché tu no? – Perché non sei una ragazza qualsiasi, mi rispondo immediatamente ed è proprio per questo che io voglio darti tutto. Rasseganti. Sospiro. «Io voglio darti il mondo, Anastasia.»

«Io voglio solo te, Christian. Non mi interessano gli accessori

«Sono inclusi nel pacchetto. Fanno parte di quello che sono.»

«Possiamo mangiare?» svia il discorso.

Sa che non le dirò di no, perché voglio che mangi. «Certo» rispondo.

«Cucino io.»

«Bene. Altrimenti c’è del cibo nel frigo.»

«Mrs. Jones non viene nel weekend? Perciò tu mangi soprattutto cose fredde nel fine settimana?»

«No.»

«Non capisco.»

Sospiro. – Ora si ricomincia – mi dico. «Le mie sottomesse cucinano, Anastasia.»

«Ah, già.» Arrossisce, mi sorride e cambia tono. «Cosa gradisce mangiare, signore?»

Le faccio un sorrisetto.

–  Non mi provocare, signorina. Non sfidare la tua buona stella. –   «Qualunque cosa la signora riesca a trovare» dico cupamente. E mi rintano nel mio studio, lasciandola ai fornelli, casomai mi venisse di nuovo la brillante idea di aiutarla, come ieri. Poi devo mettere via i bilanci che stavo controllando e riporli nella ventiquattrore, prima di dimenticarmi qualche documento importante.

Sento la musica provenire dal salone. – Crazy in Love? Beyoncé? – Ripenso a Leila. Ascoltava sempre la musica pop a tutto volume, nella sua stanza. M’infastidiva. E sapeva che l’avrei punita. Lo faceva apposta.

All’inizio era anche divertente. Stimolante.

Alla fine era diventata stucchevole, provocatoria. Anche lei, a suo modo, non aveva limiti. Le piaceva essere punita. Troppo. E spingeva sempre l’asticella un po’ più in là, oltre il limite: era il suo modo per chiedermi di più. Era un modo per attirare l’attenzione, ora lo capisco. Avrei dovuto arrivarci che non era solo per compiacermi, ma che non era equilibrata, ma mi piaceva punirla. E poi scoparla. 

Bella, era bella.

Sono tutte belle.  Ma le altre non avevano colori. Solo Miss Steele sembra un arcobaleno.

Torno nel salone, mi fermo sulla porta e la osservo trafficare. È perfettamente a suo agio tra i fornelli. Balla. E io sorrido. Non ha proprio l’aria di una sottomessa.

Il fatto è che mi piace averla per casa, sentire la sua presenza.

Le sottomesse erano tutte presenze silenziose. 

Erano fantasmi grigi nella mia vita grigia, interessanti solo nella stanza dei giochi, legate e  fustigate –  e un brivido di eccitazione mi percorre al ricordo. – Mi eccita, non posso farci niente. Secondo Flynn è solo un modo per esprimere la mia sessualità. Io so che non è così. So che esiste in me una forza oscura che mi spinge a desiderarlo. È  così. È sempre stato così... solo con Miss Steele... non sempre... solo a volte... insomma non m’importa. Mi piace anche tutto quanto il resto. –  Rifletto. –  Mi piace un casino, tutto quanto il resto. –

Ho fatto di tutto per portarla qui. Io la voglio qui.

«Interessante scelta musicale» le sussurro da dietro, all’orecchio, suadente. Le sono arrivato alle spalle senza farmi sentire, per coglierla di sorpresa. M’inebrio del suo profumo. – Uhmm... –  «Sai di buono

Si divincola, non sono ancora riuscito a fargliela passare.

«Sono ancora arrabbiata con te» mi dice.

«Per quanto tempo hai intenzione di continuare?» le domando spazientito e mi passo una mano tra i capelli.

«Almeno finché avremo mangiato

Mi viene da ridere. –  Qui sono io quello che si arrabbia e parla di cibo, Miss Steele –  e prendo il telecomando dal bancone per spegnere la musica. Questa canzone mi ricorda Leila e adesso sto cercando, dopo una fottutissima mattina feroce, di dimenticarmi di lei.

«Hai messo tu quella canzone sul tuo iPod?» mi chiede.

Il mio prossimo regalo per te sarà una lampada, Ana, di quelle a braccio, molto potente, quelle che si usano per fare il terzo grado. È un accessorio indispensabile per te. –

Scuoto la testa, m’adombro.  

Leila.

E Ana ha capito. Anzi, credo che l’abbia scelta apposta.

«Non credi che stesse cercando di dirti qualcosa?»

«Be’, con il senno di poi, probabilmente sì» rispondo.

Per me era solo sesso. Niente di più. Era quello che anche loro volevano. Tutte quante. – Non sono andato a cercarle da Clayton, nessuna di loro, Ana. Nessuna. – Volevano esattamente quello che volevo io. Lo hanno cercato, e lo cercheranno ancora, negli stessi posti dove l’ho cercato io. Compresa Leila. Non ero il primo, non sono stato l’ultimo.

Dove credi che l’abbia incontrato, quello stronzo di marito, se non al club di McGrath?  –

Erano tutte felicissime di accettare la mia proposta, senza discussioni, perché, oltre a me, hanno gradito anche gli accessori. Volevano gli accessori.

«Perché è ancora nell’iPod?»

«È una canzone che mi piace abbastanza. Ma se ti infastidisce la tolgo.» Non tolgo mai la musica, piuttosto l’aggiungo.

«No, va bene. Mi piace ascoltare musica quando cucino

«Che cosa ti piacerebbe ascoltare

«Sorprendimi

Nina Simone. Ho scelto I Put a Spell on You.

L’ho sorpresa. Si volta e mi guarda, è rossissima.

L’hai capito, eh? Ti ho lanciato un incantesimo... o tu l’ha fatto a me... questo ancora non lo so. Quello che so è che ora tu cederai. Quello che so è che ho bisogno di un incanto, con te, ora. Per averti. – 

Io la voglio.  A dispetto dei litigi inutili, della rabbia, della paura di perderla, a dispetto di tutto la voglio.

«Christian, per favore» sussurra, col frullino in mano, a mezzaria.

 «Per favore cosa?»

«Non farlo

«Fare cosa

«Questo

«Sei sicura?» mormoro, le tolgo il frullino dalle mani e lo metto nella ciotola con le uova. Le batte forte il cuore, posso vedere la vena pulsare a lato della sua gola.

Lei è mia.

«Ti voglio, Anastasia» le confesso. Non voglio una schiava che mi dica sempre di sì, non voglio una bambola bruna legata alla croce da torturare di piacere e dolore, per lo meno non lo voglio in questo momento. – Voglio te. Le tue braccia, quella splendida bocca che mi sussurra parole d’amore e mi ammorba con tutte le sue domande. Voglio te. Voglio fotterti in tutti i modi possibili. Ora. –  «Amo e odio, e amo discutere con te» le dico. «È una cosa del tutto nuova. Ho bisogno di sapere che stiamo bene. È il solo modo che conosco.»

È la mia unica certezza, con te. Il sesso è una certezza. So che lo vuoi quanto me.

«I miei sentimenti per te non sono cambiati» mormora.

È confortante. Non la tocco, voglio che sia lei a toccarm... No. Non lo voglio e so che non lo farà.  Ma voglio che sia lei ad avvicinarsi, a dirmi che mi vuole e quanto mi desidera, ne ho bisogno. Ne ho bisogno...

«Non ti toccherò finché non mi dirai di sì.» Ricomincio quell’assurdo gioco solo per farmi dire quanto mi vuole. Ne ho bisogno. «Ma ora come ora, dopo una mattinata davvero schifosa, vorrei soltanto sprofondare dentro di te e dimenticare tutto a parte noi» le confesso.

È così, non posso farci niente: mi dimentico del mondo quando le affondo dentro. Non penso, godo e dimentico tutta la merda che mi porto dietro. Perché ha ragione lei, io mi porto dietro una valanga di merda. – E col cazzo che ti dico quanto è grande la valanga, perché se ne venissi a conoscenza mi molleresti. Per sempre.

Mi fissa, poi mormora: «Ti toccherò la faccia.»

Manco un respiro. –  Concesso.

Annuisco impercettibilmente. Mi ha già toccato. Molte volte. Gliel’ho permesso. E mi piace, perché sembra che abbia capito cosa non può fare, ma non mi ha mai toccato il viso.

– Io non ricordo di aver ricevuto una carezza – rifletto, rammento.

E io ho buona memoria.

– Non l’ho mai permesso ai miei. Mia mi abbraccia, si accoccola, ma... Elena non credo sappia cosa sia, proprio come me... –  e... sento la sua mano sul mio viso. Un brivido, una scossa dolce e violenta mi percorre da capo a piede, le sua dita sono calde e vellutate.

È bellissimo. – Chiudo gli occhi. –  “Questa”  è una carezza! –  mi dico stupito, appoggio impercettibilmente la guancia al suo palmo. Assaporo i brividi. Non c’è violenza, non c’è rabbia. E penso che desidero che lei mi tocchi: – Io voglio che tu mi tocchi. Voglio sentire il tuo tocco su di me... Toccami, piccola, toccami! E baciami...–  

«Sì o no, Anastasia?» le sussurro, la mia bocca sulla sua, distante solo un respiro. Sto ancora assaporando le dolci sensazioni che mi ha procurato una semplice, sconosciuta carezza. – Baciami, baciami tu, amore... –

«Sì» ansima.

Ed è un bacio: un meraviglioso, dolcissimo, sconosciuto bacio. Un bacio capace di farmi dimenticare tutto tranne lei. Capace di sciogliermi il ventre in un languore sconosciuto. La stringo, la accarezzo, vorrei fondermi con lei. Sono suo, le appartengo. Ho bisogno di sciogliermi in lei e lei con me. La trattengo per i capelli e le premo la mano sulla schiena per unirla a me. In questo istante, mentre sto bevendo i suoi gemiti sommessi, ho la consapevolezza di non aver mai baciato.

«Mr. Grey.» Due colpi di tose mi riportano alla realtà, l’incantesimo lanciato dalla voce magica di Nina Simone è rotto da Taylor che mi chiama.

«Taylor» dico, secco. «Nel mio studio» ordino. È come se avessi ricevuto una doccia gelida e maledico mentalmente il mio passato. «Lo spettacolo è solo rimandato» dico ad Ana, imbambolata dietro al bancone della cucina.

 

Taylor mi delucida sulle ultime nuove di Welch e mi mostra le schede degli agenti della sicurezza. Stanno salendo.

«Darò loro istruzioni tra dieci minuti» dico a Taylor, ricomparendo nel salone.

«Saremo pronti» replica Taylor. E si eclissa, uscendo dal mio spazio visivo.

«Mangi?» mi chiede Anastasia che ha apparecchiato sul bancone.

«Sì, grazie.»

«Problemi?»

«No.» Tronco il discorso e cominciamo a mangiare.

«È buona.» Proprio buona la sua omelette. È una gran cuoca, ma questo già lo so. «Ti va un bicchiere di vino?» ci starebbe proprio bene.

«No, grazie.»

«Cos’è?» mi chiede poi, quando attaccano i Chants d’Auvergne.  

«Canteloube. Chants d’Auvergne. Questa si chiama Bailero.»

«È bella. In che lingua è?»

«Francese antico. Occitano, per essere precisi.»

«Tu parli francese, lo capisci?»

«Qualche parola, sì. Mia madre aveva delle fisse: strumenti musicali, lingue straniere, arti marziali. Elliot parla spagnolo. Mia e io francese. Elliot suona la chitarra, io il pianoforte e Mia il violoncello» le spiego.

«Wow. E le arti marziali?»

«Elliot fa judo. Mia si è impuntata quando aveva dodici anni e si è rifiutata.» Sorrido pensando a Mia. Adoro mia sorella. Adoro anche Elliot, ma lui mi fa incazzare: è troppo diverso da me.  

«Magari mia madre fosse stata così organizzata.»

«La dottoressa Grace è formidabile quando si tratta dei talenti dei suoi figli.»

«Deve essere molto orgogliosa di te. Io lo sarei

Orgogliosa? Di me?–  Se Ana conoscesse mia madre saprebbe quanto lei ci tenesse allo studio, al fatto che io frequentassi Harvard come mio padre. L’ho delusa. – L’ho sempre delusa, fin da piccolo quando non le permettevo di avvicinarsi, anche se avrei tanto voluto... ma se l’avessi fatto e l’avessi persa... Basta!... –  Basta.

«Hai deciso cosa ti metterai stasera? O devo scegliere qualcosa per te?» cambio discorso. Mi sta salendo la rabbia.

«Uhm… non ancora. Hai scelto tu tutti quei vestiti?»

«No, Anastasia. Non li ho scelti io» – Mi ci vedi, Anastasia,  a scegliere vestiti  e biancheria dalle grucce di una boutique? – «Ho dato una lista e la tua taglia a una personal shopper di Neiman Marcus. Ti andranno bene» le dico e poi lancio la bomba, intanto il mio umore si è già guastato, tanto vale affrontare subito l’argomento annoso che porterà all’ennesima discussione. –  E poi mi chiedi perché voglio una sottomessa? Per evitare discussioni: mica sono obbligato a raccontare la storia della mia vita! – «A titolo informativo,» –  te lo dico solo a titolo informativo perché non me ne frega un cazzo se non vuoi le guardie del corpo, io te le metto lo stesso, –  «ho chiesto di potenziare il servizio di sicurezza per stasera e i prossimi giorni. Con Leila imprevedibile e introvabile per le strade di Seattle, credo che sia una precauzione saggia. Non voglio che tu esca senza scorta, okay?»

«Okay

–  Uhm, bene. Non fa obbiezioni: miracolo! –  «Bene. Vado a dare istruzioni agli uomini della sicurezza. Non dovrei metterci molto

«Sono qui?»

«Sì.»

 

Eccoli. Jason me li presenta ma dalle foto sulle loro schede so perfettamente chi ho davanti. So tutto quello che c’è da sapere.

Si presentano uno per volta. Li ascolto con attenzione: Taylor ha scelto bene nella rosa che Welch gli ha proposto.

Li congedo e prendo Taylor in disparte.

«Perfetto, come al solito» mi complimento.

«Grazie signore. Sanno il fatto loro.»

«Ho una richiesta» dico ed in effetti non so bene cosa chiedere, ma Taylor mi saprà aiutare. «Ho bisogno di qualcosa per scrivere sulla pelle, che so... un evidenziatore, un pennarello...» faccio, vago.

Taylor mi guarda un istante, imperscrutabile. «Un rossetto, signore?» se ne esce.

«Perché no» rispondo.

«Mi scusi» si congeda e mi lascia in sala riunioni per ricomparirmi davanti meno di un minuto dopo con un rossetto in mano.

«È di Gail?» domando osservando il cosmetico rosso intenso che mi ha appena consegnato.

«No, signore. È mio.»

«Lo tieni dentro il beauty?» Non riesco a resistere alla battuta e scoppio a ridere.

«Sì, Mr. Grey. Lo tengo nella valigetta degli appostamenti: fa parte del kit per i travestimenti» mi spiega.

Come ho fatto a non pensarci? – lo congedo e sto ancora ridendo.

 

Vado a cercare Miss Steele. Si sarà rintanata in camera sua.  Camera sua... non direi, intanto dormirà con me. Dormo molto meglio quando è con me.  Sto molto meglio quando è con me... sto da schifo, quando non è con me, sarebbe più corretto dire.

«Che cosa stai facendo?» le domando ancora sulla porta. È sdraiata sul letto a pancia in giù e sta trafficando col computer.

Mi avvicino e guardo cosa sta leggendo. Sembra nel panico. Leggo: “Disturbo della personalità multipla: i sintomi.” Mi stendo vicino a lei e guardo il video.

Non era questo che intendevo quando ti detto di fare ricerche su di me– e mi viene da ridere, anzi sto ancora ridendo per via di Taylor.

«Sei su questo sito per una ragione particolare?» le domando.

«Ricerche. Su una personalità difficile.»

«Una personalità difficile?» trattengo un sorriso.

«È il mio pallino.»

«Io sono un pallino, adesso? Un’attività extra. Un esperimento scientifico, forse. E io che pensavo di essere tutto. Miss Steele, tu mi ferisci.»

«Come sai che sei tu?»

«Intuito.»

«È vero che sei l’unico uomo incasinato, lunatico, maniaco del controllo che conosca intimamente.»

«Pensavo di essere l’unica persona che conoscevi intimamente.»

Arrossisce.

«Sì. Anche quello.»

«Sei già arrivata a qualche conclusione?»

Si volta e mi guarda. «Credo che tu abbia bisogno di un’intensa terapia.»

Le tolgo i capelli dal viso e la osservo.

«Io penso di avere bisogno di te. Qui...» ...qui, qui vicino a me, qui in questa casa. Qui, accanto a me. Qui e ora. E le porgo il rossetto di Taylor.

Mi guarda perplessa. «Vuoi che mi metta questo?» squittisce.

Rido. «No, Anastasia, a meno che tu non lo voglia. Non sono sicuro che sia il tuo colore.» Non mi piaceresti con quello addosso.

 Mi tiro su a sedere sul letto.

«Mi piace la tua idea della mappa» le dico mentre mi sfilo la camicia dalla testa.  Mi fissa perplessa. «Le zone off-limits» le spiego.

«Oh. Stavo scherzando.»

«Io no.» Così saprai fin dove toccarmi e sarò finalmente tranquillo. –

«Vuoi che disegni su di te con il rossetto?»

«Si lava. Dopo

«Che ne dici di usare qualcosa di più permanente come un pennarello indelebile?» scherza.

«Potrei farmi un tatuaggio» propongo.

«No, il tatuaggio no!» Ride ma dai suoi occhi trapela il disgusto.

– No, nessun tatuaggio, Miss Steele, tranquilla. – «Rossetto, dunque

Chiude il Mac e lo mette da parte.

«Vieni» le porgo la mano. «Siediti su di me.»

Scalcia via le ballerine, si tira su a sedere e gattona su di me che sono sdraiato con le ginocchia piegate.

«Appoggiati alle mie gambe

Si arrampica e si siede a cavalcioni come le ho ordinato.

«Mi sembri… entusiasta della cosa» commento sarcastico.

«Sono sempre avida di informazioni, Mr. Grey. Ciò significa che ti rilasserai, perché io saprò fin dove spingermi.»

Scuoto la testa, neppure io credo a ciò che stiamo per fare.

– Almeno così saprai... – mi dico ma sono un po’ preoccupato.

«Apri il rossetto» le ordino. «Dammi la mano.» – No, l’altra. – «Quella con il rossetto!» Alzo gli occhi al cielo.

«Stai alzando gli occhi al cielo con me?»

«Sì.»

«Sei molto scortese, Mr. Grey. Conosco alcune persone che diventano violente di fronte a un’alzata di occhi al cielo

«Davvero?» Il mio tono è ironico.

Mi dà la mano “armata” e io mi tiro su e ci troviamo faccia a faccia.

«Pronta?»

«Sì» mormora.

Guido la mano sulla curva della sua spalla. «Premi» sussurro.

E lei, sotto il mio più vigile controllo, disegna una strana camicia sul mio corpo. Le trema la mano, posso sentire il suo palmo vibrare nella mia stretta. È molto cauta ed è attenta a percepire le mie reazioni.

Non so come sto, non lo so davvero: la paura  mi sta surriscaldando le tempie, faccio un’improba fatica a domare i tremori del mio corpo. Sono sensazioni molto forti, sconosciute.

Tremo dentro di  me, credevo che in un simile frangente sarebbero riaffiorati i ricordi, invece le aspettative per ciò che verrà dopo oscurano prepotentemente ogni pensiero sul mio passato. In questo momento sto pensando solo a lei, anche se non desidero mostrarle ciò che sto provando. Non voglio che lei veda la mia paura. Paura per qualcosa che solo io posso vedere, qualcosa di cui solo io conosco l’esistenza.

«Ecco fatto» sussurra, contenendo l’emozione.

«No, non è finito» ribatto e traccio con l’indice una linea intorno alla base del collo.

«Lo stesso dall’altra parte» le dico quando ha finito davanti. Ci spostiamo per permetterle di disegnarmi la schiena.  

«Anche intorno al collo?» mi domanda piano quando ha completato il suo percorso anche dietro. Annuisco e mi ritrovo una buffa maglia disegnata sulla pelle. È stata una prova.

Durissima.

«Finito» mormora.

So che è stata una dura prova anche per lei.

«Questi sono i confini» le dico pianissimo.

«Posso farcela. Proprio ora vorrei lanciarmi su di te» mi comunica.

Le sorrido e le tendo le mani: «Bene, Miss Steele, sono tutto tuo

Siamo qui per questo, piccola. – 

Con un gridolino di infantile entusiasmo si catapulta tra le mie braccia, mandandomi lungo disteso.

Mi contorco, è bellissimo. E nuovo. Sono inspiegabilmente felice.

Me la metto sotto. – Visto che è la prima volta sarà meglio non esagerare con cotanta libertà e poi ho già voglia di...

«Ora, riguardo a quello spettacolo rimandato…» le mormoro sulle labbra e la bacio.

Questa sì che è una prima volta – mi dico e voglio di più. – Se ho fatto tutto questo è perché voglio di più –  penso mentre la bacio. Lei mi afferra i capelli e posso sentire l’urgenza del suo bacio. È famelico, quasi quanto i miei. Non mi tiro indietro, la divoro, mangio le sue labbra, la stringo a me... voglio di più. La tiro su, le sfilo la maglietta.

«Voglio sentirti» le ansimo in bocca e le slaccio il reggiseno. Me ne libero più in fretta possibile. Voglio sentire il suo seno su di me, voglio sentire la carezza dei suoi capezzoli.

Li voglio in bocca.

La faccio sdraiare sotto di me e comincio a torturala succhiando, gemendo, mordendo. Sono già eccitatissimo: sono rilassato ed eccitatissimo, un connubio mai sperimentato. Stringo forte fra i denti un capezzolo ritto, tiro e stringo. E poi lei grida. Un grido di dolore che mi sferza l’uccello come un flagellatore. Godo, spasmo. È il dominatore che sta godendo delle grida della sua schiava, perché, nel letto, lei è la mia sottomessa, anche ora che posso lasciarle libere le mani, ho il completo controllo.

«Sì, piccola, fatti sentire» mormoro, gemo, mi struscio sui suoi seni. Voglio che senta sulla sua pelle delicata la carezza pungente della mia barba. Voglio che mi desideri dentro di sé.

–  Cazzo, la voglio, la voglio, la voglio! Oh... se sapesse cosa mi fa! – Deve desiderarmi almeno tanto quanto la voglio io!

Non può passarla liscia allora le tiro forte anche l’altro capezzolo, dopo averlo succhiato per benino.  Le strappo un altro grido, anche se ora non è dolore.

Io lo so, conosco ogni più piccola reazione dei loro corpi, di tutte loro.

E il tuo corpo, piccola, lo conosco meglio di tutti, perché l’ho creato io. Perché solo io l’ho toccato, solo io gli ho concesso piacere, solo io l’ho venerato... solo io...–  mi ripeto in un turbinio di sensazioni nuove.

Lo conosco meglio di qualsiasi cosa io abbia mai conosciuto perché è il mio corpo stesso che ti conosce, Anastasia: questa è la più sensazionale di tutte le mie prima volte, il mio corpo che si unisce al tuo. –

Le sbottono i jeans, devo comprovare il mio possesso: ora, subito.

Le infilo le dita nel sesso, voglio tastare il suo desiderio per me, devo vedere quanto mi vuole.

Ah, sì. È bagnata, bagnatissima. Uhmm! – È venerazione. Io l’adoro. La. Adoro! Muove il bacino, lo spinge contro il mio palmo, ne vuole sempre di più.

«Oh, piccola» sospiro e la guardo. «Sei così bagnata.»

«Ti voglio» mormora lei.

–  Eccola qua! Mi vuoi? Mi hai! Mi hai e mi prenderò tutto, tutto quello che voglio io! –  e afferro di nuovo la sua bocca con la mia.

Mi tiro su a sedere, le strappo via i jeans e poi le mutandine, con urgenza. Le lancio un preservativo per risparmiare tempo, intanto che mi spoglio.

Ha voglia di scopare anche lei, subito. Immediatamente. – Mi sdraio accanto a lei e aspetto che mi infili il preservativo  prima di trascinarla su di me.

«Tu. Sopra» ordino e la tiro a cavalcioni sopra di me. «Voglio vederti.»

Oh, sìììiii. – Chiudo gli occhi e sollevo il bacino per andarle incontro. La riempio, la invado... più su che posso. – Oh, sìììiii. Sì, sì, sì. Cosìììì.– 

Le tengo le mani intrecciando le nostre dita, ma non perché non mi tocchi, ma per legarla a me. Insieme a me. «Sto così bene con te» ammetto.       

Ana si solleva e si risiede su di me, in un movimento lento. Ha già imparato, sa tutto quello che c’è da sapere per far godere un uomo.

–  Oh no! Non un uomo: me. Solo me! – 

Sto lentamente perdendo il controllo sul mio corpo, lascio che le sensazioni prendano il sopravvento, i pensieri mi abbandonano e cerco solo l’appagamento. Sciolgo le nostre dite e l’afferro per i fianchi per muoverla meglio su di me. Le vado incontro, voglio irrompere dentro di lei, arrivarle all’all’anima. Spingo. Forte. E finalmente grida, anche lei sta godendo di me.

«Va bene, piccola, sentimi» la esorto, mentre ci muoviamo insieme, in perfetta sintonia.

Sto godendo: semplice. E lei con me.

Sale e scende in un movimento sincrono alle mie spinte. È perfetto.

Butta la testa all’indietro e io posso bearmi della vista del suo splendido corpo, ma non ha ancora raggiunto l’apice e io sono al limite.

«Sei mia, Ana» dico solo. Lo so, lo sento. Lo vedo: è una certezza che mi appaga e mi conforta. La posseggo e non solo a letto.

«Sì» ansima. «Per sempre» risponde.

 

È la mia disfatta, la mia totale, inequivocabile disfatta: sono perduto in quelle due parole... per sempre... per sempre... per sempre... lei mi appartiene per sempre... e vengo. Grido, gemo, rantolo... non so... non m’importa... chiudo gli occhi, butto la testa all’indietro e godo. 


CAPITOLO 8


«Sì» ansima. «Per sempre.»

E io vengo, così, semplicemente. Mi è bastato sentire quelle due parole per lasciarmi andare completamente... fidarmi... abbandonarmi... Anzi, non me ne fotte un cazzo di aspettarla!

 – Sapessi quante volte l’ho fatto. –

Lei continua a muoversi, a salire e scendere su di me, sempre più veloce, e la lascio fare, lascio che sia lei a fottermi per bene, bellissima e eccitata.

Guardo godere questa splendida femmina che si contorce e le guardo il seno che ondeggia in una danza erotica a cui non ho proprio saputo resistere. Lei non si è accorta che io sono già partito...

– Come potrebbe, con questo stramaledetto coso che mi ingabbia l’uccello? –

Io invece me ne accorgo che lei sta venendo perché mi sento stritolare; io grido e lei viene: è un segnale concordato dai nostri due corpi che ormai vivono in simbiosi. Perso nel piacere, nel conforto di non essere mollato, mi sono abbandonato e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che è bellissima, davvero la più bella di tutte.

«Oh, piccola» sussurro e mi tiro su per abbracciarla mentre finisco di godere.

Lei appoggia la testa sul mio petto, sfinita. È tutta rossa in faccia e non la sento neanche respirare. Crolla su di me.

Ha la testa nella zona off-limits ma va bene, le carezzo i capelli e penso che va proprio bene.

– Io ho oltrepassato il mio limite assoluto con te, Miss Steele e ho ridisegnato nuovi confini. Con un rossetto! –  Sorrido al pensiero.  – Non credere che non ridisegneremo insieme anche i tuoi. E sarai tu a chiedermelo come io l‘ho chiesto a te.–

Le accarezzo anche la schiena, il suo corpo è la prosecuzione del mio.

«Sei bellissima» mormoro.

Alza la testa e mi guarda scettica. 

Mi tiro su, devo dirglielo in faccia che è bellissima. Lei si tiene alle mie braccia per non perdere l’equilibrio. «Tu. Sei. Bellissima.» Glielo ripeto perché non ha proprio capito quanto è bella.

«E tu sei sorprendentemente dolce, a volte.» Mi bacia.

La sollevo e la sfilo da me: devo uscire, anche perché mi fa incazzare. Sussulta quando esco.

Mi fa incazzare! Ma che cosa crede, che io non scelga sempre il meglio? Però penso che è proprio meglio che non se ne renda conto: è molto più facile da gestire.

«Non hai idea di quanto sei attraente, vero?» le spiego.

Arrossisce. Non ci crede, non lo sa.

«Tutti quei ragazzi che ti vengono dietro. Non è un indizio abbastanza chiaro?»

«Ragazzi? Quali ragazzi?»

«Vuoi l’elenco?» dico, aggrotto la fronte. – Ma devo spiegartele io, queste cose? – «Il fotografo è pazzo di te, quel ragazzo al negozio di ferramenta, il fratello maggiore della tua coinquilina, il tuo capo» dico e m’incupisco.

«Oh, Christian, non è vero.»

«Fidati. Ti vogliono. Vogliono ciò che è mio.» L’attiro a me, è mia, la voglio vicina.

Lei rispetta i miei limiti, tira su le braccia e me le mette intorno al collo, per non toccarmi dove sa che non deve.

Mi accarezza i capelli e mi guarda divertita da queste rivelazioni.

«Sei mia» ripeto, voglio che lo capisca bene.

«Sì, tua» mi assicura. Le credo. Mi rilasso perché le credo, so che non fuggirà, non mi abbandonerà, non si allontanerà più...

«La linea è ancora intatta» mormora mentre fa scorrere timidamente il dito sulla stria di rossetto. M’irrigidisco, non posso farci niente.

«Voglio andare in esplorazione.»

– Come? – «Nell’appartamento?» domando.

«No, stavo pensando a questa mappa del tesoro che ho disegnato su di te.» Continua  a sfiorarmi e mi piace, ma...

Sfrega il naso contro il mio.

«E questo cosa implica esattamente, Miss Steele?» le domando accigliato.

Continua ad accarezzarmi con le dita e si concentra sul mio volto.

«Voglio solo toccarti ovunque mi sia permesso» mi annuncia.

Le prendo l’indice e lo mordicchio.

«Ahi» protesta e  un ringhio sommesso mi esce dalla gola. – Tu vuoi toccarmi come più ti piace, mentre io non posso? Non sia mai, Miss Steele! Prima o poi mi capiterai a tiro, piccola. –

«Okay» dico, –  D’accordo, prima tu. Toccami e, prima o poi, io toccherò te, come più mi piace. –

«Aspetta.»  Mi piego in avanti, la sollevo di nuovo e mi sfilo il preservativo. Lo annodo e lo lascio cadere sul pavimento di fianco al letto, proprio come ieri notte a casa sua. «Odio questi aggeggi. Ho intenzione di chiamare la dottoressa Greene perché ti dia un’occhiata» le comunico.

«Credi che il miglior ginecologo di Seattle verrà di corsa?»

«So essere molto persuasivo» mormoro. –  Con il denaro si ottiene quasi tutto, Miss Steele, non lo sapevi? –  «Franco ha fatto un ottimo lavoro con i tuoi capelli. Mi piace come te li ha scalati.» Le parlo dei suoi capelli, magari la distraggo e cambia idea.

«Smettila di cambiare argomento.»

Dentro di me sbuffo. La sposto indietro, in modo che stia a cavalcioni sulle mie ginocchia flesse, con i piedi ai lati delle sue anche. Mi appoggio sui gomiti. «Un rapido tocco» dico secco. Sono nervoso.

Comincia la sua esplorazione dall’addome. Un brivido feroce mi sferza, m’irrigidisco.

«Non devo?» sussurra spaventata.

«No, va benissimo. Solo accetta qualche… messa a punto da parte mia. Nessuno mi tocca da tanto tempo.»

«Mrs. Robinson?» domanda.

L’“inquisitrice” non è mai troppo lontana da lei, noto, ma ormai dovrei saperlo.

Annuisco, a disagio. «Non voglio parlare di lei. Guasterebbe il tuo umore.»

«Posso gestirlo.»

«No, non puoi, Ana. Vedi rosso ogni volta che la nomino. Il mio passato è il mio passato. È un fatto. Non posso cambiarlo. Sono fortunato che tu non ne abbia uno, perché impazzirei se l’avessi.»

Mi guarda corrucciata. «Impazziresti? Più di quanto tu sia già?»

Sorrido. «Sono pazzo di te» le sussurro.

«Devo chiamare il dottor Flynn?»

«Non credo che sarà necessario» e sono seccato. Per qualche strana ragione non voglio che parli con John, so che c’è il segreto professionale, ma... e stasera s’incontreranno.

Lui vuole conoscerla.

Mi inquieta. 

Questa sera non la mollerò un attimo.

Mi appoggio ai cuscini e cerco di rilassarmi, in fondo fino a poco fa, lo volevo anch’io.

Lo volevo molto.

Prima...

Mi sfiora appena il torace sotto la linea e mi irrigidisco di nuovo. È una reazione naturale.

«Mi piace toccarti.» La sua voce mielata mi tranquillizza. Comincio a rilassarmi anche perché le sue dita scendono sull’ombelico mi regalano un’emozione nuova, un brivido elettrizzante che scende verso il basso insieme ai suoi polpastrelli di seta, poi ancora più giù, verso il pube...

– Ah sìiiii. – Aspiro una boccata d’aria di cui ho assoluto bisogno. Mi manca l’aria. – È bellissimo! – Ansimo, mi rendo conto di ansimare e regolo il respiro. Brividi di piacere mi stanno facendo vibrare il ventre.

– Che cazzo mi sono perso?!? –  Sento il desiderio allagarmi come un’onda, come uno tsunami di piacere che mi sferza l’inguine e lascia in dono, ritirandosi, una grosso bastone conficcato nella sabbia.

– Guarda qua, piccola? Toccami, toccami pure! –

«Ancora?» mormora stupita. Sono stupito anch’io, veramente.

E le sorrido. «Oh, sì, Miss Steele, ancora.» – Secondo round! – 

Mi guarda con gli occhioni sbarrati: è preoccupata. Ha qualcosa in mente.

“Io” ho qualcosa in mente.

«Toccami» ansimo e mi sdraio con la testa affondata nei cuscini. Sono eccitato dalla prospettiva che lei usi il suo potere su di me, che mi annienti con le sue dolci sevizie.

Sono eccitato e glielo ridico: «Toccami» e  lei obbedisce. Si sdraia a pancia in giù per avere libero accesso a me.

E comincia, come nel sogno. Ma io sono sereno, non eccederà, rispetterà i confini tratteggiati di fresco. Mi fido.

Butto la testa all’indietro e mi godo le sue mani sul mio ventre, che concedono dolci scariche, non come lo stimolatore elettrico che usava Elena per punirmi e prepararmi a lunghe sessioni, no questa è una scossa a bassissima tensione. È tutto il piacere senza nessun dolore.

Fremo, godo.

Annaspo.

Mi perdo tra le lenzuola.

Assaporo la sua lingua sul mio pube, le sue labbra che mi succhiano, i suoi baci che mi scaldano. Questo è il piacere che si prova a far l’amore? Questo è ciò che prova lei quando la bacio?

Mi sono perso qualcosa di bellissimo, finora, però non importa, perché recupererò: con lei, posso.

Chiudo gli occhi, con la testa persa tra i cuscini. Sento le sue dita che mi sfiorano l’interno delle cosce, e poi, come nel sogno, la sua bocca adorata segue lo stesso percorso.

Ogni tocco è una scossa elettrica, le sue unghie mi graffiano l’inguine e io gemo, gorgoglio... rantolo. Godo. Godo perché è proprio come nel sogno: affonderò nella sua bocca.

Mugolo. Sento i suoi baci sul mio ventre e mugolo. Sbuffo e scrollo il capo da una parte all’altra.

Oh, finalmente! Ora sono nella sua bocca. La sua lingua gira intorno alla mia punta e danza, su e giù, intorno. Mi afferra l’asta, la stringe forte e comincia il suo massaggio mentre sento la dolce pressione dei suoi denti nell’interno delle cosce. E mi massaggia tra le gambe, sotto e sopra, mi lecca, mi succhia e mi accarezza concedendomi il piacere più straordinario e dolce che abbia mai provato.

Fortuna che sono venuto meno dieci minuti fa e posso resistere, altrimenti le sarei esploso in bocca in men che non si dica.

Invece voglio solo godere e so che sarà lunga. Il piacere ha ormai oscurato ogni mia altra velleità.

La costringerò a torturarmi così finché anche lei non vorrà la sua parte.

Così faccio, la costringo a continuare non so per quanto tempo, finché anche lei non brama me e io non ne posso più dalla voglia di scopare.

– È d’obbligo provvedere –  mi dico e me la metto sotto, la faccio girare e pancia in giù, le allargo le gambe e mi sdraio su di lei, per farle sentire il peso del mio corpo. Appoggio il mio petto alla sua schiena, pelle contro pelle: è una carezza.

«Ora, Miss Steele, se hai finito l’esplorazione, tocca a me» e mi riprendo il comando delle operazioni.

 

Che magnifico sabato pomeriggio.

Esco dalla sua stanza rigenerato.

Sto scendendo le scale e mi soffermo a riflettere che la stanza dei giochi non mi è neppure venuta in mente. È chiusa, sigillata e non ho nemmeno guardato la porta: me la sono proprio dimenticata eppure mi sento bene. Sono il Padrone dell’Universo. Mi sento... sì, proprio bene.

Solo una settimana fa non avrei immaginato di potermi sentire così completo. È la parola giusta. Ho ripreso in mano le redini della mia vita e della sua. Ne sono consapevole. So che cosa devo fare, so come farlo e lo farò, nel migliore dei modi. Come sempre. Sono io il Padrone, il suo Signore.

Il mio Dominatore di Fiducia si compiace e si rilassa leggendo un libro in biblioteca, sprofondato nella poltrona Chesterfield. Il mastino, sedato da una miriade di carezze, dorme acquattato ai suoi piedi.

E io sto proprio bene.

Guardo Seattle dall’alto della finestra della mia stanza dopo la doccia e rifletto sulla strategia perfetta da usare con Miss Steele.

Un passo dopo l’altro, con cautela, la spingerò a desiderare di più. La porterò a desiderare di darmi di più. Mi darà tutto.

Ora lo so.

Devo cominciare subito, così cerco di farmi venire un’idea.

–Hai gradito molto le sfere d’argento, Miss Steele. Potremmo cominciare con quelle... già stasera... alla festa... – 

Il Raffinato Signore fa un sorrisetto compiaciuto e si frega le mani, ormai ha preso dimora in biblioteca, accantonando la stanza dei giochi. Ha preso una stecca e, calma e gesso, soffia via la polvere azzurra dalla punta della stecca. Si china sul biliardo e lancia il  colpo. Palla nera in buca d’angolo! Perfetto: sa di aver vinto la sua partita solitaria.

Sorrido, guardo Seattle e sorrido.

 

Salgo le scale, entro silenzioso nella “Stanza Rossa delle Torture”, prendo le sfere nella cassettiera e me le infilo in tasca.

Mrs. Jones ha riordinato ma ha lasciato la frusta e la cinghia sul divano. Le prendo in mano ed è come se toccassi un oggetto incandescente. Li getto sul letto.

Devo sbarazzarmi di questa roba.

Lei ne ha terrore: non apprensione, timore o aspettativa, no, è proprio paura vera.

Non voglio che lei abbia paura di me.  E poi anche io ho paura di quello che potrei farle.

– Ma è proprio questo il piacere, Grey, la paura che genera rispetto e piega la loro volontà. La paura che genera il piacere di sottomettersi e obbedire al Dom, questo è il gioco, questo è il potere, il piacere – mi dico e sono stupito dal fatto di non desiderare la sua paura.

Soprattutto sono stupito dalla scoperta delle nuove e più recenti rivelazioni su ciò che sesso vaniglia ha da offrire.

– Combinerò le due cose, ne uscirà qualcosa di grandioso, ne sono certo –  mi dico, soddisfatto.

Raccolgo verghe, fruste, il flagellatore con le sferette di piombo ...

– Oh, no: questo non lo userò mai su di lei! Mai correrò il rischio di lacerare la sua pelle di seta... No, no. – Butto gli oggetti sul letto e continuo la cernita. – Questi, invece, li tengo –  mi dico e ripongo il flagellatore con le frange morbide e il frustino di cuoio. Tengo anche le bacchette e una frusta sottile e leggera, che nascondo nel cassettino della rastrelliera.

Guardo il letto ricoperto da tutti i miei attrezzi e vedo il dolore.

Non il dolore fisico, non quello: il dolore fisico è puro piacere, per me e per loro. I loro strilli e le grida mi riecheggiano nelle orecchie e so che era piacere reciproco... solo che ora... dopo sabato scorso e tutta la faccenda di Leila, mi rendo conto del dolore e del disagio di tutte loro. Io so perfettamente di essere squilibrato, un sadico squilibrato, ma io ho il controllo. So perché e ho il controllo. Solo che ora, dopo Ana, mi rendo conto che neanche loro erano equilibrate, non erano comportamenti spontanei, dettati da un’indole istintiva, ma c’era dietro del disagio.

 – Non sono come Anastasia, non hanno limiti, proprio come me... Va bene così a tutti, d’accordo, ma fino a quando? –

Tutti noi, tutti quanti noi della comunità, non siamo in equilibrio e tutti  ci muoviamo in bilico su una corda dai confini autoimposti.

– Invece Anastasia è libera. Libera di amare, libera di dare... E poi il sesso con lei è stupendo, vanilla o sesso spinto e brutale, fa lo stesso, anzi un mix di tutti e due potrebbe davvero stendermi... devo andare da lei. Ora. Subito. Devo vederla! – 

Raduno sul letto tutti gli attrezzi da gettare. Ordinerò a Taylor di farli sparire oggi stesso.

– Quando Anastasia rientrerà qui dentro non deve vedere niente che la spaventi davvero –  mi dico, richiudendo a chiave la porta.

 

Entro nella sua stanza, il pugno grigio che mi batte nel petto manca un colpo e trattengo il respiro.

Inspiro, forte.

Vedo la mia mano sferrare la frustata e la sferza della frusta posarsi con uno schiocco su quel culo stupendo che schizza fuori dalla brasiliana di Neiman Marcus.

Un sogno.

Vedo la stria rossa apparire e colorarle le natiche come il rossetto che lei ha usato su di me.

Non posso farci niente, dopo un pomeriggio passato a scopare sono di nuovo in erezione anche solo a vederla, china, che si sistema la calza di seta su quelle gambe da favola.

È in lingerie. Nera. E io vorrei tanto strapparle quel bustier, e fotterla così, in piedi, da dietro, così come sono ora, senza che neppure si accorga che sono entrato.

Il mastino sta sbavando, strattona il guinzaglio, quasi si strozza nel tentativo di arrivare all’osso, ma il Padrone lo tiene per il collare, con un certo forzo in verità, ma la presa è salda.

Si volta per prendere il vestito, si accorge di me e mi guarda con quei suoi occhioni azzurri che mi sedano immediatamente e mi ammaliano, acquietando anche il mastino.

È arrossita, come sempre.

Io sono incantato. Ammutolito.

È di una bellezza strepitosa e io sono...

«Posso aiutarti, Mr. Grey?» La sua voce mi sorprende e mi risveglia. «Immagino che ci sia un motivo per la tua visita, a parte fissarmi inebetito.»

«Mi piace abbastanza fissarti inebetito, grazie, Miss Steele» mormoro. Faccio un passo avanti e vorrei afferrarla, ma mi trattengo. Ho in mente altro. «Ricordami di mandare un biglietto di ringraziamento a Caroline Acton.»

Mi guarda sospettosa.

«La personal shopper di Neiman» le spiego.  – Certo che anche tu sei parecchio gelosa, piccola – e ne sono felice.

 «Oh» sussurra.

«Sono piuttosto distratto» ammetto.

«Lo vedo. Che cosa vuoi, Christian?» Mi guarda con aria seria.

Le sorrido perfido e tiro fuori dalla tasca le sfere d’argento.

– L’ho sorpresa: ha fatto una faccia! – «Non è come pensi» mi affretto a dire.

«Illuminami» mormora.

«Pensavo che potresti mettertele stasera.» Lascio in sospeso le ultime parole. Non sono certo che lei voglia giocare... oppure sì.

«A questo evento?» Sembra scioccata.

Annuisco. – Giochiamo, Miss Steele, ne ho una voglia pazza. –

«Dopo mi sculaccerai?» chiede in un sussurro che faccio fatica ad udire.

«No.» –  Non ti toccherò mai più, se non sarai tu a chiederlo: questo è certo, ma... –

Per un attimo, sembra che passi sul suo volto una leggera punta di delusione. Il Suo Signore gioisce ed esulta, felice che tutto stia andando come da copione. Sì, sono sicuro che anche lei voglia giocare. Ne sono certo, lei non mi delude mai.

Rido. «Vorresti che lo facessi?»

Non mi risponde, deglutisce.

– Sì, – mi rispondo, –  lo vuole. –

«Be’, sta’ sicura che io non ti toccherò in quel modo, neppure se mi preghi» dico convinto per tranquillizzarla, ma faccio oscillare le sfere in mano quasi fosse una minaccia.

Mento. Mento sapendo di mentire. Non la toccherò, questo è certo, se non sarà lei a volerlo, ma sarà lei a chiederlo.

E lo so con certezza perché io sono un Dominatore.

«Le puoi sempre togliere, se ti sembra troppo.» Continuo ad allettarla, a tentarla, ma ha già ceduto, mi ubbidirà.

– E ti sculaccerò. Farò di te tutto ciò vorrò. E sarai tu a chiederlo. Non stasera, d’accordo ma accadrà. Prima poi accadrà, tesoro – mi crogiolo in questa certezza che mi viene dal suo sguardo.

Farle fare ciò che voglio anche senza ordini è molto più appagante che esigere l’obbedienza dalla sottomessa, mi fa sentire potente più di quanto mi abbiano mai fatto sentire le altre, perché la mia influenza su di lei è quasi totale e non è legata alle minacce.

Le sorrido.

«Okay» acconsente.

«Brava ragazza» la blandisco. «Vieni qui, te le infilo dentro, dopo che ti sarai messa le scarpe.»

Le porgo la mano per aiutarla a salire su un paio di Louboutin grigio tortora. 

–  Perfetta. Dovresti presentarti sempre così, davanti a me. Dovresti stare sempre qui ad aspettare me che sono il tuo Signore. –

Prendo una sedia e gliela metto davanti.

«Al mio cenno, ti pieghi e ti tieni alla sedia. Capito?» mi rendo conto che non sono riuscito a celare il desiderio, lo sento vibrare nella voce.

«Sì.»

«Bene. Ora apri la bocca» le ordino. Ne ho la forza, ma il desiderio mi sta stordendo.

Obbedisce.

Le infilo l’indice in bocca. Ci infilerei il mio pene, si ecciterebbe più in fretta e si lubrificherebbe meglio, ma non posso e non voglio cedere. Ho altro in mente, deve desiderarmi. Devo eccitarla per ottenere la sua sottomissione.

«Succhia» dico.

Lei prende il mio dito in bocca e mi afferra la mano. Sta mimando una fellatio. Lei succhia forte e io sto per perdere il controllo.

– Chi cazzo se ne frega di aspettare – mi dico.

– No. Appagamento ritardato: la ricompensa sarà più grande – mi ammonisce il Raffinato Signore, ma anche lui sta per cedere. Inspiro profondamente.

Sono io che metto in bocca le sfere per inumidirle e lei continua la sua fellatio sul mio dito, girandoci intorno la lingua. Lo sfilo. – Basta! –  ma lei lo trattiene con i denti.

–  No, no, no –  sorrido e scuoto la testa. Obbedisce immediatamente.

Le faccio un cenno e lei si piega, reggendosi alla sedia che ho portato vicino al letto, vicino a lei.

Le scosto le mutandine di lato, molto lentamente, e infilo un dito dentro di lei, il medio, disegnando lenti cerchi, voglio che mi senta, ovunque. Un gemito le sfugge dalle labbra.

Sfilo il dito e me lo infilo in bocca per assaggiarla, lei è voltata, non mi vede. Poi, con estrema cura, inserisco le sfere, una alla volta, spingendole dentro. Dopo che le ho sistemate, le rimetto a posto le mutandine e le  bacio il sedere. Faccio scorrere le mani sulle gambe, dalla caviglia alla coscia, e le bacio dolcemente entrambe le cosce, dove finiscono le calze autoreggenti.

«Hai delle gambe bellissime, Miss Steele» sussurro. Sono annientato dal desiderio, ma so che il premio per non aver ceduto sarà molto più grande dall’appagamento immediato.

È questa la differenza fra la vaniglia e il vero sesso, qui sta la supremazia dell’uno sull’altro... – ... e te lo dimostrerò, Miss Steele. –  L’afferro per i fianchi e la struscio contro la mia erezione, per farle sentire che la voglio e dimostrarle quanto io abbia gradito.

«Magari ti prenderò in questo modo, quando torneremo a casa, Anastasia. Ora puoi rialzarti» ordino.

Poi, sempre da dietro le poso un bacio sulla spalla.

Infondo sono abbastanza appagato da tutto il sesso che abbiamo fatto da ieri sera, mi sono fatto risarcire tutti gli arretrati e ora vorrei darle...

– Oh, cazzo. Speriamo che li accetti –  mi dico, pensando agli orecchini. Sono intimorito perché sembra che ogni dono prezioso la faccia sentire... sì, una poco di buono... proprio lei, che è più pura di  un lago di montagna, più pura di un diamante di Cartier.

–  Non voglio farti sentire sporca, Anastasia. Non voglio. –

«Ti avevo comprato questi da indossare al galà di sabato scorso.» Le passo un braccio intorno e allungo verso di lei la mano aperta. Nel palmo ho una scatoletta rossa con la scritta CARTIER incisa sul coperchio. «Ma poi mi hai lasciato, così non ho avuto l’opportunità di darteli» mormoro, sono nervoso.

Esitante, prende la scatoletta e la apre. Dentro brilla un paio di orecchini.

«Questa è la mia seconda chance.»

Esito.

Li ho scelti in fretta,  i pendenti, all’uscita dall’aeroporto, al ritorno da Savannah. Ho dovuto acquistare di corsa un biglietto qualsiasi per poter accedere ad duty free e raggiungere Cartier. 

– Penso sempre a te, Ana, in ogni momento. Ci tenevo a portarti con me a quella noiosissima cena, sfoggiarti davanti a tutti...  Fanculo Leila e le sue cazzate, mi ha rovinato un fine settimana favoloso... – 

No, me lo sono rovinato da solo, incasinando lei e chissà quante altre... –  Ma  l’unica cosa che m’importa è di non aver incasinato te, Ana. Non ancora, per lo meno. E tu sei qui, per la mia seconda chance. –  

Questa volta non me la lascio sfuggire, non posso permettermelo, non posso!

– Se tu sei qui, significa che non sono riuscito a vomitarti addosso tutta quanta la mia merda. Me la tengo per me, la mia merda, perché cinque giorni senza di te mi sono bastati. Più di cinque giorni, non resisto, anche quando ti ho conosciuta: C I N Q U E  G I OR N I!  Sì,  piccola, proprio senza di te  che mi stai guardando come se venissi da un altro pianeta. Sì, vengo da un altro pianeta, l’hai capito o no? –  Ora sono qui, intimorito  e ansioso.

– Chissà se ti piacciono?  Spero tanto di sì, Anastasia, io voglio farti felice, voglio che tu abbia tutte le cose più belle, voglio che indossi gli abiti più eleganti, la biancheria più fine. Voglio occuparmi di te, prendermi cura di te... – 

 Eccola che apre la scatolina. È quasi abbagliata dalla luce dei brillanti, le piacciono, si vede. Non riesce mai a nascondere le sue emozioni.

Il suo bellissimo viso è come un’illustrazione colorata in un libro di favole tra le mani di un bambino che guarda il disegno e  non ha bisogno di leggere per capire anche il più minuscolo particolare.

–  Io ti ho capito subito: ovvio, se non capissi immediatamente chi mi trovo davanti, non sarei dove sono. E, a te, ti ho capita, ho capito immediatamente che eri unica, anche se mai avrei potuto immaginare che... –

«Sono bellissimi» mi sussurra emozionata, interrompendo i miei pensieri. «Grazie.»

– Ah, finalmente: questo regalo ti piace, anche se è prezioso. – Sono sollevato e felice che cominci ad accettare qualcosa da me... o forse è cambiato qualcosa tra noi.

Di sicuro per me è cambiato tutto, da che mi ha lasciato.

Io finalmente mi rilasso, le sfioro la spalla con le labbra.

 «Indosserai il vestito di raso argento?» le chiedo, abbracciandola da dietro.

Non m’importa un’acca di quello che indosserà, per me starebbe molto meglio nuda, solo che ho bisogno di sapere quale, delle tre maschere  che le ho procurato per la serata, si adatti meglio alla sua mise.

«Sì. Va bene?» mi domanda lievemente ansiosa.

«Certo. Ti lascio preparare.»

È proprio meglio che me ne vada, se resto qui ancora un attimo finisce che la faccio chinare di nuovo, le strappo le sferette e la scopo fino a farla svenire.

E poi, mi devo preparare.

 

Mentre scendo le scale mi costringo a pensare alla serata di beneficenza. È un evento importante per i miei, è il loro progetto, il loro credo. Anche io tengo molto a questo galà. È vitale, per la fondazione... per la fondazione?

Cazzate! Tengo tanto a questa soirée  perché non vedo l’ora che tutti mi vedano con lei, in compagnia di Venere.

Tutti!

Dopotutto... non sono gay.

Rido fra me, perché in fondo in fondo, ho sempre usato questo piccolo equivoco come copertura, il vestito di Clark Kant che nascondeva il Superman... della frusta.

Sorrido alla mia immagine nello specchio, lievemente compiaciuto. Ritocco il papillon e aggiusto la giacca dello smoking nero lisciando le pieghe inesistenti.

Perfetto.

Del resto il mio aspetto è qualcosa su cui io non ho  mai dovuto lavorare.

Nel corridoio trovo Taylor che mi sta aspettando con i tre uomini della scorta.

«Signore, io e Sawyer seguiremo Miss Steel. Reynolds e Ryan staranno su di lei, se per lei va bene, signore» mi delucida Taylor. Con Leila in giro e tutta quella gente mascherata, ha organizzato ogni cosa nei minimi particolari. Ascolto con attenzione la spiegazione dei dettagli, abbiamo già concordato il piano a grandi linee e dovrà essere proprio lui a vegliare su Anastasia.

«Nessuno può avvicinarsi a lei» dico agli uomini schierati davanti a me, con il mio tono da “sono-io-il-boss-e-tu-scatta-sull’-attenti-se-ci-tieni-a-salvarti-il-culo”. «Solo i miei familiari, oltre a me, potranno accostarsi a Miss Steel, nessun altro. Sono stato chiaro?» sibilo la mia domanda retorica.

In questo preciso istante so con certezza che mi hanno accettato come capo, non perché sono quello che li paga, ma perché hanno riconosciuto in me il maschio alfa, come tutti quelli che lavorano per me in ogni parte del mondo, perché, “io”, sono fottutamente bravo!

«In caso contrario, se qualcuno si avvicinerà alla mia fidanzata, seguirete il protocollo che...» Mi interrompo notando che lo sguardo dei tre uomini che mi stanno difronte viene distratto da un’apparizione.

È lei!

È arrivata.

Lo so, lo sento, anche senza vederla, perché leggo il lampo di desiderio negli occhi della mia scorta.

– Li licenzio. In tronco. Anche se li ho appena assunti. Prendo delle donne, al loro posto. Ce ne sono di bravissime, in circolazione. Taylor saprà scovare le migliori. –

Mi volto e mi arriva uno schiaffo in pieno volto: è una visione mozzafiato!

I capelli ricadono in onde morbide sulle spalle nude, una delle sue piccole orecchie, illuminata dal pendente di brillanti, trattiene alcune ciocche come un prezioso fermaglio, mentre altre ricadono studiatamente sul davanti, a solleticarle l’incavo del seno. Il trucco velato illumina il volto, reso ancor più delicato dal rossore naturale delle sue gote.

Sospetto che quel bel colore sulle guance sia dovuto all’opera delle sfere d’argento che stanno lavorando per me, aiutate dall’effetto dei tacchi alti, nonché le cure amorevoli di oggi pomeriggio. Questo pensiero si riverbera immediatamente nel mio inguine, procurandomi una scossa che mi elettrizza l’uccello.

Bene! Sono passati giusto dieci minuti da che è tornato in posizione di riposo e ricominciamo con l’alzabandiera.

– Ma che cazzo, Grey, datti un contegno! –

Stringo impercettibilmente le palpebre per mascherare l’irritazione dovuta alla risposta spontanea del mio corpo, al guizzo di gelosia che ho avuto leggendo la medesima reazione negli occhi del mio staff e, soprattutto, al desiderio di celare l’immenso piacere che i miei occhi provano nel guardarti, Miss Steel.

Attratto, mi avvicino lentamente ad Anastasia che, incerta, è rimasta in attesa.

Le poso un bacio sui capelli. «Anastasia, sei strepitosa» riesco solo a dire. Lei arrossisce, ovvio.

 «Un po’ di champagne prima di andare?» propongo. Ordino.

«Grazie» mormora.

Faccio un cenno a Taylor, che si dirige verso l’atrio con gli altri tre.

Andiamo nel salone, tiro fuori una bottiglia di champagne dal frigo. Rosé. So che lo preferisce: il gusto è più morbido, rotondo, delicato. Come lei.

«La squadra della sicurezza?» mi domanda.

«Guardie del corpo. Sono sotto il controllo di Taylor. È addestrato anche per questo.» Le  passo una flûte di champagne.

«È molto versatile» dice.

«Sì, lo è.» Non resisto, le sorrido. «Sei adorabile, Anastasia. Salute.» Tocco il suo bicchiere col mio per un brindisi.

«Come ti senti?» le chiedo, malizioso. Le sfere d’argento mi ruotano in testa: il pensiero è sempre lì, concentrato al piacere che questo giocattolo concederà ad entrambi, en fin.

«Bene, grazie» dice, indifferente.

Sogghigno alla sua risposta: – Abbiamo ricominciato  a giocare, Miss Steel? – 

«Ecco, avrai bisogno di questo.» Le porgo la maschera d’argento chiusa in un sacchetto di velluto, prendendolo dal bancone della cucina. «Aprilo» la esorto.

Curiosa e stupita estrae la maschera argentata decorata con una raffinata filigrana e piume color cobalto. «È un ballo in maschera» le spiego.

«Capisco.»

«Farà risaltare i tuoi bellissimi occhi, Anastasia.»

Mi sorride timida. Adorabile.

«Ne indosserai una anche tu?» chiede.

«Certo. Sono liberatorie, in un certo senso.» Neppure puoi immaginare quanto siano liberatorie le maschere in certi giochi, Anastasia, soprattutto per i sottomessi.

 –  Ohhoh. Sarà divertente –  penso e la prendo per mano. «Vieni. Voglio farti vedere una cosa.» La conduco lungo il corridoio, alla biblioteca: sono certo che le piacerà. Apro una porta vicino alle scale  e le mostro la “stanza pallosa”, un ambiente corrispondente alla stanza dei giochi, che si trova proprio sopra.

«Hai una biblioteca!» esclama impressionata, sopraffatta dall’eccitazione. È proprio la reazione che aspettavo. Credo che nessuna delle mie sottomesse si entrata qui di sua spontanea volontà, neppure Claire che era un’insegnante.

«Sì, la “stanza pallosa”, come la chiama Elliot. L’appartamento è molto grande. Oggi mi è venuto in mente, quando hai parlato di andare in esplorazione, che non te l’ho ancora mostrato tutto. Non abbiamo tempo adesso, ma ho pensato di farti vedere questa stanza, e magari di sfidarti a una partita a biliardo, in un futuro non troppo lontano.» Mi piacerebbe proprio insegnarti a giocare. Ovviamente io giocherei sporco...

Mi sorride. Ha un lampo malizioso nello sguardo. «Fatti sotto» mi sfida, allegra.

«Cosa?» chiedo, divertito.

«Niente» risponde, troppo in fretta.

La guardo attraverso le fessure degli occhi. – Non sai proprio mascherare i tuoi pensieri, vero, Ana? Ma questa è una gran fortuna, per me.–  «Be’, forse il dottor Flynn saprà svelare il tuo segreto. Lo incontreremo stasera» dico.

«Il ciarlatano costoso?»

«Lui in persona. Muore dalla voglia di conoscerti.»

 

Comodamente seduti sul sedile posteriore dell’Audi, le prendo la mano per accarezzarla.

È a disagio.

E io gioisco: sta andando tutto come da programma, le tensioni di questa mattina sono svanite e posso vedere il desiderio che sta lentamente crescendo dentro di lei. Le sfere la stimoleranno al punto in cui sarà disposta a tutto e mi concederà tutto. Incrocia le gambe per arginare la voglia: bene, stiamo andando proprio bene.

–  Ho una cosa in mente e finalmente la realizzerò. –

«Dove hai preso il rossetto?» se ne esce, con fare tranquillo.

È gelosa. Si sarà sicuramente chiesta a quale delle mie sottomesse appartenesse quel cosmetico tanto volgare che ha usato per disegnare la sua mappa su di me.

A nessuna! Nessuna di loro ha mai lasciato neppure uno spillo nell’appartamento, terminato il contratto.

Avrei comunque gettato tutto, ma nessuna ha mai dimenticato la più piccola preziosissima cosa che avevo acquistato per lei.

– Solo tu, Ana. Solo tu non hai degnato di uno sguardo le cose che ti ho donato. Né abiti, né gadget, neppure il cellulare per darmi la possibilità di richiamarti, beh, veramente sarebbe più corretto dire per controllarti... Niente. Non hai voluto NIENTE! Solo me. Tu vuoi me, non i miei fottutissimi soldi. E questa, credimi piccola, è la più straordinaria tra tutte le “prime volte”. –

No, no no, la più straordinaria resta sempre avere scopato una vergine.

Rifletto e mi vien da ridere pensando alla valigetta da trucco per appostamenti della mia super, super guardia del corpo, uomo di fiducia, indispensabile collaboratore, autista nonché “personal shopper” e “trovarobe” Jason Taylor. «Taylor» le sussurro divertito, indicando l’uomo alla guida.

Lei ride. «Oh.» Si ferma, si morde il labbro.

Le sfere.

Ecco qui un’altra bella scossa al mio uccello. –  Non ti preoccupare che poi te le tolgo, piccola – sorrido malizioso. «Rilassati» le mormoro accostando il mio viso al suo. Non troppo, però, non voglio cedere a tentazioni premature.

«Se diventa troppo…» Mi limito a baciarle le nocche, prima una mano, poi l’altra e le succhio leggermente la punta del mignolo. Voglio stimolarla, provocarla un po’, senza correre il rischio di cedere alla tentazione. Sono o non sono Mr. Controllo?

Ora più che mai, dopo averle permesso di toccarmi e aver gestito anche la cosa che temevo di più, sono a tutti gli effetti Mr. Controllo.

Chiude gli occhi, permettendomi di studiare le espressioni del suo bel viso.

«Quindi, cosa dobbiamo aspettarci da questo evento?» mi domanda e spalanca i suoi incredibili occhioni azzurri.

«Oh, le solite cose.»

«Non solite, per me.» 

  – Già, non per te, piccola – e le bacio ancora la mano, con delicatezza, senza secondi fini, questa volta. «Un sacco di gente che fa sfoggio del proprio denaro» le spiego. «Asta, lotteria, cena, ballo… Mia madre sa come si dà un party.» 

È proprio così: l’allestimento è sontuoso, anche per chi è abituato a simili eventi e posso affermarlo con certezza.

Questa è in assoluto la prima volta che sono elettrizzato per un evento del genere.

Le feste al “club”, quelle sì che mi procuravano fibrillanti aspettative, anche quando ero solo il giocattolo di Elena, per il suo piacere e quello degli altri Padroni che assistevano allo spettacolo. 

–  Ma stasera sono qui con te, Anastasia. E quelle sfere... sono una promessa per gioie future, così come il tuo sguardo affamato: ti piaccio, mi vuoi, lo so. Te lo leggo in faccia. Mi guardi con uno strano sorriso eccitato, pieno di desiderio. Mi guardi come si guarda un principe. –

«Mettiti la maschera» la esorto sorridendo. Sono contagiato dal suo entusiasmo. Mi sento davvero il suo principe. Non proprio azzurro, diciamo “grigio”, in cinquanta sfumature. Mi metto la maschera nera, sempre sorridendo, e me l’aggiusto sul viso. Principe nero, è meglio. Ma stasera non voglio pensare al buco nero della mia anima, né alle mie cinquanta sfumature. –  Voglio pensare solo a te, Ana. –

«Pronta?» le chiedo prima di scendere dall’auto.

«Come sempre.» –  Sempre pronta? Sì, Miss Steele, sempre pronta per me! –

«Sei bellissima, Anastasia.»

Dovevo dirglielo.

Percorriamo un lungo tappeto verde, insieme all’élite di Seattle in abiti sfarzosi e con maschere di tutte le fogge.

Ci fermiamo a posare per due fotografi. Questo è un evento importante per tutta la città e il “Seattle Times” ha mandato un suo fotografo e qualche redattore, confuso tra la folla.

–  Domani siamo di nuovo sul giornale, Ana. E in internet. Così lo sanno tutti che sei mia. Brava, mettiti in posa, così, piccola, fa vedere a tutti come questa seta accarezza il tuo corpo magnifico. Devo davvero mandare un biglietto di ringraziamento da Neiman a Carolin Acton. –

«Quante persone verranno?» mi chiede Ana, sconcertata dalla magnificenza dell’allestimento.

«Circa trecento, credo. Devi chiederlo a mia madre.»

«Christian!»

Mia! In una nuvola rosa.

Sono felice di vederla.

«Ana! Oh, cara, sei meravigliosa!»

Mia abbraccia Ana e me la ruba per presentarla alle sue amiche.

C’è anche quella stronza, Lily. Che grandissima rompicoglioni! Come faccia ad essere amica di Mia è un vero mistero. È una vita che ci prova con me... non la scoperei nemmeno col cazzo di un altro. E se non pensassi che le farebbe piacere, la frusterei per un’ora, non per il mio piacere sessuale, ma solo per toglierle quel sorrisetto compiaciuto da puttanella  snob. Ed è pure ignorante, nonostante tutti i soldi di papà.

È meglio che vada a toglierle la mia ragazza dalle grinfie prima di diventare spiacevole.

«Signore, se volete scusarmi, vorrei riavere indietro la mia compagna.» Sorrido alle facce inebetite delle amichette di Mia, sfoderando il mio fascino assassino. Arrossiscono, sorridono e fremono. Tutte quante.

– Ma quanto possono essere oche, queste qua? –

Mai e poi mai assumerei nelle mie aziende una di loro, neppure per spingere il carrello dei muffins.

«È stato un piacere conoscervi.» Ana saluta e mente, mentre la trascino via. «Grazie» mi dice poi.

«Ho visto che c’era Lily con Mia. È una persona sgradevole.»

«Tu le piaci» borbotta gelosa.

«Be’, il sentimento non è reciproco.» Inorridisco. «Vieni, ti presento alcune persone.»

Chiacchiere vuote, qualche fruttuoso contatto, presentazioni...  non a tutti, però. – No, non ti presento a tutti, cara. Molti non sono degni di fare la tua conoscenza. – 

C’è anche qualcuno del vecchio giro. – Nemmeno sotto tortura ti presenterei a quella gente! – 

La tengo vicina a me, non solo per proteggerla da qualche pericolo più o meno reale, ho anche bisogno di starle vicino casomai la smania che le sta attanagliando il bassoventre abbia bisogno di cure immediate.

– Sono qui per te, piccola. So benissimo che non arriverai a casa con quelle palline infilate nel mio posticino preferito. Te le tolgo prima e ci metto qualcos’altro per riempire il vuoto. –   

«E così lei lavora alla SIP?» le domanda Art Eccles, coperto da un’inquietante maschera da animale. «Ho sentito voci di un’acquisizione ostile»  indaga.

– Sempre sul pezzo, vero Art? –  Era meglio se non presentavo ad Ana il consulente finanziario dei miei. È arrossita.

Questo è un terreno minato. Resto col fiato sospeso.

«Sono una semplice assistente, Mr Eccles. Non sono al corrente di queste cose.»

– E brava la mia ragazza! – È uscita sapientemente d’impaccio.

Il maestro di cerimonie, richiama la nostra attenzione e ci fa accomodare per la cena.

Noi siamo al tavolo dei miei. Bene, così presento Ana ai nonni e mi tolgo il pensiero.

Ci faranno il terzo grado... – ...ma siamo abituati agli interrogatori, vero, Miss Steele? –

E faranno anche una marea di battutine. Non vedono l’ora. – Un’altra prima volta, Miss Steele. –

«Oh, finalmente ha trovato qualcuno… che meraviglia, e così carina! Speriamo che tu faccia di lui un uomo onesto» dice la nonna, arpionando la mano di Ana, casomai scappasse lontano da me.

–  Brava nonna, è già scappata una volta, tienila stretta. Mi fai un favore.–  

«Mamma, non mettere in imbarazzo Ana»  la rimprovera mia madre. Io sono straordinariamente divertito.

«Ignora questa vecchia sciocca e brontolona, mia cara.» Ecco l’altro! «Siccome è così anziana,» dice mio nonno, «pensa di avere il sacrosanto diritto di dire qualsiasi sciocchezza le passi per quella sua testa matta.»

«Ana, questo è il mio fidanzato, Sean.» Mia presenta un perfetto conosciuto ad Ana.

– Fidanzato?!? In che senso, fidanzato? Fino a pochi giorni fa eri a Parigi... chi cazzo è Sean? Che cazzo guardi, tu? È la mia donna che stai guardando? Vedi darti una regolata, bello! – 

La voce di mio padre che presenta la serata mi distoglie dalle mie gelosie. Ebbene sì, sono geloso anche di mia sorella. Flynn dice che è normale, ma devo darmi una regolata.

Devo dominare la mia gelosia per Ana perché capiterà spesso di trovarci in mezzo ad altra gente e sarà inevitabile che la guardino.

Mio padre ci raggiunge.

Al nostro tavolo sono seduti anche il socio di mio padre con sua moglie, hanno preso il posto di Elliot che si sta scopando la signorina Kavanagh sotto il sole dei tropici.

«Signore e signori, vi prego di nominare un capotavola» dice il  cerimoniere, introducendo il primo “gioco a premi” della serata.

«Oh, io, io!»  grida Mia. Ovvio! Mia sorella è sempre in mezzo come il prezzemolo. È un’entusiasta della vita: è la cosa che più amo di lei.

«Al centro del tavolo troverete una busta» prosegue il cerimoniere. «Ognuno dovrà trovare, elemosinare, farsi prestare o rubare una banconota del valore più alto possibile, scrivervi sopra il suo nome e metterlo nella busta. I capitavola, per cortesia, devono avere cura delle buste. Ne avremo bisogno più tardi.»

Ana si agita sulla sedia, questa volta non è per le sfere d’argento. In questo momento, sotto il suo bel sedere, oltre alle palline, c’è un pungente cuscino di spine.

Tiro fuori due banconote da cento dollari, una anche per la busta di Ana. «Ecco.»

«Te li ridarò» mi sussurra.

 – Cosa?!? – Faccio una smorfia impercettibile. – Ecco! Sei riuscita a farmi incazzare! Era da stamattina che non m’incazzavo. Pensi davvero che permetterei ad una signora di pagare? Ma che cazzo restituisci?!? Secondo te, ti porto fuori per farti spendere metà del tuo stipendio? Ma fammi il piacere! –  Tiro fuori la mia Mont Blanc nera e la passo ad Ana, poi mi distraggo leggendo il menù, imitato dalla mia irritante-indisponente-troppo–indipendente–fottutamente-sexy ragazza.

Inizia la sfilata dei camerieri che servono gli antipasti in perfetta sincronia, uno per ciascun commensale.

Bene! Ana sembra affamata... e non solo di cibo. L’irritazione per poco prima è accantonata. «Fame?» le mormoro per farmi sentire solo da lei.

«Molta» sussurra e mi schiocca uno sguardo audace, degno di un’attrice da film muto.

Mi lascia senza fiato ed ecco che arriva, inopportuna, un’altra scossa a friggermi il cazzo.

–  Ma le ho messe io a te, le palline... o tu a me? Mi piacciono un casino le sensazioni che mi fai provare, piccola. – 

Per provocarmi qualche scarica come questa non hai idea di quali giochi perversi  dovessi inscenare e ci voleva ben altro che uno sguardo per eccitarmi, anche se carico di lussuriose promesse. Un “Sì signore, grazie signore” ad ogni bacchetta qualche volta riusciva a farmi lo stesso effetto. Non sempre.

Eh sì, sono rimasto a bocca aperta.

Il nonno cattura l’attenzione di Ana e io mi distraggo un po’. Solo un po’. Parlo con Lance del mio settore sviluppo e delle nuove tecnologie che stiamo sperimentando, gli spiego che voglio essere il primo a mettere sul mercato un telefono cellulare che si ricarica manualmente e renderne free il brevetto.

Lance mi guarda come se fossi pazzo.

–  Guarda, Lance, che i soldi non si mangiano, sai? E non hanno ancora fatto le bare con le tasche... –  Questa potrebbe essere un’idea: chissà quanti avidissimi figli di puttana sarebbero disposti a pagare cifre stratosferiche per portarsi dietro la loro bella catena d’oro per l’inferno.

Durante la cena prende vita la solita sfilata di persone che vogliono  salutarmi e conoscere Ana.

–  No, non tutti sono degni di esserti presentati, Ana, e certi è proprio meglio che non si avvicinino. –

Finita la cena, è finita anche la tolleranza della mia ragazza che freme sulla sedia.

Me ne accorgo, sto in campana, sta per alzarsi, devo seguirla.

No, si ferma: infatti il cerimoniere è arrivato al nostro tavolo con “Etciù”, Gretchen, la governante dei miei.

È meglio che faccia finta di non averla riconosciuta, è più fastidiosa di un nugolo di zanzare.

Sean vince il gioco delle buste e Ana fa per alzarsi.

 –  Ecco, ci siamo –  mi dico, stavo aspettando da tutta la sera.

«Se volete scusarmi» mormora imbarazzata. –  Ti scuso, ti scuso... vedrai come ti scuso... –

«Hai bisogno della toilette?» chiedo. Annuisce.

«Te la mostro» le dico, cupo. Mi alzo, imitato dagli altri perfetti gentiluomini.

«No, Christian! Non andare tu con Ana. L’accompagno io.» Mia è già in piedi. Taccio. Serro la mandibola.

– Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo! – Certe volte Mia è davvero insopportabile. I cazzi suoi, mai!  Anche Ana sembra delusa.

Almeno questo!

 

Anastasia e Mia tornano al tavolo e sì, io sono deluso, ma so benissimo che lo anche lei.

Inizia il clou della serata, l’asta. Io ho messo in palio un soggiorno di una  settimana ad Aspen,  nel mio cottage.

«Hai una proprietà ad Aspen?» sibila Ana quando legge il mio, tra l’elenco dei premi.

L’asta ha inizio e io la zittisco,  fingendomi irritato.

«Hai altre proprietà in giro?» chiede.

Annuisco. –  Vuoi stare zitta! – «Te lo dico dopo. Sarei voluto venire con te.» Non riesco a non dirglielo e a non mostrare la mia delusione. Sembra imbronciata. È delusa anche lei.

L’asta si avvia e prosegue spedita. Tocca alla mia settimana ad Aspen che arriva a  ventimila dollari.

«Ventimila dollari e uno, ventimila dollari e due…» dice il maestro di cerimonie.

Ed ecco che accade una cosa davvero sorprendente: all’improvviso le mie orecchie odono, troppo vicino, una gentile vocetta che strilla: «Ventiquattromila dollari!»

Sussulto.

E non solo io.

Una rabbia folle m’investe come un’onda.

Trattengo il fiato per non esplodere.

«Ventiquattromila dollari per la bella signorina con il vestito argentato.»

Non vedo più nulla dalla rabbia.

«Ventiquattromila dollari e uno,» il fumo mi sta uscendo dalle orecchie e dalle nari, «ventiquattromila dollari e due,» sto per esplodere…«...Aggiudicato!»

IMPLODO!


CAPITOLO 9


L’ha fatto davvero!

Respiro.

La rabbia, quella rabbia folle che mi ha tolto la parola per cinque giorni invade di nuovo ogni parte di me.

Tutte le mie buone intenzioni spazzate via da un’onda di furore.

– Non gliene fotte davvero un cazzo dei soldi! –  urlo dentro di me, ma questa ennesima conferma, questa conferma così brutale, per qualche strana ragione mi conforta.

Mi scalda.

–  Lei vuole me, non i miei soldi... – ma la rabbia è feroce. Mi protendo verso di lei, mi appiccico sul viso un sorriso, falso, ovviamente. 

Le sfioro una guancia con un bacio solo per poterle dire: «Non so se gettarmi ai tuoi piedi oppure sculacciarti fino farti passare la voglia...» – e fino a farmi passare la rabbia –  penso solo, ma non ho bisogno di dirglielo. Lo sa.

Mi guarda con lo stesso sguardo di prima, da attrice da film muto, sbattendo le ciglia, posso vederlo bene anche attraverso la maschera. Poi le esce un sussurro, da quella bella bocca, un mormorio veloce che solo io posso udire:  «Opterò per la seconda possibilità.»

Sento vagamente gli applausi sfumare, perché la mia mente è tutta occupata a registrare la campana assordante dei vigili del fuoco che sta martellando il suo allarme.

Apro la bocca, ho urgente bisogno d’aria, mentre il Raffinato Signore, che era rimasto in biblioteca a leggere, rassegnato ad una lunga attesa, scatta in piedi, sull’attenti. Sa che è appena scoppiato un incendio e deve, deve, accorrere per sedalo.

– Oh, Miss Steele, “Miss Steele!”, tu sai sempre, e dico sempre, stupirmi. E mi ecciti come nessuna mai – pensa il Raffinato Signore. Ed è già qui, seduto accanto a lei, che la carezza, la blandisce e, sornione, si struscia pregustando un inaspettato appagamento.

Come avrà fatto ad arrivare così in fretta, quando gli avevo raccomandato di non muoversi? L’R8? Charlie Tango? Il jet? Forse il teletrasporto... fatto sta che è qui, tutti i sensi accesi e la mente lucida e attenta ad ogni più piccolo movimento della sua preda.

Sta pregustando.

Inspiro. Forte.

«Stai soffrendo, vero? Vedremo cosa posso fare per te» mormora il Padrone e le faccio scorrere le dita sulla guancia. Riesco a sentire il suo brivido che è l’eco del mio: sto vibrando, non tutto, però. La mia eccitazione è localizzata in un punto ben preciso, là dove si stanno catalizzando tutte le mie energie. Assaporo.

Rimaniamo seduti a guardare l’asta del prossimo pezzo.

Attendo.

– Intanto giochiamo un po’, Miss Steele. Mi auguro che tu abbia imparato a non dirmi di no. –

Le appoggio un braccio intorno alle spalle, con fare affettuoso, ma è solo una scusa per tenerla vicina, per non farla scappare.  Il pollice le accarezza ritmico la schiena e  con la mano libera stringo la sua, me la porto alle labbra con noncuranza, con una sguardo estasiato ad uso e consumo degli altri commensali e poi... poi... me la poso in grembo, lentamente.

Non capisce, subito. Devo prima trascinare le sue dita accanto alla mia erezione, fargliela sentire bene. Farle capire che cosa ha scatenato, casomai pensasse di averla passata liscia.

Sussulta. Ha capito.

Si guarda intorno spaurita ma tutti sono attenti all’asta e non guardano noi.

Ana, lentamente, comincia ad accarezzarlo, lascio che le sue dita mi esplorino. Mi faccio toccare. Anzi insisto: le tengo la mano sulla sua, nascondendo le dita audaci che mi stanno assaporando. Le faccio scivolare il pollice sul collo, in una carezza intima.

Purtroppo gemo, in silenzio però, perché proprio non riesco a trattenermi.

La settimana al lago Adriana nel Montana è l’ultimo lotto, l’asta sta finendo e il mio uccello si sta ingrossando sotto le sue dita inesperte.

«Aggiudicato, per centodiecimila dollari!» dichiara il maestro di cerimonie con aria vittoriosa. Tutto il tendone scoppia in un applauso, anche Ana applaude, come me del resto, rovinando il nostro divertimento.

Mi volto, la guardo, le sorrido. «Pronta?»

«Sì» mormora in un soffio.

«Ana!» chiama Mia. «È ora!»

– Cosa? No. Non di nuovo! Cazzo! – 

«Ora di cosa?» domanda. Balbetta.

«Dell’asta per il primo ballo. Vieni!»

Lancio a Mia uno sguardo astioso, non che le importi molto.

Ana  lo intercetta e scoppia a ridere.

–  Quanto mi piace la tua risata, piccola! –

La guardo, quando ride non riesco a resistere. Le sorrido, è inevitabile.

«Il primo ballo sarà con me, okay? E non sarà sulla pista» le mormoro lascivo all’orecchio.

«Non vedo l’ora.» Si china verso di me e sfiora le mie labbra con le sue in un dolce, veloce bacio.

Tutti, al tavolo, ci stanno guardano stupiti.

– E che diamine! Non avete mai visto due che si baciano? Bacio, poi... come si fa a chiamarlo bacio? Quello di stamane in cucina era un bacio. Cos’è, uno scandalo, per caso? Abbiamo ancora i vestiti addosso! Sembra proprio che non abbiate mai visto... che non abbiate mai visto... me. –

Mi vien da ridere al pensiero delle loro facce se sapessero di me e della Stanza dei Giochi. 

«Vieni, Ana» insiste Mia. Ana prende la mano tesa di mia sorella e si avviano al palco.

– C’è anche Lily, come tutti gli anni, non  le è bastato  lo scherzo atroce di due anni fa. Elliot è veramente un gran bastardo, quando ci si mette. –  Mi scappa lo sbuffo di una risata pensando a mio fratello: ha chiesto al battitore di far passare Lily per ultima e, d’accordo con i suoi amici radunati sotto al palco, ha fatto in modo che non ricevesse nemmeno un’offerta, il bastardo. Poi mi sa che le abbia dato anche una ripassatina, così... per consolarla.

– Tu non corri questo rischio, mia adorabile Miss Steele. Per te farò un’eccezione e, udite udite, quest’anno parteciperò anch’io a questa pagliacciata –  e mi alzo.

«Signori, il momento clou della serata!» prorompe il maestro di cerimonie al di sopra del chiacchiericcio. «Il momento che tutti voi stavate aspettando! Queste dodici adorabili signorine hanno acconsentito a mettere in palio il loro primo ballo al migliore offerente!»

È arrossita, posso vederlo anche da qua e con la maschera.

– Sei incorreggibile, Ana. –

«Ora, signori, per favore avvicinatevi, e date una bella occhiata a ciò che può essere vostro per il primo ballo. Dodici attraenti e compiacenti ragazze.»

Ana ha uno sguardo orripilato. – Sì, mi fai proprio ridere, Miss Steele. – 

Mi vede e si rilassa visibilmente.

Mi fa uno strano effetto, io dovrei essere l’unico da temere, invece lei si affida. Non al Dominatore, non al Padrone, non al padrone della GEH, no. A me, lei si affida a me. Questa piccola cosa mi appare straordinaria.

Mi avvicino al palco e intanto mi fermo a salutare qualche conoscente. Mi sistemo un po’ di lato, per avere una buona visuale.

Una volta che tutti ci siamo radunati, il maestro di cerimonie incomincia.

«Signore e signori, com’è tradizione di questo ballo, manterremo il mistero, le dame terranno la maschera e noi useremo solo i loro nomi di battesimo. Per prima abbiamo l’adorabile Jada.»

Il banditore presenta la ragazza sparando una serie infinita di cavolate che riescono, mistero divino, a strappare applausi e risate a quasi tutti gli invitati.

Poi è la volta di una bella mora, abito rosso. Il fastidio della ragazza per la presentazione del banditore viene subito soppiantato dalla gara ingaggiata da due agguerriti contendenti che se la aggiudicano per ben quattromila dollari. 

La mia attenzione è però attratta da Anastasia che confabula con Mia. – Che cosa le starà dicendo, Mia, di tanto interessante? –  È distratta, attenta solo a mia sorella.

Noto anche che Lily la sta studiando. Non le ha tolto i suoi occhi invidiosi di dosso.

«E ora permettetemi di presentarvi la bellissima Ana.» Anastasia fa un balzo nel sentire il proprio nome, come l’avesse punta una tarantola.

Guarda spaurita Mia che le fa  cenno di andare al centro del palco.

È imbarazzatissima. –  Così impari a dire sempre di sì a mia sorella –  ridacchio e incontro il suo sguardo che mi cerca.

Per fortuna non inciampa, mi sarebbe proprio dispiaciuto che facesse una gaffe davanti a Lily, mi sarebbero girati i coglioni vedere  quella stronza gioire delle disgrazie della mia ragazza. È una persona sgradevole, sparla di tutti, compresa Mia. E non mi devono toccare mia sorella.

«La bellissima Ana suona sei diversi strumenti, parla fluentemente il mandarino ed è un’esperta di yoga… Ebbene, signori…»

Prima che finisca la frase, interrompo la sfilza di cazzate e, fissando il maestro di cerimonie attraverso la maschera dico a voce alta: «Diecimila dollari» sparo subito alto, così chiudiamo in fretta la faccenda e soprattutto chiudiamo la bocca a Miss Lily Beresford, che sussulta.

«Quindicimila.» Qualcuno ribatte.

Cosa?!?

Tutti ci voltiamo verso la voce.

– Ah! – penso. –  Il solito fine umorista. Si stava annoiando – penso e rido fra me. Sono una maschera di cera sotto la maschera nera, non voglio che Ana capisca che mi sto divertendo. Flynn mi saluta con un cenno del capo.

«Bene, signori! Abbiamo delle offerte alte questa sera.»

L’eccitazione del maestro di cerimonie è palpabile attraverso la maschera di Arlecchino, mentre si volta con un sorriso verso  di me.

 È un grande spettacolo a spese della mia ragazza che vorrebbe essere inghiottita da una botola nascosta nel palco delle esecuzioni.

«Venti» ribatto tranquillo.

Il chiacchiericcio della folla è scemato. Tutti guardano me, Ana e John, che è posizionato in un posto strategico vicino al palco.

«Venticinque» ribatte il “ciarlatano” che mai come questa sera si sta rivelando “costoso”.

Tutti gli occhi sono su di me.

D’accordo, chiudiamola qui altrimenti Ana mi muore seduta stante... e poi ho altro in mente.

«Centomila dollari» sparo.

«Ma che cazzo…?» sibila Lily, proprio dietro a Ana, riesco a leggerle il labiale.

– Elliot, saresti fiero di me, fratello, non sono proprio al tuo livello ma ho fatto schiattare la stronza. – 

Flynn alza le mani in segno di resa, ridendo, e io lo guardo divertito. Mia, come al solito saltella sui tacchi a spillo per la gioia.

– Non so come faccia a non rompersi una caviglia. –  

«Centomila dollari per la dolce Ana! Centomila dollari e uno… centomila dollari e due…» Il maestro di cerimonie guarda Flynn ancora una volta e John scuote la testa con una smorfia di simulato rammarico facendo un inchino cavalleresco.

«Aggiudicata!» grida il maestro di cerimonie trionfante.

– Sì, aggiudicata! Se fosse davvero così facile aggiudicarsela e bastasse davvero firmare un assegno... –

Tra gli applausi e le grida assordanti, vado a prendermi ciò che è mio. Le prendo una mano e l’aiuto a scendere dal palco.

–  Ok, ora sei mia – la prendo sottobraccio e me la porto via.

«Chi era quello?» chiede.

«Qualcuno che conoscerai più tardi. Ora, voglio mostrarti qualcosa. Abbiamo circa mezz’ora prima che l’asta del primo ballo sia finita. Poi dovremo essere di ritorno sulla pista, in modo che io possa godermi il ballo per cui ho pagato.»

«Un ballo molto costoso» mormora con disapprovazione.

«Sono sicuro che vale ogni singolo centesimo.»

– Piccola, ogni anno raddoppio, con la mia donazione, la cifra che viene raccolta durante la serata, figurati che cosa vuoi che siano centomila dollari. Questo è il credo dei miei genitori, Anastasia. È importante per loro, è importante per me e i miei fratelli. E poi... lo detraggo dalle tasse– penso e mi esce un sorrisetto malizioso.

Passiamo dal retro, così non corriamo il rischio che qualcuno ci noti.

A parte la scorta, ovviamente.

Potrei andare al capanno, ma stasera, proprio questa sera realizzerò una fantasia che mi ha perseguitato per anni.

– È  da un po’ che ci penso – mi dico, mentre la trascino su per lo scalone e poi ancora su, al secondo piano. – È da ieri sera che sto pregustando il momento... –  Apro la porta bianca e dico piano: «Questa era la mia stanza.»  Rimango sull’uscio e la faccio entrare, poi mi richiudo la porta alle spalle. A chiave.

Si guarda intorno curiosa. Ha scannerizzato ogni più piccolo particolare, nulla è sfuggito al sguardo attento. Finita la sua ispezione torna a posare i suoi bellissimi occhi su di me.  

La guardo, la guardo qua dentro, la guardo bene.

«Non ho mai portato qui una ragazza» dichiaro.

«Mai?» sussurra.

Scuoto la testa.

Deglutisce, deglutisce ancora e le si muove anche la maschera.

Anche io ho la maschera e non ho intenzione di toglierla.  

«Non abbiamo molto tempo, Anastasia, e da come mi sento in questo momento, non ci occorrerà tanto. Voltati. Lascia che ti tolga quel vestito.»

Si gira verso la porta, mi chino su di lei e le sussurro all’orecchio: «Tieni su la maschera». Sento il suo corpo che si contrae e non l’ho neppure toccata. Geme.

So che effetto le faccio. Lo faccio a tutte.

Afferro la parte alta del suo vestito, faccio scorrere le dita sulla sua pelle, prima di tirare giù la cerniera. Le reggo l’abito per aiutarla ad uscirne e lo depongo sullo schienale della sedia, attento a non sgualcirlo e mi levo la giacca.

Guardo per qualche istante, qui, fermo al centro della mia stanza fasciato in finissima lingerie, tacchi alti e  autoreggenti, il sogno erotico di qualsiasi ragazzo che si materializza accanto al suo letto.

Guardo e mi beo della visione di questa fanciulla stupenda pronta per me.

Potrebbe essere una qualunque delle infinite ragazze, compagne di scuola, figlie di amici, amiche di amiche che hanno popolato i voli della mia fantasia di adolescente. 

Potrebbe esserci chiunque, nascosta dietro quella maschera.

Potrebbe essere una delle ragazzine che non ho mai avvicinato perché ero troppo giovane e fuori di testa... prima di Elena.

Potrebbe essere una qualsiasi delle compagne che mi sbavavano dietro quando Elena era l’unico mio pensiero e l’unica possibilità.

Potrebbe essere una a caso delle altre sottomesse, more, che, proprio come me, durante le grandi feste al club,  ciascun Dom esibiva davanti agli altri, imponendo prove di obbedienza, alla stregua dei padroni alle mostre canine che mettono in mostra le abilità della propria bestiola al guinzaglio durante  il giretto d’onore.

 – Ho sempre detestato queste umiliazioni e non le ho mai imposte. Mai.–

Potrebbe essere una qualsiasi di quelle schiave che desideravo quando, anche io schiavo, cominciavo a capire quali fossero le mie vere pulsioni, la mia volontà, i miei desideri. Quando il mio trasporto per Elena era finito e i suoi giochi avevano ormai perso ogni interesse diventando null’altro che una confortante abitudine. Proprio come ora.

– È proprio questo che non capisci, Miss Steele: l’amicizia di Elena è una confortante abitudine. Niente altro. Niente. – 

Molte notti avrei desiderato una di loro legata a questo letto, molte volte avrei voluto avere qui Slavery, soli io e lei, ed essere io il suo Padrone. Glielo chiesi, di diventare la mia prima sottomessa, ma gli unici incontri che aveva con gli uomini erano quelli che le venivano imposti dalla sua Dom, Lady Poison, l’amica di Elena.

Quando Elena ha cominciato a capire che lei non mi bastava più, ha cercato di stimolami con cose nuove, nuovi incontri. Le sessioni private con un’altra Padrona e la sua sub sono state l’idea grandiosa di “Mrs. Robinson” per aprire i miei orizzonti. Ma sono andato fuori di testa quando quella mi ha frustato sulla schiena mentre, per obbedire ai loro ordini, stavo scopando Slavery. Non mi è neppure venuto in mente di pronunciare la safeword, le sono saltato al collo, l’ho fatta inginocchiare ho usato il frustino su di lei. E poi l’ho scopata. Le ho scopate tutte e tre, così hanno capito chi era il vero Padrone.

– Sì, sono andato proprio fuori di testa. E da quel giorno Elena si è sottomessa a me. Anzi, lei era proprio la sub perfetta. Eh, certo... dopo tanti anni di esperienze... – Ma Elena non era quello che volevo, non mi interessava più.

Non voglio pensare a questo, adesso, mi guasterebbe il momento.

Voglio pensare solo a chi mi rende felice, a chi mi appaga, alla Venere seminuda che aspetta solo me, celata da una maschera.

Potrebbe esserci chiunque, qui davanti a me, ma c’è lei...

E io sono un Dominatore...

«Lo sai, Anastasia,» mi sciolgo il papillon e lo lascio pendere ai lati del collo, poi mi slaccio i primi tre bottoni della camicia, «ero così arrabbiato quando hai vinto il mio lotto d’asta. Mi sono passati per la testa un milione di pensieri...» le dico, ed è vero perché la folle rabbia che mangia e smania dentro di me stava per prendere, un’altra volta, il sopravvento. In una frazione di secondo l’ho vista nuda, appesa alla grata nella Stanza dei Giochi, a mia disposizione. Mi è passata tutta la mia rabbiosa vita davanti agli occhi in un secondo e l’ho frustata, l’ho sferzata, l’ho battuta con la verga rigida dietro le ginocchia, sul sedere, dove finiscono le natiche e cominciano le gambe e l’ho sodomizzata, con una violenza e una ferocia che mai ho usato su nessuna, che non ho mai nemmeno pensato di usare su nessuna! Nessuna safeword, nessun ripensamento... in un solo  piccolo istante ho violentato l’unica cosa pura della mia vita. Pura! Sì, pura come solo un bambino può essere... pura come un bimbo... un bimbo di pochi anni... E l’ho già fatto, proprio sabato scorso, quando ho l’ho presa a cinghiate con tutta quanta la mia forza, perché ero arrabbiato con Leila, ero arrabbiato col mio passato... ero arrabbiato col mondo, non certo con lei... ero arrabbiato con me stesso. Ho pensato a tutto questo in un millesimo di secondo e in quei pochi attimi è tornata la paura del vuoto e del dolore...«Ho dovuto ricordare a me stesso,» le spiego, «che le punizioni sono fuori dal nostro accordo. Ma poi ti sei offerta volontaria.» La guardo, la studio. «Perché lo hai fatto?»  chiedo, devo sapere.

«Volontaria? Non lo so. Frustrazione… troppo alcol… una buona causa» mormora docile, stringendosi nelle spalle.

–  Una buona causa? – Sollevo un sopracciglio e stringo le labbra. – Una buona causa. Volontaria... –  mi ripeto. – Sono due cose diverse. No, tesoro, tu, queste cose, non le sai. Non conosci certe dinamiche... io sì. Lo so, quanto è vero che sono un Dominatore e tu, piccola, tu... mi hai chiamato, mi hai provocato proprio perché ti io punissi. Queste cose non sono certo una novità per me, ma lì per lì, preso dall’ira e dal momento, non ho capito immediatamente questo richiamo, perché, da te e oggi, proprio non me lo aspettavo. – Mi lecco il labbro, pregusto, e serro un poco le palpebre. Continuo, mi godo la vittoria. «Ho giurato a me stesso che non ti avrei più sculacciata, nemmeno se mi avessi supplicato.»  – Sì, l’ho fatto, nel momento della più cupa disperazione ho pregato, giurato e spergiurato che non ti avrei più toccata a quel modo... –   

«Per favore» piagnucola, mi prega. 

– Uhm, come godo: è puro trionfo! –

«Ma poi mi sono reso conto che probabilmente sei molto a disagio in questo momento e che è una cosa a cui non sei abituata.» Mi esce un sorrisetto beffardo, la vittoria stampata sul viso.

«Sì» dice in un sospiro. Lo ammette.

«Perciò, potrebbe esserci un certo… spazio di manovra. Se lo faccio, devi promettermi una cosa.» Su questo non transigo, non transigerò mai più!

«Qualsiasi cosa» concede.

«Userai la safeword, se ne avrai bisogno, e io farò solo l’amore con te, okay?» – Col cazzo che rischio ancora di perderti, Ana: dovrei essere pazzo!  –

«Sì» accetta, senza fiato.

Deglutisco. – Anche tu mi lasci senza fiato, piccola. Completamente senza fiato. Sei incredibile, incredibile. Mi annienti, mi conquisti: sai perfettamente ciò di cui ho bisogno e me lo concedi con una tale spontaneità che ha il potere di sciogliermi. –

La prendo per mano e la porto verso il letto. Getto da una parte il copriletto, mi siedo, afferro il cuscino e lo metto vicino a me. La guardo, in piedi di fianco a me. Un momento, solo un momento di indecisione. Poi all’improvviso tiro forte la sua mano e mi cade in grembo.

–  Oh, sìii... – trattengo un sospiro.

Mi accomodo e faccio in modo che il suo corpo sia disteso sul letto, il petto sul cuscino, il volto di lato.

Mi chino su di lei, le tolgo i capelli dalla spalla.

«Metti le mani dietro la schiena» mormoro. Mi sfilo il papillon che uso per annodarle i polsi. Adoro legarla, anche se so che non mi toccherà.

«Lo vuoi davvero, Anastasia?»

Chiudo gli occhi.  Aspetto con ansia la sua risposta.

«Sì» sussurra. Bevo il suo “sì”, lo assorbo, assaporo la sua preghiera. «Perché?» le domando dolcemente. Insisto, perché le sue parole, le sue ammissioni sono il più uro piacere, intanto le accarezzo il suo magnifico sedere.

Geme appena la sfioro.

– “Senti”, Ana: assapora il piacere della paura, del tormento, dell’attesa e del desiderio. Io, in questo modo, ti sto dando di più, ti sto dando tutto, tutto quanto me stesso, tutto quello che conosco... e so che ne godrai. Ora rispondimi! –

«C’è bisogno di una ragione?»

«No, piccola.» – Non dirmelo, so perfettamente qual è la ragione, vuoi darmi quello di cui ho bisogno, vuoi offrire a me ciò che io ho dato a te:  “di più”. E io lo prendo. –  «Sto solo cercando di capirti» le dico, anche se ho capito perfettamente. – Anastasia, prenderò tutto, ma ti prometto che non ne approfitterò mai più. –

Con la mano sinistra afferro il suo polso legato dietro la schiena, sollevo la destra e la colpisco molto forte.

Non urla, geme. Forte.

– Uhnff... –  inspiro, chiudo gli occhi e mi riempio i polmoni, lecco il labbro e lo mordo, sto gustando.

– Uno! – Il pizzicore al palmo mi si riverbera nel ventre e nell’anima. – Ma quale rabbia?! Nessuna rabbia, nessuna, solo il piacere infinito di possederti totalmente. Sei mia, tesoro, MIA! – Poso lo sguardo sul suo bel culo e vedo le strie rosse comparire sulla natica, tutt’intorno alla pressione delle mie dita, come se avessi disegnato una sorta di impronta con un pennarello rosso a punta fine.

Sto godendo. Sono felice.

La colpisco ancora, esattamente nello stesso punto, sarà intenso. Geme ancora.

«Due» mormoro, non mi esce dalla bocca nulla più che un mormorio. Sono troppo impegnato a godere. Il Raffinato Signore sta apprezzando il banchetto approntato per lui.  «Arriveremo a dodici»  annuncio. Basteranno a saziarmi. Le accarezzo il sedere, con venerazione. Vado piano, centellino, mi concedo un viaggio nel piacere, consapevole che, legata e premuta sul materasso, è impotente, alla mia mercé. E per sua volontà.

La colpisco ancora, leggermente di lato: ogni schiaffo è una contrazione del mio ventre, una scossa che mi arriva alle tempie, è lo stesso brivido dell’orgasmo, che però riesco a guidare, regolare, ritmare. È bellissimo... bellissmo... e poi ancora, dall’altra parte... mi fermo e lentamente le faccio scivolare giù le mutandine, gliele tolgo.  Voglio vedere il suo bel culetto all’aria pronto per ricevermi. Lo accarezzo con tutta la venerazione che merita.

«Cinque» gemo, gemo anch’io, come lei.

– Capisci, Ana, capisci, ora? –  le domando muto. – Comprendi qual è il vero piacere? Farmi godere, è il vero piacere. Il mio piacere è farti godere, amplificare il tuo orgasmo attraverso il dolore; la tua pelle, tutto il tuo corpo torturato dalle mie amorevoli cure assorbirà mille volte di più il piacere. E, infine, la consapevolezza di sapere che avrai concesso a me il massimo godimento ti farà raggiungere il sublime. Che vale un po’ di dolore per una tal ricompensa? Assaggia, Anastasia, gusta! Io so, LO SO, che apprezzerai... –  «Sei!» 

– Sei, tesoro, sei... sei... sei... Io ti venero... –

«Sette!»

– Ti desidero... –

«Otto!»

– Sei tutto, tutto, tutto ciò che io desidero! –

«Nove!»

– Mi concedi ogni delizia... –

«Dieci!»

– Non ti lascerò andar via... Mi sei mancata come l’aria... –

«Undiciii...»

–  Ti bramo... non mi hai fermato... ti amo, ti bramo... –

«Dodici» mormoro, la voce bassa e roca, è tutta la voce che riesco a far uscire dalla mia bocca.

Sono stordito.

Le accarezzo di nuovo il sedere, faccio scorrere il dito in mezzo alle natiche, in mezzo alle cosce, e lentamente affondo due dita dentro di lei.  – Oh, sì, sei bagnatissima! Mi vuoi, anche tu mi vuoi in questo modo! – e la tocco, in quel punto, so dove toccare per farla venire subito. Voglio il suo orgasmo, ora, subito! Voglio che capisca quanto può essere bello e poi verrà di nuovo, insieme a me: è così ricettiva, incredibile, direi. È venuta subito anche la prima volta, mi sono documentato, non è così scontato... Ma lei è incredibile anche a letto, mi fa sentire potente. Faccio girare le dita dentro di lei solo un po’... –  Eccola qua! È già venuta... ti basta poco, Miss Steele!  Ora tocca a me. – 

«Così va bene, piccola» mormoro contento. Le slego i polsi, continuando a tenere le dita dentro di lei che giace esausta e senza fiato sopra le mie gambe. «Non ho ancora finito con te, Anastasia» le annuncio, mi sposto ma senza, senza sfilare dita. Le faccio appoggiare a terra le ginocchia e la faccio chinare sul letto.

Mi inginocchio dietro di lei, mi abbasso la cerniera. – Ora mi serve anche l’altra mano, per infilarmi il preservativo, alla prossima, Miss Steele – e sfilo le dita bagnate da lei.

 «Apri le gambe» ringhio. E lei mi soddisfa, aprendo le cosce e concedendomi la visuale di lei, aperta, in attesa, con il suo magnifico sedere arrossato e pronto a ricevermi. Glielo accarezzo. Entro dentro. Veloce. «Sarà veloce, piccola» mormoro. Le afferro i fianchi, esco ed entro con forza, di nuovo. Inizio il mio assalto, perché sarà un assalto, all’arma bianca.

«Ah!» grida.

Adesso grida, non prima! Grida adesso di piacere e non prima di dolore... – Ah, sììììì. Così, proprio così ti voglio – e colpisco, violento, come piace a me, ma la attiro al mio ventre, e la trattengo a me dolcemente, per un momento, prima di colpire di nuovo. Implacabile. Mi sazio della fame che mi porto dentro da quando le ho infilato le sfere, anche prima, quando l’ho vista china che si sistemava le calze, anche prima, molto prima... affamato... da quando l’ho vista...

– No, cazzo, Ana, no! Non muovere i fianchi, non venirmi incontro! – Ma lei ha bisogno, mi cerca, spinge indietro il sedere per accogliermi.

Colpo su colpo. «Ana, no!» mormoro, cerco di fermarla. Ma lei continua a premere contro di me e io parto, un’altra volta senza freni. – Cazzo, di nuovo! Mi fa venire quando vuole, non riesco a resisterle! – «Merda!» sibilo mentre vengo, ma non fa niente, perché viene anche lei, le basta il suono della mia voce, le basta sapere che mi ha dato piacere per raggiungere l’apice.

– Perfetto. – Una sincronia perfetta. – Chissà perché  mi stupisco ancora? –

Mi chino, le bacio una spalla. È sconvolta e senza fiato. Poi scivolo fuori da lei. La avvolgo nel mio abbraccio e appoggio la testa sulla sua schiena. Rimaniamo così, inginocchiati davanti al letto. Per quanto? Secondi? Minuti forse, mentre i nostri respiri si calmano. La smania dentro di me è scomparsa e tutto quello che sento è una serenità confortante e soddisfatta.

Soddisfatto. Sono soddisfatto. Calmo, sereno, appagato e soddisfatto.

Mi muovo e le bacio la schiena. «Credo che tu mi debba un ballo, Miss Steele» mormoro.

«Mmh…» grugnisce in risposta.

– Risposta esauriente, piccola. –  Sorrido.

Mi seggo sui talloni e la scosto dal letto, prendendola in grembo. «Non abbiamo molto tempo. Andiamo» la esorto. La bacio sui capelli e la costringo ad alzarsi.

Protestando, si siede sul letto, raccoglie le mutandine da terra e se le infila. Poi raggiunge pigramente la sedia e afferra il vestito. Rimetto a posto il letto e penso che era proprio l’ora che inaugurassi il mio vecchio letto. – Hai ancora qualche giaciglio da inaugurare, Grey – mi dico, mentre riannodo il papillon. –  Potrebbe essere un’idea per domani –  rifletto ed ho già fatto il mio progetto.

Ana intanto continua a curiosare, anche la bacheca con le foto.

«Chi è questa?» domanda inopportuna, indicandomi proprio quella foto. – Sempre dritta al punto, vero Miss Steele? – 

«Nessuno di importante» borbotto. Non ho nessunissima intenzione di guastarmi il momento con uno dei suoi interrogatori. Mi rendo conto, però, qui e adesso, che i ricordi dolorosi non riescono a turbarmi quando sto con lei. «Posso tirarti su la cerniera?» Cambio discorso.

«Grazie. Allora perché è nella tua bacheca?»

«Una dimenticanza» la taglio. Devo distrarla. «Com’è il papillon?» Alzo il mento, lei sorride e me lo raddrizza. – Ti ho distratto, piccola. Ma so che tornerai all’attacco: è questione di tempo –  mi dico, rassegnato.

«Adesso è perfetto» mi comunica.

«Come te» dico di getto. La afferro, la stringo a me e la bacio. Ora posso, non devo più resistere e posso lasciarmi andare ad un bacio appassionato.

«Ti senti meglio?»

«Molto meglio, grazie, Mr. Grey.»

«Il piacere è stato tutto mio, Miss Steele.» E non può immaginare quanto è vero!

 

Gli ospiti si stanno radunando sulla pista da ballo. Le sorrido, abbiamo fatto appena in tempo.

«E ora, signore e signori, è il momento del primo ballo. Mr. Grey, dottoressa, siete pronti?» chiede il maestro di cerimonia. Papà annuisce e abbraccia mia madre.

«Signore e signori dell’asta del primo ballo, ci siete?»

Tutti rispondiamo con un cenno d’assenso. Mia è con qualcuno che non riconosco. Mi domando che fine abbia fatto Sean.

– Sei già scomparso, Sean? Che dispiacere! –

«Allora possiamo incominciare. Attacca pure, Sam!»

Un giovane sale sul palco tra gli applausi calorosi, si volta verso l’orchestra e schiocca le dita. Le note familiari di I’ve Got You Under My Skin riempiono l’aria.

Le sorrido, la prendo tra le braccia e inizio a seguire le note, pesa come una piuma e si lascia trasportare con facilità, rendendo ancor più piacevole questo ballo.

«Adoro questa canzone» le sussurro e le guardo quegli occhioni blu attraverso la maschera. «Mi sembra appropriata.»

«Anche tu mi sei entrato sotto la pelle, come dice la canzone» mi risponde. «O, perlomeno, così è stato nella tua camera da letto.»

Trattengo una risatina.

«Miss Steele,» la ammonisco, «non avevo idea che potessi essere tanto volgare.»

«Nemmeno io, Mr. Grey. Credo che sia per via di tutte le mie recenti esperienze. Ho ricevuto una certa educazione.»

«Vale per entrambi» rispondo. – Certo Miss Steele, devo ammettere che hai ricevuto un’ottima educazione, la migliore. –  La tengo tra le braccia e potremmo benissimo esserci solo noi due e l’orchestra. È come se fossimo in una specie di bolla privata.

Quando la canzone finisce, entrambi applaudiamo. Il cantante, Sam, fa un inchino e presenta la sua orchestra.

«Posso intromettermi?»

Anastasia sussulta per l’interruzione di Flynn, il suo corpo si irrigidisce. A malincuore la lascio andare, ma sono divertito. «Prego» dico. «Anastasia, lui è John Flynn. John, lei è Anastasia.» Faccio le presentazioni prima di guadagnare l’angolo della pista, resto nelle vicinanze, voglio vedere che cosa si dicono. John la sta studiando, si parlano.

George Carson, un cliente importante di mio padre mi tempesta di domande su un vecchio affare che abbiamo concluso insieme due anni fa e mi impedisce di studiare che cosa si stiano dicendo Ana e Flynn.

– Maledizione! Non ho voglia di fare conversazione e tanto meno di parlare di lavoro – impreco fra me ascoltando i ragguagli di George con un orecchio, mentre sono impegnato a studiare i due ballerini.

–  Ma che si stanno dicendo?  Sarà riuscita ad estorcere informazioni pure a lui! – La canzone sta finendo e io torno sulla pista, accanto a loro. Flynn la lascia andare. «È stato un piacere conoscerti, Anastasia»  e le rivolge un sorriso.

«John.» Lo saluto con un cenno del capo.

«Christian.» Il dottor Flynn contraccambia il saluto, poi si volta e sparisce in mezzo alla folla.

La attiro tra le mia braccia per il ballo successivo.

«È più giovane di quanto mi aspettassi» dichiara, parlando di Flynn. «Ed è terribilmente indiscreto.»

La guardo, la studio. «Indiscreto?» Nella mia testa sta di nuovo suonando la sirena dei pompieri.

«Oh, sì, mi ha detto tutto» mi dice candidamente.

Divento di ghiaccio. «Be’, in questo caso, vado a prenderti la borsetta.» –  Lo sa! –  mi dico, non so nemmeno io come mi sento, il sangue mi si è ghiacciato nelle vene anestetizzandomi. Ma è una breve tregua, lo so. –  Era inevitabile che prima o poi lo scoprisse e Flynn, temendo per lei, deve averglielo detto di stare attenta perché sono un sadico bastardo che gode a legare e frustare le donne castane come sua madre: era inevitabile che glielo dicesse, per salvarla. Avrà temuto che la riducessi come Leila:  non dovevo farla ballare con lui... –   «Sono sicuro che non vorrai avere più niente a che fare con me» mormoro, senza forze.

Lei si blocca sulla pista, spaventata. «Non mi ha detto niente!» La sua voce è piena di panico.

– Stava scherzando! – Sbatto le palpebre, il ghiaccio nelle vene si scioglie tutto insieme. La stringo di nuovo tra le braccia perché non si accorga che sto espirando via tutta l’aria dai polmoni. «Allora godiamoci il ballo.» Sorrido, cerco di essere rassicurante, ma so che le ho instillato un dubbio. Intanto la faccio volteggiare.

Facciamo altri due balli, poi Ana mi comunica che deve andare al bagno: le sfere e i miei assalto avranno stimolato tutto quanto.

«Non ci metterò molto.»

La seguo con lo sguardo, non va subito verso le toilette, si dirige alla tensostruttura della sala da pranzo.

– Avrà scordato qualcosa – penso. – Sì, la borsa –  mi dico e mi rilasso. Distratto dai miei pensieri, vengo preso d’assedio da un gruppetto dei soliti manager incalliti, nonché mariti annoiati, che vagano come zombi alla ricerca di qualcuno da tediare parlando di lavoro anche in una serata come questa.

– Beh, Grey,– rifletto fra me, mentre con un orecchio ascolto distratto la conversazione e con un occhio osservo  attento l’entrata del tendone per vederne uscire la mia fidanzata, – anche per te queste feste sono sempre state solo un’occasione per fare qualche affare, avere notizie indiscrete di prima mano o discutere di qualche anomalo movimento sul mercato – ammetto con me stesso. – D’accordo, ma non c’era Miss Steele insieme a me! –

Il tempo passa... – Che ci fa ancora là dentro? Non è ancora uscita. –  So che non è uscita perché intravedo Taylor che piantona l’entrata della tensostruttura. Preoccupato, liquido tutti in fretta e mi dirigo al tendone. Devo controllare.

Arrivo di corsa all’entrata, faccio un cenno a Jason che alza il mento e mi indica l’interno con un veloce movimento degli occhi. In quell’istante vedo Ana uscire come una furia, con passo marziale e deciso nonostante il tacco vertiginoso.

«Eccoti» biascico vedendola.

Mi lancia lo stesso sguardo assassino che mi ha rivolto sabato scorso, posso ancora sentire il suo ruggito rabbiosa fischiarmi nelle orecchie: “Devi risolvere i tuoi cazzo di problemi, Grey!”,  mi ha urlato. E mi sa proprio che anche adesso è così, ma quale sarà ‘sto cazzo di problema che devo risolvere in questo momento? – Ah, Elena! – Aggrotto la fronte, preoccupato, inquadrando Elena all’entrata.

Ana mi passa accanto, senza dire niente. La seguo, devo rendermi conto di quanto grave sia la situazione.

«Ana» la chiamo. Si ferma e mi aspetta. «Cos’è successo?» Sono preoccupato.

«Perché non lo chiedi alla tua ex?» sibila acida.

«Lo sto chiedendo a te» ribatto incazzato. Non me ne frega niente di quello che ha da dire lei, voglio sentirlo da te. – Cazzo, lo sapevo! Lo sapevo che non avrei dovuto lasciarla sola un attimo. Le si avventano tutti addosso. –

Ci fissiamo.

– Non farmi incazzare, dimmelo! – sibilo fra me la mia muta preghiera.

Cede. «Lei mi ha minacciato di venirmi a cercare, se ti farò soffrire ancora. Probabilmente con un frustino» risponde secca.

–  Ah, solo questo? Il solito istinto protettivo di Elena che mi vede sempre come un ragazzino –  penso sollevato, mi vien quasi da ridere.

 «Non ti sarà certo sfuggita l’ironia di tutto ciò, vero?» dico, e trattengo a stento una risata.

«Non è divertente, Christian!»

«No, hai ragione.» Fingo di tornare serio, non voglio litigare per questa cazzata, ma sono sollevato. –  Chissà che pensavo! Invece era solo Elena che moriva dalla voglia di conoscerla. Comunque è davvero meglio se le do ragione, mi evito un sacco di discussioni. – «Le parlerò.»

«No, non lo farai.» Incrocia le braccia, è ancora furiosa. La guardo attento, la studio. Devo capire quanto sia grave.

«So che sei legato a lei dagli affari ma…» comincia  poi cambia discorso: «Ho bisogno della toilette» mi dice con un’occhiata torva e noto bene, evidenziata dalla maschera,  la bocca irrigidita in una smorfia.

«Per favore, non essere arrabbiata. Non sapevo che lei fosse qui. Mi aveva detto che non sarebbe venuta.» Cerco di blandirla. Se fosse la mia sottomessa le ordinerei di non essere arrabbiata con me e sarebbe tutto risolto. Devo usare l’altro sistema. Alzo una mano e le accarezzo il labbro inferiore imbronciato. «Non lasciare che Elena ci rovini la serata, per favore, Anastasia. Lei è una storia vecchia, davvero.»

Sospira, ha ceduto.

La prendo per un braccio. «Ti accompagno a incipriarti il naso, così nessuno ti disturberà ancora.»

La conduco alle toilette. «Ti aspetto qui fuori, piccola.» – Controllo io che nessuno si avvicini, così non corro rischi. –

Mi squilla il BlackBerry.

Elena.

«Ciao» rispondo. – Che vuole? –  mi chiedo.  – Spiegarsi – mi rispondo.

«Perdonami,  Christian, credo che Anastasia abbia frainteso. E spero che “tu” non abbia frainteso»  inizia subito, con tono di scuse.

«No. Ho capito, ma  tu non devi preoccuparti per me» la tranquillizzo.

«Non voglio rivederti mai più in “quello” stato e, lei, non ti ha visto...» continua preoccupata.

«Smetti di preoccuparti per me, ti ringrazio ma non serve, ho già una madre e, come ben sai, ignoro le sue preoccupazioni da moltissimo tempo.»

«Serve eccome, non voglio che quella ragazzina ti faccia del male, minando tutto ciò che hai costruito.»

«Non mi fa del male e non mina proprio nulla. Tu, piuttosto, perché hai cambiato idea? Pensavo che fossimo d’accordo.»

«Ho finito presto, non c’era bisogno di me. Ci tenevo a questa serata... poi volevo conoscerla.»

«Be’, lasciala in pace…»

«Volevo solo vederla, per capire se va bene per te, tu sei molto ricco e lei...»

«Questa è la prima relazione vera che ho e non voglio che tu comprometta tutto per qualche infondata preoccupazione nei miei confronti» ribatto. – Ma cosa pensa, che io sia un coglione? Che non sappia con chi ho a che fare? –

«Sono tua amica, ti voglio bene. Certe donne mirano solo al denaro e sono senza scrupoli, anche da ragazzine, e tu, queste cose, con il tuo stile di vita non le sai, ma...»

«Lasciala. In. Pace. Te lo dico per l’ultima volta, Elena.» Sono categorico. E mi sto incazzando. Ce l’ho già una madre.

«D’accordo. Che cosa vuoi che mi importi di lei. M’importa di te... tu piuttosto, le hai detto che ci siamo visti, lunedì?»  mi chiede lei, con quel tono da Padrona che conosco troppo bene.

«No, certo che no.» Aggrotto la fronte mentre lo dico, me ne rendo conto. E mi sento osservato. Alzo lo sguardo e vedo Ana che sta venendo verso di me. «Devo andare. Buonanotte» tronco la comunicazione mentre Elena mi sta ancora parlando.

Ana piega la testa di lato e alza un sopracciglio. «Come sta la storia vecchia?» chiede.

«Scontrosa» rispondo, sardonico. «Vuoi ballare ancora? Oppure preferisci andare via?» – Ah, ma ci sono ancora i fuochi d’artificio. –  Do un’occhiata all’orologio. «I fuochi d’artificio iniziano tra cinque minuti.»

«Adoro i fuochi d’artificio.»

–  E ti pareva! Sei proprio una bimba, Miss Steele, e non sai quanto mi piaci, per questo. –

«Rimarremo a guardarli, allora.» Le passo un braccio intorno alla vita e la stringo a me. «Non lasciare che lei si metta tra noi, per favore.» –  Non m’importa niente di lei, come faccio a spiegarti che davvero non m’importa? –

«Ci tiene a te» mormora.

«Sì, e io a lei… come amica.»

«Credo che per lei sia più di un’amicizia.»

«Anastasia, Elena e io… è complicato. Abbiamo condiviso una storia. Ma è solo questo: una storia finita. Come ti ho detto e ripetuto, è una buona amica. Tutto qui. Per favore, dimenticati di lei.»

Le bacio i capelli, per tranquillizzarla, la prendo per mano e conduco verso la pista da ballo.

Non capisco come faccia a non comprendere che Elena non fa più parte della mia vita. E da un bel pezzo, ormai.

L’orchestra sta ancora suonando.

«Anastasia.»

La voce calda di mio padre ci fa voltare.

«Mi domandavo se vorresti concedermi l’onore del prossimo ballo.» Le porge la mano.

Mi stringo nelle spalle e me la lascio portar via. Un’altra volta.

–  Estorcerà qualche confessione anche a lui – mi dico, convinto. Mio padre sicuramente desiderava parlarle per toglierla dall’imbarazzo in cui poteva essere finita dopo la sua avventata offerta.

–  Non preoccuparti, papà, ci penso io a sistemare “Miss Generosità”. –

Canticchio, tra me, le parole di Sinatra, seguendo Sam, il cantante e finalmente il brano finisce e torno dalla mia ragazza.

Non voglio starle lontano, succede sempre qualcosa quando stiamo separati.

Mentre le note finali della canzone si spengono, papà la lascia andare e le fa un inchino. Lei risponde con una riverenza. E io sono dietro di loro.

«Ora basta ballare con i vecchietti» li sorprendo.

Mio padre ride. «Stai bene attento al vecchietto, figliolo. Ero piuttosto famoso ai miei tempi.» Papà le strizza l’occhio scherzosamente e sparisce tra la folla.

«Credo che tu piaccia a mio padre» dico mentre lo osservo allontanarsi.

«Perché non dovrei piacergli?» e mi lancia un altro dei suo i sguardi da film muto che sospetto abbia imparato a padroneggiare proprio oggi.

«Ben detto, Miss Steele.» Me la stringo tra le braccia, mentre l’orchestra inizia a suonare It Had to Be You.

«Balla con me» le sussurro, voglio sedurla. Farla mia: – “Dovevi essere tu”, piccola, solo tu. –

«Con piacere, Mr. Grey.» Mi sorride e io la faccio volteggiare di nuovo sulla pista.

 

A mezzanotte ci avviamo verso la spiaggia tra il tendone e la rimessa delle barche, dove altri ospiti si sono radunati per guardare i fuochi d’artificio. Il maestro di cerimonie, di nuovo in azione, ha dato il permesso di togliersi le maschere per vedere meglio lo spettacolo.

Le stringo la vita con un braccio. Taylor e Sawyer, sono dietro di noi per via della folla. Molti, anche se il maestro di cerimonia ha consigliato di togliere le maschere, sono ancora protetti dall’anonimato. So che Taylor è preoccupato e vuole vegliare da vicino. Lui e Sawyer guardano dappertutto tranne che verso la riva, dove due esperti pirotecnici vestiti di nero stanno ultimando i preparativi.

Ana trema tra le mie braccia e si stringe a me.

«Stai bene, piccola? Hai freddo?»

«Sto benissimo» mi dice ma si guarda le spalle, ha notato la sorveglianza, tutti e quattro, non le sfugge nulla.

Le metto un braccio sulla spalla e mi godo i fuochi accanto alla mia ragazza. Mai mi sono sembrati così belli.

È stato uno spettacolo bellissimo e sono felice. Tutti applaudiamo entusiasti finché il maestro di cerimonie ci interrompe, sovrastando le grida e i fischi di giubilo: «Signore e signori, una nota per concludere questa magnifica serata: la vostra generosità ammonta a un totale di un milione e ottocentocinquantatremila dollari.»

Scoppia un altro applauso e sul ponte galleggiante appare una scritta luminosa argentea – GRAZIE DA AFFRONTIAMOLO INSIEME – che brilla e luccica sull’acqua.

«Oh, Christian… è stupendo.»  Mi sorride e, irresistibilmente, la mia bocca è attratta dalle sue labbra.

«È ora di andare» mormoro, con un largo sorriso. – Andiamocene a casa, piccola. Io e te soli. –

È stanca, lo vedo; cerco Taylor e gli faccio cenno che è ora di andare. Capisco dal segnale di Jason che dobbiamo attendere che la folla si disperda. 

«Rimani un attimo qui con me. Taylor vuole che aspettiamo che la folla si disperda» le spiego. «Credo che questi fuochi d’artificio gli abbiano fatto perdere una decina d’anni» aggiungo, divertito.

«Non gli piacciono i fuochi d’artificio?» La guardo, non ho voglia di spaventarla con l’idea che qualcuno potrebbe provare a spararci addosso, complici le detonazioni dei fuochi artificiali. Così cerco di distrarla: «E così, Aspen.»  –  Ti ci avrei portato lo stesso, piccola per inaugurare anche quel letto, ma sono lusingato che tu spenda una tal cifra per un weekend con me. –

«Oh… non ho pagato per il mio acquisto» sussulta.

«Puoi mandare un assegno. Ho l’indirizzo.»

«Eri davvero arrabbiato.» Mi guarda spaventata e divertita.

«Sì, lo ero.»

Sorride. «È colpa tua e dei tuoi giocattoli.»

«Eri piuttosto su di giri, Miss Steele. E il risultato è stato più che soddisfacente, se ricordo bene.» Le sorrido malizioso. «A proposito, dove sono?»

«Le sfere d’argento? Nella mia pochette.»

«Le rivorrei indietro. Sono un dispositivo troppo potente perché io le lasci nelle tue mani innocenti.»

«Sei preoccupato che possa andare ancora su di giri, magari con qualcun altro?»

Un lampo di furia mi brilla negli occhi, ne sono consapevole. Solo al pensiero mi incazzo. «Spero che non succeda» dico, con una nota fredda nella voce. «Voglio tutto il tuo piacere, Ana.»

 «Non ti fidi di me?» chiede cupa.

«Nel modo più assoluto. Ora, posso averle indietro?»

«Ci penserò.»

C’è ancora musica sulla pista da ballo, ma si tratta di un pezzo da discoteca, con i bassi che martellano a un ritmo implacabile.

«Vuoi ballare?» le chiedo e spero vivamente che declini l’offerta.

«Sono davvero stanca, Christian. Vorrei andare, se per te va bene.» 

Sono sollevato.

Faccio cenno a Taylor e ci incamminiamo mano nella mano verso la casa, seguendo una coppia di ospiti ubriachi.

Mia si materializza accanto a noi. «Non ve ne starete andando, vero? La festa inizia adesso. Avanti, Ana» e le afferra la mano libera per strapparla per l’ennesima volta a me.

«Mia» l’ammonisco. «Anastasia è stanca. Stiamo andando a casa. E poi, domani abbiamo una giornata pesante.» Mia sorella mi  fa il broncio, ma sorprendentemente non insiste.

«Devi venire qualche volta, la prossima settimana. Potremmo andare a fare shopping…»

«Certo, Mia.» Ana sorride a mia sorella, che la bacia velocemente sulle guance, poi mi abbraccia con forza, prendendoci entrambi di sorpresa: io, sconcertato dalla sua solita esuberanza, Ana, stupita da mia sorella che appoggia le mani sul bavero della giacca e io glielo lascio fare. Solo a lei permetto di toccarmi, da sempre, solo alle sue piccole mani... nessun altro...

«Mi piace vederti felice» mi dice Mia e mi bacia sulla guancia. «Ciao. Divertitevi.» Scappa via verso il gruppo di amici che l’aspetta. Tra loro c’è Lily, che sembra ancora più stronza senza la maschera. Mi domando che fine abbia fatto Sean.

«Andiamo a dare la buonanotte ai miei genitori prima di andarcene. Vieni» e la guido, attraverso un capannello di ospiti, verso i miei che ci salutano con calore.

«Per favore, torna a trovarci, Anastasia. È stato davvero bello averti qui» le dice mia madre. E mio padre annuisce soddisfatto. Sembrano più contenti di me. E io sono molto contento. È stata una bellissima serata.

Ci incamminiamo mano nella mano verso l’uscita, dove è allineata una sfilza di macchine, in attesa degli ospiti.

«Hai abbastanza caldo?» le chiedo. Voglio che stia perfettamente bene, bene come sto bene io.

«Sì, grazie.» Si stringe addosso lo scialle di raso.

E glielo dico: «Mi sono divertito tanto stasera, Anastasia. Grazie.» Dovevo dirglielo.

«Anch’io, in alcuni momenti più che in altri.» Ammicca.

Sollevo le sopracciglia e le sorrido. «Non ti mordere il labbro» le chiedo severo quando vedo affondare i denti bianche nel suo bel labbro. Mi viene di nuovo voglia... quel genere di voglia, quella più spinta...

«Perché domani avremmo una giornata impegnativa?» mi domanda e mi distrae.

«La dottoressa Greene verrà a visitarti. E poi ho una sorpresa per te.»

«La dottoressa Greene!» Si ferma. È infastidita, forse qualcosa in più che infastidita.

«Sì.»

«Perché?»

«Perché odio i preservativi» le dico cauto, sto valutando la sua reazione.

«È il mio corpo» mormora risentita.

«È anche il mio» sussurro. – Anzi, è più mio che tuo. –

Mi guarda, mentre diversi ospiti ci oltrepassano, ignorandoci. Alza una mano... resta in attesa, mi guarda e io non stacco il mio sguardo dal suo. Poi afferra un angolo del mio papillon e lo tira, tanto da disfarlo e me lo slaccia..

«Sei sexy così» sussurra.

– Tu mi incanti, piccola. Invece di litigare mi dici quanto ti piaccio: anche tu mi piaci. Da morire. –

Anche lei sa che mi appartiene, completamente.

Le sorrido. «Ho bisogno di portarti a casa. Vieni.» – Io e te soli, Miss Steele. Io e te. Soli. –

 

Arrivati alla macchina, Sawyer mi allunga una busta. Mi acciglio. È per Ana. Taylor aiuta Ana a salire a bordo. È sollevato: lo conosco e so che è stato sulle spine tutta la sera. Ciò significa che la situazione è davvero pericolosa. Ciò non mi conforta.

Poi penso al messaggio:  – Chi cazzo è che le scrive? Proprio qui, in questo posto? –

In auto le passo la busta, mentre Taylor e Sawyer prendono posto sui sedili davanti.

«È per te» dico. «Uno dei camerieri l’ha data a Sawyer. Senza dubbio hai infranto un altro cuore.» La cosa non mi sorprende ma mi fa incazzare.

Fissa la busta. Da chi arriva? La apre e legge il biglietto, nella luce fioca.

«Glielo hai detto?» Mi ruggisce contro quando finisce di leggere.

«Detto cosa?» – Che cosa ho detto? –

«Che la chiamo Mrs. Robinson» sbotta.

«È di Elena?» Sono esterrefatto. «Questo è ridicolo» sbotto, mi passo una mano tra i capelli. Non so che pensare. «Me ne occuperò domani. lunedì» ringhio. Non voglio pensarci ora, dopo questa magnifica, magnifica serata. Non voglio pensare al perché la cosa mi stia facendo imbestialire!

Cerco di distrarmi. La guardo.

Lei infila il biglietto nella pochette e ne tira fuori le sfere. «Alla prossima» mormora.

La guardo e sorrido. – Ok, piccola, sai sempre sedarmi. Sei una panacea.– Le prendo la mano e la stringo forte mentre torniamo a casa.

 

Si è addormentata. È davvero stanca. – Altro che sette ore di sonno– penso divertito. – Non abbiamo dormito granché, abbiamo fatto dell’altro. Moolto altro –  ridacchio e la accarezzo. E sfioro i capelli, la linea della spalla, il nasino...

La sveglio quando arriviamo all’Escala. «Devo portarti dentro in braccio?» le chiedo dolcemente.

Scuote la testa con aria assonnata.

Mentre siamo nell’ascensore, si appoggia a me, posandomi la testa sulla spalla. Sawyer, di fronte a noi, abbassa gli occhi, imbarazzato.

«La giornata è stata lunga, eh, Anastasia?»

Annuisce.

«Stanca?»

Annuisce.

«Non sei molto loquace.»

Annuisce e io sorrido.

«Vieni. Ti metto a letto.» La prendo per mano mentre usciamo dall’ascensore, ma ci fermiamo nell’atrio, perché Sawyer alza la mano. Io sono pietrificato. Sawyer parla con Taylor via radio.

«Lo faremo, T» dice e si volta verso di noi. «Mr. Grey, le gomme dell’Audi di Miss Steele sono state squarciate e sull’auto è stata gettata della vernice.»

Ana mi guarda allucinata, ha già capito.

«Taylor è preoccupato che il colpevole possa essere entrato nell’appartamento e possa trovarsi ancora qui. Vuole controllare.»

«Capisco» dico a Sawyer. «Qual è il piano di Taylor?»

«Sta salendo con l’ascensore di servizio, insieme a Ryan e Reynolds. Faranno un sopralluogo e poi ci daranno il via libera. Io aspetterò qui fuori con lei, signore.»

«Grazie, Sawyer.» La stringo, forte. Non ci vogliono proprio lasciare in pace. «Questa giornata non fa che migliorare.» Sospiro e strofino il naso nei suoi capelli. «Senti, non posso stare qui ad aspettare. Sawyer, occupati di Miss Steele. Non lasciarla entrare prima che io abbia verificato che è tutto a posto. Sono sicuro che Taylor si sta preoccupando troppo. Lei non può entrare nell’appartamento.»

«No, Christian… devi rimanere con me» supplica.

La lascio. «Fa’ quello che ti dico, Anastasia. Aspetta qui.»

Ana sbianca.

«Sawyer?» ordino.

Sawyer apre la porta e mi lascia entrare. 


CAPITOLO 10


Entro.

Sento passi pesanti al piano di sopra e qualcuno è nel mio studio.

Vado a controllare anche io, trovo Reynolds che sta rientrando dalla veranda.

«Qui, tutto a posto, signore» dice.  «Ryan controlla l’ala dei dipendenti e Mr. T. è al piano di sopra, signore» mi informa la mia nuova guardia del corpo.

«D’accordo, grazie» e mi dirigo di sopra.

Entro nella Stanza dei Giochi proprio mentre Taylor esce dal bagno interno.

«Taylor?» chiedo ragguagli al mio uomo migliore.

«Niente, Mr. Grey. Tutto ok. La Stanza era chiusa a chiave. Tutto libero.»

«I codici dei due ascensori sono cambiati da allora...»

«Sì, signore, ma la signorina Williams ne conosce almeno uno» mi ricorda Jason, corrugando la fronte.

Annuisco. Infatti Gail, quando io ero a Savannah, se l’è vista spuntare davanti come un fantasma. Leila è entrata in casa perché conosceva i codici d’accesso: uno, entrambi? Non lo sappiamo, ma di certo, inspiegabilmente, li conosce. Questo era già stato appurato.

«Qui non c’è, capo» mi assicura.

«Allora vado a prendere Miss Steele.»

 

«Taylor si preoccupa troppo» mormoro a Ana nell’ingresso e le tendo la mano. Mi fissa a bocca aperta, incapace di muoversi, spaventata. Spaventata per me.

È bellissima. Proprio bellissima.

Penso che c’è sempre qualcosa che m’impedisce di essere felice. Qualche cazzo di ostacolo... Leila, anzi, è meglio dire il mio passato, perché poteva essere una qualsiasi delle quindici. Potrà essere una qualsiasi in futuro, perché sembra proprio che le mie storie non siano finite con la chiusura del contratto ma continuino a perseguitarmi... eppure ero stato chiaro... sarà la nemesi...

«Va tutto bene, piccola.» Le vado incontro. Ho bisogno di lei. La prendo tra le braccia e le bacio i capelli. «Avanti, sei stanca. A letto.»

«Ero così preoccupata» mormora.

– Lo so che sei preoccupata per me, non dovresti, ma mi conforta. –

«Lo so. Siamo tutti tesi.»

Sawyer è scomparso nell’appartamento.

«Mr. Grey, le tue ex stanno dando prova di essere una vera e propria sfida» mormora sarcastica.

–  Ma a te non fanno paura le sfide Miss Steele, questo l’ho capito subito.– Faccio questa considerazione e mi rilasso.

«Sì, lo sono.»

Entriamo nel salone.

«Taylor e i suoi stanno controllando tutte le credenze e le cabine armadio. Non penso che lei sia qui.»

«Perché dovrebbe essere qui?»

«Già, appunto.»

 – Anastasia sei incredibile, hai il fiuto di un segugio. –

«Potrebbe entrare?»

«Non vedo come. Ma Taylor esagera con le precauzioni, a volte.» Non le dico che conosce il codice, non voglio spaventarla. Qui è al sicuro, con me e la sicurezza.

«Hai guardato anche nella tua stanza dei giochi?»

«Sì, è chiusa a chiave. Comunque, Taylor e io abbiamo controllato.»

Ana fa un respiro profondo e liberatorio.

«Vuoi qualcosa da bere o altro?» le chiedo.

«No.»

«Vieni, ti metto a letto. Hai l’aria esausta.»

Mi guarda perplessa, pensa che voglia portarla di sopra, nella sua stanza, ma è più sicuro qui, con me...

– Hai capito o no, Miss Steele, che non ti lascio più, nemmeno un secondo? Voglio dormire con te. “Devo” dormire con te, per poter stare bene. Perché mai dovrei voler dormire da solo? Per godermi i miei incubi?  Sono un sadico, non masochista, tesoro, ed è una cosa che ho capito da un pezzo. –  

La porto in camera. Lei appoggia la pochette sul cassettone e la svuota.

«Tieni.» Mi passa il biglietto di Elena. «Non so se vuoi leggerlo. Io intendo ignorarlo.»

Lo leggo in fretta, serro la mascella. «Non capisco quali lacune possa colmare» dico seccato.

– Quelli che non sono sottoposti ad interrogatorio si offrono volontari. Se si licenzia dalla SIP e fa domanda all’FBI, e la prendono di sicuro, sono fritto perché non posso mica tentare un’acquisizione ostile a Quantico! –

«Devo parlare con Taylor.» La guardo. «Vieni, ti tiro giù la cerniera del vestito.»

«Chiamerai la polizia per la storia della macchina?» chiede mentre si volta.

Le sollevo i capelli e le abbasso la cerniera, intanto le carezzo appena la schiena e rifletto.

«No. Non voglio assolutamente che la polizia venga coinvolta. Leila ha bisogno di aiuto, non dell’intervento della polizia, e io non li voglio qui. Dobbiamo solo raddoppiare gli sforzi per trovarla.» Le bacio la spalla. «A letto» le ordino e me ne vado.

 

Faccio il punto con Taylor e gli altri nella sala riunioni. Sono preoccupato. Anche Taylor lo è. E non è buon segno.

Vado nel mio studio: ho bisogno di riflettere.

Mi viene in mente di controllare una cosa, vado allo schedario per cercare il file di Leila. Per controllarli tutti.

Apro e sbianco.

Le cartelle sono in ordine alfabetico.

Solo che io... le tengo in ordine cronologico, dalla prima all’ultima!

Stamane, quando ho dato la scheda a Ana, erano al loro posto.

Leila è stata qui!

Controllo, cerco la cartella con il nome Williams: non c’è.

– Merda! –

Chiamo Taylor. Lo ragguaglio.

«Signore, ora lei non è qui. Abbiamo cambiato i codici. Al resto penseremo domattina» mi tranquillizza.

Ma, tranquillo, non sono.  Mi viene in mente che i documenti di Anastasia sono nella stanza al piano di sopra, li cerco, li cerchiamo insieme, io e Taylor.

«Mr. Grey, li ho trovati» mi avverte. «Qua, sotto il letto.»

Mi mostra i fogli sparpagliati, li raccolgo. Sono lievemente stropicciati, segno che sono stati letti, riletti e maneggiati.

«Ora la signorina Williams conosce tutto di Miss Steele.» Taylor dà voce ai miei pensieri.

«Già» mormoro. E penso che questo è proprio un uso improprio di dati sensibili altrui.

«Beh, ora abbiamo qualcosa in più che possa portarci a ritrovare Miss Williams, signore» mi spiega Jason con una punta di ottimismo, ma la sua faccia dice tutta un’altra cosa.

 

Vorrei andare di la, coricarmi accanto a lei e addormentarmi pensando alla magnifica serata che abbiamo passato insieme. La più bella di tutta la mia vita.

– Ma c’è sempre qualche fottuta merda che mi si rovescia addosso. C’è sempre qualche ombra del mio passato che mi bussa alla porta per inondarmi di liquame fetente a rovinarmi gli attimi migliori... Chi cazzo è, a quest’ora? – Sento la vibrazione del BlakBerry, prima ancora che attacchi la suoneria.

– Elena! –

«Elena.»

«Oh, Christian non volevo svegliarti.»

«Se non volevi svegliarmi, perché hai chiamato?»

«Per finire il discorso... hai chiuso bruscamente e io...»

«Non so perché chiami a quest’ora. Non ho niente da aggiungere…»

«Volevo spiegarti tutto in segreteria...»

«Be’, puoi dirmelo adesso. Non devi lasciarmi un messaggio.»

«Ascoltami, lei mi ha frainteso: volevo solo spiegarle qualcosa del nostro mondo, qualcosa di te...»

«No, ascoltami tu. Te l’ho chiesto, e ora te lo ripeto. Lasciala in pace. Lei non ha niente a che vedere con te. Mi hai capito?» ruggisco. – Ma che cazzo vuole?!? Ecco dell’altro liquame che mi rovescia in testa. Andava tutto bene finché facevo le solita vita del cazzo, solo come un cane... e ora che qualcosa è cambiato, arrivano tutti a rompere i coglioni! –

«Ti ha detto del biglietto? È solo una ragazzina, stai attento. Io sono preoccupata per te. Cerco di agire per il tuo bene...»

«Lo so che lo fai. Ma dico sul serio, Elena. Cazzo, lasciala in pace. Te lo devo scrivere in triplice copia? Mi hai sentito? Bene. Buonanotte.» Interrompo la comunicazione e butto il telefono sulla scrivania. Mi prendo la testa tra le mani. Sono affranto.

Sento bussare. Sollevo il capo, rassegnato ad ingoiare un’altra dose di merda approntata come un banchetto per il mio esclusivo sollazzo.

«Cosa c’è?» sbraito.

–  Ah, è lei! – mi rilasso.

Sbatto le palpebre per guardarla bene, per mettere a fuoco l’unica cosa bella della mia vita. Lei è in pericolo da quando ha incontrato me. Lo sapevo, l’ho voluta ugualmente perché credevo di essere io l’unico che potesse farle del male. Mi sbagliavo. Ora il pericolo è molto più reale, tangibile e vicino. La guardo perché mi fa stare bene. Solo lei.

«Dovresti indossare raso o seta, Anastasia» sussurro. «Ma anche con la mia T-shirt sei bellissima.»

«Mi sei mancato. Vieni a letto.»

– Ti sono mancato? “Tu” mi sei mancata, piccola. –

Mi alzo lentamente dalla sedia, mi sembra di avere cent’anni. Mi avvicino, ho quasi paura di toccarla.

«Sai che significhi per me?» le sussurro. «Se dovesse succederti qualcosa per causa mia…» La voce mi viene meno. In questo momento ho cent’anni.

«Non mi succederà niente» mi rassicura.

Alza una mano e mi accarezza, lentamente fa scorrere le dita sulla mia guancia elargendomi un dolce calore.

«La barba ti cresce velocemente» mi dice e mi guarda con meraviglia, con amore.

Mi sfiora il labbro, la gola e io la guardo, stupito da ciò che provo per questa fanciulla stupenda che mi regala dolcezza ogni attimo.

Non voglio toccarla, desidero che sia lei a toccare me, lo desidero tanto. Mi appaga così tanto. Il suo tocco è una spugna profumata che cancella, al suo passaggio, ogni rabbia, ogni tensione e tutte le paure, così reali e vere, ma anche quelle più oscure, quelle che mi porto dentro. Sto respirando a fatica. Le sue dita mi sfiorano il collo e arrivano a toccare il bordo della camicia. Mi slaccia il primo bottone.

«Non voglio toccarti. Voglio solo slacciarti la camicia» mi spiega.

La guardo, so che c’è ansia nel mio sguardo, perché è ciò che provo.

Mi slaccia i bottoni facendo attenzione a non toccarmi, con tutta la delicatezza che io non ho usato con lei.

Ma io sono un fottuto Dominatore...

– No, Grey, sei  un fottuto coglione – penso, mentre lei continua il suo lavoro.

Ma come potevo anche solo immaginare di desiderarlo? Di desiderare questo da lei?

– Forse potevi arrivarci quando hai smaniato per averla. Le hai provate tutte e ti sei fatto il lavaggio del cervello con l’idea di creare dal nulla la sottomessa perfetta, solo tua. –

«Torniamo su un terreno sicuro.» La sua voce melodiosa mi rassicura mentre slaccia l’ultimo bottone, apre la camicia e passa ai gemelli che ancora chiudono i polsini.

«Posso sfilarti la camicia?» mi domanda in un sussurro.

Annuisco.

– Eccomi, sono tutto tuo. Basta cattivi pensieri... voglio solo te. –

Le sorrido. «E che mi dici dei pantaloni, Miss Steele?» le chiedo, alzando un sopracciglio.

«In camera da letto. Ti voglio nel tuo letto.»

«Lo sai, Miss Steele? Sei insaziabile.»

«Non capisco perché» mi dice ironica.

– Tu mi fai ridere, piccola. – 

 Mi afferra la mano, mi trascina fuori dallo studio e verso la camera da letto.

Mi diverte questo suo impeto da cavernicola, le manca gusto una clava.

La stanza però è gelida.

«Hai aperto la portafinestra del terrazzo?» chiedo.

«No» dice allarmata e mi guarda a bocca aperta.

«Cosa c’è?» Sono di nuovo terrorizzato.

«Quando mi sono svegliata… c’era qualcuno qui» sussurra. «Ho pensato di essermelo immaginato.»

«Cosa?» Mi precipito alla portafinestra per guardare fuori, poi torno

indietro e la chiudo. «Sei proprio sicura? Chi?» chiedo. So perfettamente chi, voglio sentirlo da lei.

«Una donna, penso. Era buio. Mi ero appena svegliata.»

«Vestiti» ringhio. «Subito!»

«I miei abiti sono di sopra» piagnucola.

Apro un cassetto e tiro fuori un paio di pantaloni di una tuta.

«Mettiti questi.»  

Prendo una T-shirt e me la infilo velocemente. Poi afferro il telefono sul comodino e premo i due tasti per chiamare Taylor.

«Lei è ancora qui, dannazione!» sibilo nell’apparecchio.

Circa tre secondi più tardi, Taylor e un altro degli uomini della sicurezza fanno irruzione nella camera da letto.

Riassumo loro l’accaduto.

«Quando è successo?» chiede Taylor ad Ana, fissandola in modo professionale.

«Circa dieci minuti fa» mormora lei, con aria colpevole.

«Leila conosce l’appartamento come il palmo della sua mano» dice Christian. «Porto via Anastasia all’istante. Si sta nascondendo qui. Trovatela. Quando tornerà Gail?»

«Domani sera, signore.»

«Non deve rimettere piede qui, finché questo posto non sarà sicuro. Ci siamo capiti?» sbotto.

«Sì, signore. Andrà a Bellevue?»

«Non voglio gravare sui miei genitori con questo problema. Prenotami una stanza da qualche parte.»

Non possiamo certo andare a casa di Ana, quella conosce l’indirizzo.

«Va bene» risponde Taylor che ha capito perfettamente.

«Non stiamo tutti un po’ esagerando?» chiede Anastasia.

«Leila potrebbe avere una pistola» ringhio. Potrei mangiarmela con uno sguardo.

 Devo piantarla di prendermela con lei. Non è certo colpa sua, ma minimizza in continuazione!

«Christian, era in piedi davanti a me, in fondo al letto. Avrebbe potuto spararmi allora, se avesse voluto farlo…»

Rimango un attimo in silenzio, per dominare l’ira. «Non sono pronto a correre il rischio. Taylor, Anastasia ha bisogno di scarpe.»

Entro nella cabina armadio, mi vesto veloce e infilo qualche abito in una borsa. Faccio in fretta ma scelgo gli abiti adatti per domani: non voglio che tutta questa merda mandi a monte i miei progetti. Prendo un giubbotto anche per Ana.

– Figuriamoci se ha una giacca! Non ci pensa proprio mai, a se stessa – penso irritato. Esco e le metto la mia giacca sulle spalle.

«Vieni.»  Le afferro una mano, la stritolo quasi per paura che mi scappi ed esco rapido. Voglio uscire da questa casa al più presto possibile.

Questa casa comincia a soffocarmi.

– Cazzo, lo penso davvero! Non riesco più a respirarci dentro! E, se Ana non c’è, se lei non è qui con me è un vero incubo! –

«Non riesco a credere che lei si sia potuta nascondere qui dentro da qualche parte» mormora, fissando la portafinestra del terrazzo della sala.

Sto aspettando Taylor ma fremo. Voglio portarla via in fretta.

«È un posto grande» dico. «Non lo hai ancora visto tutto.»

«Perché non provi semplicemente a chiamarla… a dirle che vuoi parlarle?»

«Anastasia, quella donna è instabile, e potrebbe essere armata» rispondo irritato.

«Allora noi scappiamo?»

«Per adesso sì.»

«Mettiamo che cerchi di sparare a Taylor.»

«Taylor conosce e capisce le armi» ribatto, storcendo la bocca. «Sarebbe più veloce di lei con la pistola.»

«Ray è stato nell’esercito. Mi ha insegnato a sparare.»

Alzo un sopracciglio, divertito: «Tu, con una pistola?» dico incredulo.

«Sì.» Fa l’offesa. «So sparare, Mr. Grey, perciò sarà meglio che tu stia attento. Non è solo di una folle ex sottomessa che devi aver paura.»

«Me lo ricorderò, Miss Steele.»

Taylor ci raggiunge nell’atrio e le passa la valigia con le sue Converse nere. Ana lo guarda stupita e gli sorride timida e Taylor risponde con un sorriso.

Io li osservo.

E osservo la mia ragazza che si protende, si solleva e abbraccia forte un Taylor molto, molto sorpreso. Jason arrossisce.

– È riuscita a far arrossire Taylor. – Non so se essere più divertito, incazzato o sorpreso.

«Stia attento» gli mormora.

«Sì, Miss Steele» bofonchia Jason.

Taylor le sorride e, molto velocemente, si aggiusta la cravatta.

«Fammi sapere dove sto andando» dico.

Taylor si fruga nella giacca, tira fuori il portafoglio e mi passa una carta di credito.

«Potrebbe voler usare questa, quando sarà là.»

Annuisco. «Bella pensata.»

Ryan ci raggiunge. «Sawyer e Reynolds non hanno trovato nulla» dice a Taylor.

«Accompagna Mr. Grey e Miss Steele in garage» gli ordina Taylor.

Il garage è deserto.

Be’, sono quasi le tre del mattino.

Le indico in fretta il posto del passeggero dell’Audi R8 e metto la sua valigia e la mia borsa a tracolla nel bagagliaio anteriore.

L’Audi A3 accanto a noi è un casino: tutti gli pneumatici sono stati tagliati e sulla carrozzeria è stata versata vernice bianca. È una visione agghiacciante.

Il sangue mi sale al cervello.

Probabilmente qualcosa in me è cambiato perché la mia reazione, vedendo una cosa del genere, sarebbe quella di punire la mia sottomessa.

Non mi passa neppure per la testa l’idea di toccare Leila, anzi, mi disgusta solo il pensiero. Né lei né chiunque altra.

– Voglio toccare solo te, piccola. –

E sono stupito del fatto che nonostante tutta la rabbia che ho dentro in questo momento, non sento il bisogno di sfogarla a quel modo. Forse perché non è roba mia, non è qualcosa che venga da dentro.

O forse non sono così arrabbiato. – Sì, cazzo!, sono follemente arrabbiato! –  Solo che... non sono più “così” arrabbiato, arrabbiato a “quel” modo.

«Lunedì arriverà un’auto sostitutiva» le dico cupo, cupo come i miei pensieri, quando mi seggo a fianco a lei.

Provvederò domattina, penso.

«Come faceva lei a sapere che era la mia macchina?»

La guardo. – Non. Ti. Sfugge. Un. Cazzo! Dovevi venire a lavorare per me, Ana: saresti preziosa. Elevate capacità di negoziazione, acuto spirito d’osservazione, altissime facoltà di ragionamento anche in situazioni di forte stress. Devi aggiungerlo, nel curriculum.  – 

«Aveva un’Audi A3» ammetto. «Ne compro una a tutte le mie Sottomesse. È l’auto più sicura della sua categoria.»

«Perciò non era un regalo di laurea.»

«Anastasia, benché lo sperassi, tu non sei mai stata la mia sottomessa, perciò tecnicamente è un regalo di laurea.» Esco dal posto macchina e mi avvio verso l’uscita del garage.

«Lo speri ancora?» sussurra.

– Lo spero ancora? – La domanda mi gira in testa.

Il telefono della macchina squilla. «Grey» rispondo.

«Fairmont Olympic? A mio nome» dice Taylor dal vivavoce.

«Grazie, Taylor. E… sta’ attento.»

Taylor rimane in silenzio un attimo. «Sì, signore.»

Le strade di Seattle sono deserte. Accelero  lungo la Fifth Avenue, verso la I-5. Una volta sull’interstatale, spingo sul pedale dell’acceleratore, diretto a nord. Voglio vedere se qualcuno ci segue, guardo di continuo lo specchietto retrovisore per accertamene.

– Lo spero ancora? – Mi domando che significhi davvero.

A letto lo voglio ancora, non c’è dubbio. Fuori del letto, fuori dalla stanza dei giochi, fuori da casa mia, non ho mai avuto dei veri rapporti con le mie sottomesse quindi è un falso problema.

– Ti voglio anche fuori, ti ho sempre voluto anche fuori, quindi non desidero una sottomessa nel senso completo del termine. Anche se... un T.P.E. 24/7... vista la tua testolina... non mi dispiacerebbe affatto –  penso mentre guido. – No, Miss Steele, non mi piaceresti sempre a capo chino. Non mi piaceresti affatto. –

«No, non lo spero, non più. Pensavo che fosse ovvio» le rispondo.

– Non lo hai capito, in questi due giorni, Anastasia? –

Mi pianta addosso due occhioni sbigottiti e si stringe addosso il mio giubbotto.

– Vorrei abbracciarti io, in questo momento, altro che punirti. –  

«Temevo che… lo sai… temevo di non essere abbastanza.»

«Sei più che abbastanza. Per l’amor di Dio, Anastasia, che cosa devo fare per fartelo capire?» Mi sto irritando. – Non sei abbastanza, Ana, sei tutto! – Mi fa incazzare.

«Perché pensavi che ti avrei lasciato quando ti ho detto che il dottor Flynn mi aveva raccontato tutto di te?»

– Perché sono un sadico bastardo? Perché godo a picchiare le ragazze brune? Perché sfogo le mie pulsioni frustando le donne che somigliano a mia madre? Quale risposta vuoi, Anastasia? Scegline una, vanno bene tutte. –  Sospiro.

E glielo dico, non scendo nei particolari, ma glielo dico: «Non puoi nemmeno immaginare l’abisso della mia depravazione, Anastasia. E non è qualcosa che voglio condividere con te.»

«E davvero pensi che ti lascerei, se lo sapessi? Hai una così scarsa opinione di me?»

– Ho un’altissima opinione di te, è di me, che invece ho un’infima opinione. –

«So che te ne andresti» le dico. E la cosa mi prostra e mi intristisce.

«Christian… credo che sia molto improbabile. Non posso immaginare di stare senza di te.»

Io, invece, un’immagine vivida di come posso stare senza lei ce l’ho ben chiara e non voglio ripetere l’esperienza.

«Invece mi hai già lasciato una volta… Ma non voglio tornare sull’argomento» dico secco.

«Elena mi ha detto di averti visto sabato scorso» sussurra pacata.

– Sabato?! Perché sabato? Non ho messo il naso fuori casa per due giorni. Io le ho solo scritto dei messaggi. – «Non è vero.»

«Non sei andato a trovarla, quando ti ho lasciato?»

«No» rispondo, irritato. «Ti ho appena detto che non l’ho fatto. E non mi piace che si dubiti di me» la rimprovero. Con lei, l’attacco è la miglior difesa. «Non sono andato da nessuna parte lo scorso fine settimana. Ho costruito il modellino di aliante che mi avevi regalato. Mi ci è voluta una vita» aggiungo. – Ci siamo incrociati lunedì, ma non te lo dico. Ma che cosa credi, che vada a cercare conforto dalla mammina? – penso irritato. – O forse lo pensa Elena... –

«Contrariamente a ciò che Elena pensa, non corro da lei ogni volta che ho un problema, Anastasia. Non corro da nessuno. Avrai notato che non sono una persona loquace.» Stringo con forza il volante tra le mani.

«Carrick mi ha detto che non hai parlato per due anni.»

«Ah, sì?» Serro le labbra. – Hai estorto una piena e spontanea confessione anche a mio padre? Bene! Allora se vogliamo essere precisi, non ho parlato per due anni e cinque giorni, se contiamo anche la settimana scorsa! –   

«In parte l’ho spinto io a farmi quella confidenza» confessa imbarazzata, guardandosi le unghie.

«E che altro ti ha detto il paparino?»

«Mi ha detto che tua madre era il medico che ti ha visitato quando ti hanno portato in ospedale… dopo che ti hanno trovato nel tuo appartamento.» Si ferma qualche istante, poi prosegue: «Dice che imparare a suonare il pianoforte ti ha aiutato. E anche Mia.»

Al pensiero di Mia, sorrido.

 «Aveva circa sei mesi quando è arrivata. Io ero elettrizzato, Elliot un po’ meno. Aveva già avuto un rivale con il mio arrivo. Lei era perfetta.» – Come te, piccola. – «Adesso un po’ meno, ovviamente» borbotto.

Ana ridacchia.

La guardo di traverso. «Lo trovi divertente, Miss Steele?»

«Sembrava determinata a dividerci.»

Mi sforzo di ridere. «Sì, c’è quasi riuscita.» Allungo una mano e le stringo un ginocchio. «Ma ce l’abbiamo fatta, alla fine.»

Sorrido e poi guardo un’altra volta nello specchietto retrovisore. «Non penso che siamo seguiti.»

Esco dalla I-5 e torno verso il centro di Seattle.

«Posso farti qualche domanda su Elena?» mi dice.

Siamo fermi a un semaforo.

«Se proprio devi» borbotto.

«Tempo fa mi hai detto che lei ti amava in un modo che trovavi accettabile. Che cosa significa?»

«Non è ovvio?»

«Non a me.»

«Ero fuori controllo. Non potevo tollerare di essere toccato. Non riesco a sopportarlo nemmeno adesso. Per un adolescente di quattordici-quindici anni con gli ormoni in subbuglio era un periodo difficile. Mi ha mostrato il modo per sfogarmi.»

A quindici, sedici anni fare sesso spinto con una donna più grande, bellissima e senza freni, mentre i miei coetanei stavano appresso alle compagne per strappare loro qualche bacio, era ben più che accettabile per uno come me.

Ero il suo svago, una cosa sua da usare per ingannare la noia e su cui sfogare le sua frustrazione. Faceva a me quello che Linc aveva sperimentato su di lei.

E a me piaceva. Ero il suo giocattolo, lo sapevo bene, ed era giusto così. Non ho mai pensato al futuro, insieme a lei.

Non importava altro che il presente e le torture facevano parte del gioco.

Non ha mai permesso ai sentimenti, né miei né suoi, di ostacolare la ricerca del piacere.  Mi ha insegnato ad incanalare le pulsioni.

La paura di punizioni crudeli e dolorose era il deterrente che mi impediva gli eccessi a scuola. Accettavo tutto perché lasciarla, essere lasciato, perdere colei che mi che mi concedeva il Piacere e m’innalzava sopra a tutti quanti i miei compagni era un’idea inammissibile, in quel momento.

Sapevo e so che mi vuole bene, ma amore? Forse, da parte mia... qualcosa di simile... non ho idea di cosa sia l’amore...

– Niente a che vedere con quello che provo per te, Miss Steele, che è un sentimento infinitamente più semplice... pulito... –

«Mia mi ha detto che eri un attaccabrighe.»

«Maledizione, ma perché la mia famiglia ha la tendenza a parlare tanto? A dire il vero… è colpa tua.» Ci siamo fermati a un altro semaforo, e la guardo con gli occhi stretti a fessura. «Tu riesci a cavar fuori le informazioni dalle persone lusingandole.» Scuoto la testa fingendomi disgustato.

«Non ho estorto alcuna confessione a Mia. In effetti è stata molto affabile. Era preoccupata che tu facessi scoppiare una rissa se non mi avessi vinta all’asta» borbotto indignata.

«Oh, piccola, non c’era alcun pericolo. In nessun modo avrei lasciato che qualcun altro ballasse con te.»

«Hai lasciato che lo facesse il dottor Flynn.»

«C’è sempre un’eccezione alla regola.» – Anche mio padre, se è per questo. –

 

Svolto nell’imponente e alberato viale d’accesso del Fairmont Olympic Hotel e parcheggio vicino alla porta d’ingresso.

«Vieni.» Esco dall’auto e prendo i bagagli. Un addetto al parcheggio ci raggiunge di corsa, con l’aria sorpresa per il nostro arrivo a quell’ora tarda. Christian gli lancia le chiavi della macchina.

«Il nome è Taylor» dico.

L’inserviente annuisce e non riesce a contenere la gioia mentre sale sull’R8 e la porta nel garage.

Facciamo il check-in alla reception.

«Ha… ha bisogno di aiuto… con le valigie, Mr. Taylor?» chiede un’imbarazzatissima impiegata. Balbetta. La solita fastidiosa reazione, la ignoro.

«No, Mrs. Taylor e io possiamo farcela da soli.»

«Siete nella Suite della Cascata, Mr. Taylor, undicesimo piano. Il nostro fattorino vi accompagnerà.»

«Va benissimo così» taglio corto. «Dove sono gli ascensori?»

Finalmente entriamo nella suite, che ha anche un pianoforte. – Bene! – anche se non mi servirà perché ho tutte le intenzioni di andarmene a letto con Mrs. Taylor.

«Ebbene, Mrs. Taylor, non so tu, ma io ho proprio bisogno di un drink» le sussurro e chiudo la porta a chiave.

In camera, appoggio i bagagli ai piedi del letto e poi me la trascino nel soggiorno.

«Armagnac?»

«Sì, grazie.»

Dopo un momento la raggiungo accanto al fuoco acceso del camino e le porgo il bicchiere.

«Che giornata, eh?»

Annuisce.

La guardo preoccupato.

 «Sto bene» mi rassicura. – Mi legge nel pensiero: è preoccupante! –  «E tu?» mi domanda.

«Be’, in questo momento voglio bere e poi, se non sei troppo stanca, voglio portarti a letto e perdermi dentro di te...»  – ...che sei la panacea di tutti i mali. –

«Credo che si possa fare, Mr. Taylor.» Mi sorride, intanto mi sfilo scarpe e calze.

«Mrs. Taylor, smettila di morderti il labbro.»  Mi fa sempre lo stesso potente effetto che mi ha fatto la prima volta, mi fa vibrare l’uccello e ho voglia morderglielo io... forte... mentre la scopo.

Arrossisce. – Ecco, brava, arrossisci, tanto per cambiare. E fai bene, perché pensavo proprio a quello! –

«Non smetti mai di stupirmi, Anastasia. Dopo un giorno come oggi, o come ieri, non ti lamenti né corri via urlando. Sono ammirato. Sei molto forte.»

«Tu sei un’ottima ragione per rimanere» mormora. «Te l’ho detto, Christian: non andrò da nessuna parte, non m’importa quello che hai fatto. Sai quello che provo per te.»

La guardo scettico. Dire che ho timore nell’accettare le sue parole, dopo sabato mattina, è un eufemismo.

«Dove appenderai i ritratti che José mi ha fatto?» Cerca di alleggerire l’atmosfera. E ci riesce.

«Dipende» dico, abbozzando un sorriso.

«Da cosa?»

«Dalle circostanze» rispondo. Dopo questa sera non so se ho voglia di appendere le sue foto all’Escala. Quella casa mi sembra profanata. Mai permetterei che profanassero lei. «La mostra non è ancora finita, perciò non devo decidere subito.» Mi guarda di traverso, ha capito che mi è venuta un’idea e, come al solito, indaga. «Puoi guardarmi male quanto vuoi, Mrs. Taylor. Non dirò niente» la prendo in giro.

«Potrei tirarti fuori la verità con la tortura.»

Alzo un sopracciglio: il Raffinato Signore non è mai troppo lontano. «Anastasia, se fossi in te, non farei promesse che non puoi mantenere.»  – Vorresti torturare me o pensi che sarebbe più facile estorcermi informazioni facendoti torturare? È un sistema che hai già usato, se non sbaglio, Mrs. Taylor –  penso divertito e interessato alla piega del discorso.

«Be’, dobbiamo solo stare a vedere» mormora e posa entrambi i bicchieri sul ripiano del camino.

– Molto coraggiosa, molto coraggiosa davvero Mrs. Taylor. – 

Mi prende per mano e mi tira verso la camera, la cavernicola.

Si ferma ai piedi del letto.

Attendo. «E ora che mi hai qui, Anastasia, che cosa ne farai di me?» scherzo, la voce bassa.

«Inizierò con lo spogliarti. Voglio finire quello che avevo cominciato.» Allunga le mani verso il bavero della mia giacca, attenta a non toccarmi, non mi muovo, ma trattengo il fiato.

Delicatamente, mi sfila la giacca dalle spalle. La guardo, muto. So che non mi toccherà, so che rispetterà i miei limiti, allora perché sono così in ansia?

– Perché vorrei che lo facesse – mi rispondo di getto. – Vorrei che mi toccasse, tutto quanto. –  

«Adesso la T-shirt» bisbiglia e me la tira su.

Collaboro.

«E adesso?» sussurro, gli occhi che luccicano.

«Voglio baciarti qui.» Fa scorrere il dito sul mio ventre da un fianco all’altro.

Brucio. Schiudo le labbra e inspiro. «Non ti fermerò» sospiro.

Mi prende per mano.

«Sarà meglio che ti sdrai, allora» mormora e mi conduce verso il letto.

Mi fa uno strano effetto, essere preso per mano. Un déjà-vu perso in un ricordo lontano...

– Grace!... Mamma... no non ancora mamma... prima... la prima volta... la prima volta che l’ho vista... –

Sbatto le palpebre, allontano il ricordo confuso.

Scosto le coperte, mi siedo sul bordo e la guardo. Aspetto lei. Una volta tanto aspetto lei. In piedi, davanti a me. Si sfila il mio giubbotto dalle spalle, lo lascia cadere sul pavimento.

Fa scivolare i pantaloni della tuta facendoli scorrere lungo i fianchi con le mani aperte, carezzandosi le cosce, velocemente, ancheggiando appena, sinuosa. Non so se ho mai visto qualcosa di tanto sexy.

Mi sfrego il pollice contro la punta delle dita, ho voglia di toccarla... non lo farò.

Ana mi guarda un istante, io ho il fiato sospeso.

Inspira e contemporaneamente afferra i lembi della maglietta e la solleva, celando per un attimo il suo bel viso e mostrandomi il seno sodo che si alza insieme al suo respiro. Ora so di non aver mai visto niente di più sexy.

Il suo viso rispunta dalla T-shirt proprio mentre le sue labbra soffiano via il suo sospiro trattenuto.

È nuda di fronte a me.  La rivedo come qualche ora fa, la dea mascherata in piedi accanto al mio letto. La guardo ora, giovane e bellissima... una mattina di primavera... con i suoi occhi fissi nei miei.

Deglutisco, estasiato. Boccheggio.

«Tu sei Afrodite, Anastasia» mormoro.

Mi prende il volto tra le mani, con tutta la confidenza che ho concesso solo a lei. Mi solleva la testa, la lascio fare... non si può dire di no a una dea, si china su di me e sfiora le mie labbra con il bacio più dolce che abbia mai sognato. Un gemito, del tutto involontario, si leva dal profondo della mia gola.

Non appena sento le labbra schiudersi, tutto in me scatta, come una pantera appollaiata su un ramo che aspetta la preda. La afferro per i fianchi e me la metto sotto, obbedendo ad un bisogno primordiale. La inchiodo al materasso, le apro le gambe e mi ci infilo in mezzo.

– Cazzo! Questo è il mio posto nel mondo! Questo, questo, solo questo... – penso mentre le invado la bocca con la lingua, per leccarle via anche l’anima.

La voglio! La tocco, la tocco e la sfioro con tutto me stesso. La esploro, tutta quanta, e arrivo al suo seno, glielo strizzo, lo palpo, tiro un capezzolo per eccitarla e toccarle ogni corda. Infatti risponde e spinge il bacino contro di me, per dirmi che mi vuole. Si agita per cercare il contatto con la mia erezione. Mi stacco da lei per guardarla, mi scappa l’ombra di un sorriso, e gliela faccio sentire ancora, e ancora.

La bacio, non resisto, voglio godere di tutto. Io mi strofino su di lei. Lei si strofina su di me.

Vorrei che questa danza non finisse, ma ho bisogno; lei affonda le dita nei miei capelli e li tira per baciarmi, per dirmi che sono suo.

Fa scorrere le dita sul mio braccio e poi giù fino ai jeans e infila la mano dentro i miei boxer... solo Elena lo faceva... ma non penso a lei... non ci penso per niente. Penso solo a quanto sto godendo, a quanto sono eccitato. Ce l’ho di marmo.

– Ahi! – La pressione contro il jeans mi infastidisce, provocandomi quel tipo di dolore che avevo dimenticato. Il dolore e la costrizione ai genitali per inibire l’orgasmo. Non voglio rovinarmi il momento.

«Finirai per castrarmi, Ana» le sussurro per limitarla. Ma non voglio limiti. E poi, ora, ho voglia di fottere.

Mi tiro su, veloce mi sfilo i jeans e le porgo la solita bustina.

- Meno male che domani viene la dottoressa Greene: questi cosi, non li  sopporto più! –   

«Tu vuoi me, piccola, e io voglio te. Sai cosa devi fare.»

Strappa la bustina con dita ansiose.

– Vuoi toccarmi? Anch’io voglio che mi tocchi, toccamelo, toccamelo, prenditelo... –

Mi protendo verso di lei, la desidero con tutto me stesso. Strofino il naso contro il suo, chiudendo gli occhi, e lentamente, deliziosamente, le entro dentro.

Tira la testa all’indietro per accogliermi e si tiene alle mie braccia come fossi la sua ancora... io...

Si abbandona, è mia, la posseggo... anche senza un contratto so che è mia.

Le afferro con i denti il mento sollevato, per stabilire il mio possesso anche con la bocca.

Entro ed esco da lei, piano, pianissimo. Mi godo ogni spinta. Le accarezzo il viso mentre la penetro. È mia.

«Mi fai dimenticare tutto. Sei la migliore delle terapie» le sussurro stordito da quello che sto provando. Sento qualcosa sciogliersi proprio dentro al petto e il languore che mangia i miei lombi sale e m’invade. Mi lascio invadere. Godo.

«Per favore, Christian, più veloce» m’implora, vuole godere.

–  No, oh no, no, no! –

«Oh, piccola, ho bisogno di questa lentezza.» Me la bacio. È mia, me la bacio. Le mordo quel dannato labbro, ma piano. Non voglio farle male, neppure un po’.

Con le mani immerse nei miei capelli, Ana sincronizza i suoi movimenti alle mie spinte.

È una danza, la danza primordiale, è celestiale, sublime, mi godo ogni attimo... senza pensieri. Sento solo il suo respiro e il battito del mio cuore...

–  Cuore? Devo avere un cuore, dentro al petto, perché sta battendo all’unisono col suo. Prima... nella mia vecchia stanza, è stato magnifico, avevo bisogno di possederla come una vera sottomessa, mi ha saziato, ma ora... ora è anche meglio... scop... fare l’amore. Stiamo facendo l’amore – focalizzo, ma sono distratto dai suoi ansiti, percepisco le sue contrazioni, sta venendo e io sono inspiegabilmente felice di sentire i suoi deboli gemiti che mi risuonano nell’orecchio.

«Oh, Ana» mormoro, aspetto di sentire anche l’ultima contrazione e mi lascio andare ad un orgasmo inaspettatamente potente che mi risucchia anche il ventre. 

Sono appagato. Ogni fibra del mio corpo, la mi anima oscura, anche questa cosa che mi batte forsennata dentro al petto, tutto di me è appagato.

Mi sfilo da lei per appoggiarle la testa sulla sua pancia, le braccia la stringono, mentre mi godo le  sue dita tra i miei capelli. Sono sensazioni nuove, ma così piacevoli che mi lasciamo senza fiato.

«Non ne avrò mai abbastanza di te. Non lasciarmi» le dico e le bacio la pancia.

«Non vado da nessuna parte, Christian, e mi sembra di ricordare che volevo essere io a baciare la tua pancia» borbotta assonnata.

Sorrido, con la bocca sulla sua pelle. «Niente ti fermerà adesso, piccola.»

«Non credo di riuscire a muovermi, sono così stanca.»

Sospiro e mi sposto, riluttante, e mi sdraio di fianco a lei con la testa appoggiata a un gomito e tiro le coperte su di noi.

Me la guardo ancora una volta prima di spegnere le luci.

«Ora dormi, piccola.» Le bacio i capelli e la fascio col mio corpo proprio un istante prima di scivolare in un sonno senza sogni.

 

Apre gli occhi e vedo un pezzetto di cielo.

«Ciao» mormoro. Sorrido, disteso accanto a lei. Mi sono vestito in fretta perché deve arrivare la dottoressa, ma non riesco a starle lontano. Me la guardo, nuda, avvolta nel lenzuolo, fasciata come un dono prezioso caduto dal cielo azzurro, proprio come i suoi occhi.

 «Ciao» risponde assonnata. «Da quanto tempo mi stai guardando così?»

–  Sempre sulla difensiva, Miss Steele? –

«Potrei osservarti dormire per ore, Anastasia. Ma sono qui da cinque minuti.» Mi avvicino e la bacio. «La dottoressa Greene arriverà tra poco.»

«Oh.» Si rabbuia.

 «Hai dormito bene?» le chiedo. «Mi è sembrato di sì, visto come russavi.»

«Io non russo!» ribatte, seccata.

«No, non lo fai.» Sogghigno.

«Hai fatto la doccia?» mi domanda.

«No. Aspettavo te.»

Veramente mi sono svegliato mezzora fa. Giusto il tempo di chiamare Andrea per contattare la Dottoressa Greene, l’autosalone e il porto.

–  Il compagno di Andrea deve odiarmi –  considero divertito.  – Ma è ben pagata per il suo lavoro. E ora ho assunto la stagista per darle una mano... è proprio un’oca. Olivia, si chiama. Mi guarda inebetita... “ma sveglia, per l’amor di Dio!” Pensavo che Andrea ne avrebbe fatto il suo clone, visto il curriculum, invece... Boh, stiamo a vedere... per ora fa tutto Andrea. Magari la sposto alla reception e prendo la centralinista, quella sveglia.  –

«Ah… okay» mi dice assonnata. «Che ore sono?»

«Le dieci e un quarto. Non ho avuto cuore di svegliarti prima.»

«Mi avevi detto di non avere affatto un cuore.»

Sorrido tristemente, non ribatto. –  Mi sa che ce l’ho, Miss Steele, mi sa proprio che ce l’ho. Nero come la pece, ma ce l’ho anch’io. –

«La colazione è qui: pancake e bacon per te. Avanti, alzati, comincio a sentirmi solo qui fuori.»

È vero, mi sento solo, voglio passare il mio tempo con lei. Mi piace parlarle, scherzare. Ho scoperto che tutto è più bello se c’è anche lei, con e senza sesso. È questa la novità.

La voglio con me.

L’unica compagnia piacevole è quella della mia famiglia. Anche Elliot, pure con tutte le sue cazzate... e Taylor, che è una presenza silenziosa e confortante.

– Ma con te è tutto diverso, Miss Steele, è tutto magico. Il tuo stupore, il fatto che ti piaccia quello che piace a me è magico. –

Ci ho sempre provato, con le altre, all’inizio... ad instaurare una conversazione, a sondare i loro gusti.

«Sì, Signore, mi piace Signore. Quello che piace a te, piace anche a me.»

– Sì, come no! – Qualche minuto di Bach e poi, appena libere, scappavano davanti al televisore per la puntata della loro serie preferita.

Leila almeno condivideva la mia passione per l’arte moderna e aveva trasformato la sua stanza in uno studio bohemien. Dipingeva quadri  simili a quelli che erano appesi in casa, anzi, sembrava molto attratta dalle corolle di Georgia O’Keeffe e mi ha invaso la casa di vulve colorate. Ma quando l’ho portata alla mostra della pittrice, pensando avessimo una cosa in comune ed infrangendo persino una delle mie linee guida, ha guardato tutto e tutti fuorché i quadri. Non credo che avrebbe riconosciuto, nei dipinti in mostra, le opere della sua ispiratrice se non glielo avessi detto io.

Comunque l’ho aiutata lo stesso, finito il contratto, ad organizzare la personale, anzi, ha fatto tutto Andrea. Io ho acquistato tre dei suoi quadri, per una cifra, oserei dire, smodata, ma era un modo gentile per liquidarla.

E lei lo sapeva, anzi credo che lo abbia fatto di proposito...

Comunque quello che ho nel corridoio di sopra è bello, belli i colori. Leila lo ha dipinto dopo una sessione molto intensa nella Stanza dei Giochi. Divertente... sì, mi piace quel quadro.   

Però, dal giorno della mostra dell’O’Keeffe, ho ritenuto meglio non mischiare mai più i miei interessi con le attività inerenti il sesso.

– Beh, prima di te, Miss Steele. Ma è anche vero che tu non sei una sottomessa. Sei... sei... una compagna. –

Le do una pacca sul sedere e lei scatta sul letto sollevandosi immediatamente.

La guardo barcollare verso il bagno, nuda. Deglutisco.

– Mi piace un casino! Ho già voglia di scoparmela tutta, in mille modi diversi: dolce, feroce... chi se ne frega... basta scoparla! – Guardo la porta del bagno chiudersi.

–  Va’ beh! A dopo Miss Steele –  e me ne vado a mangiare.

 

Arriva fasciata nell’accappatoio. Si siede davanti alla colazione.

– Speriamo che mangi e metta su un po’ di quei chili che ha perso. –

Io ho già mangiato, sorseggio un caffè e sfoglio i quotidiani; c’è un articolo su Linc che ha appena acquisito una società a cui fanno a capo diverse cartiere nel Midwest e in tutto il Northwest. Un buon affare, nel suo settore. Avevo sentito qualcosa, sono sempre informato su quello che fa quel bastardo. Oggi la notizia è ufficiale, ma lo sanno già tutti, ne parlavano anche ieri sera.

«Mangia. Avrai bisogno di tutte le tue forze oggi» scherzo.

«E perché? Vuoi chiudermi in camera da letto?»

«Per quanto l’idea mi alletti, pensavo di uscire. Di prendere un po’ d’aria fresca.» –  Sì, è una novità, piccola. –

«Non sarà pericoloso?» chiede sbarrando gli occhi con aria fintamente innocente.

–  Mi sta pigliando per il culo! –  E io m’incazzo, non posso farci niente, m’incazzo.

«Il posto dove andremo è sicuro. Questo non è uno scherzo» aggiungo severo.

 –  Ma porca...! Ma lo capisci o no che non c’è proprio niente su cui scherzare? Leila è furba come un gatto, matta come un cavallo, è armata e ci ha puntato. Ti ha puntato, Anastasia. Non è una cazzo di regola del contratto: questa è la realtà! –

Mi verrebbe voglia di scrollarla per farle entrare un po’ di sale in zucca, ma lei arrossisce e fissa la sua colazione.

– Speriamo che non perda l’appetito, se no, m’incazzo davvero! –

Invece mangia, mesta, muta. Irritata.

Qualcuno bussa alla porta.

«Questa dev’essere la dottoressa» bofonchio.  

Mi alzo, vado ad aprire, Ana mi segue per accogliere la dottoressa. Le lascio in camera, chiudo la porta e torno ai miei giornali.

 

–  Ma quanto ci mettono? Quanto ci vuole per una visita? –  mi domando indispettito.

Alla fine escono, salutiamo la Dottoressa Greene e la accompagno alla porta.

«Tutto a posto?» chiedo ad Ana che è dietro di me. Ha una faccia! È bianca. Le avrà fatto male... Sembra spaurita.

Annuisce in silenzio. La osservo. Non mi sta dicendo la verità.

«Anastasia, cosa succede? Che cosa ti ha detto la dottoressa Greene?»

– Ce l’avrà con me per via dell’imposizione dei contraccettivi – mi dico per tranquillizzarmi.

Scuote la testa. «Tra sette giorni avrai il via libera» bofonchia.

«Sette giorni?» –  Di nuovo! –

«Sì» mormora. Non è finita qui! C’è qualcos’altro. La conosco, è un libro aperto.

«Ana, cosa c’è che non va?» Glielo chiedo.

Deglutisce. «Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Per favore, Christian, lascia perdere e basta.»

Mi piazzo di fronte a lei. Le afferro il mento, facendole piegare indietro la testa, e la fisso per decifrare il suo panico.

«Dimmelo» ringhio.  

«Non c’è niente da dire. Vorrei vestirmi.» Gira la testa di lato, per sottrarsi alla mia presa.

Sospiro e mi passo una mano tra i capelli, aggrottando la fronte. «Facciamo la doccia» dico alla fine.

«Certo» borbotta.

«Vieni» ordino, afferrando con forza la sua mano. Mi dirigo a grandi passi verso il bagno e lei mi segue, scalza, in accappatoio.

Mi svesto in fretta, voglio lavarmi, fotterla e uscire, così mi passa quest’incazzatura che i suoi silenzi mi fanno venire.

– Ecco, in questo momento vorrei che le punizioni fossero contemplate, perché ti assicuro che parleresti subito, legata alla croce, dopo qualche vergata data nei punti giusti. –

«Non so cosa ti abbia turbata, o se tu sia di malumore solo per la mancanza di sonno,» le dico slacciandole l’accappatoio, «ma voglio che tu me lo dica. La mia immaginazione sta già galoppando, e non mi piace.» Glielo chiedo, con lei  è meglio cambiare tattica.

Alza gli occhi al cielo.

– Eh che cazzo! Ma lo fai apposta per farmi sbroccare? – Dentro di me urlo.

«La dottoressa Greene mi ha rimproverata di non aver preso la pillola. Ha detto che avrei potuto essere incinta» confessa. Ha sganciato una bomba.

«Cosa?» Mi rendo conto di impallidire.

Penso solo: – Cazzo, no!!!! Non a me!!! Io sono un fottuto bastardo, io sono esattamente come il fottuto bastardo che si sbatteva mia madre e picchiava e torturava chi non poteva difendersi!!! Che cazzo farei io a un bambino??!? Io sono come lui!!! Non lo voglio un posacenere, un fottuto posacenere che me la rubi, io la voglio solo per me!!!!!!!!!!!! –

Penso a tutto questo in un istante, so di fissarla, ma non la vedo. Penso a tutto questo... poi ascolto la sua voce che si affretta a dirmi: «Ma non lo sono. Mi ha fatto fare il test. È stato uno shock, tutto qui.» – Uno shock? Per te? – «Non posso credere di essere stata così stupida.»

–  Sì, stupida –  penso e mi rilasso. «Sei sicura di non esserlo?» mi accerto.

«Sì.»

Faccio un inevitabile sospiro di sollievo. «Bene. Sì, capisco che notizie simili possano essere molto sconvolgenti.»

«Ero più preoccupata della tua reazione.»

La guardo perplesso. «La mia reazione?»

– Non ho la più pallida idea di quale sia la mia reazione, Miss Steele, perché io non condivido. Io non voglio condividerti, con nessuno!–  

«Be’, naturalmente sono sollevato… Sarebbe stato il massimo della trascuratezza e della maleducazione da parte mia se ti avessi messo incinta» dico, sollevato. – Non è successo nulla, meglio tornare su un terreno sicuro, neanche lei vuole un figlio, meno male. –

«Allora forse dovremmo astenerci» ribatte seccata.

– Astenerci? Non bestemmiare, Miss Steele! –

«Sei proprio di cattivo umore stamattina» osservo.

«È stato uno shock, tutto qui» ripete, infastidita.

Afferro il bavero del suo accappatoio, la attiro tra le mie braccia, le bacio i capelli, le premo la testa contri il mio petto, sperando che il fatto di sentirmi così vicino a lei la tranquillizzi.

Sospira.

«Ana, non sono abituato a questo» mormoro, desidero spiegarle. «La mia naturale inclinazione sarebbe quella di picchiarti, ma dubito seriamente che tu lo vorresti.»

«No, non voglio.» Lei mi stringe. Rimaniamo così, per un’eternità, lascio che ogni residuo di rabbia scivoli via.

Non so proprio nulla di relazioni normali, ma neppure lei, e questo mi rassicura: non può fare paragoni.

Mi calmo, ma sono svuotato, sfibrato dallo scampato pericolo. Normalmente le avrei inflitto qualche lunga tortura a cui, in questo momento, non riesco neppure a pensare.

Se la mia mente malata non riesce ad inventare, significa che riesco a dominare anche questa parte di me. Sto riuscendo a disintossicarmi, come un drogato in astinenza, ma comunque ho bisogno di qualche farmaco alternativo...

Mi scosto da lei, le tolgo l’accappatoio  e la porto con me nella doccia.

Inizio a lavarmi i capelli e le passo lo shampoo.

Ana si insapona i capelli e chiude gli occhi per evitare che la schiuma la infastidisca.

Ne approfitto e comincio ad insaponarla.

La tasto, ovunque.

Il sapone rende più fluido il tocco, la attiro a me, la sua schiena appoggiata al mio petto e le massaggio la pancia, il seno, i fianchi. Insinuo le mani tra le sue gambe, faccio scorrere le dita nella sua fessura, avanti, indietro. Avanti. Dietro. Seguo con l’indice e il medio i confini delle sue labbra, quelle grandi, quelle piccole.

Infilo il dito dentro solo un po’, finché non la sento sfregarsi contro di me, allora passo dietro, stimolandola anche lì, girando intorno, premendo appena finché non le strappo un gemito.

Ora è pronta.

Ed è mia.

Vorrei che se lo mettesse ben in testa che lei è solo mia. Mia!

La faccio voltare per averla di fronte.

Voglio che mi guardi.

«Ecco» le dico e le consegno il bagnoschiuma. «Voglio che mi lavi via quel che rimane del rossetto.»

Mi guarda confusa.

Lei è mia. Mi appartiene. Voglio che mi tocchi, perché ogni parte di lei appartiene solo a me e lei può toccarmi. È come se fossi io stesso a toccarmi.

«Non ti allontanare tanto dalla riga, per favore.» Comunque sarà meglio non esagerare per la prima volta.

«Okay» replica piano. Sembra terrorizzata.

– Guarda che sono io quello che ha la fobia, gioia! –

Si versa un po’ di bagnoschiuma sul palmo, sfrega una mano contro l’altra per creare la schiuma, le appoggia entrambe sulle mie spalle e con movimenti leggeri lava via la riga di rossetto.

Mi irrigidisco, non posso farci niente. Tutto il mio corpo si contrae. Chiudo gli occhi, ho serrato la mascella. Ho il fiato corto. Un calore improvviso mi è salito al viso perché il sangue che mi è affluito in testa è bollente.

Riconosco la paura.

So che non devo averne.

Lo so.

Rimango immobile, la lascio fare.

Le tremano le mani. Anche lei ha paura.

Trema mentre segue la linea che mi scende sul petto, insapona e friziona dolcemente.

Deglutisco a ricacciare indietro il terrore.

Serro ancor più forte la mascella in un morso inestricabile.

Si ferma per versarsi altro bagnoschiuma nella mano e io mi rilasso.

Ana trema, deglutisce, lo vedo. Lo sento, anche coperto dallo scroscio dell’acqua.

«Sei pronto?» mormora, le trema anche la voce. Ha più paura di me. «Sì.» Mi esce solo un mormorio confuso.

Mi appoggia delicatamente le mani su entrambi i lati del torace, e io mi irrigidisco di nuovo. Non posso farci nulla.

– Piange? – Le vedo sbattere le palpebre e noto il mento che si increspa. – Cazzo, piange! –

E io non posso farci niente, perché non voglio che si fermi. – Non vogliooo! Solo tu puoi, solo tu, amore, solo tu...–

Ma lei continua a piangere... per il mio passato... per me...

«No, per favore, non piangere.» La prendo tra le braccia, vorrei consolarla. La stringo forte, me la stringo al cuore, perché lei mi ama. Lo sento.

Lo sento così vividamente da poterlo toccare.

È irresistibile. Irresistibile.

«Per favore, non piangere per me» la supplico. È straziante.

Non smette, anzi, singhiozza. Nasconde il viso nel mio collo e si abbandona a singhiozzi strazianti.

La scosto da me, le prendo la testa tra le mani, le sollevo il viso, mi chino per baciarla.

«Non piangere, Ana, per favore» le sussurro sulla bocca. «È stato tanto tempo fa. Desidero ardentemente che mi tocchi, ma non riesco a tollerarlo. È troppo. Per favore, per favore, non piangere.»

«Anch’io ti voglio toccare. Più di quanto tu possa capire. Vederti così… così ferito e spaventato, Christian… mi fa davvero male. Ti amo così tanto.»

Le accarezzo le labbra con il pollice. «Lo so. Lo so...»  –  ...ne sono così certo, amore mio... ma non me lo spiego. Non mi sembra giusto... –

«Sei una persona facile da amare. Non lo vedi?»

«No, piccola, non lo vedo.» –  Non. Lo. Vedo! Non. È. Vero! –

«Eppure lo sei. E io ti amo e così pure la tua famiglia. Ed Elena e Leila, anche se hanno uno strano modo di dimostrarlo. Ma ti amano. Tu ne sei degno.»

«Basta.» Le chiudo le labbra con un dito, scuoto la testa, devo convincerla. Devo. «Non posso starti a sentire. Io non sono niente, Anastasia. Sono il guscio di un uomo. Io non ho un cuore.»

«Sì che ce l’hai. E io lo voglio, lo voglio tutto. Tu sei una bella persona, Christian, davvero una bella persona. Non dubitarne mai. Guarda ciò che hai fatto… tutti i risultati che hai raggiunto.» Singhiozza. «Guarda quello che hai fatto per me, quello a cui hai voltato le spalle per me» balbetta e piange. «Lo so. So che cosa provi per me.»

La guardo. L’unico rumore è lo scrosciare costante dell’acqua che scorre su di noi.

«Tu mi ami» mormora, riesco ad udirla anche sotto lo scroscio della doccia.

– La amo? Ti amo?  – Apro la bocca per ribattere, ma non escono parole: rivedo tutto, tutto quanto mi riappare davanti agli occhi come le illustrazioni sulle pagine di una rivista patinata sfogliata dal vento.

Rivedo le porte dell’ascensore del mio ufficio richiudersi e il mio nome uscire dalle sue labbra come un bacio.

Rivedo lo stupore dei suoi occhi che si sollevano su di me da Clayton... la sua espressione sconcertata quando le ho detto che avevo rintracciato la sua chiamata, al bar a Portland, per scovarla, per portarmela via.

Rivedo il suo corpo disteso accanto al mio, all’Heathman, addormentato. Non so per quanto tempo sono stato lì a guardarla.

Ricordo la nostra prima volta... ricordo tutto, la sua presenza in casa mia. La rabbia per la sua partenza per Savannah... non volevo separarmi da lei... il tuffo al cuore quando l’ho vista seduta con sua madre, al bar dell’albergo. Il bisogno assoluto di lei quando ho visto spuntare il suo viso, quando l’ho vista comparire nel salone, di ritorno dalla Georgia... Quella notte infernale... senza di lei...

Tutto il dolore... senza di lei...

Riaverla... ritrovare l’equilibrio...

– Ti amo? Certo che ti amo. Ti amo, ti amo. Non ho fatto altro da che mi sei ruzzolata nell’ufficio. Non ho più pensato ad altro: certo chi ti amo. Ti amo infinitamente. Amo solo te, in un modo che neppure potevo sospettare che esistesse... certo che ti amo... che cosa credi? – 

 Espiro tutta l’aria che ho nei polmoni e ammetto, sì, lo ammetto...«Sì. Ti amo.»


CAPITOLO !!


«Sì, ti amo.»

Penso proprio che sia una confessione.

Ha tutta l’aria di essere una confessione.

Sono stordito.

Lei mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Piange lacrime e gocce d’acqua e mi bacia.

Io sono completamente annientato ma, dal contatto delle sue labbra, dalle vibrazioni del suo corpo capisco che è felice.

Doveva succedere... prima o poi... che affrontassi questa cosa. Questa cosa che sento dentro.

– Io non ho mai provato per nessuno quello che provo per te, piccola. Per nessuno. Neppure per Grace... –  penso, in un barlume di lucidità e me la stringo al petto. Stretta. Vorrei che mi entrasse dentro, così da tenerla sempre con me, altro che toccarmi.

– Mi hai già toccato, Anastasia. Mi hai toccato dentro. Hai preso in mano il mio cuore nero e lo hai costretto a battere. Che t’importa se non mi tocchi fuori? –

In questo momento vorrei solo scopare per svuotarmi di tutto, dentro di lei.

«Oh, Ana» sussurro arrochito. Non mi esce null’altro che un sussurro. «Ti voglio, ma non qui.»

«Sì» mi risponde con fervore.

Usciamo da questa maledettissima doccia, la avvolgo nell’accappatoio e prendo per me un asciugamano. Prendo anche una salvietta per asciugarle i capelli.

I nostri sguardi si incrociano nello specchio.

«Posso contraccambiare il favore?» mi chiede.

– Come? Sì, certo, puoi tutto. Tu puoi tutto. –

Annuisco.

Ana prende un altro asciugamano dalla ricca dotazione del bagno e, in punta di piedi davanti a me, inizia ad asciugarmi i capelli.

Mi chino per aiutarla, sorrido. «È passato molto tempo da quando qualcuno ha fatto questo per me. Molto, molto tempo» dico. Poi ci penso. «Anzi, in realtà penso che nessuno mi abbia mai asciugato i capelli.»

«Di certo Grace l’ha fatto. Ti avrà asciugato i capelli quando eri bambino.»

Scuoto la testa, intralciando il suo lavoro. «No. Ha rispettato i miei confini fin dal primo giorno, anche se è stato penoso per lei. Ero un bambino autosufficiente» le spiego. Sono dispiaciuto per mia madre. Ora vorrei che lo avesse fatto. Per lei. Per me.

«Be’, ne sono onorata» dice, scherzando.

«Sì, lo sei, Miss Steele. O forse sono io a essere onorato.»

«Lo so, Mr. Grey» ribatte.

Dopo aver finito con i capelli, prende un altro asciugamano e si sposta dietro di me. I nostri sguardi si incontrano nello specchio.

– Ha in mente qualcosa – mi dico. – Conosco quello sguardo. –

«Posso provare una cosa?»

– Ecco, infatti. –  Annuisco. – Tu puoi fare quello che vuoi. –

La parte razionale di me sa che non c’è alcun pericolo. Nulla che io debba temere, perché ormai l’argine ha ceduto, lei è entrata nella mia bolla e il male che mi può venire da questa creatura non è certo dalla carezza delle sua mani. Può farmi male solo andandosene, lasciandomi, abbandonandomi come mia... Lo ha già fatto. Anche lei... lo ha già fatto. L’ho lasciata entrare, ho lasciato che mi toccasse e se ne è andata.

Ed è stato devastante.

Con cautela mi fa scorrere la salvietta morbida su un braccio, asciugando le gocce d’acqua che mi imperlano la pelle. Alza lo sguardo, per controllare se va tutto bene.

– Sì, va tutto benissimo, sono con te!  –  

Sorrido nello specchio quando noto che si protende per baciarmi un braccio.

Mi tampona anche la schiena e sfrega solo un po’, probabilmente per togliere il rossetto.

«Tutta la schiena» le sussurro spavaldo. – Già che ci siamo, andiamo avanti, piccola, datti da fare. –  «Con l’asciugamano» preciso.

Chiudo gli occhi, trattengo il respiro.

– Avanti: è lei! È solo lei! È lei, è solo lei –  mi ripeto come un mantra. Lei fa attenzione a toccarmi solo con la spugna, per non toccarmi veramente.

– Mi stai toccando, mi hai già toccato... manca solo  il contatto... ho paura del contatto... poi non potrò più farne a meno... non potrò più... tornare indietro...– mi dico ma è un pensiero così fievole che non riesco quasi ad afferrare e a rammentare.

Lei finisce e io mi rilasso.

Ma non è finita. Mi circonda con le braccia da dietro e mi asciuga l’addome. Mi bacia la spalla.

I nostri occhi si incontrano ancora una volta nello specchio, sono divertito. Sull’attenti, ma divertito. Non va poi così male. Non sta facendo male.

«Tieni questo» mi dice e mi passa un asciugamano per il viso. –  Che ha in mente, ora? Non ha ancora finito di tormentarmi? – mi chiedo, però sono io a volerlo perché ne ho abbastanza di questa stupida fobia che mi impedisce anche i movimenti.

«Ricordi in Georgia? Mi hai fatta toccare usando le tue mani» mi spiega.

– Vorresti che mi  toccassi guidando tu le mie mani? – 

Mi abbraccia.

– Ho capito, Ana: sto valutando.... D’accordo – e le affido la mano destra.

Lei la guida sul mio petto. Sono io a toccarmi. È lei a toccarmi.

Non so... è strano. Ho paura... una paura viscerale, ma non è come nel sogno, non c’è fastidio, terrore, panico, vuoto e fuoco, no: è un calore che scalda l’anima, un timore soffuso che mi irrigidisce le membra, tutti i sensi accesi a gustare questa sensazione profonda. Mi sta toccando! Non c’è contatto, ma mi sta toccando.

«Penso che tu sia asciutto adesso.»

«Ho bisogno di te, Anastasia.» Mi rendo conto che questa è la preghiera del mio corpo e della mia anima che ha bisogno di saziarsi.

È l’unico modo che conosco: entrarle dentro, come lei è entrata dentro di me.

Proprio l’unico modo.

Chissà se lo ha capito, che sono suo?

«Anch’io ho bisogno di te.»

– No, non lo ha capito. Non ha capito fino a che punto le appartengo. Molto meglio così. –

«Lascia che ti ami» la imploro. Come questa notte.

«Sì» risponde.

Voliamo sul letto, non so neppure come, e sono già su di lei, dentro di lei.

La mia bocca è incollata alla sua.

Faccio piano, pianissimo, perché ho bisogno di sentire il mio corpo che sfrega contro il suo.

Questo contatto mi appaga, è familiare e voglio goderne.

Ad ogni spinta sfrego il mio petto contro il suo, sento i miei capezzoli che carezzano il suo corpo e mi fermo solo quando sento le punte incontrarsi.

Gemo. Estasiato.

Ogni spinta è piacere... non penso... non voglio pensare... a nulla. Ho la mente vuota... assaporo le sensazioni e questa cosa che  mi scalda il petto...

– Sì, ti amo... sì, ti amo... sì, ti amo... sì, ti amo... – mi ripeto all’infinito, spinta su spinta, liberandomi e riacquistando il mio prezioso equilibrio.

E il controllo.

– Sì, ti amo... –

E alla fine, solo alla fine, dopo aver visto il piacere disegnato sul suo splendido viso, mi concedo il lusso di seguirla, deflagrando un dolce orgasmo dentro di lei.

– Sì, ti amo! –

La tengo tra le braccia, anche dopo. Sono sereno, svuotato. Le accarezzo la schiena con le dita, mentre ci guardiamo, crogiolandoci nella beatitudine del dopo sesso, sazi.

Siamo distesi l’uno accanto all’altra, lei sulla pancia, abbracciata al cuscino, io sul fianco, e l’accarezzo, la tocco: è mia. Voglio proteggerla, curala, regalarle il mondo, voglio farla felice.

– Ma sembra proprio, per quanto impossibile possa sembrare, che sia proprio io a renderti felice, amore,  anche quando ti faccio piangere... –

«E così riesci anche a essere delicato.» La sua voce melodiosa mi distoglie dai miei pensieri.

«Mmh… a quanto pare, Miss Steele.»

Sorride. «Non lo eri particolarmente la prima volta che…l’abbiamo fatto.»

«No?» Sogghigno. «Quando ho rubato la tua virtù?» – Ci so andato giù pesante: da uno a cento in cinque secondi! –

«Io non credo che tu l’abbia rubata» brontola, altezzosa. «Credo di averti offerto la mia virtù piuttosto liberamente. Ti desideravo anch’io e, se ben ricordo, mi sono piuttosto divertita.» Sorride.

«Anch’io, adesso che ci penso, Miss Steele. Il nostro scopo è il piacere» dico piano e sono perso nel ricordo della prima volta. Ancora mi sconvolgo a pensarci. E credevo che a letto nessuna donna fosse in grado di sconvolgermi. «E questo significa che sei mia, completamente.» – Come niente e nessuno prima... né poi. –

«Sì, sono tua» conferma sottovoce. «Vorrei chiederti una cosa...»

– Il mio prossimo regalo per te, Miss Steele, sarà un confessionale... di quelli barocchi, con l’inginocchiatoio, così mi sistemo comodo e penitente per raccontarti tutti i particolari della mia breve ed intensa vita. Lo piazziamo nell’atrio, in mezzo alle Madonne, ci sta anche bene, così finisco lì di raccontarti del magnaccia bastardo, che grazie Dio non è mio padre, e tutti gli altri particolari ameni del mio passato. –

E canto. Come al solito. Come tutti quelli che hanno la fortuna di incontrarla.

«Allora, qual è la sorpresa di cui mi parlavi?» chiede alla fine dell’ennesimo interrogatorio.

– Grazie, amore, grazie! Cambiamo argomento. – «Ti va di uscire per una boccata d’aria? Voglio mostrarti qualcosa.»

«Certo.»

Le sorrido felice. – Muoviti, piccola, ti faccio vedere qualcosa che ti piacerà di sicuro. So che sarà una bella sorpresa – e le mollo una pacca sul sedere, per farla muovere.

«Vestiti: i jeans andranno benissimo. Spero che Taylor te ne abbia messi un paio in borsa.» Mi guarda non si muove e io sono impaziente. «Su» la sprono e alzo il tono.

«Stavo solo ammirando il panorama.»

Alzo gli occhi al cielo. Mi rendo conto di aver preso questa sua fastidiosa abitudine.

Mentre ci vestiamo, noto che ci muoviamo con la sincronia di due che si conoscono bene, attenti e acutamente consapevoli l’una dell’altro. Ogni tanto ci scambiamo timidi sorrisi e dolci carezze. E mi rendo conto anche che questa cosa è nuova per lei tanto quanto lo è per me.

«Asciugati i capelli con il phon» le ordino, quando siamo vestiti.

«Prepotente come sempre.» Mi fa un sorrisetto.

Io mi chino a depositarle un ironico bacio sulla testa. «Questo non cambierà mai, piccola. Non voglio che ti ammali.»

Alza gli occhi al cielo. – Certo Miss Steele, provoca pure... – «Mi prudono le mani, sai, Miss Steele?»

«Sono felice di sentirlo, Mr. Grey. Cominciavo a pensare che avessi perso smalto» ribatte.

«Posso facilmente dimostrarti che non è così, se lo desideri.»

Il Signore Distinto, bellamente accomodato nella poltrona della biblioteca, deposita, aperto sul bracciolo, il libro che sta leggendo nell’attesa e si solleva per ascoltare più attentamente le parole di sfida che la signorina Steele ha appena pronunciato. Si frega le mani, si appoggia di nuovo allo schienale della poltrona, riprende in mano la sua lettura, sorride... e attende.

 

 «Dove stiamo andando esattamente?» mi chiede mentre aspettiamo che il parcheggiatore mi consegni l’Audi.

–  Non te lo dico. È una sorpresa –  penso felice. Sono proprio felice. Non vedo l’ora. Anzi glielo dico che sono felice, intanto, una confessione in più o in meno, che vale?

«Hai idea di quanto tu mi faccia sentire felice?»

«Sì… ce l’ho, e ben precisa. Perché tu fai lo stesso con me.»

Questa risposta mi piace proprio. Mi fa felice.

 

«Devo fare una deviazione. Non ci vorrà molto.»

Penso all’auto e penso a lei: lei è il meglio e merita il meglio.

Proprio non voglio che abbia niente in comune con le sottomesse, per cui, prima di uscire ho chiesto ad Andrea l’indirizzo di un altro concessionario.

 – Fortuna che è aperto anche di domenica. Sarà per via della crisi... –

«Certo» mormora lei, perplessa.

«Dobbiamo comprare una macchina nuova per te» le spiego, quando siamo davanti al  concessionario SAAB.

«Non un’Audi?» Sembra stupefatta.

«Pensavo che avresti apprezzato qualcosa di diverso» mormoro a disagio. Sono imbarazzato dal fatto di aver anche solo pensato che lei potesse essere uguale alle altre, una delle tante. Non è mai stato così, ora l’ho capito.

«Una SAAB?»

«Sì. Una 9-3. Vieni.»

«Perché sempre macchine straniere?»

«I tedeschi e gli svedesi fanno le auto più sicure del mondo, Anastasia.»

«Pensavo che mi avessi già ordinato un’altra Audi A3.»

«Posso annullare l’ordine. Vieni.» Esco e mi precipito ad aprirle la portiera. «Ti devo un regalo di laurea»  le dico, tendendole la mano.

«Christian, non c’è nessun obbligo.»

«Sì che c’è. Per favore. Vieni.» – Non disquisire sempre, Ana, per favore! –

Entriamo nello showroom. Troy Turniansky, il venditore, scodinzola intorno a me come un cagnolino.

«Una SAAB, signore? Usata?» Si strofina le mani con gioia.

– Usata?!?!!!! –  «Nuova!»

«Ha in mente un modello, signore?» È pure untuoso.

«Una 9-3 2.0T Sport Sedan.»

«Scelta eccellente, signore.»

«Di che colore, Anastasia?»

«Ehm… nera?» Si stringe nelle spalle. «Davvero, non c’è bisogno che tu lo faccia.»

«Il nero non si vede bene di notte» puntualizzo.

«Tu hai una macchina nera.»

La guardo torvo. – Allora, piccola, mi sarò anche rincoglionito, appresso a te, ma sulla sicurezza proprio non transigo! –

«Giallo canarino, allora.» Si stringe di nuovo nelle spalle.

Faccio una smorfia. –  Mi prende per il culo –  constato. Non voglio ribattere, casomai mi riprendesse la smania di farle vedere che non è proprio la cosa più saggia fare del sarcasmo con me, e poi, sta quasi accettando senza fare questioni...   

«Di che colore vuoi che la scelga?» chiede.

«Argento o bianca» rispondo senza esitare. Visibile di notte e sicuramente meno appariscente. – Non voglio occhi bramosi puntati su di te, piccola. –

«Argento, allora. Sai, prenderò l’Audi» aggiunge distratta.

–  Non ti piace? Non voglio per te l’Audi A3! – penso irritato.

Anche Troy impallidisce, percependo lo sfumarsi della vendita e se ne esce... «Forse le piacerebbe la decappottabile, signora?» le chiede, battendo le mani con entusiasmo.

Noto il luccichio nello sguardo della mia ragazza. – Le piace la decappottabile! Anche il suo catorcio era decappottabile, se ben ricordo. Forse accetta senza fare questioni – penso. «Decappottabile?» chiedo, speranzoso.

Avvampa.

– Sì, decappottabile: accetta, le piace! –  

«Quali sono le statistiche sulla sicurezza della decappottabile?» domando a Turniansky.

Quello mi sciorina tutti i dati statistici, ma sono già convinto: voglio farla felice, darle tutto quello che le piace, voglio regalarle il mondo e ora lei sta incominciando  ad accettarlo. E mi sorride.

–  Sì, ti amo, piccola. Il tuo sorriso è irresistibile. –

«Qualsiasi cosa tu abbia preso, ne vorrei un po’ anch’io, Miss Steele» mormoro mentre Troy si dirige al computer.

«Sono ubriaca di te, Mr. Grey.»

«Davvero? Be’, di certo hai l’aria ebbra.» Le do un bacio veloce. «E grazie per aver accettato la macchina. È stato più facile dell’ultima volta.»

«Be’, non è un’Audi A3.»

Le sgancio un sorriso furbesco. «Quella non è la macchina per te.»

«Mi piaceva.»

– A me, per te, no! –

«Signore, la 9-3? Ne ho una nel nostro concessionario di Beverly Hills. Posso farla arrivare in un paio di giorni.» Turniansky si illumina trionfante.

«Il top della gamma?»

«Sì, signore.»

«Eccellente.» Tiro fuori la carta di credito e la porgo  a Turniansky.

«Se volete venire da questa parte, Mr. …» Troy Turniansky guarda il nome sulla carta «… Grey» dice e sgrana gli occhi.

 

Le apro la portiera, la chiudo dopo che lei si è accomodata e monto in macchina.

«Grazie» mi dice subito.

«Di nulla, Anastasia, davvero» e ora pensiamo a nutrirla...

«Hai fame? Non avevi finito la tua colazione.»  

«Sì.»

–  Ah, meno male! – «Andiamo a pranzo, allora.»

Mi dirigo verso il lungomare. Un’altra giornata bellissima a Seattle. Sono felice che sia bel tempo, così sarà tutto perfetto. Voglio che sia una esperienza unica. Indimenticabile.

– Spero che le piaccia uscire in barca. Voglio che questa diventi un’altra cosa da fare insieme. –

Guido rilassato, mi godo il tragitto e osservo la costa.

Fermo l’R8 nel parcheggio del porticciolo turistico, abbastanza vicino al ristorante.

«Mangeremo qui. Ti apro la portiera» le ordino. Imparerà mai ad aspettare? Mi affretto a scendere per aprirle la portiera.

 

Passeggiamo a braccetto sul lungomare, con il porto che si stende davanti a noi, nel Puget Sound

Il vento si è alzato e lei si stringe addosso la giacca.

«Freddo?» chiedo, ma è solo una scusa per abbracciarla.

«No, stavo solo ammirando la vista.»

«Potrei stare a fissarla tutto il giorno. Vieni, da questa parte.»

La conduco in uno dei miei locali preferiti. Speriamo che ci sia Dante, è un tipo che mi piace.

– Sì, c’è. Eccolo lì, dietro il bancone. – 

«Mr. Grey!» Dante mi saluta con calore. «Che cosa la porta qui oggi?»

«Dante, buongiorno.» Sorrido e faccio accomodare Ana su uno sgabello del bancone. «Quest’adorabile signora è Anastasia Steele.»

«Benvenuta.»  Presento la mia ragazza che sfoggia uno dei suoi sorrisi assassini, per fortuna non sortirà effetto alcuno, con il mio amico barista...

«Che cosa vuole bere, Anastasia?» le domanda Dante.

«Mi chiami Ana, per favore. Prendo qualsiasi cosa beva Christian.»

La guardo sorpreso.

«Io prenderò una birra. Questo è l’unico bar di Seattle dove puoi ordinare una Adnams Explorer.»

«Una birra?»

«Sì. Due Explorer, per favore, Dante.»

Dante annuisce e prepara le birre sul bancone.

«Fanno una zuppa di pesce deliziosa qui» le dico.

«Zuppa di pesce e birra, sembra fantastico.»

«Due zuppe?» chiede Dante.

«Sì, grazie.»

–  Finalmente, Ana! Che cosa ti costa dire di sì, qualche volta, senza discussioni? –  Poi però penso che forse è perché gliel’ho chiesto gentilmente... – Beh, non importa – e mi godo il pranzo.

Durante il pasto, parliamo come non abbiamo mai fatto prima.

Ana è rilassata e felice, vivace, nonostante tutto quello che è accaduto ieri.

Le racconto tutta la storia della GEH, a partire dal progetto che presentai al professor Kaminsky. Quel vecchio borioso ci aveva assegnato il compito di inventare un affare.

Io presentai il mio business plan, partendo dalla descrizione, l’analisi di mercato, strategia di marketing, struttura organizzativa dettagliatissima, coperture... Un affare basato su una nuova tecnologia che alcuni miei ex-compagni sapevo stavano studiando al M.I.T..

Quel borioso, durante la mia presentazione, mi fece fare la figura dell’idiota davanti a tutti i colleghi di corso. Capii che certi insegnanti avevano ben poco da insegnarmi.

Io sapevo che l’affare era buono, ne ero sempre più convinto. Provai a chiedere un prestito alle banche ma, senza una firma di avvallo, nessuno mi avrebbe concesso neppure il denaro per il pranzo. Non potevo andare dai miei, mi avrebbero impedito di lasciare Harvard  e mi avrebbero chiesto di aspettare. Ma io sapevo che quello era il momento giusto perché quella particolare tecnologia non era ancora stata divulgata. Dovevo fare in fretta, avevo studiato tutto l’affare nei minimi dettagli. Chiesi ad Elena di garantire per me, lei fece di più, insistette per anticiparmi l’intera somma.

Racconto tutto quanto ad Ana che mi ascolta rapita.

Le spiego a grandi linee i miei progetti poi le chiedo di lei, dei suoi libri e i suoi film preferiti, dei suoi genitori, della sua vita passata.

È divertente, intelligente, briosa, colta e bellissima.

E mi ama.

Mi sorprendo di quante cose abbiamo in comune.

Sono le due quando finiamo di mangiare. Pago. Dante ci saluta con calore.

«Questo posto è fantastico. Grazie per il pranzo» dice convinta, la prendo per mano e le stringo le dita.

«Ci torneremo» dico.

– Stupito è poco, – dico fra me, – sono meravigliato di tutte le cose che abbiamo in comune, della sintonia che c’è fra noi. –  Non credevo fosse possibile.

«Voglio mostrarti qualcosa» esordisco. E mi auguro che le piaccia ciò che faremo oggi, me lo auguro sinceramente.

«Lo so… e non vedo l’ora, qualsiasi cosa sia» mi dice sorridente e felice.

E’ entusiasta.

E io sono innamorato.

Vaghiamo mano nella mano per il porticciolo. È un pomeriggio piacevolissimo. La gente si gode la domenica in compagnia del proprio cane, ammirando le navi, guardando i bambini che corrono sul lungomare.

Sembrano tutti così sereni, proprio come me, come noi.

La guido  lungo una banchina e mi fermo di fronte alle Grace, il mio super-catamarano ultra-tecnologico. Ne vado fierissimo.

«Ho pensato che potevamo uscire per mare nel pomeriggio. Questa è la mia barca» le annuncio molto soddisfatto.

«Wow…» mormora meravigliata.

«L’ha voluta la mia società» le dico orgoglioso.  «È stata interamente progettata dai migliori architetti navali del mondo e costruita qui a Seattle, nel mio stabilimento. Ha un’unità elettrica ibrida, derive a baionetta asimmetriche, una randa a picco…»

«Okay… mi sono persa, Christian.»

Le sorrido. «È una barca bellissima.»

«Sembra imponente, Mr. Grey» constata ammirata.

«Lo è, Miss Steele.»

«Come si chiama?»

La tiro verso il lato, così che possa vederne il nome: GRACE.

«Si chiama come tua madre?» Sembra sorpresa.

«Sì. Perché, lo trovi strano?»

Si stringe nelle spalle. Stupita.

«Adoro mia madre, Anastasia. Perché non avrei dovuto chiamare la barca come lei?»

Arrossisce. «No, non è questo… è solo che…»

«Anastasia, Grace Trevelyan mi ha salvato la vita. Le devo tutto.»

– Amo mio madre e, da quando tu sei entrata nella mia vita, sento il doloroso rammarico di non averle concesso tutto me stesso, per paura di abbandonarmi totalmente. Amo profondamente tutta la mia famiglia e... amo te. –  Il punto è che non capisco come tutti loro possano amare me, un reietto, un rifiuto nato rifiuto, questo è il punto. – Davvero non me lo spiego, ma ho la sensazione che me lo spiegherai tu, Anastasia. Tu mi dai speranza.–

«Vuoi salire a bordo?» le chiedo con un pizzico d’ansia.

«Sì, certo.» Sorride.

– Voglio dividere anche questa cosa con te. – Sono al settimo cielo.  La conduco sulla passerella.

A bordo si guarda intorno stupita, fa un balzo quando individua Mac dentro la cabina.

«Mac.» Saluto il mio skipper.

«Mr. Grey! Bentornato!» Ci stringiamo la mano.

«Anastasia, questo è Liam McConnell. Liam, la mia fidanzata, Anastasia Steele.»

«Piacere.» Liam stringe la mano anche a  Ana.

«Mi chiami pure Mac» dice lui con calore. «Benvenuta a bordo, Miss Steele.»

«Ana, per favore» mormora, arrossendo. Arrossisce sempre.

«Come si sta comportando, Mac?» chiedo notizie della Grace.

«È pronta a ballare il rock and roll, signore.»

–  Bene! – «Mettiamoci in moto, allora.»

«La porterà fuori?»

«Sì. Un rapido giro turistico, Anastasia?» Scocco a Mac un sorriso malizioso. Ha capito il doppio senso.

«Sì, certo» risponde lei, che non ha capito.

Ana mi segue dentro la cabina. Osserva tutto ammirata.

«Questo è il salone. La cucina di bordo, di fianco» le spiego.

La prendo per mano e la guido alla cabina principale. «Le camere da letto sono su entrambi i lati.»

Apro la porta più piccola che conduce alla cabina più spaziosa e meglio posizionata, la “mia” cabina.

«Questa è la cabina del capitano.» La guardo raggiante, mi rendo conto di avere riposto in questo momento un sacco di aspettative. Già da ieri sera. «Sei la prima donna a entrare qui, a parte quelle della mia famiglia.» Le sorrido malizioso. «Loro non contano.»  

– Ovviamente... –

Arrossisce, è sempre in imbarazzo. Questo risveglia il Dominatore che vive in me.

La timidezza - la soggezione- è il primo tratto che attira un Master verso la sua sottomessa... ma le altre non arrossivano.

Ora capisco che era tutto meccanico, un gioco di ruolo che tutti quanti abbiamo imparato a giocare alla perfezione.

E, io, meglio di tutti.

Un gioco, tutto qui. Un gioco pesante... ma finto.

Lei no, in lei tutto è spontaneo. La sua paura e il suo timore sono veri, come è vera lei, per questo la sua sottomissione è così eccitante. Irresistibile.

Il suo rossore è irresistibile. Il poco, con lei, diventa molto.

– Ana, io farò di te la sottomessa perfetta, perfetta per me. – 

Con lei ho come la sensazione di non aver più bisogno di sfogare la mia rabbia... è diverso... sento sempre lo stesso il bisogno acuto di dar vita alle mie perversioni, ma è diverso...

E non sono obbligato a chiudere tutto dentro la stanza dei giochi, fra le mura anguste di casa mia: posso uscire, con lei. Lei non tradirà il mio segreto perché è anche il suo.

“Io” sono suo... non mi tradirà.

La attiro tra le mie braccia, voglio baciarla, qua dentro, perché lei è mia.

 –  ...Forse ...forse ha ragione Flynn... sono solo un sadico sessuale che soddisfa le sue fantasie il questo modo... No. Cazzate! Io so cosa sono! So che cosa penso, che cosa vedo quando... Conosco la mia rabbia nei loro confronti... Anche se con lei non... non più. Neppure la prima volta, né la prima volta che l’ho sculacciata... a pensarci bene mi è capitato solo una volta... e l’ho perduta! – Ripenso vagamente a tutte le mie perversioni stimolato dalla sua lingua che accarezza la mia, dentro la sua bocca.

– Mi ha visto e l’ho perduta...  Mi ha visto in faccia e lo ha capito. –

In quel preciso momento Anastasia ha capito che non fingo, che non gioco, sono davvero un sadico bastardo ed è fuggita.

Questa è la miglior conferma che Flynn ha torto.

Continuo a baciarla: mi piace invaderla anche in questo modo, dominarla. Mi piace infilarle la mia lingua e sferzarla.

Siamo entrambi senza fiato quando alla fine decido di staccarmi.

«Potremmo battezzare questo letto» le sussurro. – Praticamente siamo qui apposta. Per questo e per fare insieme qualcosa che mi piace – mi dico.

«Ma non adesso. Vieni, dobbiamo liberarci di Mac. Lì dentro c’è l’ufficio, e qui di fronte altre due cabine.»

«Perciò quante persone possono dormire a bordo?»

«Ci sono sette posti letto. Finora ho ospitato solo la mia famiglia. Mi piace navigare da solo. Ma non quando ci sei tu. Ho bisogno di tenerti d’occhio.»

Frugo in una cassapanca e tiro fuori uno dei giubbotti salvagente. «Ecco.» Glielo infilo e con molta soddisfazione stringo le cinghie. Le sorrido appena.

«Ti piace legarmi, vero?» dice.

«In tutti i modi.» – Ti legherò a me in tutti i modi, anche se dovessi acquistare tuuutta la corda del mondo. –

«Sei un pervertito.»

«Lo so.» Alzo un sopracciglio e praticamente sto ridendo.

«Il mio pervertito» sussurra timida.

E io, a quella piccola parola, mi sciolgo. «Sì, tuo» confermo.

La attiro a me, non resisto, e me la bacio. – Sì, tuo! Per... –  «...sempre» dico in un sospiro. «Vieni.» La prendo per mano e la porto fuori, su, al timone.

A prua Mac sta armeggiando con alcune corde.

«È qui che hai imparato tutti i giochetti con le corde?» chiede con un’aria fintamente innocente.

«Il nodo parlato mi è stato utile. Miss Steele, mi sembri curiosa. Mi piaci quando sei curiosa, piccola. Sarei più che felice di mostrarti cosa posso fare con una corda.»  Le faccio uno dei miei sorrisi più perversi ma non sortisce l’effetto sperato: mi guarda contrariata, con le sopracciglia aggrottate.

 – Oh, no! –  penso rattristato. – Cazzo, è ancora troppo presto per parlare di queste cose... – 

«Beccato!» mi dice e ride come una bambina.

–  Come? Scherzi con me? Provochi, Miss Steele? Guarda che proprio non ti conviene. –

«Me la vedrò con te più tardi, ora devo pilotare la barca.» Mi seggo ai comandi sul sedile sopraelevato. Avvio i motori.

Mac corre via lungo il finco della barca, salta giù sulla banchina, dove inizia a slegare una fune.

Contatto via radio la guardia costiera, mentre Mac grida che siamo pronti a partire.

Lentamente usciamo dall’ormeggio e punto verso l’ingresso del porto. Sulla banchina, dietro di noi, si è radunata una piccola folla per assistere alla partenza. I bambini ci salutano con la mano, e Ana risponde.

Mi volto, l’attiro tra le mie gambe e le spiego i vari quadranti e i comandi.

«Afferra il timone» le ordino. – Renditi utile, piccola, in barca a vela tutti hanno il loro compito e nessuno ozia quando si veleggia. –

Obbedisce. «Sì, capitano!» ridacchia.

Metto le mani sulle sue per guidare la manovra fin fuori del porto. Dopo pochi minuti siamo in mare aperto, percossi dalle acque fredde e blu del Puget Sound.

Lontani dal rifugio del porto, il vento è più forte, e il mare sciaborda sotto di noi.

Sono al settimo cielo. Lei è qui con me e sorride. Sembra che le piaccia. E molto.

Facciamo un’ampia curva e puntiamo verso ovest, verso la Penisola Olimpica, il vento in poppa.

«È tempo di navigare. Ecco. Prendi tu la barca. Mantienila su questa rotta.»

Sorrido vedendo il terrore sul suo volto.

«Piccola, è davvero facile. Reggi il timone e tieni gli occhi sull’orizzonte, sopra la prua. Sarai bravissima. Lo sei sempre.» Lo penso davvero. «Quando le vele si alzano, sentirai la resistenza.

Limitati a tenere la barca stabile. Quando ti faccio così…» mimo il gesto di tagliarmi la gola, «escludi i motori. Questo bottone.» Le indico un grosso pulsante nero. «Capito?»

«Sì.» Annuisce affannosamente, in preda al panico.

Le do un bacio veloce, poi mi alzo dal sedile del capitano ed esco sulla parte anteriore della barca, per raggiungere Mac e iniziare a srotolare le vele, disfare le funi e rendere operativi argani e pulegge.

Issiamo la randa  che si riempie e si gonfia mentre il vento l’afferra con avidità. Il catamarano sbanda improvvisamente, sfrecciando poi in avanti. Poi passiamo alla vela anteriore.

«Tieni la barca stabile, piccola, ed escludi i motori!» le grido e faccio il segnale. Obbedisce e fa segno di aver capito. Esegue.

–  Brava, piccola. – Il rombo cessa e la Grace veleggia verso la Penisola Olimpica, sfiorando l’acqua come se volasse.

Anastasia sta salda in piedi, euforica, aggrappata al timone. Mi avvicino. Sono di nuovo dietro di lei, le mani sulle sue.

Devo sapere.

«Che cosa ne pensi?» le grido al di sopra del sibilo del vento e del mare.

«Christian! È fantastico!» urla felice. Le brillano gli occhi.

–  Lo sapevo, lo sapevo! Doveva per forza piacere anche a lei! – e le sorrido felice. «Aspetta che lo spinnaker sia issato.» Con il mento, le indico Mac, che sta spiegando lo spinnaker, una vela di un rosso cupo e intenso, del colore delle pareti della stanza dei giochi.

«Colore interessante» grida.

La guardo, le rivolgo un sorriso sbieco e le strizzo l’occhio. –  Hai capito, eh? Non ti sfugge proprio nulla, Miss Steele. E io ti amo per questo! –

Con tutte le vele spiegate la Grace fila ancora più veloce. Trova la sua velocità di crociera e sfreccia oltre al Sound.

«Vele asimmetriche. Per la velocità» spiego ad Ana che sta osservando il velame spiegato.

«È incredibile» dice ammirata, lievemente inebetita. «A quanto stiamo andando?»

«Quindici nodi.»

«Non ho idea di cosa significhi.»

«Circa trenta chilometri orari.»

«Tutto qui? Mi sembrava più veloce.»

Le sorrido, le stringo la mano sotto la mia, ripiegata sul timone. «Sei adorabile, Anastasia» le dico. «È bello vedere un po’ di colore sulle tue guance… e non perché arrossisci. Sei proprio come nelle foto che ti ha fatto José.»

Sono infinitamente felice di essere la fonte della sua gioia. Si volta e mi bacia.

«Tu sì che sai come far divertire una ragazza, Mr. Grey.»

–  Sì? Non lo sapevo, ma mi fa tanto piacere. – «Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele.» Le bacio la nuca. «Mi piace vederti felice» le mormoro tra i capelli e me la stringo al petto.

– Almeno una cosa buona devo averla fatta pure io per meritarmi l’immensa fortuna di stare al tuo fianco, Anastasia. –

 

Un’ora più tardi siamo ancorati in un’insenatura piccola e appartata, oltre l’isola Bainbridge.  Con una scusa banale Mac scende a terra con il gommone. Si eclissa. Non c’è bisogno di tante spiegazioni.

Non appena Mac accende il motore del fuoribordo, la prendo per mano e me la trascino in cabina.

–  Sono felice e voglio scopare – penso. – Per prima cosa la libero dal giubbotto antiproiettile perché ho tutte le intenzioni di spararle addosso le mie cartucce. Non annegherà, in questo letto. È molto più facile che anneghi io, dentro di lei, perso nei suoi occhioni azzurri. –

Getto via il giubbotto e me la guardo tutta. Voglio vederla nuda. Voglio vedere che si spoglia davanti a me, come questa notte, ingenua e sensuale.

Le accarezzo il viso di seta e faccio scendere la mia mano sulla guancia, lungo la gola, fino al primo bottone della camicetta.

«Voglio vederti» sospiro e le slaccio il primo bottone.

Mi chino e le deposito un minuscolo bacio sulle  labbra schiuse.

Lei trattiene il respiro. Faccio un passo indietro per inquadrarla bene nel mio campo visivo. Non voglio perdere neppure uno sguardo.

«Spogliati per me» sussurro, brucio.

Senza distogliere gli occhi dai miei, lentamente, slaccia ogni bottone, Comincia a conoscere il gioco della seduzione e sbatte le ciglia mentre continua a fissarmi negli occhi e... il suo sguardo scende, solo per un attimo, il tempo necessario a notare l’erezione che minaccia di strapparmi i pantaloni.

Lasca cadere la camicetta, facendola scivolare dalle spalle, lungo le braccia sottili, seguo il movimento della stoffa azzurra fino a che non si affloscia a terra, ai suoi piedi, come un tributo.

– Io ti adoro, bambina. Ti venero, mia regina... – penso, conquistato da lei e dalla sua sensualità in erba. – Che cosa mai riuscirà a farmi quando avrà imparato tutte le regole del gioco della seduzione? –

Allunga la mano sfiorandosi il ventre ed è una sferzata al mio membro che desidera evadere dalla prigione senza sbarre dei miei jeans.

«Fermati» ordino. Voglio sfilarle le scarpe. «Siediti.»

Lei obbedisce. Mi inginocchio davanti alla mia regina e le sfilo scarpe e calze, per arrivare ai suoi piedi, per adorarla come merita.

–  Sono qui ai tuoi piedi, amore. Hai capito o no che mi hai ai tuoi piedi?–

Poi prendo il suo piede sinistro e lo sollevo, le bacio l’alluce per poi mordicchiarlo con i denti. Voglio eccitarla come lei eccita me.  

«Ah!» geme.

–  Bene, proprio bene – penso soddisfatto constatando l’effetto che ho su di lei. Devastante come il suo su di me.

Mi alzo e la faccio alzare.

«Continua» la esorto e faccio un passo indietro per guardarla bene.

Abbassa la cerniera dei jeans, infila i pollici nella cintura, ancheggia per far scivolare i calzoni lungo i fianchi. E io potrei morire vedendo il suo piedino uscire, punta tesa, dalla stoffa dei jeans, prima uno, poi l’altro.

Mi sorride appena, senza staccare il suo sguardo dal mio e incrocia  le braccia dietro la schiena per sganciarsi il reggiseno. Con un movimento fluido delle spalle fa scivolare giù le spalline mettendo in mostra quelle due meraviglie che ondeggiano appena al ritmo delle onde che sbattono contro lo scafo. I miei occhi sono irresistibilmente attratti dalle corone rosee dei suoi capezzoli che timidamente si stanno inturgidendo sotto  il mio sguardo bramoso.

Oh, vorrei evitare di mostrarle queste mie reazioni ai suoi stimoli, ma ci sono, sono naturali e non me ne curo: che veda pure il desiderio brillare nei miei occhi e indurirmi il cazzo, intanto fra due minuti glielo sbatto dentro!

–  Ecco il colpo di grazia! – Infila i pollici dentro le fettucce del perizoma, lentamente se lo sfila e si volta di tre quarti per offrirmi uno scorcio del suo fantastico sedere. – Miss Steele, io me lo prendo. Non provocare altrimenti me lo divoro seduta stante, anche senza “adeguata preparazione”. Se non fossi tu, l’avrei già fatto... –  mi sorprendo a riflettere.

Poi la guardo, nuda, senza vergogna, in piedi, di fronte a me, con la sfacciataggine di donna, magnifica e magnetica,  sbocciata come una rosa dalla timida gemma che ho raccolto solo pochi giorni fa. Sono stato io. Io ho fatto di lei questa dea mora che mi sta incantando e attraendo come miele.

Io...

Tutto il mio corpo vibra di desiderio e compiacimento.

Non vedo più spalle ricurve, le mani unite in grembo a nascondere pube e anima, i suoi occhi timidi e abbassati piantati sulle punte dei piedi nudi, non vedo quella timidezza da sottomessa che ha sconvolto le viscere del Padrone.

Mi ha fatto contorcere le budella, fin dalla prima volta, perché era qualcosa che non avevo mai visto, che mai avevo toccato; non era una sottomissione costruita o anelata, no, era la vera e tangibile soggezione che la schiava conserva nei confronti del Padrone, anche dopo secoli di sottomissione.

Ora so che tu sei la mia schiava, in questo istante ne ho la certezza.

Ti ho acquistato e ti posseggo, solo che la moneta che ho usato non circola liberamente come valuta di scambio ma è un baratto di cui solo noi conosciamo il codice.

È amore.

È irresistibile.

Ora la voglio così, donna e spavalda, sexy e aggressiva.

Mi fa esplodere.

Ma la voglio anche all’altro modo e so che sarà mia anche come schiava, lo so quanto è vero che sono un Dominatore.

E mi va bene così.

Anzi, no: io voglio che sia così!

Mi sfilo il maglioncino di cotone, poi la T-shirt. Mi tolgo veloce scarpe e calze, sempre in piedi, davanti a lei. Non smetto di guardarla un solo istante... – ...la mia dea! –

«Lascia fare a me» sussurra spavalda quando arrivo alla cintura.

 – Ohoo, Miss Steele... –  «...accomodati.»

Mi afferra per la cinta e mi attira a sé, ma non è una cavernicola, no, è una maliarda nuda che mi adesca e mi avvince con le sue arti e il profumo del suo corpo tentatore.

Una sirena.

Io non resisterò al suo canto.

Allenta la cintura, slaccia il  bottone, ma prima di abbassare la cerniera lascia vagare le dita, accarezzandomi l’erezione attraverso il tessuto.

E io spingo contro la sua mano per farle sentire che cosa scatena, per darle un assaggino di quello che le farò sentire dappertutto, appena mi avrà liberato.

«Stai diventando così sfrontata, Ana, così coraggiosa» sussurro e le prendo il viso tra le mani, quel visino stupendo, mi chino, e la bacio...

Sento le sua mani posarsi sui miei  fianchi: anelo il suo tocco. Mi godo i suoi pollici che disegnano delicati cerchi sulla pelle dei miei fianchi.

«Lo sei anche tu» mormora lei, contro la mia bocca.

Sorrido, so che si riferisce a questa nuova cosa..., a noi due, ma adesso non voglio pensare, voglio scopare. «Arriviamo al punto» la esorto e desidero vedere tutta quanta la sua audacia.

Sposta le mani sul davanti dei miei jeans, tira giù la cerniera. Le sue dita intrepide s’insinuano tra i peli del mio pube e tirano appena  provocando scariche elettriche che mi frizzano in testa.

Poi tocca il mio membro che è già duro come la pietra, esattamente da quando le ho slacciato il giubbotto.

Stringe, forte.

Un gemito mi esce dalla gola.

Godo, voglio godere.

– Masturbami, piccola, così... ancora –  e la bacio. Lei continua il suo massaggio e io l’attiro a me, la tengo ferma con una mano sulla schiena e l’altra a trattenerle i capelli. – Continua, amore, continua... sì, così... –

«Oh, ti voglio così tanto, piccola» sospiro,  mi stacco e mi tolgo boxer e calzoni in sol gesto.

Lei mi guarda ammirata, sono così felice di piacerle. Poi si rabbuia.

Che cosa darei per sapere cosa la turba! «Che cosa c’è, Ana?» le domando, preoccupato. Io sono felice, non voglio ombre sul suo bel viso e lo accarezzo le nocche.

«Niente. Fa’ l’amore con me, adesso» mi prega. Ma l’ombra scura non ha abbandonato il suo sguardo.

– Sempre, piccola. Sempre. –  L’attiro tra le braccia, la bacio, immergo le mani tra i suoi capelli di seta. Le nostre lingue si intrecciano. – Io ho sempre fatto l’amore con te, sempre... perché ti amo. Ti amavo già... – penso vagamente mentre il suo sapore m’invade e mi provoca vampate di desiderio.

La voglio così, voglio fare l’amore, come sta notte, come stamattina.

La faccio distendere sul letto, mi sdraio accanto a lei, faccio scorrere il naso lungo il profilo del suo mento, per sentire il suo profumo di vaniglia e viola... profumo di angelo.

«Hai idea di quanto sia squisito il tuo profumo? È irresistibile.»

Posso sentire il battito del suo cuore accelerare alle mia parole perché ho le labbra posate sulla vena pulsante del suo collo.

«Sei così bella» mormoro, vinto, con la bocca affondata tra i suoi seni. Prendo tra le labbra un capezzolo e succhio, piano. Lei geme e io fremo, lei s’inarca e gorgoglia. So che è in mio potere.

«Fatti sentire, piccola.»

Resto un po’ così, ad accarezzarla, toccarla, sfiorarla, mentre le mie labbra sono inevitabilmente posate sul suo seno perché non sono ancora sazio. Mai sazio. Solo che ora voglio sentirla...

Le afferro il ginocchio, le tiro su la gamba e le faccio sentire l’erezione in mezzo alle gambe. Sussulta e io sorrido, con la faccia affondata nella sua pelle. Poi rotolo sotto di lei, tanto da posizionarla cavalcioni su di me. Le passo la bustina del preservativo. Ana si sposta indietro, per prenderlo in mano, per mettermi il preservativo. Esita un istante, si china e me lo prende in bocca.

– Ah, sì, amore, prendi pure tu l’iniziativa –  mi dico, estasiato dalla sua spavalderia. Gemo, m’inarco.

Assaporo il contatto della sua lingua che mi ruota intorno. Mi godo la sua bocca che mi avvolge e assecondo il ritmo spingendomi più su che posso. Posso sentire la sua voglia, mi eccito come mai, e lo spingo più su, fino in gola.  Aspetto il conato invece non arriva, si ritira solo un po’ per potermelo succhiare.

–  Cazzo, Ana, è un’arte innata, la tua! –

Indugia ancora un po’ con questa danza celestiale intorno al totem, posso sentire la sua voglia e infatti smette, si solleva, mi guarda con quegli occhioni di cielo. Non so proprio che faccia posso avere in questo momento, di sicuro sto ansimando a bocca aperta e ho gli occhi fuori dalle orbite.

Vorrei che continuasse ma ha voglia anche lei, lo sento.   

Infatti, in fretta, strappa la bustina e srotola il preservativo sulla

mia erezione. Allungo una mano, prendo la sua, ricambia la stretta mentre con l’altra si aiuta a posizionarne il mio membro sulla sua fessura. Poi, lentamente, si cala  e mi accoglie.

Gemo. Gorgoglio.  È puro piacere. Totale possesso.

Sono dentro di lei: il mio posto nel mondo.

Come ho potuto pensare di poterne fare a meno?

Sono suo, le appartengo. Lo so da tanto, ma ammetterlo... è tutta un’altra cosa...

Le afferro i fianchi per muoverla su di me e sincronizzare il ritmo.

Sollevo i fianchi per riempirla. È ancora così stretta e mi dà piacere solo stringendomi nelle sue spire. Sono annientato. Sudo, godo.

«Oh, piccola» sussurro, e mi tiro  su, in modo che siamo uno di fronte all’altra, per vederla bene, per stringerla a me.

Sussulta e si tiene ai miei bicipiti per non perdere l’equilibrio, attenta a non toccarmi nelle zone off-limits.

Le prendo la testa tra le mani e la guardo negli occhi, mentre la scopo, mentre le sono dentro.

Lo vedo, lo vedo bene, nei suoi occhi: vedo amore, desiderio e rispetto.

Rispetto dei miei limiti, rispetto di limiti assurdi che ho imposto a tutti.

Ho imposto i miei limiti e ho preteso di mettere per iscritto i limiti altrui.

Solo che lei non vuole limiti, però rispetta i miei.

Questa bellissima giovane donna innamorata mi ha concesso ogni cosa, anche il suo dolore, solo per amore... e io stavo buttando tutto nel cesso, come con Grace, con mia madre e mio padre... anche loro devono amarmi, se non hanno mollato, se non mi hanno mollato e non mi hanno sbattuto di nuovo nel tugurio fetido da dove sono venuto... dove merito di stare...

– Ma io me ne fotto! Voi volete darmelo? Bene, io me lo prendo anche se sono solo feccia fetente... Sono un bastardo e me lo prendo... mi prendo questa cosa meravigliosa che mi sta facendo vibrare il cazzo e l’anima...–  

«Oh, Ana, cosa mi fai provare» mormoro, farfuglio, la bacio, ho le vertigini per tutte queste sensazioni così nuove e potenti.

– Scopo da una vita e non ho mai provato questo... voglio far l’amore, voglio annegare in un oceano di vaniglia e viole... ti amo... ti amo... –  mi ripeto, perso nel suo bacio.

«Ti amo» mormora, in risposta ai  miei pensieri. È un’altra sferzata al cazzo: gemo. E cambio posizione per non venire, per continuare ancora, e ancora, e ancora... e non smettere mai.

La faccio rotolare sotto di me.  Lei mi avvolge le gambe intorno ai fianchi, per non perdere il nostro prezioso contatto.

La guardo, la adoro. Ricomincio a muovermi, piano. Voglio il piacere: non voglio venire.

Il leggero beccheggio del catamarano e la pace e la tranquillità della cabina sono rotti solo dai nostri respiri.

Mi spingo dentro e fuori, controllo il ritmo per godermi ogni momento, per guardarla, accarezzarla, baciarla, proteggerla... amarla...

E lei mi accarezza: sono suo, può farlo. Il suo respiro diventa più affannoso, sta crescendo.

Anche io accelero, ora voglio godere.

Conosco il suo corpo meglio del mio, sta per venire. E io con lei.

– Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele. –

«Va tutto bene, piccola… lasciati andare per me… per favore… Ana...» –...  vieni subito, insieme a me –  la imploro.

Ho bisogno del suo orgasmo per avere la conferma che è mia.

E lei obbedisce. «Christian» grida, e io gemo, sento il suo nome sulle sue labbra e vengo, inevitabilmente, insieme a lei.


CAPITOLO 12


 «Mac sarà presto di ritorno» mormoro ad Ana, sdraiata accanto a me.

«Mmh…»

Apre gli occhi sbattendo le palpebre e incontro il suo sguardo dolce, i suoi occhi sono di un colore incredibile, un celeste limpido, specialmente qui, sul mare: riflettono la luce che brilla sull’acqua attraverso gli oblò della cabina.

«Mi piacerebbe davvero molto restare qui sdraiato con te per tutto il pomeriggio, ma Mac avrà bisogno di una mano con il gommone.» Mi protendo e la bacio. «Ana, in questo momento sei bellissima, tutta in disordine e sexy. Mi fai desiderare di prenderti ancora.» Sorrido e mi alzo dal letto. – Meglio che mi alzi perché i miei pensieri stanno prendendo una direzione fin troppo familiare. –

 Lei rimane immobile e mi guarda.

«Non sei tanto male, capitano.» Mi manda un bacio. E io lo prendo, mentre mi vesto.

Mi siedo sul letto, accanto a lei, per legarmi le scarpe. «Capitano, eh? Be’, ma io sono il signore del vascello.»

«Sei il signore del mio cuore, Mr. Grey» mi dice convinta.

Vorrei esserne altrettanto convinto. –  Qui e ora, lo so con certezza, ma per quanto tempo? E quando saprà? Scapperà: è già fuggita. – Scuoto la testa incredulo e la bacio. «Sarò sul ponte. C’è una doccia nel bagno, se vuoi. Hai bisogno di qualcosa? Un drink?» Lei tace e sorride.

«Cosa c’è?»

«Tu.»

«In che senso?»

«Chi sei e cos’hai fatto a Christian?»

Le mie labbra si piegano in un sorriso triste.

«Non è molto lontano, piccola» dico tristemente. Vorrei tanto cancellare le macchie oscure della mia anima, ma... è ancora lì, il mio lato più nero, è ancora lì. «Lo vedrai fin troppo presto.» Le faccio un sorrisetto e, attratto dal suo culo che mi ha di nuovo posizionato davanti, le mollo una sculacciata  bella forte. «Specialmente se non ti alzi» dico, accompagnando la manata.

Guaisce e ride al tempo stesso. «Mi hai fatto spaventare.»

«Davvero?» dico, intimidito, intimidito sul serio. – Io non voglio spaventarti più... – Aggrotto la fronte. «Devi darmi qualche segnale, Anastasia. Come può fare altrimenti un uomo?»

Le do un altro bacio, faccio la scorta.

«A più tardi, piccola» aggiungo e esco.

 

Mac è già di ritorno, suppongo che abbia fatto qualche giro in tondo.

Issiamo a bordo il tender e ci occupiamo di alcune incombenze di routine, libro di bordo, certificati di revisione...

Mi squilla il BlakBerry. Taylor.

«Dimmi tutto» rispondo.

Ana ricompare nel salone e Mac si eclissa. La raggiungo per prenderla tra le braccia intanto che Jason mi ragguaglia.

«In casa non c’è traccia della signora, abbiamo battuto tutto a tappeto. La casa è sicura» mi informa.

«Grande notizia.»

«Abbiamo controllato ogni anfratto.»

«Bene.»

«Sicuramente la signora Leila aveva la chiave delle portefinestre. È da li che è uscita.»

«Sì… davvero?»

«Sì, signore. Ieri notte si nascondeva fuori, al piano sottostante. Aveva tutte le chiavi, anche quelle che bloccano dall’esterno l’accesso alla scala antincendio.»

«La scala antincendio?»

«Confermo. Abbiamo trovato tracce del suo passaggio. Per scrupolo ho fatto sostituire la serratura ad ogni porta di accesso.»

«Capisco» dico.

«Ho incaricato Barney di cambiare nuovamente  i codici. Dovrebbe averle inviato i nuovi alla sua casella di posta criptata. Ora l’appartamento è sicuro, mi sono permesso di fare il check-out in albergo, signore, subito dopo il controllo di routine alla Grace.»

«Capisco» dico solo e chiudo la comunicazione.

Mac accende i motori e Ana sobbalza spaventata.

«È tempo di tornare» dico e la bacio ancora una volta mentre le allaccio il giubbotto salvagente.

È inutile, adoro legarla, mi piacerebbe che non fosse così, mi piacerebbe che l’impulso fosse passato, invece c’è e in questo momento è vividissimo.

Mi piacerebbe un mondo legarla alla croce, nella stanza dei giochi, con la faccia rivolta al muro e arrossarle per bene quel culo stupendo col flagellatore. Senza farle male, però... beh, insomma... troppo male...

– Un po’, solo un po’, per rendere il gioco seducente – mi dico e sono eccitato. Fortuna che devo pensare a riportare in porto la Grace, così mi distraggo.

Ana sta imparato ad andare in barca a vela. Le ho insegnato a stivare la randa, la vela anteriore e lo spinnaker. Le ho persino insegnato a fare qualche altro nodo...

È il tramonto quando attracchiamo. Una folla curiosa si è radunata a osservare la manovra. Mac balza sul pontile e ormeggia a una bitta.

«Eccoci di ritorno» annuncio scortando Ana giù dalla banchina. «Grazie» mormora. «È stato un pomeriggio perfetto.»

«Lo penso anch’io. Forse potrei iscriverti a un corso di vela, per uscire da soli.»  Sarebbe bellissimo, noi due da soli.

«Mi piacerebbe. Così potremmo battezzare il letto altre volte.»

– Sta diventando insaziabile e perversa: siamo sulla buona strada – penso e mi chino per baciarla dietro l’orecchio. «Mmh… non vedo l’ora, Anastasia» le soffio nell’orecchio il mio compiacimento. «Vieni, l’appartamento è a posto. Possiamo tornare.»

«E le cose che abbiamo in albergo?»

«È già andato a prenderle Taylor.»

Spalanca gli occhi, incredula.

«Stamattina, dopo aver perlustrato la Grace con la sua squadra» spiego, rispondendo al suo sguardo.

«Quel poveretto non dorme mai?»

«Ma certo che dorme. Sta solo facendo il suo lavoro, Anastasia, e lo fa molto bene. Jason è una vera scoperta.»

«Jason?»

«Jason Taylor.»

Sorride con quella sua aria deliziosa.

«Gli sei affezionata» affermo e la scruto per leggere qualche segno di interesse nei confronti di un elemento del mio staff.

«Suppongo di sì.» La sua affermazione mi spiazza. «Non sono attratta da lui, se è per questo che ti stai accigliando. Smettila» mi dice.

– Si deve essere accorta che mi sono irritato... Eh no, cazzo, sono incazzato, non irritato! Ma quanto sono geloso? Cazzo, sono geloso anche di Taylor! – 

«Penso che Taylor si prenda cura di te molto bene. Per questo mi piace. Mi sembra affidabile e leale. Esercita il fascino di uno zio su di me.»

Metabolizzo.

«Di uno zio?» Quasi grugnisco.

«Sì.»

«Okay, di uno zio.»

Io soppeso, mentre metabolizzo. Lei ride. – Ride! –

«Oh, Christian, cresci, per l’amor del cielo.»

– Cresci?!?? A me! –  Rimango a bocca aperta. Metabolizzo.

«Sto cercando di farlo» grugnisco.

«Questo è vero» replica dolcemente, alzando gli occhi al cielo.

«Che ricordi mi evochi quando alzi gli occhi al cielo, Anastasia.» Sorrido, ma dentro cuocio. Sbavo. Il Raffinato Signore fa fare un giretto per le banchine del porto al mastino inferocito che sbava irritato dalla museruola.

Mi guarda maliziosa e se ne esce: «Be’, se ti comporti bene, forse potremmo far rivivere qualcuno di quei ricordi.»

«Comportarmi bene?» Alzo un sopracciglio, non voglio lasciarmi andare alla rabbia che sobbolle in fondo allo stomaco. Non voglio e non posso. «Dimmi, Miss Steele, che cosa ti fa pensare che voglia farli rivivere?»

«Probabilmente è il modo in cui i tuoi occhi si illuminano come se fosse Natale, quando lo dici.»

–  Mi conosci troppo bene, Miss Steele, troppo bene. – «Mi conosci già così bene» ammetto.

«Vorrei conoscerti meglio.» – Meglio di te, non mi conosce nessuno, piccola, neppure Flynn. C’è una sola cosa che non voglio farti conoscere, per nulla al mondo! – e cambio registro. Le sorrido, arrendevole. «E io vorrei conoscere meglio te, Anastasia.» – Io devo conoscerti tutta, Anastasia, nel più breve tempo possibile. –

«Grazie, Mac.» Mi congedo da McConnell e scendiamo sul molo.

«È sempre un piacere, Mr Grey. Arrivederci. Ana, piacere di averla conosciuta» dice Mac.

Lei gli stringe la mano «Buona giornata, Mac, e grazie» risponde. Lui le sorride e le strizza l’occhio con fare cospiratore. E Ana arrossisce.

Probabilmente è stupito anche lui di vedermi con una ragazza.

– Meglio non indagare – penso.

La prendo per mano e camminiamo fino alla passeggiata del porto.

«Da dove viene Mac?» chiede, incuriosita.

«Irlanda… Irlanda del Nord» specifico.

«È un tuo amico?»

«Mac? Lavora per me. Ha aiutato a costruire la Grace.»

«Hai molti amici?»

«Non molti. Facendo ciò che faccio… non coltivo le amicizie. C’è solo…» Stavo per dire Elena, ma mi fermo. «Hai appetito?» cambio discorso. Annuisce. Bene. «Mangeremo dove abbiamo lasciato la macchina. Vieni.»

La porto in un localino italiano. Ci sediamo in un séparé, ci portano da bere e i menù.

La osservo, china a studiare la lista e penso che sto proprio bene. Riesce a farmi incazzare come niente e nessuno prima, ma ha il potere di farmi sentire come mai mi sono sentito in vita mia... felice. È bellissima e io sono felice. Sono in Paradiso. Solleva quegli occhioni di zaffiro dalla lista, mi guarda perplessa e chiede: «Cosa c’è?»

«Sei molto carina, Anastasia. L’aria aperta ti dona.» Dovrei portarti fuori più spesso, così vedono tutti che sei mia.

Arrossisce. Ovvio. Io le faccio un complimento e lei arrossisce.

E io la amo.

«Il vento mi frastorna, a dirti la verità. Ma ho passato un bellissimo pomeriggio. Un pomeriggio perfetto. Grazie.»

– Grazie? Grazie a te, amore! –

«È stato un piacere» mi esce un soffio, non parole.

«Posso chiederti una cosa?»

Trattengo un sospiro rassegnato.

«Qualsiasi cosa, Anastasia. Lo sai.» La osservo per scoprire quale piega prenderà il suo interrogatorio questa volta.

«Non mi pare che tu abbia tanti amici. Perché?»

Scrollo le spalle e mi rabbuio. «Te l’ho detto, non ne ho il tempo. Ho dei soci d’affari, anche se è un rapporto molto diverso dall’amicizia, suppongo. Ho la mia famiglia, tutto qui. A parte Elena.»

Ignora l’accenno ad Elena, meno male.

«Nessun amico maschio della tua età con cui puoi uscire a scaricarti?» 

«Sai come mi piace scaricarmi, Anastasia» le ribadisco, per l’ennesima volta. «E poi lavoro, consolido la mia attività. È tutto quello che faccio. A parte navigare e volare ogni tanto.»

«Nemmeno al college?»

«No.»

«Solo Elena, allora?»

Annuisco, la scruto diffidente. Vorrei evitare di guastarci l’umore.

«Dev’essere una vita solitaria» se ne esce.

Le mie labbra si piegano in un mesto sorriso. – Solitaria? La mia vita? –  Fino alla settimana scorsa ti avrei detto di no. Dopo sabato scorso, quando tutto è stato inghiottito da una voragine nera, la mia vita mi è apparsa come un deserto senza neppure un cactus sperduto che mi facesse ombra.

«Che cosa vuoi mangiare?» chiedo e mi rendo conto che è il argomento preferito per cambiare discorso.

«Prenderò il risotto.»

«Ottima scelta.»

Chiamo il cameriere, faccio le ordinazione, tiro su lo sguardo e noto che è di nuovo in apprensione.

– Come è possibile che questa persona influisca sul mio umore con un solo sguardo? Se è felice, sono felice. Se è triste, io soffro. Se è pensosa e preoccupata io mi terrorizzo. La mia mente galoppa e mi incazzo. Immediatamente.  –

«Anastasia, cosa c’è che non va? Dimmelo.» Mi guarda. «Dimmelo!»

Fa un respiro profondo. «Temo solo che questo non sia abbastanza per te. Sai, per scaricarti.»

«Ti ho dato motivo di pensare che non sia abbastanza?» le abbaio.

«No.»

«Allora perché lo pensi?»

«So come sei fatto. Quali sono… mmh… i tuoi bisogni» balbetta.

Chiudo gli occhi per non mostrarle la mia esasperazione. «Che cosa devo fare?» –  Che cosa cazzo devo fare di più! – Cerco di mantenere un tono di voce volutamente calmo ma sto fremendo.

«No, mi hai fraintesa… Tu sei fantastico, e so che sono solo pochi giorni che ci frequentiamo, ma spero che la mia presenza non ti stia forzando a essere qualcuno che non sei.»

– Ah! –  mi dico. – Bene, siamo tornati su un terreno favorevole. –

«Sono ancora me stesso, Anastasia, in tutte le mie cinquanta sfumature. Sì, devo lottare contro la mia tendenza ad avere il controllo su tutto… ma è la mia natura, il modo in cui ho affrontato la vita. Sì, mi aspetto che ti comporti in un certo modo, e quando non lo fai è stimolante e originale allo stesso tempo. Facciamo ancora quello che mi piace fare...» – A ben pensarci ho fatto più sesso con te negli ultimi due giorni che negli ultimi tre mesi pima di incontrarti, anzi, non ho mai scopato così tanto in vita mia, nemmeno ai tempi di Elena quando ce l’avevo sempre duro – mi dico e poi... «...hai lasciato che ti sculacciassi dopo la tua bizzarra idea di fare un’offerta per l’asta, ieri.» Sorrido e mi raddolcisco al ricordo. «Mi è piaciuto punirti.» – Mi è piaciuto un casino punirti, non riesco a ricordare molte cose che mi siano piaciute di più, per cui... – «...non credo che lo stimolo mi passerà mai…» Probabilmente neppure voglio che mi passi, non completamente, almeno... «...ma ci sto provando, e non è così dura come pensavo» le dico con altezzosità e un pizzico di rassegnazione nello sguardo, che miscelo ad hoc per farla sentire in colpa. Se la conosco come la conosco ora sta pensando al modo di compiacermi. Infatti si contorce sulla sedia.

–  Infatti... –

«Non m’importa» sussurra, quasi balbetta. Sorride. 

– Amore mio, non è dura per un cazzo! E finché mi permetterai di prendermi certe libertà come ieri sera sarà tutto perfetto. Io lo so che lo vuoi anche tu. Farò in modo che ti piaccia, molto piacere e un po’ di dolore: mica voglio mandarti all’ospedale, non voglio picchiarti, non voglio farti male per niente al mondo! – «Lo so. Nemmeno a me.» Mi si muovono le labbra in un sorriso, quando le rispondo. Invece a me importa molto, m’importa tantissimo che lei mi voglia dare quello che mi piace e farò in modo che piaccia anche a lei. «Ma lascia che ti dica una cosa, Anastasia, tutto questo è nuovo per me e questi pochi giorni sono stati i migliori della mia vita. Non voglio cambiare niente.» – Mi piacerebbe aggiungere qualcosa... ma sono dettagli. –

«Sono stati i migliori anche della mia, senza eccezioni» mi dice in un soffio.  «E così, non mi vuoi portare nella tua stanza dei giochi?»  se ne esce.

Nonostante io sia Mr. Controllo, e lo sono davvero, impallidisco e deglutisco.  Tutto il sangue che mi scorre nelle vene mi è affluito agli occhi in un secondo. Sono in erezione. Al tempo stesso sento una strana paura. La paura folle di me e di lei nella stanza dei giochi... lei che fugge via sconvolta. Ma sono in erezione. E mi trattengo a stento dall’impulso di saltarle addosso e divorarla.  Qui, sul tavolo, altro che stanza rossa. «No, non voglio» le confermo. – Io non ti porterò nella stanza dei giochi... –

«Perché no?» sussurra. È delusa.

– Perché sarai “TU” a portaci me, piccola! –

«L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai lasciato» dico pacatamente. «Rifuggo da ogni cosa che potrebbe farti pensare di lasciarmi di nuovo.» Sono sincero. – Per cui dovrai essere tu a dettare tempi e modi, ma è così grande il tuo desiderio di compiacermi che so che ogni istante d’attesa sarà ampiamente ripagato. – In questo momento so che potrei fare di lei ciò che voglio, perché davvero lei mi appartiene. E lo farò. «Ero devastato, quando l’hai fatto» ammetto, ma è una cosa che sa già. «Te l’ho detto. Non voglio sentirmi così mai più. Ti ho spiegato quello che sento per te.»

– Ti amo. – Non so ancora bene cosa significhi, non so quantificare ed è del tutto nuovo ma la amo. – Ti amo e voglio scopare in tutti i modi, con te. Riesci a farmi friggere il cazzo anche stando seduta a leggere il menù, per cui, tutto quello che riesco a fare con te,  va bene. –

«Ma non mi sembra giusto. Non può essere molto rilassante per te doverti costantemente preoccupare di come mi sento. Hai fatto tutti questi cambiamenti per me, e io… io vorrei poter contraccambiare in qualche modo. Non lo so… forse… cercando… facendo qualche gioco…» balbetta. È di un bel colore rosso fuoco, normalmente mi verrebbe da ridere. – Qualche gioco? –  Immediatamente evoco l’immagine di lei legata alla panca e io che la sferzo con una verga. Non mi va di sentirla urlare, perché so che non vuole, non le piace... e non piace neppure a me.  – Cazzo, io non voglio farti male, ma non per te, per me! “Io” sto male se tu stai male... è come se punissi me stesso... e io non voglio stare male... perché dovrei stare male quando posso godere? – «Ana, contraccambi già più di quanto pensi. Per favore, per favore, non sentirti così.» –  Troveremo il modo, troveremo un modo che piaccia ad entrambi ma poco per volta... «...Piccola, è stato solo un weekend» continuo. Solo un brevissimo, meraviglioso, infinito weekend, ma non basta a cementare quello che c’è tra noi. Potresti ancora cambiare idea, perché rischiare? «Diamoci del tempo. Ho pensato molto a noi la settimana scorsa, dopo che te ne sei andata.» Non ho fatto altro, in verità. Anzi, ho pensato solo a te. Morirei se mi lasciassi. Mi consumerei in una landa di silenzio... non posso più stare senza di te. «Abbiamo bisogno di tempo. Hai bisogno di fidarti di me, e io di te...» ho bisogno di fidarmi del fatto che non mi lascerai. «Forse, un giorno, potremo assecondarci, ma adesso a me piaci così come sei. Mi piace vederti felice, rilassata e spensierata, e sono  contento di sapere che in qualche modo sono io a farti sentire così. Non ho mai…»...avuto quello che ho con lei. Non posso permettermi di perdere l’unica cosa che possa farmi felice. Mi passo una mano tra i capelli. «Dobbiamo imparare a camminare prima di poter correre» dico e vedo davanti ai miei occhi Flynn che mi ripete le stesse parole. Mi vien da ridere.

«Cosa c’è di tanto divertente?» chiede.

«Flynn. Lo dice sempre. Non ho mai pensato che l’avrei citato.»

«Un flynnismo, dunque.»

Rido. «Esatto.» E la nostra cena prosegue spensierata e allegra come la giornata appena trascorsa.

 

Quando parcheggiamo nel garage vedo Sawyer di pattuglia nel parcheggio e tiro un sospiro di sollievo. Nessuno ci ha seguiti. L’Audi profanata non c’è più. Sawyer apre la portiera di Ana.

«Salve, Sawyer» lo saluta.

«Miss Steele.» Fa un cenno con la testa. «Mr. Grey.»

«Nessun segno?» chiedo.

«No, signore.»

Annuisco. – Mi piace Sawyer, più che gli altri due che insieme si chiamano come quell’attore che se la tira da belloccio perché ha sposato quell’attrice, come si chiama? Ah sì, Scarlett Johansson. Ecco, bravo, pensa alle cazzate perché se pensi a Leila che ha girato in casa tua come un ratto nascosta nei pertugi, ti guasti l’umore e te la prendi con lei –  penso mentre la guido verso ascensore e le stringo forte le dita fra le  mie.  – È proprio meglio che cerchi un’altra casa, solo per noi due – rifletto.

Sono di nuovo  agitato, infuriato, infatti, non appena siamo dentro la cabina, mi volto verso di lei e le abbaio: «Non ti è permesso uscire di qui da sola. Mi hai capito?» –Cazzo, mi è già cambiato l’umore! –

«Okay» risponde pronta e corrucciata, ma poi mi ridacchia in faccia.

«Cosa c’è di tanto divertente?» borbotta, ma mi fa piacere che almeno lei sia serena.

«Tu.»

«Io, Miss Steele? Perché sono divertente?» dico con disappunto.

«Non fare il broncio.»

– Ho fatto il broncio? –

«Perché?» Chiedo divertito.

«Perché mi fa lo stesso effetto che fa su di te quando faccio così» e si morde il labbro apposta.

La guardo sorpreso e compiaciuto allo stesso tempo. «Davvero?» Allora lo faccio ancora, lo faccio apposta e poi la bacio. È già un po’ che non le do un bacio. Lei solleva il viso, le nostre labbra si sfiorano  e scoppia l’incendio. Una bomba di fuoco, non so neppure come, mi trovo a schiacciarla contro la parete con il peso del mio corpo, voglio farglielo sentire, quello che scatena. Le prendo il viso tra le mani e lei mi attira a sé afferrandomi per i capelli. Le invado la bocca con la lingua, per possederla. Prima o poi la scopo in ascensore. Poi le porte si aprono.

«Wow…» mormoro senza fiato.

«Wow…» fa anche lei, immettendo aria nei polmoni.

La guardo incredulo: «Che cosa mi stai facendo, Ana.» Seguo con il pollice la curva del suo labbro inferiore.

Con la coda dell’occhio vedo Taylor fare qualche passo indietro, così da uscire dal mio campo visivo. Lei si solleva sulle punte e mi stampa un bacio a lato della bocca. Sento un brivido percorrermi tutto.

«Potrei farti la stessa domanda» mi dice lei.

«Vieni» le ordino e la trascino in casa..

Taylor è ancora nell’atrio, e ci aspetta con discrezione.

«Buonasera, Taylor» lo saluto.

«Mr Grey, Miss Steele.»

«Ero Mrs Taylor ieri.» Sorride e Taylor arrossisce.

– Jason arrossisce?!??!! Ma che cazzo...–

«Suona bene, Miss Steele» commenta Taylor.

– Eh?!?? _

«L’ho pensato anch’io.»

– Oh, la piantate?!?? Che cazzo, Ana, flirti con il personale?!?? –

Le sto stritolando la mano che tengo ancora arpionata nella mia.

«Se avete finito, mi piacerebbe essere aggiornato.»

Lei guarda Taylor  con aria colpevole. – Bene, fai bene!  E tu Taylor a darle corda... –

«Mi dispiace» dice muovendo appena le labbra, rivolta a Taylor, che si stringe nelle spalle e le sorride.

– Ecco brava, dispiaciti!  –  

«Sarò da te tra poco. Voglio solo scambiare una parola con Miss Steele» dico a Taylor.

La guido nella mia camera da letto e chiudo la porta.

«Non flirtare con il personale, Anastasia» la rimprovero come una bambina. Voglio farla sentire piccola piccola. Voglio che si senta colpevole.

Sono incazzato.

Apre la bocca, la richiude. Chissà che cosa vorrebbe dirmi.

 –  Probabilmente che sei scemo... – mi avvisa una vocina, invece dice: «Non stavo flirtando. Ero solo amichevole… C’è differenza.»

«Non essere amichevole con il personale e non flirtare con nessuno di loro. Non mi piace.»

«Mi dispiace» borbotta e si fissa le mani.

Le prendo il viso tra le mani per farle sollevare la testa e incontrare i suoi occhi.

«Lo sai quanto sono geloso» le confesso in un sussurro.

«Non hai alcun motivo di essere geloso, Christian. Il mio corpo e la mia anima sono tuoi.»

– Perché non riesco a crederti fino in fondo? –  Le do un bacio veloce e mi congedo: «Non ci metterò molto. Fa’ come se fossi a casa tua.»

– Ma questa non è casa tua –  mi dico.

 

«Taylor, ti sarei grato se non dessi troppa corda a Miss Steele» dico a Jason che mi fa un cenno affermativo. «Sa essere molto insinuante, quando vuole.»

Taylor non ribatte e mi delucida su tutti i particolari che per telefono aveva omesso. Arriva anche Ryan, che mi informa di aver fatto rottamare l’auto, come da mio preciso ordine. Mi spiegano quali passi stiano facendo gli uomini di Welch per ritrovare Leila che è ancora uccel di bosco. Taylor congeda Ryan che torna di guardia all’ascensore.

Rimasti soli domando a Taylor la cosa che mi preme: «Secondo te, da quanto tempo era qui?»

«Non saprei dirlo, signore. La signora Williams, quando eravamo in Georgia, non è entrata con il codice. Infatti avremmo dovuto avere le registrazioni. È entrata dalla porta-finestra della stanza delle ragazze, signore. Passando dall’antincendio. Ho visionato tutto, anche le esterne e ha usato sempre lo stesso sistema, passando dal garage, sgattaiolando dietro le auto in entrata, e poi su dalla scala antincendio.»

«Dall’antincendio? Trenta piani?»

«Sì, Mr. Grey.»

«E nessuno l’ha notata?»

«Direi di no, sa rendersi quasi invisibile. Avevamo pensato che avesse i codici perché Gail se l’è vista comparire davanti, senza sospettare che avrebbe potuto usare le scale di servizio e quindi essere già in casa.»

«Ma aveva una copia di tutte le chiavi» constato.

«Sì signore.»

«Allora? Quando è entrata?» e mi viene un atroce sospetto.

«Venerdì, forse giovedì...»

«Ma dove? Dove?!?» – Dove cazzo si è nascosta?!!! –

«Fino a Venerdì nella stanza delle ragazze, che è monitorata unicamente nel fine settimana. C’erano solo gli abiti della signorina Steele, non ho ritenuto necessario accendere le telecamere.»

«E poi?» domando insistente.

«Nella stanza di Mrs. Jones» fa, mortificato.

«E certo! Sa che lì non ci sono telecamere e che Gail è fuori dal venerdì pomeriggio alla domenica. È più furba di un gatto» constato.

«Ieri sera è scesa nel garage con l’ascensore, perché deve aver trovato i nuovi codici nell’agenda di Mrs. Jones, per cui è stato facile scendere, uscire sempre dal garage, acquistare la vernice dal drugstore all’angolo, rientrare, danneggiare l’auto e risalire.»

«Ovvio. E poi scommetto che è tornata nella stanza bianca.»

«Sì signore. Lì ha poi frugato tra gli effetti personali di Miss Steele, Mr. Grey.»

«Lo so, come un topo... Anastasia non ci deve più mettere piede» dico pensoso.

«Lo so signore, ho provveduto.»

«Bene, grazie Taylor.»

 

Vado in camera a cercare Anastasia. È nell’armadio che guarda allibita i suoi vestiti. Si volta e mi guarda stranita.

«Oh, ce l’hanno fatta a spostare tutto» constato. Meno male, così non deve più mettere piede in quella stanza.

«Cosa c’è che non va?» Mi guarda e chiede.

«Taylor pensa che Leila sia entrata dalla scala antincendio. Deve aver avuto la chiave. Adesso tutte le serrature sono state cambiate. La squadra di Taylor ha controllato a fondo ogni stanza dell’appartamento. Lei non è qui.» Mi passo una mano fra i capelli sconcertato. «Vorrei tanto sapere dov’è. Sta eludendo tutti i nostri tentativi di trovarla, quando invece ha bisogno d’aiuto.» Sono arrabbiato, irritato e molto, molto preoccupato.

Mi abbraccia per confortarmi e mi si scalda qualcosa dentro al petto. Me la stringo e le poso un bacio sui capelli.

«Cosa farai quando la troverai?» chiede.

«Il dottor Flynn può occuparsene.»

«E suo marito?»

«Se n’è lavato le mani di lei. La sua famiglia vive nel Connecticut. Penso che qui sia sola.»

«Che tristezza.»

«Ti va bene che abbia fatto portare qui le tue cose? Voglio dividere la stanza con te» mormoro. Infondo non è scontato, anche lei ha sempre dormito da sola... Magari le do fastidio...

«Sì.» Va bene anche per lei.

«Voglio che dormi con me. Non ho incubi quando dormi con me.»

«Hai incubi?»

«Sì.»

Mi stringe più forte, poi mormora: «Stavo preparando gli abiti per andare al lavoro domani mattina.»

«Lavoro!» esclamo. –  Cazzo, mi era già passata! Ma dove cazzo vai? Leila sa anche dove lavori! –

«Sì, lavoro» replica. o, confusa dalla sua reazione.

Che testarda! «Ma Leila… è là fuori.» Mi fermo. «Non voglio che tu vada a lavorare.»

«Questo è ridicolo, Christian. Devo andare al lavoro.»

«No che non devi.»

«Ho un nuovo impiego, che mi piace. Certo che devo andarci» mi sfida.

– Ecco la lite! Era già un po’ che non ci azzuffavamo. –

«No, non devi» replico alterato.

«Credi che me ne starò qui a girarmi i pollici mentre tu giochi a fare il signore dell’universo?»

«Francamente… sì.»

«Christian, devo andare al lavoro.»

«No, non devi.»

«Sì. Io. Devo» dice lentamente, esasperata.

«Non è sicuro» le spiego, perché mi sembra che non abbia capito.

«Christian… ho bisogno di lavorare per vivere, andrà tutto bene.»

«No, non hai bisogno di lavorare per vivere…» –  Non ne hai bisogno per niente! Non hai bisogno di niente. Ci penso io, a te. Ma non ti è chiaro? – «E come sai che andrà tutto bene?» Quasi urlo.

Vedo la rabbia e l’umiliazione  passare sul suo volto. «Per l’amor del cielo, Christian, Leila era in piedi in fondo al tuo letto e non mi ha fatto niente, e sì, ho bisogno di lavorare. Non voglio che mi mantenga tu. Devo restituire il prestito studentesco.»

– Tu NON hai il prestito studentesco... non più. – Faccio una smorfia seccata, mentre lei punta i pugni sui fianchi.

«Non voglio che tu vada al lavoro.» Non posso impedirglielo. 

«Non devi dirmelo tu, Christian. Non è una decisione che spetta a te.» È furiosa e ha ragione, lo so, ma...

Passano secondi, minuti nei quali ci guardiamo in cagnesco.

«Sawyer verrà con te» cedo, ma non transigo.

«Christian, non è necessario. Non essere irrazionale.»

«Irrazionale?» ringhio. «O lui viene con te, o sarò davvero molto irrazionale e ti terrò qui.» Sto gridando.

«In che modo, esattamente?» Mi sta sfidando ancora?

«Oh, troverei un modo, Anastasia. Non mettermi alla prova.» Non riesco a riconoscere la mia voce.

«Okay!» mi concede  e alza le mani.  

Ci fissiamo con aria torva. «Okay, Sawyer può venire con me, se ti fa sentire meglio» mi conferma... e alza gli occhi al cielo.

Stringo le palpebre, faccio qualche passo verso di lei, pronto ad attaccare. Lei fa un passo indietro, atterrita. Mi passo entrambe le mani nei capelli. –  Calma! Calmati, Grey, calma! –  Sono fuori di me. Respiro.

«Posso farti fare un tour della casa?» le dico, per calmarmi, infondo ha accettato Sawyer.

 porgo la mano, mette le sue dita nel mio palmo, diffidente.

«Non volevo spaventarti.»

«Non mi hai spaventata. Stavo solo per andarmene.»

«Andartene?»

«Sto scherzando!» si affretta a dirmi.

–  Io. No. IO. NO!  –

 

Le faccio fare il giro della casa, lei mi segue stupita e silenziosa.

Le mostro la stanza TV, mi guarda stupita.  

«E così hai un’Xbox?» sogghigna.

«Sì, ma sono una frana. Elliot mi batte sempre. È stato divertente quando hai pensato che volessi portarti a giocare con l’Xbox.» Mi è tornato il buonumore.

«Sono contenta che mi trovi divertente, Mr. Grey» risponde altezzosa.

«Lo sei, Miss Steele… quando non sei esasperante, ovviamente.»

«Di solito sono esasperante quando tu sei irragionevole.»

«Io? Irragionevole?»

«Sì, Mr. Grey. Irragionevole potrebbe essere il tuo secondo nome.»

«Non ho un secondo nome.»

«Irragionevole calzerebbe a pennello.»

«Credo che sia una questione di punti di vista, Miss Steele.»

«Sarei interessata a sentire l’opinione professionale del dottor Flynn.»  Le sorrido perfido.

«Pensavo che Trevelyan fosse il tuo secondo nome.»

«No. Cognome.»

«Ma non lo usi.»

«È troppo lungo. Vieni» le ordino. Lo seguo.

Attraversiamo il salone e percorriamo il corridoio principale finché, dopo aver oltrepassato la lavanderia e la cantina arriviamo all’ufficio di Taylor che si alza in piedi non appena entriamo.

«Salve, Taylor. Stavo facendo fare un giro ad Anastasia» spiego a Jason.

Taylor annuisce ma non sorride. Quando Ana gli sorride, lui mi fa un cortese cenno con la testa.

La prendo di nuovo per mano e la conduco all’ultima stanza, in biblioteca. 

È qui che la volevo portare.

«Qui ci sei stata» dico. Apro la porta.

«Possiamo giocare?» chiede.

Sorrido, sorpreso del fatto che me lo abbia chiesto lei. Non ho capito, ieri sera, per cui devo indagare e poi ho in mente una casa da moltissimo tempo e non sono mai riuscito a realizzarla come volevo io...  «Okay» accetto. «Hai mai giocato prima?» È proprio qui che ti volevo!

«Qualche volta…»

La scruto. La studio.

«Sei una pessima bugiarda, Anastasia. O non hai mai giocato in vita tua, oppure…» Va bene in ogni caso, ha poca importanza, basta che prenda una stecca in mano.

Il Signore seduto in poltrona si è alzato, con flemma, non appena siamo entrati. Ha posato il libro sul bracciolo, ha scrollato la polvere dai calzoni e ha fatto una carezza al cane, acquattato ai suoi piedi. Ha fatto scrocchiare le vertebre del collo e ha fatto un passo avanti, verso di me.

Ana si passa la lingua sulle labbra, in un muto richiamo.

–  Non ti preoccupare che rispondo. –

«Temi un po’ di competizione?» mi sfida.

«Dovrei avere paura di una ragazzina come te?»

«Scommettiamo, Mr. Grey.»

–  Oh, ma guarda un po’? Non mi devo neppure affaticare: fa tutto da sola  –

«Sei così sicura di te, Miss Steele? Che cosa vuoi scommettere?»

«Se vinco, voglio che mi porti ancora una volta nella tua stanza dei giochi.»

Sapevo che me lo avresti chiesto tu, ma così presto... No. Stasera non voglio. Sono furioso per via di Leila e incazzato con te. Finirebbe male, non ne ho voglia... non ancora. E poi, ho in mente altro. Mi ha lanciato la sfida: devo accettare. E devo vincere.

«E se vinco io?» le chiedo.

«Allora potrai scegliere tu.» Sorrido. – Perfetto! Non potevo sperare di più. –

«Okay, andata.» Le sorrido. «Vuoi giocare a pool, biliardo inglese o carambola?»

«A pool, per favore. Gli altri non li conosco.»

Alzo un sopracciglio. –  Sa giocare! –  constata il Raffinato Signore. Il gioco si fa più interessante.

Da un armadietto sotto la libreria estraggo una grossa valigia di pelle. Dentro ci sono le palle da biliardo in una custodia di velluto.  

Dispongo tutto sul panno verde.

Le passo una stecca e un cubetto di gesso.

«Vuoi spaccare?» Simulo un po’ di galanteria. Sono divertito, sarà come bere un bicchier d’acqua. Io gioco benissimo.  

«Okay.» Passa il gesso sulla punta della stecca e soffia via quello in eccesso. Le sue labbra quasi baciano la punta della stecca. Sono già eccitato: pregusto. Lei mi guarda di sottecchi. – Sì, sono eccitato. –

Si allinea con la palla bianca e con un colpo veloce e secco colpisce al centro del triangolo in cui sono state disposte le altre, con una tale forza che una di quelle rigate finisce nella buca d’angolo a destra. Le altre palle sono sparse sul tappeto verde.

«Scelgo quelle rigate» annuncia e mi sorride innocente.

La guardo divertito, ma non so... non ho ancora capito chi ho di fronte. Fa l’innocentina ma ho imparato a non sottovalutarla. «Prego» dico.

Procede mettendo in buca altre tre palle, in rapida successione.

– Cazzo se è brava! –  mi dico. Non me lo aspettavo. 

La scruto. Studio il suo gioco.

Manca la palla rigata verde per un soffio. – Meno male! –

«Lo sai, Anastasia, potrei stare qui a guardarti mentre ti pieghi e ti distendi sul biliardo per tutto il giorno» le spigo, perché è proprio questo il motivo per cui siamo qui.

Arrossisce. Sorrido, mi tolgo il maglioncino e lo getto sullo schienale della sedia. Sorrido e mi avvicino per il primo tiro.

Mi piego sul tavolo. Metto in buca quattro palle piene, velocemente, poi sbaglio anch’io. Imbuco la bianca. Lo faccio apposta, sono in vantaggio e voglio vederla giocare. E poi mi piace rischiare.

«Un errore banale, Mr. Grey» mi prende in giro.

«Ah, Miss Steele, non sono che un povero mortale. Tocca a te, credo» e le indico il tavolo.

«Non starai cercando di perdere?» mi domanda.

«Oh, no. Per quello che ho in mente come premio voglio vincere, Anastasia.» Mi stringo nelle spalle. «Ma, del resto, voglio sempre vincere.» Le ho solo concesso un minuscolo vantaggio, ma me lo riprendo subito.

Mi guarda, fa il giro del tavolo, si piega e guarda avanti mettendo in mostra il seno che si solleva appena ad ogni suo movimento. Ora ce l’ho proprio di marmo, visto che riesco a vedere non solo l’incavo delle tette ma anche il suo culo favoloso che fa capolino dai jeans.

Mi sta provocando, è evidente.

«So cosa stai facendo» le dico.

Piega la testa di lato, con fare civettuolo, e accarezza gentilmente la stecca, facendo scorrere su e giù la mano, lentamente. «Oh, sto solo decidendo dove tirare» dice maliziosa.

–  O io mi sono davvero rincretinito appresso a lei e vedo solo sesso, oppure sta davvero massaggiando la stecca come se la stesse masturbando. – Sono costernato. Continuo a guardarla rapito mentre colpisce la palla rigata arancione mettendola in una posizione migliore, poi lei si rialza, proprio di fronte a me. Prepara il suo prossimo colpo, piegandosi sul tavolo.

Dalla mia posizione riesco a vedere la fessura del suo sedere legata dal perizoma candido che si muove. I jeans le sono abbassati sui fianchi per il continuo abbassarsi e sollevarsi e la camicetta si è alzata denudandole i fianchi. Vedo le tette, vedo il culo, le vedo la vita ondeggiare e ormai il mio uccello è di granito.

Sussulto. Probabilmente la bestia che sta sbavando legata alla poltrona ha strattonato e non riesco proprio a impedirmi di sussultare.

Anche il Raffinato Signore è convinto di non aver visto niente di più eccitante in vita sua dal momento che si è affrettato ad allentare il nodo alla cravatta per riuscire a respirare.

–  Io ora le vado dietro, le tiro giù i calzoni e glielo sbatto dentro prima ancora che lanci la steccata. E non glielo infilo davant... – Questa volta il Mio Dominatore di Fiducia non strattona il cane bavoso, strattona me che mi calmo un pochino, permettendole di tirare... e di sbagliare.

Le arrivo dietro come un falco,  mentre è ancora piegata, le metto una mano sul sedere, ben attento ad infilarle il pollice nel solco dei glutei e le sussurro suadente: «Me lo stai facendo ondeggiare davanti per tentarmi, Miss Steele?» E la colpisco con tutta la forza.

Sussulta. «Sì» ammette.

–  Oh, piccola, attenta che me lo prendo. – «Stai attenta a quello che desideri, piccola.» – Non stasera ma me lo prendo. –

Si massaggia le natiche, mentre io raggiungo l’altro capo del tavolo e mi piego per fare il mio tiro.

Colpisco la palla rossa e la mando nella buca laterale sinistra. Continuo con quella gialla, mirando alla buca d’angolo a destra, e la manco.

– Azz... Ho sbagliato. –

Sorride. «Stanza Rossa, stiamo arrivando» mi prende in giro. Scherza col fuoco.

Mi limito ad alzare il sopracciglio e a farle segno di continuare.

Lavora in fretta sulla palla rigata verde e riesce a mettere in buca anche l’ultima, quella rigata arancione.

–  È davvero brava, finisce che perdo. Non che mi dispiaccia poi tanto solo che volevo proprio scoparmela sul tavolo da biliardo, per esorcizzare ricordi noiosi – mi dico. Ci ho pravo a soddisfare questa fantasia con qualcuna delle altre, ma erano più rigide della stecca da biliardo e l’unica cosa eccitante era colpirle sul sedere con la punta della stecca, prima di scoparle più per dovere che per vero piacere. Penso all’eventualità di perdere e affrontare la stanza rossa, però nulla mi vieta di fare entrambe le cose visto che non ho ancora dichiarato la mia posta. – Prima la scopo qua, poi pago la scommessa nella stanza dei giochi – penso e mi dico che è uno sporco lavoro ma sono perfettamente in grado di eseguirlo.

Ma io voglio vincere, voglio sempre vincere.

«Nomina la tua buca» la sfido.

«Buca d’angolo a sinistra.»  Manca la palla nera che fa un giro largo. – Bene! –

Mi esce un ghigno malefico e mi chino veloce sul tavolo. Voglio vincere in fretta, mi occupo velocemente delle due palle piene che mi mancano.

Mi alzo, passo il gesso sulla sua stecca e la guardo.

«Se vinco io…» Mi guarda spaurita. Le sue pupille si dilatano. – So di essere sleale perché la posta si dichiara subito per essere accettata, ma non me ne fotte un cazzo, visto che con te non ho nessuna intenzione di essere leale. –  «Ti prenderò a sculacciate e poi ti scoperò su questo tavolo da biliardo» dichiaro soddisfatto.

Sono anni che attendo questo momento con una fica spaziale che mi dia la soddisfazione che merito: eccola qui, è proprio lei e ora me lo gusto. Punto la palla nera, mi piego e tiro. «Buca d’angolo a destra.» 


CAPITOLO 13


Colpisco la palla bianca che scivola sul tavolo e frisa la nera, la quale, lentamente, rotola, resta un attimo in bilico sulla buca d’angolo a destra e poi ci cade dentro.

–  Fatto! – penso.

Mi sollevo, le labbra mi si piegano in un sorriso trionfante: – Ora sei tutta mia, Steele! – Poso la stecca e mi avvicino. «Non sarai una che non  sa perdere, vero?» mormoro, trattenendo a stento un sogghigno.

«Dipende da quanto forte mi sculaccerai» sussurra sorreggendosi alla stecca come fosse lancia e scudo.

– Forte! – penso. – Molto forte! –  

Gliela tolgo di mano e la metto da parte, infilo il dito nello scollo della camicetta e l’attiro a me.

«Bene, contiamo le tue infrazioni, Miss Steele.» Conto sulle dita. «Uno: mi hai fatto sentire geloso di un membro del mio personale.» –  E questa cosa mi fa veramente incazzare anche se so che è assurdo.  – «Due: hai discusso con me riguardo al tuo lavoro.» Il punto due mi fa incazzare ieri, oggi e domani. «Tre: hai deliberatamente fatto ondeggiare il tuo delizioso sedere davanti al mio naso negli ultimi venti minuti.» Questo, più che farmi incazzare mi fa arrapare senza controllo, per cui mettiamolo in conto.

«Voglio che tu ti tolga i jeans e questa camicetta così seducente. Ora.»

Le do un bacio leggero come una piuma, poi vado a chiudere a chiave la porta.

Mi giro e la guardo, in piedi accanto al biliardo: è spaventata e bellissima.

E io la amo.

«I vestiti, Anastasia. Mi pare che tu li abbia ancora addosso. Togliteli. O lo farò io per te.»

«Fallo tu.» Ritrova la voce.

Sorrido.

«Oh, Miss Steele. È uno sporco lavoro, ma penso di poter raccogliere la sfida.»

«Sei abituato a raccogliere sfide ben peggiori, Mr. Grey.»

«Che cosa intendi dire, Miss Steele?»

Mi avvicino ma prima di raggiungerla, prendo dalla scrivania il righello corto. Lo soppeso, lo misuro tenendolo per entrambe le estremità e lo fletto, senza che i miei occhi abbandonino mai i suoi.

Da come mi guarda, spaventata ed eccitata, capisco che ho raggiunto il mio scopo: è in mio potere. Ma, in effetti, a ben pensarci, lei è sempre stata in mio potere.

Mi infilo il righello nella tasca posteriore dei jeans e mi avvicino.

Mi inginocchio e inizio a slacciarle le scarpe, sfilandole insieme alle calze. Ana si appoggia al bordo del tavolo da biliardo, per non cadere. La prendo per i fianchi, infilo le dita nella cintura dei jeans, slaccio il bottone e abbasso la cerniera.

Esce dai pantaloni con una tale grazia da lasciarmi incantato, prima un piede poi l’altro, a punta tesa. Sono ancora chino e la guardo dal basso, poi il mio sguardo si posa sulla sommità delle sue gambe e intravvedo il triangolo bruno velato dal perizoma di pizzo bianco. Afferro le sue gambe da dietro e faccio scorrere il naso fino al punto di congiunzione delle cosce. La annuso, m’inebrio del suo profumo, primo passo per mettere in scena uno spettacolo di cui sarò protagonista e unico estatico spettatore.

«Voglio essere piuttosto violento con te, Ana. Devi dirmi di fermarmi, se è troppo» ansimo.

Devo chiederglielo: so che ha dei limiti che io per primo non voglio superare, ma spingerò sempre oltre l’assicella. Come ieri sera...

Poso la mia bocca sul triangolo tra le sue gambe e la bacio. Tiro fuori la lingua e la strofino sul pizzo del perizoma, sui peli bruni imbrigliati nella stoffa e arrivo alla sua pelle, solo un po’, giusto quel tanto da sentirne anche il sapore oltre al profumo.

Godo del suo tremito.

Gusto ogni istante perché sto per fare ciò che più mi piace, nel modo che più mi piace, con la donna che amo, che si sta aprendo come la corolla di un fiore per concedermi ogni stilla del suo profumo prezioso.

Geme. È quasi pronta a ricevere le mie cure.

Accetterà. Ha già accettato. Vuole farmi godere e ci riesce nel modo più completo ed appagante, come mai avrei ritenuto possibile. Non si è resa conto di avermi già concesso quello a cui bramo, in mille modi diversi. Ha accettato ieri sera, ha accettato nella stanza dei giochi... ha accettato sempre. Non ha accettato la parte più oscura di me: è quella che dovrò imbrigliare ma con lei lo faccio senza sforzo perché non provo rabbia, solo desiderio.

«Safeword?» chiede in un ansito, distogliendomi dai miei pensieri.

«No, nessuna safeword, dimmi solo di fermarmi, e io mi fermerò. Capito?» La bacio ancora, alla perenne ricerca della sua essenza, del liquido viscoso della sua eccitazione che riesco ad assaggiare anche attraverso la stoffa. Mi alzo, la guardo, cerco una risposta. «Rispondimi» le ordino, con il tono più delicato.

«Sì, sì, ho capito»  singhiozza, distratta da mio bacio.

«Hai continuato a fare allusioni e a mandarmi segnali ambigui per tutto il giorno, Anastasia. Hai detto di temere che io avessi perso smalto. Non sono sicuro di capire cosa intendessi, e non so quanto seria fossi, ma lo scopriremo. Non voglio ancora tornare nella stanza dei giochi, perciò adesso proveremo in questo modo, ma se non ti piace, devi promettermi di dirmelo.»  

– Tu lo vuoi più di me, amore, lo so. Mi hai chiamato, me lo hai chiesto e hai proposto la tua stupida posta solo  per farmi piacere. – Vuole darmi tutto, vuole concedermi ogni cosa come io desidero concedere a lei. Entrare nella camera dei giochi è solo questione di ambientazione ma puoi cedermi il tuo scettro in qualsiasi momento e in ogni luogo: qui e adesso.

Torneremo nella stanza rossa, stai tranquilla che non ci rinuncio, ma lo faremo a tempo debito, quando sarai tu a chiederlo e saprò che sarai pronta. – Non hai capito, piccola, che io  non ho rinunciato? Che lo abbiamo già fatto l’altra notte a casa tua, lo abbiamo fatto ieri sera nella mia vecchia camera e che lo faremo proprio ora?–  

No, io non ho mai smesso di fare quello che mi piace fare, mai! Solo che ho aggiunto altre varianti che non avevo ancora sperimentato e che mi appagano in un modo che mai avrei creduto possibile.

«Te lo dirò. Niente safeword» mi assicura.

«Siamo innamorati, Anastasia. Gli innamorati non usano safeword.» Non lo so, non ne ho idea... «O no?»

«Credo di no» mormora. Ne sa tanto quanto me. «Lo giuro» si affretta a dire.

La scruto, capisco che è nelle sue migliori intenzioni compiacermi e mettermi nelle condizioni di non oltrepassare il limite. Le credo e questa volta non farò giochetti subdoli per trarla in inganno.

Ho pensato molto, a tutto, nella settimana d’inferno che per fortuna lei è già riuscita a farmi dimenticare. Ho capito che cosa mi ha fatto perdere il controllo, che cosa mi spinge verso di lei: la sua ingenuità. La sua innocenza è irresistibile e accende la brama più oscura: con lei divento i lupo che inghiotte l’agnello dopo essersi nutrito della sua paura e averne goduto. E  risulta tutto più appagante perché è vero, non è artefatto.  “Questo” è l’abisso della mia depravazione, desiderare la sua paura e il suo dolore perché sono reali e non un gioco perverso e condiviso da persone perverse e consenzienti.

Questo è ciò che terrò per me, tutto il resto, tutto il resto lo faremo insieme qui e ora.

Sorrido e inizio a sbottonarle la camicetta, con le dita che lavorano in fretta. Non voglio togliergliela. La voglio nuda con la camicia aperta: è sexy da morire, è così arrapante.

In effetti sono in erezione da quando l’ho vista chinarsi per il primo tiro.

–  Ora la faccio tirare mezza nuda e mi godo lo spettacolo, poi, se sbaglia la punisco – mi dico.

Mi guarda spaventata quando mi vede con la stecca in mano. Nel vedere la sua paura mi accendo come un fuoco artificiale.

– No, piccola, non ti bastono, anche se due bacchettate dietro al sedere te le meriteresti. Ti stupiresti, tesoro, di quanto piaccia, a qualcuna, un simile trattamento. – 

«Giochi bene, Miss Steele. Devo dire che sono sorpreso. Perché non hai messo in buca la nera?» – Perché volevi essere punita? –

Mi guarda sorpresa e fa il broncio. So che l’ho distratta. Non vuole perdere apposta.

Mi guarda di sbieco, poi posiziona la palla bianca.

Faccio il giro del tavolo e mi metto proprio dietro di lei, mentre si china per colpire.

Voglio vederla bene dall’angolazione migliore, voglio toccarla e soprattutto voglio farla sbagliare.

Le poso  la mano sulla coscia destra e le faccio scorrere le dita su e giù lungo la gamba, su fino al sedere e poi giù, accarezzandola con tocco lieve.

«Sbaglierò, se continui a fare così» sussurra chiudendo gli occhi.

«Non m’importa se la colpisci o la manchi, piccola. Voglio solo vederti così… Mezza svestita, mentre ti allunghi sul mio tavolo da biliardo» le spiego. Non importa se non ci mette tanto impegno, perché il gioco è un altro e ha poco a che fare col biliardo. «Hai idea di quanto sei sexy in questo momento?»

Fa un bel respiro. Cerca di ignorarmi e si concentra sul tiro.

Lo so che è impossibile visto che continuo ad accarezzarle il sedere.

«Buca d’angolo di sinistra» dichiara, poi colpisce la palla bianca. Io la sculaccio con forza, arrossandole una natica. – Bellissimo! – È così inaspettato che grida. La palla bianca colpisce la nera, che rimbalza sulla sponda.

L’accarezzo ancora, di nuovo pronto a colpire.

«Credo che tu debba ritentare» le sussurro. «Dovresti concentrarti, Anastasia» la sfotto.

Ha il fiato corto adesso, eccitata da questo gioco.

Raggiungo l’estremità del tavolo, rimetto la palla nera in posizione, poi rimando la bianca verso di lei.  

È diventata così sexy in così poco tempo, è ingenua e maliziosa in un connubio irresistibile. Come potrei resisterle?

Afferra la palla e la mette in posizione, pronta a colpirla ancora.

«Ahi, ahi» la ammonisco. «Aspetta.»

Mi piace prolungare la sua agonia e torturarla. Torno indietro e mi rimetto alle sue spalle, in postazione. Ancora una volta le accarezzo la coscia sinistra e poi di nuovo il sedere.

«Prendi la mira» ansimo. Sono così eccitato che solo il pensiero di ciò che tra poco pregusterò mi trattiene dal piegarla sul tavolo e fotterla fino a farla urlare.

Geme e poi ci prova, credo ci stia provando davvero, a pensare al punto in cui colpire la palla nera con la bianca. Si sposta un  po’ verso destra, e io la seguo. Non la lascio. Non la lascio più... le sono incollato come un francobollo. Non ho più mollato la presa da che l’ho vista. Di certo, la tenacia è una delle mie qualità migliori. E adesso le sto incollato, che senta bene la mia presenza. Si piega sul tavolo ancora una volta, prende la mira e colpisce la palla bianca. La sculaccio di nuovo, forte, più forte di prima. E mi eccito, molto più di prima.

Manca la buca di nuovo. «Oh, no!» ringhia.

«Ancora una volta, piccola. E se la manchi anche adesso, te lo farò prendere.» Ti faccio gustare quello che vuoi. Sorrido, mi esce un ghigno più che un sorriso.

–  Mi piace guardarti nuda sul biliardo ma ora sono davvero al limite e ho voglia di punirti sul serio per poi scoparti fino a lasciarti senza fiato. –

Rimetto in posizione la palla nera e torno lentamente dietro di lei e, come fosse una minaccia, le accarezzo ancora quel suo bel culo che mi sta facendo andare fuori testa.

«Ce la puoi fare» la incito, ma ho qualche dubbio che riesca ancora a reggere la stecca in mano. So che è una tortura, ma è proprio questo che mi eccita come mai prima.

Ho tutto sotto controllo anche se... lei  fa una cosa che mi fa vacillare, solo un po’: spinge il sedere contro la mia mano e io fremo. Lo colpisco piano e le sussurro: «Non vedi l’ora, eh, Miss Steele?» Nemmeno io! Però ho ancora qualcosa in mente. «Bene, liberiamoci di questo.» Lentamente, faccio scorrere il perizoma giù per le cosce. La voglio esposta ai miei sguardi, alle mie mani, alle mie sculacciate, ai miei colpi. La voglio scoperta, col culo all’aria, in imbarazzo, alla mia mercé, mezza nuda con solo la camicia aperta pronta a subire tutto da me. Mi chino, prima le bacio il sedere, con venerazione, perché io la venero: in verità la venero sempre, ma ancor più adesso per quello che mi sta facendo provare in questo momento.

– Ah, se sapessi quanto sono eccitato... capiresti quale potere hai su di me – mi dico e non sono certo di volere che lei lo scopra.

«Tira, piccola.» – È l’ultima volta, perciò godiamocela, perché ora ho voglia. –

So che mancherà il colpo. Punta la palla bianca, colpisce e, impaziente, manca completamente la nera.

Questa volta non la colpisco. Non ancora. Non con le mani. La piego sul biliardo appiattendola con la guancia premuta sul panno. Le tolgo la stecca di mano e le faccio sentire l’erezione, appoggiandoglielo contro il suo magnifico sedere.

«L’hai mancata» le dico dolcemente all’orecchio. «Appoggia i palmi delle mani sul tavolo.»

Fa come le dico.

«Bene. Ora ti sculaccerò, così la prossima volta forse non lo farai.» Mi sposto alla sua sinistra e continuo a farglielo sentire. Contro il fianco, casomai si dimenticasse.

Geme, posso vedere i battiti del suo cuore farle pulsare la vena del collo. Le accarezzo ancora il sedere con una mano e con l’altra le afferro i capelli,  li stringo nel pugno, glieli tiro forte e mi appoggio con il gomito sulla sua schiena, la tengo giù: voglio che capisca che non ha scampo.

E sarò violento.  

«Apri le gambe» ordino in un soffio.

Esita.

E io colpisco.

Forte.

Con il righello.

Non si è neppure accorta che l’ho estratto dalla tasca. Il rumore mi riecheggia nelle orecchie regalandomi una sferzata al cazzo. L’ho presa in contropiede e sussulta.

Io la colpisco ancora.

Mi trattengo: voglio vederla con le gambe aperte.

 «Le gambe» ordino. Quasi grido.

Apre le gambe.

Non sono eccitato.

Di più.

Molto di più.

E ci andrò giù pesante.

Avrei potuto usare la stecca ma non si può calcare la mano con una verga, bisogna andarci piano.

Io non voglio andarci piano.

Non stasera, non con lei.

E poi lei si sarebbe spaventata.

Il righello invece è piccolo, flessibile, più leggero di una mano ma implacabile e più doloroso.

Ma lei questo non lo sa.

E io colpisco ancora.

Sento il sibilo e godo.

Sento lo schiocco e godo.

Sento il suo sussulto e il suo gemito trattenuto dalle labbra e godo.

Vedo la striscia rossa evidenziare il suo bel culo e, ovviamente, godo!

Il mio respiro si fa sempre più affannoso.

Striscia su striscia, riga su riga... ho perso il conto. Dopo primi colpi... non conto più... quattro, cinque, sei...

Godo troppo, non conto più.

Non penso.

Non vedo.

Godo, ansimo e godo.

Dieci, dodici... di più, di più.

La colpisco sulle cosce, tra le gambe. In mezzo alle gambe. Voglio colpirla proprio lì, nel suo punto più sensibile che vedo spuntare in mezzo alle sue gambe.

Io lo so che non è solo dolore.

Sobbalza, geme ma non grida.

E io colpisco.

Il righello colpisce ancora una volta, lei geme forte e io ringhio in risposta.

Non sono io a ringhiare, è il Raffinato Signore che non ha resistito un solo istante da che lei ha preso la stecca in mano: è schizzato in piedi e le si è incollato accanto, lisciandola e lusingandola. Annusandola e circuendola, lascivo, finché non ha visto il suo sedere nudo in mostra per lui, finché non lo ha visto ancheggiare sinuoso che si sollevava a si abbassava davanti ai suoi occhi bramosi. Per lui, solo per lui. Ha dovuto legare stretto alla catena il cane bastardo, mettergli la museruola alla bocca bavosa. Ha dovuto legare stratta la bestia, immobilizzarla per non rischiare che, preso da qualche strano impeto, il cane mastino interferisse in questo gioco.

È solo suo, questo gioco: è del Dominatore, che ha perso la testa e colpisce con forza, anelando ogni colpo. Godendo di ogni sferzata come mai ha goduto.

– È dentro, è dentro: anche lei è dentro! –  grida al vento il Signore che di Raffinato ormai ha molto poco. –   Ormai è dentro al gioco, e lo vuole anche lei. Mi compiace, gode di me e del mio piacere. Gode di compiacermi! È lei la mia sottomessa: è lei. È lei! LEI! – urla sempre più soddisfatto. Sempre più eccitato.

La percuote.

Sempre più forte.

La percuote un’altra volta… e poi di nuovo… più forte, sempre più forte. Dieci, venti, trenta volte... non sa, non sa più... Senza limiti, con le labbra gonfie e protese, con i denti serrati ad arginare il desiderio il Raffinato Signore colpisce con forza...

Lei sussulta. Sussulta ancora.

«Fermati.» Una sola parola, forte e decisa che esce dalle sue labbra come un singhiozzo.

Il Dominatore si ferma, si blocca come se avessero staccato la corrente.

Io mollo subito righello e la lascio andare, la libero dalla pressione del mio braccio sulla sua schiena, lascio i suoi capelli morbidi che sto ancora tirando, stretti nel mio pugno.

«Ne hai abbastanza?» Mi esce solo un sussurro, non sono in grado di modulare correttamente la voce.

«Sì.»

«Ora voglio scoparti» le annuncio. Ho il sospetto che già lo sappia e che sappia che sarò violento, come non sono mai stato. Di più, molto di più della prima volta.

«Sì» accetta. Mi vuole, lo desidera.

– Che trionfo! –

Mi abbasso la cerniera e lei si sdraia ansimante sul tavolo, mi aspetta, si prepara. Sa che sarà un assalto.

Prima di sbatterglielo dentro voglio capire quanto è eccitata: le infilo due dita dentro e le muovo in circolo. È bagnatissima, avrà anche il sedere di fuoco ma è eccitata quasi quanto me. – No, come me è impossibile! –

La vedo chiudere gli occhi: è il segnale che è pronta a ricevermi. Mi infilo veloce il preservativo, non voglio che aspetti troppo, mi posiziono tra le sue gambe, le apro bene per avere libero accesso ed entro.

Lentamente, mi infilo dentro di lei, riempiendola. Rantolo, un gemito di puro piacere. La prendo per i fianchi e scivolo fuori poi rientro, con un colpo secco, più forte che posso e lei grida. Un grido secco di piacere e io comincio il mio assalto, dentro, con tutta la mia forza, poi fuori, veloce, dentro con sempre più vigore e fuori, sempre più veloce.

Lei continua ad urlare e gorgogliare.

E io sono annientato da questo meraviglioso viaggio nel piacere. Anche il Dominatore che alberga in me è soddisfatto come mai prima e si gode le spinte, si gode questo sogno che si realizza, vivendo questa scopata come un’avventura, il viaggio di Jules Verne al centro della terra. Qualcosa di vivido e irreale allo stesso tempo.

È perfettamente soddisfatto, il Raffinato Signore, e aspetta solo l’orgasmo per ritirarsi in buon ordine nel suo regno: la stanza rossa delle torture.

«Ancora?» le chiedo solerte fra un colpo e l’altro. Ovviamente è una domanda retorica perché nulla potrebbe fermare il mio assalto.

«Sì… sto bene. Lasciati andare… portami con te» mormora.

– Sei già con me, piccola, e io mi sono lasciato andare dalla prima volta che ho incocciato il tuo sguardo, amore mio bellissimo. – 

Non smetto e continuo. Lei inizia a tremare tutta, sta esplodendo: lo vedo e io, che mi sto trattenendo, porto l’ultimo assalto per venire insieme a lei.

Eccolo, l’orgasmo: arriva atteso, bramato.

È forte, mi risucchia le viscere, mi stordisce, mi fa tremare e vibrare.

È lungo, è potente.

È appagante esattamente come tutto il gioco che lo ha preceduto.

Spero che sia stato forte e intenso anche per lei.

«La petite mort» sussurro, non udito, crollandole sulla schiena, le dita affondate nei suoi fianchi. – La piccola morte, come chiamano l’orgasmo i francesi, perché tu, piccola, mi fai mo-ri-re! –  

Scivoliamo a terra e me la prendo tra le braccia, la cullo, appagato da un momento d’estasi perfetto. Esausto.

«Grazie, piccola» ansimo, non riesco a regolare il respiro. Nonostante la mancanza di ossigeno le copro il viso di baci leggeri.  Apre gli occhi, mi guarda, stretta tra le mie braccia.

E io la amo.

«Hai la guancia arrossata dal panno del tavolo» le dico e le massaggio la gota. «Com’è stato?» Voglio saperlo sul serio.

«Bello da far tremare le ginocchia» mormora.  Sembra soddisfatta anche lei. «Mi piaci violento, Christian, e mi piaci anche dolce. Mi piace che tutto questo succeda con te.»

Chiudo gli occhi e la abbraccio ancora più forte.

È mia! Solo mia! Questo splendore è solo mio!

In questo momento sono consapevolmente felice.

Glielo dico: «Non sbagli mai, Ana. Sei bellissima, brillante, stimolante, divertente, sexy, e io ringrazio ogni giorno la Divina Provvidenza che sia stata tu a venire a intervistarmi e non Katherine Kavanagh.»

Le bacio i capelli, lei mi sorride, un sorriso incredulo e stanco e sbadiglia contro il mio petto.

«Ti ho sfinita» osservo. «Vieni. Facciamo il bagno e poi andiamo a letto.»

 

Siamo entrambi nella vasca da bagno, a guardarci, immersi fino al mento nella schiuma. Il dolce profumo del gelsomino ci avvolge. Prendo prima un piedino e lo massaggio, poi l’altro e sento che è completamente rilassata, anche insieme a  me.

«Posso chiederti una cosa?» dice piano, interrompendo questo momento di assoluto benessere.

«Certo. Qualsiasi cosa, Ana, lo sai.»

Respira profondamente e si tira su a sedere, facendo una leggera smorfia per il dolore al fondoschiena.

«Domani, quando andrò al lavoro, puoi dire a Sawyer di lasciarmi davanti all’ingresso dell’ufficio e di venirmi a prendere alla fine della giornata? Per favore, Christian. Per favore.» La sua è una supplica.

Sono stupito: «Pensavo che fossimo d’accordo» borbotto.

«Per favore» mi prega.

Io non riesco a dirle di no.

«E il pranzo?»

«Mi preparerò qualcosa da portarmi dietro, così non dovrò uscire. Per favore.»

Le bacio la pianta del piede che tengo ancora tra le mani. «Trovo davvero difficile dirti di no» mormoro sconfitto.  «Non uscirai?»

«No.»

«Okay.»

Mi sorride con uno di quei sorrisi così belli che hanno il potere di sciogliermi. «Grazie.» Si mette in ginocchio, schizzando acqua dappertutto, e mi bacia.

«Prego, Miss Steele. Come sta il tuo sedere?»

«Indolenzito, ma non troppo male. L’acqua lenisce il dolore.»

«Sono contento che tu mi abbia detto di fermarmi» ammetto e la osservo attentamente: forse posso fidarmi di lei, almeno  a letto.  

«Anche il mio sedere è contento.»

Ora sono io che sorrido.

 

«Miss Acton non ha procurato anche una camicia da notte?» le chiedo con disappunto. Tempo di asciugarsi, Ana si è infilata una mia maglietta e si stiracchia sotto le lenzuola, è sfinita. La barca, il biliardo... tutte le infinite sciagure che ci sono piombate addosso.

«Non lo so. Mi piace indossare le tue T-shirt» biascica assonnata.

–  Anche a me piacerebbe avere sulla pelle qualcosa di tuo da portare con me... ma è un po’ più difficile –  penso contento.

Mi chino e le deposito un bacio lieve sulla fronte. Devo sistemare alcuni passaggi di un contratto che Ross mi ha inviato da visionare tramite mail, ma non voglio lasciarla, non stasera.  «Devo lavorare.» dico. «Ma non voglio lasciarti sola. Posso usare il tuo computer per connettermi con l’ufficio? Ti disturbo se lavoro qui?»

«Non è il mio computer…» farfuglia cadendo nel sonno.

– Sempre la stessa storia, Miss Steele? –

 

La radiosveglia si accende, urlando di colpo le notizie sul traffico e io sto ancora dormendo. Quando sono con lei cado in un sonno profondo e ristoratore.

Fuori sta piovendo, per la prima volta da una vita, e la luce è cambiata, è più morbida, me ne rendo conto non appena apro gli occhi di scatto.

«Buongiorno.» Sorride e mi fa una carezza che preannuncia un bacio. Potrei abituarmi alle carezze. A svegliarmi accanto a lei, invece, mi sono già abituato. È un vizio che ho preso subito a cui non voglio rinunciare.

«Buongiorno, piccola. Di solito apro gli occhi prima che la sveglia si spenga» mormoro pensieroso. – Sei proprio un vizio, piccola. Il mio meraviglioso vizio. –

«L’hai messa presto.»

«Eh, sì, Miss Steele.» Sorrido. «Devo alzarmi.»

La bacio e scendo dal letto. Lei si ributta sui cuscini e si riaddormenta.

Mi preparo, do indicazioni a Gail per il pranzo di Miss Steele, sistemo tutti i documenti per l’incontro delle otto e mezza e torno da lei.

«Forza, dormigliona, alzati.»

«Cosa?» mi chiede, sembra più addormentata di prima. «Vorrei che tornassi a letto» biascica.

– Volentieri –  penso. Schiudo le labbra, sto per accettare, la guardo un attimo, sorpreso dalla mia reazione e dal suo invito. «Sei insaziabile, Miss Steele. Per quanto l’idea mi alletti, ho un appuntamento tra un’ora, alle otto e mezzo, perciò tra poco devo uscire.»

Realizza, sbarra gli occhi e scivola fuori dal letto. La osservo divertito mentre si arrabatta per scivolare giù dal materasso, imbrigliata nelle lenzuola.

– Ci tiene davvero al suo lavoro, cerca gratificazioni dopo tanti sforzi, non è giusto che la soffochi così – mi dico. Non sopporterei che lo facessero con me. Lo faceva Elena e, finché ero un ragazzino lo trovavo rassicurante, poi, però, è diventato peggio del collare col guinzaglio che mi stringeva attorno al collo: soffocava di più. Non è sottomissione: è asfissia.

Arriva dopo poco nel salone, non ho ancora finito di fare colazione. Ha fatto in fretta a prepararsi, non le ci vuole molto per essere bellissima. Ha indossato una gonna attillata grigio antracite che la fascia come un guanto, una camicetta grigio pallido, scarpe nere con il tacco e i suoi magnifici capelli castani raccolti in una lunga coda: è uno splendore.

«Sei bellissima» mormoro incantato. Mi si avvicina e la circondo con un braccio per riuscire a baciarla.  

Non so perché ma è arrossita.

«Buongiorno, Miss Steele» dice Gail, mettendole davanti pancake e bacon.

«Oh, grazie. Buongiorno» mormora imbarazzata.

–  Ma di che ti devi imbarazzare? Diventi sempre rossa! –

«Mr. Grey mi ha detto che gradisce portare qualcosa con sé per il pranzo. Che cosa preferisce mangiare?»

Anche Gail sembra contenta di trovarla qua, di lunedì, soprattutto dopo una settimana in cui ha dovuto convivere con me, con i miei silenzi e il mio umor nero.

– E ti pareva! Gail la guarda e lei arrossisce! – Questa cosa mi fa ridere.

Ana mi guarda con astio, stringendo gli occhi, poi si volta:

«Un sandwich… un’insalata. Non importa» dice sorridendo a Mrs. Jones.

«Improvviso subito qualcosa, signorina.»

«Per favore, mi chiami Ana.»

«Ana.» Sorride anche Gail e si mette a preparare il tè.

Ana si volta di nuovo verso di me, so che cosa mi vuol dire. “Accusami di essere amichevole anche con Mrs. Jones!”, mi sta dicendo col suo sguardo, ma non ho nulla da ribattere e non voglio guastarmi l’umore tornando alle sue smancerie di ieri con Taylor. Innocenti, peraltro.

«Devo andare, piccola. Taylor tornerà a prenderti e ti lascerà all’ufficio con Sawyer.»

«Solo alla porta.»

«Sì. Solo alla porta.» Alzo gli occhi al cielo: – D’accordo, concesso. Non voglio soffocarti. – «Stai attenta, però.»

Mi alzo, le afferro il mento e la bacio: «A più tardi, piccola.»

«Buona giornata in ufficio, caro» mi dice, mi giro e vedo uno dei suoi sguardi buffi e mi sciolgo.

Con il suo sorriso sbarazzino impresso negli occhi  me ne vado in ufficio. – Se solo penso a come stavo lunedì... No meglio non pensarci! – 

 

Appena entrato in ufficio, subito prima della riunione, le invio una mail.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 8.24

Oggetto: Capo

Buongiorno, Miss Steele,

volevo solo dirti grazie per il meraviglioso fine settimana nonostante il dramma.

Spero che non te ne andrai mai.

E volevo anche ricordarti che le notizie riguardo alla SIP devono rimanere segrete per quattro settimane.

Cancella questa mail non appena l’avrai letta

Tuo

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. & capo del

capo del tuo capo

 

Spero che non se ne vada e che resti con me. Non credo che sia affezionata ad un appartamento in cui ha vissuto qualche settimana, di cui una di merda.

La riunione dura venti minuti netti, il tempo tecnico di leggere e firmare, torno in ufficio prima dell’appuntamento seguente e trovo la sua mail.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 9.03

Oggetto: Prepotente

Caro Mr Grey,

mi stai chiedendo di venire a vivere da te? E, certo, ricordo che le prove delle tue memorabili doti di stalker non devono essere divulgate per altre quattro settimane. Devo fare l’assegno per Affrontiamolo Insieme e mandarlo a tuo padre? Per favore, non

cancellare questa mail. Per favore, rispondi.

TVB XXX

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Rispondo subito. Sì. Voglio che venga a vivere con me!

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 9.07

Oggetto: Prepotente? Io?

Sì. Per favore.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

– Ti sbrighi a rispondere, Ana? Ho un appuntamento alle 9,30 – penso, tamburellando le dita sulla scrivania. È una risposta importante.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 9.20

Oggetto: Flynnismo

Christian,

cos’è successo al “dobbiamo imparare a camminare prima di poter correre”?

Possiamo parlarne stasera, per favore?

Mi è stato chiesto di andare a un convegno a New York giovedì.

Significa stare fuori a dormire per una notte, mercoledì.

Volevo solo che tu lo sapessi.

A X

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– Cosa? Con chi??!!!?? – Una campanello d’allarme mi risuona in testa. No, non è un campanello, è una sirena della polizia!

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 9.21

Oggetto: COSA?

Sì. Parliamone stasera.

Andrai da sola?

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Meglio saperlo subito.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 9.30

Oggetto: Non urlare in lettere maiuscole il lunedì mattina!

Possiamo parlare anche di questo stasera?

A X

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– Non ha risposto – mi dico quando leggo la mail... e sono in ritardo. Sono atteso in sala riunioni. Prima chiamo per dire che ritarderò qualche minuto.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 9.35

Oggetto: Non mi hai ancora sentito urlare.

Dimmelo.

Se ci vai con quel depravato con cui lavori, allora la risposta è no,

dovrai passare sul mio cadavere.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

So che è così, lo so: la conosco. E conosco quel bastardo. Il cuore mi sprofonda nel petto. –  Merda… ma non si rende conto del pericolo che corre? –  Devo chiedere a Welch... deve indagare meglio... chiedere alle ragazze, così avrò le prove.

Davo andare alla riunione, chiedo la revisione di due punti così ho un po’ di tempo per tornare in ufficio e sapere che diavolo ha risposto.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 9.46

Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentita urlare

Sì. Devo andarci con Jack.

Voglio andarci. È un’opportunità interessante per me.

E non sono mai stata a New York.

Non fare una tempesta in un bicchiere d’acqua.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Cazzo, io la trituro! La lego. E non per piacere! 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 9.50

Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentito urlare

Anastasia,

non è per il fottuto bicchiere d’acqua che sono preoccupato.

La risposta è NO.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Devo tornare in riunione ma sono furioso. In meno di un’ora riesco a portare in porto la discussione, le modifiche e l’accettazione di un nuovo progetto da parte del consiglio di amministrazione della controllata. Anche io sono controllato perché in verità vorrei esplodere.

Torno nel mio ufficio e  leggo:

 

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 9.55

Oggetto: Cinquanta sfumature

Christian, cerca di stare calmo.

Io NON andrò a letto con Jack, non lo farei per tutto l’oro del mondo.

Io ti AMO. Ed è questo che succede quando le persone si amano.

Hanno FIDUCIA l’una nell’altra.

Non penso che tu FARAI L’AMORE, SCULACCERAI, SCOPERAI o

FRUSTERAI nessun altro. Ho FIDUCIA in te.

Per favore, usami la stessa GENTILEZZA.

Ana

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Esplodo!

– Cazzo, cazzo, cazzoooo!!!!! Il BlackBarry! Alle volte mi sembri deficiente, Ana! –

La chiamo.

«Ufficio di Jack Hyde, sono Ana Steele» rispondo.

«Vuoi per cortesia cancellare l’ultima mail che mi hai mandato e cercare di essere un po’ più discreta per quel che riguarda il linguaggio che usi dalla mail dell’ufficio? Te l’ho detto, il sistema è monitorato. Farò in modo di limitare i danni da qui» ringhio. Riattacco.

Chiamo Barney che esegue la “pulizia” nei server della SIP in un tempo che solo Bolt, sulla terra, è in grado di eguagliare.

Chiamo Roach.

«Nessun viaggio per assistenti, segretarie e collaboratori sarà più autorizzato durante il cambio di gestione, intesi?» ordino lapidario a Roach.

«Ok» risponde solo, sicuramente perplesso. Chiudo il telefono e mi squilla il BlackBerry. È lei.

«Cosa c’è?» grido al telefono.

«Andrò a New York, che ti piaccia o no» sibila.

«Non cont…» Riaggancia, interrompendomi a metà frase. «...tarci!» dico al ricevitore muto.

Vedo nero. E lei non andrà a New York

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 10.43

Oggetto: Che cosa hai fatto?

Per favore, dimmi che non interferirai con il mio lavoro.

Voglio davvero andare a quel convegno.

Non avrei dovuto chiedertelo.

Ho cancellato la mail offensiva.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– Non avresti dovuto chiedermelo?!? –  Non è questo il punto! Il punto è che quello vuole fotterti con le buone o con le cattive e ti controlla la posta: io lo so che è lui. – Io lo so che è lui, LO SO! Non ne ho le prove perché altrimenti te le avrei già sbattute in faccia e gli avrei fatto saltare il culo dal primo giorno, ma io LO SO! –

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 10.43

Oggetto: Che cosa hai fatto?

Sto solo proteggendo ciò che è mio.

La mail che mi hai mandato avventatamente ora è stata cancellata

dal server della SIP, così come le mie mail a te.

Si dà il caso che io mi fidi di te in modo assoluto. È di lui che non mi

fido.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Spero di essere stato chiaro.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 10.46

Oggetto: Cresci

Christian,

non ho bisogno di essere protetta dal mio capo.

Potrebbe anche farmi delle proposte, ma io gli direi di no.

Non puoi interferire. È sbagliato e prepotente sotto ogni punto di

vista.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– Cresci????!!! A me?!  Ma cresci tu! Cresci tu, che non ha mai visto un uomo in vita tua! Cresci tu, che non capisci che uno ti vuole fottere manco se te lo scrive per raccomandata! –

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 10.50

Oggetto: La risposta è NO Ana, ho visto quanto sei “efficace” nell’opporti alle attenzioni indesiderate.

Ricordo che è stato così che ho avuto il piacere di passare la mia prima notte con te. Perlomeno il fotografo prova dei sentimenti per te.

Il depravato, invece, no. È un cascamorto seriale, e cercherà di sedurti. Chiedigli che cos’è successo alla precedente assistente e a quella prima di lei.

Non voglio litigare su questo.

Se vuoi andare a New York, ti ci porterò io. Possiamo andarci questo

fine settimana. Ho un appartamento là.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Spero di essermi spiegato. Aspetto la sua risposta, aspetto venticinque preziosissimi minuti.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 11.15

Oggetto: FW appuntamento a pranzo o peso irritante

Christian, mentre eri impegnato a interferire con la mia carriera e a salvarti il culo per le mie mail imprudenti, ho ricevuto il seguente messaggio da Mrs. Lincoln. Davvero, io non ho voglia di incontrarla. E anche se l’avessi, non mi è permesso lasciare questo edificio. Come abbia

ottenuto il mio indirizzo di posta elettronica, non lo so. Che cosa mi

suggerisci di fare? Ecco qui sotto il suo messaggio:

 

Cara Anastasia,

mi piacerebbe davvero molto pranzare con te. Credo che siamo partite con il piede sbagliato, e vorrei raddrizzare le cose. Sei libera qualche volta in settimana?

Elena Lincoln

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– E questa che vuole ora? Non molla! Dopo che l’ha vista al salone non ha più mollato la presa. Perché diavolo le sta addosso? La festa a casa dei miei, la discussione nella sala da pranzo, il biglietto... e ora un bell’invito a pranzo... Elena cerca nuove amicizie? –  mi domando scettico. – Non sono stato abbastanza chiaro, al telefono? Ma la domanda giusta è: come cazzo ha fatto ad avere la sua mail? – Scaccio l’unica ipotesi che riesco a formulare perché è veramente troppo assurda e mi concentro su Anastasia: Ana è arrabbiata. Anche se sono più incazzato di lei, la capisco: non voglio diventare un peso così grave che le sia impossibile da sopportare. Non posso...

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 13 giugno 2011 11.23

Oggetto: Peso irritante

Non essere arrabbiata con me. Ho a cuore i tuoi migliori interessi.

Se ti succedesse qualcosa, non potrei mai perdonarmelo.

Penso io a Mrs. Lincoln.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 13 giugno 2011 11.32

Oggetto: Più tardi

Possiamo discuterne stasera, per favore?

Sto cercando di lavorare e le tue continue interferenze mi distraggono.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Sì, è incazzata. Non devo tirare troppo la corda con lei, se non voglio che si strappi.

 

Ore dodici e quaranta e ricevo una chiamata da Taylor. – Strano – penso.

«Dimmi» chiedo.

«Mi ha ordinato di avvisarla di qualsiasi movimento di Miss Steele, signore. Sawyer  l’ha seguita fuori dalla sede della SIP. Miss Steele si è recata ad acquistare il pranzo in una rosticceria e poi è rientrata in sede. Niente di anomalo da segnalare, Mr. Grey.»

«Grazie, Taylor.»

– Niente di anomalo tranne il fatto che mi ha promesso di non muoversi! – mi dico infuriato. La chiamo.

«Ufficio di Jack Hyde…» risponde. Tento di non focalizzare il fatto che provo un tuffo al cuore ogni volta che sento la sua voce.

E ci riesco, visto quanto sono incazzato.

«Mi avevi assicurato che non saresti uscita» la interrompo.

«Jack mi ha mandato a prendergli il pranzo. Non potevo dire di no. Mi stai facendo pedinare?» Per formulare l’ultima domanda Anastasia ha alzato la voce di due toni.

–  Non ti faccio pedinare, ti faccio proteggere: c’è una bella differenza! –

«Questo è il motivo per cui non volevo che tornassi a lavorare!» esclamo.

«Christian, per favore. Sei così…così soffocante.»

– Soffocante... –  Mi blocco ad analizzare quella parola... soffocante.... «Soffocante?» sussurro. Le sto troppo col fiato sul collo... potrebbe non accettarlo più... infondo è sempre stata libera...

«Sì. Devi smetterla. Te ne parlerò stasera. Sfortunatamente, devo fermarmi fino a tardi per lavorare, visto che non potrò andare a New York.»

«Anastasia, non voglio soffocarti» le dico pacato. Cerco di controllare la rabbia e l’apprensione: non voglio... non posso perderla.

«Be’, lo fai. Adesso devo lavorare. Ne parliamo più tardi.»

«Ciao» mormora.

«Ciao, quando finisci?» –  Il bastardo non la molla! Io devo fargli il culo, a questo. Possibile che Welch non abbia ancora trovato niente? –

«Per le sette e mezzo, credo.»

«Ci vediamo fuori.»

«Okay» dico calmo, più calmo possibile. In effetti la paura di perderla mi ha sedato immediatamente, lasciandomi nell’angoscia.

«Sono ancora arrabbiata con te, ma è tutto» sussurra.

«Abbiamo molto di cui parlare.»

«Lo so. Ci vediamo alle sette e mezzo. Devo andare. A dopo.» Riaggancia.

È arrabbiata... e soffocata.

E io sono preoccupato.. – A dopo, piccola. –

 

Resto in ufficio fino alle sette, sbrigo tutto quello che posso per l’indomani e mercoledì. Sono in tensione.

Alle sette e venti sono fuori dalla SIP.

– Figurati se il bastardo la molla prima! –

Piove. L’Audi è parcheggiata vicino al marciapiede e Taylor esce per aprirle la portiera.

Sono sul sedile posteriore e aspetto guardingo la sua reazione.

«Ciao» dice.

«Ciao» replico, cauto.

Allungo un braccio e le afferro la mano, stringendola forte. «Sei ancora arrabbiata?»

«Non lo so» mormora. Le sfioro le nocche con baci leggeri.

«È stata una giornata schifosa» dico.

«Sì, è vero.» Ma, per la prima volta da quando sono uscito per andare al lavoro stamattina, inizio a rilassarmi. Il solo fatto di essere in sua compagnia è un balsamo che mi calma.

Svanisce tutto. Ci siamo solo io e la mia monade impazzita, sul sedile posteriore della macchina.

«Va meglio, ora che sei qui» sussurro. Restiamo seduti in silenzio mentre Taylor si immette nel traffico serale.

Siamo entrambi taciturni e pensierosi.

Taylor si ferma fuori dall’Escala ed entrambi corriamo dentro l’edificio, per ripararci dalla pioggia.

La prendo per mano mentre aspettiamo l’ascensore e mi guardo intorno. – Chissà dov’è Leila. –

«Immagino che tu non abbia trovato Leila.» Oramai mi legge nel pensiero.

«No. Welch la sta ancora cercando» bofonchio scoraggiato.

L’ascensore arriva e noi entriamo nella cabina. La guardo: ha due occhioni immensi spalancati su di me. Oh, è splendida! E all’improvviso, proveniente da chissà dove, ecco quella sensazione. Il desiderio, la lussuria, l’elettricità. Se fosse visibile, sarebbe di un’aura azzurro intenso tutto intorno a noi. È così potente. Boccheggio. La guardo, la voglio.

«Lo senti?» chiedo senza fiato.

«Sì.»

«Oh, Ana» gemo e l’afferro, ne ho bisogno.  L’abbraccio, le afferro il viso con una mano per baciarla. Lei mi prende per i capelli, sa che può farlo, che mi piace e mi accarezza una guancia. La spingo contro la parete dell’ascensore.

«Odio litigare con te» le dico piano, contro la bocca. La anelo, la bramo.

Il desiderio mi esplode nel corpo, tutta la tensione della giornata esige uno sfogo. Anche lei si stringe a me, mi vuole con la stessa urgenza, il medesimo bisogno.

Lingue che si intrecciano, respiri che si fondono, mani che accarezzano e dolci, dolcissime sensazioni.  Arrivo alle sue gambe. «Mio Dio, indossi le autoreggenti.» Gemo in segno di apprezzamento mentre con il pollice le sfioro la pelle oltre l’elastico delle calze. «Voglio vederti» ansimo e le sollevo la gonna fin sopra i fianchi.

Faccio un passo indietro, premo il bottone di fermata e l’ascensore si arresta senza sobbalzi, fino a fermarsi tra il ventiduesimo e il ventitreesimo piano. La guardo. Sono eccitato.

«Sciogliti i capelli» le ordino. Alza le braccia e scioglie la coda, lasciando andare i capelli, che le ricadono come un nuvola morbida intorno alle spalle e sul seno. «Slacciati i primi due bottoni della camicetta.» Quasi non riesco a parlare tanto sono eccitato.

Obbedisce. Slaccia un bottone dopo l’altro con straziante lentezza, in modo da scoprire la parte superiore del seno.

Deglutisco. «Hai idea di quanto tu sia seducente in questo  momento?»

Si morde deliberatamente il labbro e scuote la testa.

Io chiudo gli occhi: – Lo sa! –  mi dico. – Me lo legge in faccia. –

Faccio un passo in avanti e la intrappolo mettendo le mani sulla parete dell’ascensore, ai due lati della sua testa.

Non la tocco, potrei cedere alle mie voglie, devo dominarla, guidarla, come ieri sera. Non sempre ci riesco. Solleva il viso per guardarmi negli occhi, poi distoglie lo sguardo, non riesce a sostenere il mio.

–  Bene! –  mi dico e mi chino a sfiorare il suo nasino con il mio. «Penso che tu lo sappia, Miss Steele. Penso che ti piaccia farmi impazzire.»

«Ti faccio impazzire?» sussurra. Sbarra gli occhi, sorpresa più dalle mie ammissioni che dai miei gesti, dai miei sguardi.

«In tutte le cose, Anastasia. Sei una sirena, una dea» le confesso.

Le afferro una gamba sopra al ginocchio e la sollevo sopra ai miei fianchi.  –  Ora glielo sbatto dentro, qui, in ascensore. Finalmente! –  Ma prima glielo faccio sentire,  duro ed eccitato appena sopra al suo inguine, e faccio scorrere la lingua giù per la gola.

Geme, si aggrappa a me: percepisco il suo bisogno.

«Sto per prenderti, lo sai?» le soffio all’orecchio. Per tutta risposta inarca la schiena premendosi contro di me.

–  Ok, piccola, va bene come risposta. – Gemo. La sollevo un poco per riuscire a slacciarmi i pantaloni e arrivare al preservativo.

«Tieniti forte, piccola» mormoro e le accosto la bustina alla bocca, io non riesco ad aprirla: lo fa lei, tirandola coi denti.

«Brava ragazza.» Mi scosto appena e me lo infilo più velocemente che posso. «Spero che tu non sia troppo affezionata a queste mutandine» e gliele strappo via con forza. Ansima.

Tutta l’angoscia della giornata è dimenticata. Siamo solo io e lei, a fare ciò che so - che sappiamo - fare meglio.

Senza togliere gli occhi dai suoi, lentamente, le entro dentro. –  Ecco il mio posto nel mondo! Mio, mio!  –

Il suo corpo si inarca. Butta indietro la testa e chiude gli occhi. Mi godo lo spettacolo di lei che gode di me. Arretro e mi spingo dentro, di nuovo. Di nuovo. Ancora.

Gemo. Geme.

«Sei mia, Anastasia» le ansimo sulla pelle, la mia bocca appoggiata contro la sua gola.

«Sì. Tua. Quando lo capirai?» mi spiega tra gli ansimi.

E io cedo: perdo il controllo e inizio a sbattere contro di lei, sempre più forte, non ho tempo e ho urgenza perché ormai ho capito che la mia rabbia può placarsi solo dentro di lei in un orgasmo, così lo cerco, in fretta per me e per lei.

Ana si arrende subito al mio ritmo forsennato, assaporando ogni spinta.

Penso vagamente a tutto il rumore dei colpi dei nostri corpi sbattuti contro la parete e che Taylor, sempre in allerta, ci sta sentendo.

«Oh, piccola» mormoro, e lei, al suono della mia voce viene. Sento la sua stretta e vengo anch’io. Si stringe forte a me.

«Oh, Ana, Ana, Ana, Ana, Ana, Ana,...»    

Appagato, calmo, finalmente sereno la bacio. Con le mie braccia la tengo in piedi contro la parete dell’ascensore, le nostre fronti sono l’una contro l’altra.

«Oh, Ana» mormoro. «Ho tanto bisogno di te.» Non posso fare a meno di dirglielo perché il mio è un bisogno viscerale, come quello di baciarla.  

«E io di te, Christian.»

La lascio, le tiro giù la gonna e le riallaccio i bottoncini della camicetta, poi digito la combinazione sulla tastiera e riavvio l’ascensore, che riprende a salire con uno scossone. Si aggrappa  alle mie braccia per non cadere.

«Taylor si domanderà dove siamo» le dico lascivo per metterla in imbarazzo. Mi scappa da ridere, vederla così a disagio: cerca disperatamente di sistemarsi i capelli, poi si arrende e li lega in una coda.

«Ce la farai» dico, trattenendo il riso. Tiro su la cerniera e m’infilo il preservativo in tasca.

Quando le porte si aprono, Taylor ci sta aspettando.                  

«Problemi con l’ascensore» mormoro a Taylor e noto divertito che Ana è corsa in  camera da letto rossa come al solito.

Quando riemerge, io sono seduto al bancone della cucina, a chiacchierare con Mrs. Jones.

«Buon appetito, Mr. Grey, Ana» dice Gail dopo averci serviti e ci lascia soli.

Prendo una bottiglia di vino bianco dal frigo e, ormai rilassato, le spiego quanti io sia vicino a perfezionare il telefono cellulare alimentato a energia solare. Sono eccitato per l’intero progetto e se non fossi stato così incazzato e preoccupato, oggi pomeriggio, mi sarei proprio goduto  le spiegazioni del mio staff.

Ana mi chiede di Aspen e di New York. E le spiego che oltre all’appartamento all’Escala non ho nient’altro, nessun’altra proprietà, neppure le sedi degli uffici.

Però adesso ho in mente un altro acquisto...

Quando abbiamo finito, Ana sparecchia e mette i piatti nel lavello.

«Lascia tutto lì. Ci penserà Gail» dico. «Bene, ora che sei più docile, Miss Steele, possiamo parlare di oggi?»

«Penso che sia tu quello più docile. Sto facendo un ottimo lavoro per domarti, credo.»

«Domare me?» sogghigno, divertito.

Annuisce.

La guardo stupito,  riflettendo sulle sue parole. «Sì. Può essere, Anastasia.» Sorrido.

Lei invece muta espressione. «Avevi ragione su Jack» mormora seria, cambiando discorso.

Sono diventato improvvisamente di marmo. «Ha provato a fare qualcosa?» sussurro, la mia voce è glaciale. “Io” sono di ghiaccio.

Scuote la testa decisa. «No. E non ci proverà, Christian. Oggi gli ho detto che sono la tua fidanzata e lui ha fatto retromarcia.»

«Sei sicura? Posso licenziare quel bastardo» dico con tutta la mia rabbia.

Sospira. «Devi davvero lasciarmi combattere le mie battaglie. Non puoi costantemente anticipare le mie mosse e cercare di proteggermi. È soffocante, Christian. Non crescerò mai se continui a interferire. Ho bisogno di un po’ di libertà. Io non mi sognerei mai di immischiarmi nei tuoi affari.»

«Voglio solo che tu sia al sicuro, Anastasia. Se dovesse succederti qualcosa, io…» Mi fermo, annientato dal terrore.

«Lo so. Capisco perché ti senti così portato a difendermi e una parte di me lo apprezza. So che, se avessi bisogno di te, tu ci saresti, così come io ci sarei per te. Ma se vogliamo avere qualche speranza di un futuro insieme, devi fidarti di me e del mio giudizio. Sì, ogni tanto sbaglio, commetto errori, ma devo imparare.»

La guardo, lei gira intorno al bancone per venire da me, mi prende le braccia e se le avvolge intorno alla vita, poi appoggia le mani sui suoi

avambracci.

«Non puoi interferire con il mio lavoro. È sbagliato» cerca di spiegarmi come fossi un bambino. «Non ho bisogno che tu parta alla carica come un cavaliere sul suo cavallo bianco per salvarmi ogni giorno. So che vorresti avere tutto sotto controllo, e ne capisco il perché, vorresti avere tutto sotto controllo, e ne capisco il perché, ma non puoi. È un obiettivo impossibile… Devi imparare a lasciar andare.» Alza una mano e mi accarezza il viso.  «E se riuscirai a farlo, io mi trasferirò da te» aggiunge dolcemente.

Inspiro, finalmente soddisfatto. «Davvero?» chiedo per conferma.

«Sì.»

«Ma non mi conosci» balbetto. Questa ammissione mi esce così, senza sapere perché. Dovrei cogliere al volo l’occasione invece le instillo il dubbio. Lei mi conosce, meglio di chiunque, ma non conosce una cosa... la peggiore. E io so, SO che lei... che una come lei... che nessuno... tantomeno una pura come lei... potrà... potrà... sì... potrà accettare. Accettarmi.

«Ti conosco abbastanza, Christian. Niente di quello che potrai dirmi su di te mi spaventerà tanto da farmi scappare» dice decisa e mi accarezza sulla guancia con le nocche.

Serro la bocca per trattenere il dubbio.

No, non è un dubbio, il mio: è una certezza.  

«Se solo potessi essere un po’ più tollerante con me…» mi supplica.

Tollerante? – Io sono tollerante, tollero ogni cosa, ogni cosa... tranne due: mettere a repentaglio la tua sicurezza, piccola, e perderti... –  «Ci sto provando, Anastasia» le dico. «Non potevo starmene zitto e lasciarti andare a New York con quel… quel depravato. Ha una reputazione terribile. Nessuna delle sue assistenti è rimasta per più di tre mesi, né è stata confermata dall’azienda. Non voglio questo per te, piccola.» Sospiro.

So perfettamente che se quel maniaco si limiterà a provarci, Ana lo rimetterà al suo posto. Ma io SO che non si limiterà, l’ha assunta apposta. L’ha assunta per scoparsela con le buone oppure... E “oppure” non è contemplato nel mio mondo quasi perfetto che sto costruendo con lei.  «Non voglio che ti capiti niente. Se ti succedesse qualcosa di male… Il solo pensiero mi riempie di paura. Non posso prometterti di non interferire. Non se penserò che potresti farti del male.» Mi fermo a prender fiato e glielo dico, glielo dico ancora, perché forse non ha capito, non ha capito bene: «Io ti amo, Anastasia. Farò qualsiasi cosa in mio potere per proteggerti. Non posso immaginare la mia vita senza di te.» Ecco! Ho detto tutto, non mi piace ripetermi.

Mi guarda ad occhi sgranati. Imbambolata.

«Ti amo anch’io.» Si protende verso di me e mi bacia.

Non resisto, m’infiammo e rispondo al suo bacio.

Taylor, che è entrato nella stanza senza essere visto, si schiarisce la gola.

– Cazzo, Jason, tutte le volte? – Mi stacco dal bacio ma non da lei, non voglio lasciarla e la trattengo per la vita.

«Sì?» dico rivolto a Taylor.

«Mrs. Lincoln sta salendo, signore.»

«Cosa?» Taylor si stringe nelle spalle, a mo’ di scuse.

– Elena? Qui? Di lunedì? Che cazzo vuole? Ma che cazzo vuoleeeee! Ho visto giusto: mi sta col fiato sul collo, ma perché? Sentiamo che cazzo vuole..._

– Sospiro pesantemente e scuoto la testa. «Be’, questo sarà interessante» mormoro rassegnato. 


CAPITOLO 14


«Hai parlato con lei oggi?» mi chiede Ana mentre aspettiamo Elena.

«Sì.»

«Che cosa le hai detto?»

«Le ho spiegato che non vuoi vederla e che capivo le tue ragioni. Le ho detto anche che non apprezzavo il suo agire alle mie spalle.»

Veramente le ho detto tutte queste belle cose in segreteria perché aveva il telefono non raggiungibile. E la cosa mi ha stupito. Non voleva parlare con me.

Adesso evidentemente sì.

Perché?

«E lei cos’ha risposto?»

«Ha liquidato il tutto come solo Elena sa fare.» Tiro fuori un sorriso sghembo, intanto cerco una spiegazione.

«Perché pensi che sia venuta?»

«Non ne ho idea.» Mi stringo nelle spalle. – Ha qualcosa in mente, non so cosa... ma la conosco bene, sta macinando qualcosa. Tutto sta a capire cosa: probabilmente teme che per via di Ana mi ritiri dal nostro business. Questo spiegherebbe la necessità di  parlarle senza di me. –

Taylor entra nel salone. «Mrs. Lincoln» annuncia.

– Ed eccola qui…  Però! Si è messa in tiro. Look un po’ più “sportivo” del solito... un po’ più giovane – noto. – È sempre una gran bella donna –  mi dico e non ha perso neppure un’oncia del suo smalto.

Attiro Ana a me.

La mia ragazza si è irrigidita ed è guardinga. Credo proprio che sia in ebollizione, proprio ora che ero riuscito a farle passare l’incazzatura... Non ci voleva.

«Elena» la saluto. Sono stupito dal suo contegno: la faccia che fa quando vede Ana è tutta un programma. È sbiancata. Sbatte le palpebre per metterla a fuoco, sembra sconvolta.

«Mi dispiace. Non sapevo che avessi compagnia, Christian. È lunedì» dice, quando riesce a trovare la voce, come se questo spiegasse perché è qui.

«La mia fidanzata» ribatto. Spero che capisca, una buona volta.

Le sorrido.

Sul viso di Elena si apre, lentamente, un luminoso sorriso che rivolge a me in esclusiva. «Certo. Ciao, Anastasia. Non sapevo che fossi qui. So che non vuoi parlare con me. Va bene.»

– Ha sentito il mio messaggio –  mi dico.

«Davvero?» chiede Anastasia con calma, la guarda fissa. Decisa. Mi stupisce il suo contegno, il suo piglio deciso.

Stasera sono un uomo molto stupito.

«Sì, ho afferrato il messaggio. Non sono qui per vedere te. Come ho detto, Christian di rado ha compagnia durante la settimana.» Fa una pausa. «Ho un problema e ho bisogno di parlarne con lui.»

«Oh!» Raddrizzo la schiena. «Vuoi qualcosa da bere?»

«Sì, grazie» risponde lei.

Vado a prendere un bicchiere, mentre Elena e Ana si scrutano. Alla fine Elena si avvicina al bancone della cucina, per sedersi su uno degli sgabelli. Anche Ana si siede, sul mio.

Verso da bere, sono o non sono un perfetto padrone di casa? Lievemente sulle spine ma pur sempre perfetto.

«Cosa succede?» chiedo, sono curioso di vedere che cosa Elena estrarrà dal suo cilindro.

Elena guarda Ana, vorrebbe che se ne andasse.

Io no.

Non sono minimamente preoccupato che Elena possa riferire ad Ana del nostro “fortuito incontro” di lunedì, primo perché gliel’ho ribadito in segreteria, secondo perché Elena desidera più di me mantenere il riserbo sulle sue “abitudini”, ne andrebbe di mezzo la sua reputazione e comprometterebbe irrimediabilmente i suoi affari con ripercussioni devastanti sul suo stile di vita. È stata lei ad inculcarmi l’ossessione per la privacy.

«Anastasia sta con me, adesso» dico per spiegare una volta per tutte ad Elena che tipo di rapporto io abbia con Miss Steele.

Voglio anche rassicurare Ana.

I lineamenti di Elena si addolciscono, è felice per me.

Davvero felice.

Io so che mi vuole bene.

Lei fa un profondo respiro e si muove sullo sgabello, restando appollaiata sul bordo, con l’aria agitata. Si guarda le mani ansiosa e inizia a girarsi maniacalmente intorno al dito un grosso anello d’argento.

Che cosa le succede?

Lei alza la testa e mi guarda direttamente negli occhi.

«Qualcuno mi sta ricattando.»

–  Cosaaa!!! –

«Come?» chiedo, sono davvero spaventato. Potrebbe essere chiunque. Potrebbe volere qualsiasi cosa.   

Elena fruga nella sua borsa, tira fuori un biglietto e me lo passa.

«Appoggialo lì e aprilo.» Le indico il bancone con il mento.

«Non vuoi toccarlo?»

– Col cazzo che lo tocco, se va in mano alla scientifica, incolpano me! – «No. Impronte digitali» le spiego.

«Christian, sai che non posso andare con questo dalla polizia.»

– Ora no. Ma a seconda di quale piega prenderà la faccenda sarà inevitabile. –  C’è qualcosa che mi puzza.

Mi mette il biglietto davanti e io mi chino per leggerlo.

È un mezzo foglio ripiegato in quattro scritto al computer con carattere anonimo.

“SO COSA TI PIACE FARE SE NON VUOI CHE LO SAPPIA TUTTA SEATTLE TROVA 5OOO $ TI DIRÒ IO COME E QUANDO”

«Chiedono solo cinquemila dollari» noto.

Sembra più una minaccia che un ricatto, un modo per spaventarla.

– Linc! – penso immediatamente.

«Qualche idea su chi possa essere? Qualcuno della comunità?» chiedo ma io un’idea ce l’ho: Linc!

«No» risponde lei con la sua voce dolce e vellutata.

«Linc?» chiedo, casomai non ci avesse pensato.

«Cosa…? Dopo tutto questo tempo? Non credo» brontola lei.

Il grandissimo bastardo è come una delle sue sequoie, non dimentica e ingloba negli anelli del suo tronco!

«E Isaac lo sa?» domando.

«Non gliel’ho detto.»

Perché viene da me prima di dirlo al suo schiavetto? Isaac dovrebbe saperlo subito, io vorrei essere informato.

«Credo che dovrebbe saperlo» dico.

Elena scuote la testa.

–  Perché no? – Io sento odore di bruciato.

Stringo la mano di Anastasia, non voglio che tutta questa merda la sfiori, eppure ce la sto trascinando dentro. – Cazzo, io voglio uscirne! –  mi dico.

Ana cerca di liberarsi dalla mia stretta ma io stringo più forte, non la lascio. Non la lascio! Insiste. Mi volto per guardarla. «Cosa c’è?» chiedo.

«Sono stanca. Credo che andrò a letto.»

Vuole andare via.

Non posso biasimarla ma non voglio che mi lasci...

«...Okay» dico, alla fine. «Non ci metterò molto.»

La lascio andare, lei si alza e Elena la saluta.

«Buonanotte, Anastasia.» Elena le fa un piccolo sorriso.

«Buonanotte» mormora Ana e la sua voce è fredda. Percepisco il suo biasimo.

«Non penso che ci sia molto che posso fare, Elena» riprendo il discorso, mentre Ana esce. «Se è una questione di denaro…»

Sa che non ci sono problemi se è solo una questione di denaro.

Perché non hanno messo di mezzo me? Potevano chiedere il denaro direttamente a me: la risposta è semplice, io non c’entro, non sanno di me. Questo escluderebbe Linc.

È possibile che sia qualche lavorante che ha scoperto qualcosa... «Potrei chiedere a Welch di investigare» propongo. Mi sembra la cosa più intelligente: se è qualcuno del suo staff lui lo scopre subito, meglio sapere se si ha una serpe in seno. Questo spiegherebbe come mai non fanno il mio nome.

Sì, deve essere qualcuno dello staff altrimenti, se fosse stato uno del giro, avrebbe messo di mezzo anche me: sicuro!

«No, Christian, volevo solo che tu ne fossi al corrente» ribatte lei.

– Io?!? Perché io? Non si parla di me! Se sapessero di me avrebbero sparato una cifra più alta. –  mi ripeto forte e chiaro.

Lei mi guarda e mi scruta. Vorrebbe dire qualcosa... «Mi sembri molto felice» dice alla fine. Mi guarda in modo strano, non so se ne sia entusiasta, avrà paura che si perda qualcosa fra noi.

«Lo sono» confermo.

«Te lo meriti.»

«Mi piacerebbe che fosse vero.»

«Christian» mi rimprovera. «Lei sa quanto sei negativo verso te stesso? Riguardo a tutti i tuoi problemi?»

Mi viene da sorridere pensando agli interrogatori di Ana. «Mi conosce meglio di chiunque altro.»

«Ahi! Questo fa male.»

«È la verità, Elena. Non devo fare giochetti con lei. Lasciala in pace, dico sul serio.»

«Qual è il suo problema?»

«Tu… Quello che tu e io siamo stati. Ciò che abbiamo fatto. Lei non capisce.»

«E tu faglielo capire.»

– Che cosa le dovrei far capire? Sono io che non capisco, non capisco più! Dovrei farle capire che cazzo passa nella testa di Leila? Magari se diventa come lei poi capisce! –

«È il passato, Elena. Perché dovrei guastare ciò che prova per me raccontandole della nostra relazione malata? – Sì, era una fottuta relazione ma-la-ta! Va bene, sì, lo ammetto. – «Ana è buona, dolce e innocente, e per qualche strano miracolo mi ama.»

«Non è un miracolo, Christian» mi prende benevolmente in giro. «Abbi un po’ di fiducia in te stesso. Sei un buon partito. Te l’ho detto e ripetuto. E anche lei mi sembra adorabile, forte, capace di tenerti testa.»

–  Che fine che sei, Elena! Un bel giro di parole per dirmi che Ana vuol succhiarmi il cervello e il portafoglio. Per il cervello, concordo, sta facendo un ottimo lavoro, ma sui soldi, no cara, non mi sbaglio, sbagli tu! –

«Sì, mi tiene testa...»

«...e non è facile» conclude la frase per me. «Non ti manca?» continua Elena.

«Cosa?»

«La tua stanza dei giochi.»

Ripenso ai morsi di venerdì, alle sculacciate di sabato, alle righellate di ieri sera e rispondo deciso: «Questi non sono davvero affari tuoi.» Certo che tutta l’ambientazione, legarla con qualche metro di corda, accarezzarla a colpi di flagellatore ha indubbie attrattive, anche se, in effetti sono stordito da tutto questo sesso... drogato direi... ne voglio sempre di più… nella stanza dei giochi, nel mio letto, in ascensore... anche adesso, se solo non fosse arrivata Elena a finire di rovinarmi la giornata e a guastarmi di nuovo l’umore.

«Mi dispiace» sbuffa Elena, ma non è sincera.

«Penso che sia meglio che tu vada. E, per favore, la prossima volta chiama prima di venire qui.»

«Christian, mi dispiace» ripete lei e, a giudicare dal suo tono, questa volta lo pensa davvero. «Da quando sei così sensibile?»

– Ma cosa vuole? Prima dice che sono troppo negativo, ora che sono sensibile, ma cosa vuole? Ma sa chi sono? Mi sa che non mi conosce così bene come crede. O sono io che non conosco lei! Elena mi vuole “dentro” la stanza rossa, a tutti i costi! Perché le dà fastidio se ne esco? Pensa ancora di potermi dominare? Mi sa che non ha capito un bel niente! –

«Elena, tu e io abbiamo un rapporto d’affari che ha portato a entrambi enorme profitto. Lasciamo le cose come stanno. Quello che c’è stato tra noi appartiene al passato. Anastasia è il mio futuro e non voglio compromettere la nostra relazione in nessun modo, perciò basta con queste stronzate.»

«Capisco.»

«Senti, mi dispiace per il tuo problema. Forse dovresti affrontare la cosa e smascherare il loro gioco.» Mi raddolcisco, mi dispiace se ha un problema e questo è qualcosa di più di un problema, però io non mi faccio incantare da queste stronzate: le grane vanno risolte.

«Non voglio perderti, Christian.»

– Perdermi? –  Pensa di possedermi?

«Non sono tuo, perciò non puoi perdermi, Elena» ribatto.

«Non è quello che intendevo.»

«E cosa intendevi?» Ora sono brusco, oserei dire arrabbiato.

«Senti, non voglio discutere con te. La tua amicizia significa moltissimo per me. Starò lontana da Anastasia. Ma sono qui, se hai bisogno di me. Ci sarò sempre.» Ecco la frase regina delle banalità, Elena è tornata su un terreno sicuro.

Non troppo sicuro... io non capisco questo suo interesse, non capisco i suoi giochetti. Non ha detto ad Anastasia di lunedì ma le ha detto che ci siamo visti sabato... che sono andato da lei... Vuole dimostrare a Ana che lei mi è indispensabile? Perché?

Devo sapere.

 «Anastasia pensa che tu mi abbia incontrato sabato scorso. Mi hai chiamato, tutto qui.» – E io figurati se rispondevo proprio a te, già ho fatto uno sforzo enorme a mandarti due messaggi! – «Perché le hai detto una cosa diversa?»

«Volevo che sapesse quanto ti ha ferito quando se n’è andata. Non voglio che ti faccia del male.»

Ok, è la risposta che mi aspettavo: pensa di essere mia madre.

«Lo sa. Gliel’ho detto io. Smettila di interferire. Davvero, ti stai comportando come una madre iperprotettiva» dico rassegnato ed Elena ride, ma c’è una certa tristezza nella sua risata.

«Lo so. Mi dispiace. Sai che tengo a te. Non avrei mai pensato che ti saresti innamorato, Christian. È molto gratificante vederlo. Ma non potrei tollerare che lei ti facesse del male.»

– Non avresti pensato che mi sarei innamorato???!!! Perché? Sono solo un sadico fottuto e senza un cuore, per questo? –  mi chiedo, incazzato. – O forse perché pensi di avermi insegnato bene? – Sento lo stomaco contrarsi. – “L’amore non esiste, è solo denaro colorato di rosa, il sesso è meglio, il sesso è potere e dominio”: tutte le stronzate da epicureo di bassa lega di Linc, che per voi hanno funzionato di merda. –

E anche per me era giusto... prima.

Ma dovevo saperlo che Elena sparava un mucchio di cazzate, ne avevo un esempio in casa, sotto gli occhi tutti i giorni: mio padre e mia madre sono amore allo stato puro.

Io invece mi sono bevuto tutte le cazzate di Elena per paura di soffrire, mi faceva comodo.

Ora non più... «Correrò il rischio» dico secco e taglio corto perché ne ho abbastanza. «Ora, sei sicura di non volere che Welch faccia qualche indagine?»

Lei sospira pesantemente. «Immagino che non sarebbe una cattiva idea.»

«Okay. Lo chiamo domattina.»

Mi spiega ancora due cose di contabilità e mi saluta.

«Grazie, Christian. E mi dispiace. Non volevo essere invadente. Vado. La prossima volta chiamerò.»

– Brava! Non volevi essere invadente ma lo sei stata. E molto. Questa non è casa tua, anche se lo pensi. –

«Bene.»

L’accompagno. Aspetto l’ascensore, la bacio. Ha indossato il profumo che metteva quando abbiamo cominciato... non posso scordarmi quell’odore, mi ricorda il sesso e il dolore, un connubio che per me è come “veleno”.

«Se n’è andata» dico guardingo ad Ana che mi aspetta in camera. Le lancio un’occhiata furtiva per spiare la sua reazione, ma lei rimane seduta immobile sul letto.

Mi guarda poi spara: «Mi dirai tutto? Sto cercando di capire perché pensi che lei ti abbia aiutato.» Si ferma, riflette poi riprende: «Io la detesto, Christian. Penso che ti abbia causato danni incalcolabili. Tu non hai amici. Li ha tenuti lei lontano da te?»

Sospiro e mi passo una mano tra i capelli. – Ma che cazzo vuoi anche tu?! – «Perché cazzo vuoi sapere di lei? Abbiamo avuto una relazione molto lunga, spesso mi faceva uscire di testa, e l’ho scopata in modi che non riusciresti nemmeno a immaginare. Fine della storia.»

Mi passano davanti, una dopo l’atra, infinite scene che nemmeno nei porno più splatter avrebbero il coraggio di inscenare. Cazzo se c’è andata giù pesante! Con me e con quelle che usava per farmi divertire, verso la fine. Per insegnarmi.

Se penso che lei lo ha imparato da Linc e che l’ho visto all’opera...

Beh, sono riuscito a far di meglio... anzi, di peggio... anche io sono come lui, un fottuto sadico bastardo... e anche Elena, a modo suo, non scherza...

– Col cazzo che ti lascio nelle loro mani, Anastasia! –

Ana mi guada e impallidisce. Fa bene ad impallidire.

«Perché sei così infuriato?»

– Perché mi stai rompendo i coglioni anche tu: non è chiaro?!? –  Invece dico: «Perché tutta questa merda è finita!» Anzi, lo grido.

La guardo con astio. Sospiro esasperato, non ce l’ho con lei.  

Sbianca di più. Abbassa gli occhi e si guarda le dita incrociate in grembo.

– Meglio che tu non capisca. –

Mi seggo accanto a lei. «Che cosa vuoi sapere?» le chiedo, intanto so che non si fermerà.

«Non devi dirmelo per forza. Non voglio essere invadente.»

– Piccola, tu SEI invadente, e io voglio farmi invadere. Mi sono arreso alla tua invasione, voglio essere occupato! – mi dico, ormai arreso. «Anastasia, non si tratta di questo. Non mi piace parlare di questa merda. Ho vissuto in una bolla per anni, senza che niente mi toccasse e senza dovermi giustificare con nessuno. Lei è sempre stata qui, come mia confidente. E ora il mio passato e il mio futuro sono in collisione, in un modo che non avrei mai pensato possibile.» La guardo che mi fissa con i suoi occhioni sgranati. «Non avrei mai pensato di avere un futuro con nessuno, Anastasia. Tu mi hai dato la speranza e mi hai fatto pensare a tutte le possibilità che ho» continuo.

«Ho ascoltato» mi confessa e torna a fissarsi le mani.

«Che cosa? La nostra conversazione?»

«Sì.»

«E allora?» domando, rassegnato.

«Lei ci tiene a te.»

«Sì, ci tiene. E io, a modo mio, ci tengo a lei. Ma non si avvicina neanche un po’ a quello che sento per te, se è di questo che stiamo parlando.»

«Non sono gelosa.»

–  Ah, no? – 

«Tu non la ami» mormora.

Sospiro, sono furioso e non so neppure perché. «Molto tempo fa pensavo di amarla» dico a denti stretti.

Quando ero molto giovane ne ero certo, avrei fatto di tutto per stare con lei, avrei voluto che lasciasse Linc per mettersi con me, con un ragazzino di sedici anni...

Che cretino!

Ma ci ha pensato lei ha rimettere le cose a posto, anzi ci ha pensato Linc a spiegarmi bene che cos’ero e a che cosa servivo...

«Quando eravamo in Georgia… hai detto che non l’amavi.» Ana interrompe i miei ricordi con uno dei suoi attacchi da inquisitore.

«È vero… Amavo te allora, Anastasia» le sussurro. – Non potevo dire che avevo amato Mrs. Robinson perché paragonato a ciò che già sentivo per te non era nulla. – «Sei l’unica persona per vedere la quale mi sono fatto un viaggio di cinquemila chilometri. I sentimenti che nutro per te sono molto diversi da qualsiasi cosa io possa aver mai provato per Elena» cerco di spiegarle. – Per chiunque, in verità. –

«Quando l’hai scoperto?»

– Quando l’ho sentito, quando l’ho scoperto o quando l’ho ammesso a me stesso? – Mi stringo nelle spalle. «Per ironia della sorte, è stata Elena a farmelo notare.» Ero completamente fuori di me, in quei giorni. – Non riuscivo a capire il perché fossi tanto furioso per via del tuo viaggio a Savannah, non ci vedevo niente di male, ma... Poi quando non c’eri... mi mancava l’aria. Non so se Elena mi abbia consigliato di raggiungerti perché si è accorta che ero preso oppure perché sperava che tu ti saresti spaventata nel vedermi comparire in Georgia. Se tu eri andata via per mettere un po’ di distanza fra di noi, come le avevo riferito, quello era l’esito scontato, tu impaurita dalla mia pressione avresti mollato tutto. –  Questo pensiero mi incupisce. «Mi ha incoraggiato a venire in Georgia.»

Ana mi fissa con uni sguardo vuoto. Scuote la testa.

«Perciò la desideravi? Quando eri più giovane» afferma.

«Sì.» Certo, come avrebbe potuto essere altrimenti? «Ho imparato tantissimo da lei. Mi ha insegnato a credere in me stesso.»

«Ma ti ha anche picchiato selvaggiamente.»

Sorrido al ricordo. «Sì, lo ha fatto.»

«E a te piaceva?»

«All’epoca sì.»

«Così tanto da farti desiderare di farlo ad altri?»

«Sì.»

«E ti ha aiutato a farlo?» – Ha capito! – mi dico. –  Ha capito tutto. –

«Sì.»

«Si è sottomessa a te?»

«Sì.»

«E ti aspetti che lei mi piaccia?» La sua voce suona fredda e amara.

«No. Anche se renderebbe la mia vita dannatamente più semplice» rispondo stancamente. «Comprendo la tua reticenza.»

«Reticenza! Accidenti, Christian, se si fosse trattato di tuo figlio, come ti sentiresti?»

Figlio? Io non ho un figlio, io non sono un figlio, sono quanto di più lontano possa esserci da un figlio!!!!

– È questo il punto, Anastasia, questo! Io non so cosa sia un figlio! Io non sono un figlio! Chi vorrebbe un figlio come me?  Io non voglio un figlio! Chi vorrebbe un figlio con me?  Sarebbe pura follia! – 

«Non ero costretto a stare con lei. È stata una mia scelta, Anastasia» mormoro, accantonando l’altro pensiero.

Questa discussione non ci porta da nessuna parte.

Infatti cambia discorso: «Chi è Linc?» chiede.

– Chi è Linc? Quanto tempo abbiamo? Perché non so se basta una notte per spiegarti chi è Linc. – «Il suo ex marito» riassumo.

«Lincoln, il magnate del legno?»

– Oh yeah! – «Lui.» Sorrido con malizia.

«E Isaac?»

«Il suo attuale sottomesso.» Ana sbarra gli occhi e apre la bocca disgustata. «Ha più di venticinque anni, Anastasia… È adulto e consenziente» mi affretto a spiegare.

«La tua età» osserva lei.

 –  Beh, in effetti un po’ mi somiglia... –

«Guarda, Anastasia, come ho detto anche a lei, Elena fa parte del mio passato. Tu sei il mio futuro. Non lasciare che lei si metta tra noi. E poi, francamente, quest’argomento mi sta stancando. Vado a lavorare un po’.» Mi alzo, ne ho abbastanza e poi devo lavorare. «Lascia perdere, per favore» tronco il discorso anche se lei mi fissa ostinata. «Oh, quasi mi dimenticavo» aggiungo. – Ora ti distraggo! – «La tua macchina è arrivata con un giorno di anticipo. È nel garage. Taylor ha la chiave.»

«Posso guidarla domani?»

«No.»

«Perché no?»

«Lo sai perché no. E questo mi ricorda una cosa: se devi uscire dal tuo ufficio, fammelo sapere. Sawyer era là, a controllarti. Sembra proprio che io non possa fidarmi di te» la rimprovero come una bambina colta in fallo.

«Sembra che nemmeno io possa fidarmi di te» mormora. «Avresti potuto dirmi che Sawyer mi teneva d’occhio.»

«Vuoi litigare anche su questo?» ribatto. – Vuole davvero farmi incazzare. –

«Non sapevo che stessimo litigando. Pensavo che stessimo comunicando» borbotta infastidita.

Cerco di arginare la rabbia e non ribattere.  «Devo lavorare» dico con tutta la calma che possiedo.

Vado nel mio studio e scambio qualche mail con la sede di Tokyo. Il lavoro mi rilassa un po’ e vorrei sapere se anche lei è più tranquilla. Sono già in crisi di astinenza.

Vado in camera e non la trovo. Ho un tuffo al cuore. – Se ne è andata! –  È sempre il mio primo pensiero, ma è assurdo, non può uscire. Vado a cercarla.

Alla sala TV non ci penso proprio e vado spedito in biblioteca.

Infatti.

– Si è addormentata col libro in mano – sorrido guardando questa piccola sirena avvolta in una nuvola di seta rosa, sdraiata sulla poltrona.

La prendo in braccio e lei si sveglia di soprassalto.

«Ehi,» mormoro, «ti sei addormentata. Non riuscivo a trovarti.» Le annuso i capelli e m’inebrio del suo profumo angelico. Assonnata, mi mette le braccia al collo e sospira.

La porto in camera e la metto a letto.

«Dormi, piccola» sussurro e le bacio la fronte.

 

Ho finito di sbrigare tutto quello che potevo sbrigare da casa a quest’ora.

Sono agitato.

Vado nel salone, metto la sordina e comincio a suonare per arginare i ricordi, i pensieri.

Leila.

Elena.

Meglio che suoni altrimenti vado di là e la trascino di sopra nella stanza dei giochi. Vorrei sfogarmi. Non posso farlo su di lei.

Le farei male.

Elena mi sta col fiato sul collo, non capisco perché... C’è qualcosa che non quadra...

Solo cinquemila dollari...

Chi ha bisogno di una cifra così esigua?

Uno dei lavoranti...

Oppure è una scusa per spaventarla, allora potrebbe essere anche Linc.

Su di lei si è già vendicato picchiandola selvaggiamente: uno come Linc non può accettare che la sua sottomessa si voti ad un altro Dominatore, specie a un ex-schiavo.

Non è stato per i soldi, no: non tollerava l’idea che Elena sfuggisse al suo controllo.

Le ha concesso di svagarsi con me così poteva divertirsi liberamente con le altre, al club. E com’era compiaciuto, durante i festini, nel vedere come sua moglie avesse imparato bene.

A pensarci mi ribolle ancora il sangue, ma ero troppo giovane, troppo preso dal gioco, troppo desideroso di compiacere Elena per rendermi conto di che gran bastardo fosse.

Faceva l’amicone con mio padre poi, la volta dopo, rideva delle trovate di Elena per tormentarmi davanti a tutti.

Ma io lo sapevo che se non li avessi fatti divertire se la sarebbe presa con lei... e non c’erano safeword...

Per questo Ana non può capire... lei ha aiutato me... io ho aiutato lei... era reciproco. Finalmente ero indispensabile a qualcuno...

E poi mi piaceva: è inutile negare. E mi piace ancora. Quando hai passato una certa soglia... è impossibile tornare indietro.

Linc è un gran sadico fottuto, non c’è dubbio... e io sono come lui. Meno violento ma non meno perverso.

La ciliegina sulla torta è stato il contratto prematrimoniale. L’ha lasciata mezza morta e senza un soldo, quasi... senza un soldo, il gran bastardo. Due milioni di dollari, anzi, un milione e novecento perché cento li aveva dati a me. Noccioline, per uno come lui... per uno come me.

Lo so, io lo so che non vede l’ora di vendicarsi di me, ma non può sputtanarmi senza sputtanare anche se stesso. Scoperchierebbe un vaso di liquame che inzozzerebbe lui per primo. È lui il socio di McGrath, per cui addio club, addio giochetti: finirebbe in galera, perché se è vero che ero consenziente, ero pur sempre minorenne quando ho cominciato con Elena. Linc non solo era compiacente, ma alle feste era anche presente. E ci sono foto compromettenti.

No, non può sputtanarmi: mio padre lo distruggerebbe... e addio festini con tutte le schiavette, ma io lo so che non è finita e mi sta aspettando al varco.

Però io sono pronto.

– Vuoi fottermi, Linc? E invece io fotterò te! È già tutto pronto da un pezzo, devi solo provarci... –

Io sono inattaccabile perché non può attaccare la mia famiglia, la famiglia dei suoi amici... è troppo affezionato a mio padre e a mia madre.

Lui odia me, non i miei e io sono inattaccabile perché non ho nessun tallone di Achille, oltre a loro. Sono solo.

Solo...

...ERO...solo...

Una nuova consapevolezza mi inonda di terrore.

– Cazzo! Questa non ci voleva! – Ora se lo scopre, può colpire lei... per colpire me!

Voglio Sawyer su di lei... anche dopo che avremo trovato Leila.

Mi agito sul sedile e prendo a suonare con più vigore, più intensamente. Ripenso a Linc e al fatto che potrebbe arrivare a Ana... però sono quasi certo che con il ricatto Linc non c’entra.

– No, Linc è un vero bastardo ma questa volta non c’entra, avrebbe chiesto una cifra più alta per avere la certezza che Elena me lo dicesse... –  penso. – Sembra quasi una scusa per attirare l’attenzione... – 

Mi blocco un attimo poi riprendo a suonare.

– La “mia” attenzione? – mi domando.

Potrebbe essere una scusa di Elena per vedermi, per impietosirmi... per dimostrarmi che ha bisogno di me anche adesso che c’è Ana.

Boh, non so: sono torturato dal mio passato. Vorrei non averne e godermi i momenti spensierati che vivo con lei.

Ha ragione Ana, non ho amici perché Elena non voleva. È vero che io non sapevo farmene, ma è vero anche che lei non voleva, per paura che parlassi e mi confidassi.

– E con chi cazzo mi confido? Neppure con Flynn. –

Tutta questa storia mi sta facendo impazzire.

Il pensiero che qualcuno possa toccarla, farle del male mi fa impazzire. – Povera piccola, davvero sei in pericolo da che hai incontrato me... devo provvedere alla tua sicurezza. Non posso permettere che ti accada qualcosa. Non posso. Non sopravvivrei. –

Il coperchio del pianoforte è abbassato, consentendomi una visione senza impedimenti, così quando alzo lo sguardo la vedo, ferma sulla soglia, in penombra. È bellissima, irreale. I nostri occhi si incontrano, la guardo ma continuo a suonare.

Lei si avvicina leggiadra, eterea. Non sarebbe una visione così magica se indossasse una delle mie t-shirt.

La voglio, a discapito di tutto, io la voglio: sono insaziabile.

Quando mi raggiunge, mi fermo.

«Perché hai smesso? Era splendida.»

«Hai idea di quanto sei desiderabile in questo momento?»

«Vieni a letto» sussurra, mi chiama.

Io brucio e le porgo la mano, ma non voglio seguirla, no. Le do uno strattone e mi cade tra le braccia, sulle mie ginocchia. L’abbraccio, mi strofino contro di lei, contro il suo collo, dietro l’orecchio, saziandomi del suo profumo.

«Perché litighiamo?» chiedo e le mordicchio il lobo. –  Anche le orecchie sono perfette – penso. 

«Perché ci stiamo conoscendo, e tu sei testardo, irascibile, lunatico e difficile» mormora senza fiato, inclinando il capo per darmi miglior accesso alla sua gola. Le accarezzo il collo col naso e sorrido.

«Io sono tutte queste cose, Miss Steele. C’è da chiedersi come tu riesca a sopportarmi.» Le pizzico il lobo e lei geme.

Tiro la cintura della sua vestaglia, che si apre, e la mia mano l’accarezza scendendo lungo il corpo, sul seno. I capezzoli si induriscono sotto il mio tocco, si tendono contro il raso. Proseguo, fino alla vita, fino ai fianchi. «Sei così bella sotto questo tessuto, e riesco a vedere tutto, anche questo» e pizzico piano il pube attraverso la stoffa, facendola trasalire, mentre con l’altra mano le stringo i capelli sotto la nuca. Le tiro indietro la testa, la bacio, infilo la lingua tra le labbra, insistente, incessante. Mormora, mi accarezza e io gioisco del suo tocco, felice per qualcosa che solo pochi giorni fa non potevo tollerare.

Le sollevo la seta della camicia scoprendole il corpo finché non arrivo al suo sedere, lo accarezzo, lo scopro, voglio vederla, nuda senza mutandine.  Mi alzo di scatto e la deposito sul pianoforte.

I suoi piedi appoggiano sui tasti, producendo suoni disarmonici, note incoerenti, e io le apro le gambe facendo pressione sulle ginocchia.  Afferro le sue mani.

«Sdraiati» ordino. Si sdraia sul coperchio del piano. Le faccio aprire bene le gambe con i piedi posati sui tasti. Voglio avere libero acceso. Comincio a baciarle l’interno delle cosce, scivolando sulla sua pelle di seta. I piedi suonano note incoerenti. Geme, stringe un po’ le gambe e io con uno strattone le apro di nuovo. Si arrende lasciandomi campo libero, comincio il mio bacio. Soffio prima di iniziare il mio assalto al suo clitoride, lo torturo con la lingua muovendola in cerchio.  Le spalanco le gambe, ho bisogno di spazio, e la tengo ferma per continuare la mia tortura.

Sono implacabile, so di non darle sollievo, solo tormento. Geme, mormora stringe il labbro fra i denti e lo morde per vincere il desiderio, per raggiungere il piacere che è ancora lontano. Spinge i fianchi contro di me per cercare sollievo.

«Oh, Christian, per favore» geme, vuole di più. Io invece desidero torturarla.

«Oh, no, piccola, non ancora» la stuzzico io. Poi mi fermo.

«No» piagnucola.

«Questa è la mia vendetta, Ana» ringhio.

«Discuti con me e io me la prenderò con il tuo corpo, in qualche modo.»  Le bacio la pancia mentre le spiego la tattica che userò con lei. Mentre con la bocca esploro il suo ventre le mie dita la torturano tra le gambe.

«Ah!» grida sentendo il mio pollice insinuarsi dentro e spingere. Mentre uso l’altro per disegnare piccoli cerchi sul suo clitoride. Continuo a tormentarla, lentamente e la sua schiena si inarca, vuole di più. Vorrei accontentarla, ma...

– Ntze, ntze... non ancora. –

«Christian!» grida, fuori controllo per il desiderio.

Basta, ho voglia di scoparla, mi son già tolto i pantaloni e ho sbottonato la camicia senza che lei neanche se ne sia accorta, apro la bustina e mi tolgo la camicia.

Sollevo i suoi piedi dai tasti e la spingo indietro, m’infilo il preservativo e la guardo dall’alto fermo sul piano.

«Ti desidero così tanto» e mi tuffo dentro di lei, cadenzando le mie spinte e, piano piano, scivoliamo nel piacere. 

Godo gemendo, lei è già venuta, stimolata dalla mia dolce tortura. La faccio rotolare su di me.

Distesa su di me, scarmigliata, con la guancia appoggiata sopra il mio torace sta ferma immobile, senza muovere un muscolo, facendo attenzione anche a respirare per non infastidirmi.

– Nessun fastidio, piccola, solo piacere e conforto. –

«Bevi tè o caffè alla sera?» mi chiede assonnata.

«Che strana domanda» rispondo, anche io un po’ annebbiato e molto, molto rilassato.

«Ho pensato che potevo portarti una tazza di tè, nello studio, e mi sono resa conto che non sapevo se l’avresti gradito.»

«Oh, capisco. Acqua o vino alla sera, Ana. Anche se potrei provare il tè» dico, carezzandole la schiena.

«Sappiamo davvero poco l’una dell’altro» mormora.

«Lo so» dico dolente.

Si siede e mi guarda. «Che cosa c’è?» chiede.  

Scuoto la testa a liberarmi di un greve pensiero. Le accarezzo una guancia affranto, riafferrando i pensieri che mi stavano incupendo prima del suo arrivo. «Ti amo, Ana Steele» dico. –  Sei il mio nervo scoperto, amore mio. –

 

La sveglia si accende con le notizie sul traffico delle sei del mattino, la sento vagamente ma non voglio svegliarmi perché sono in cielo, abbracciato ad una nuvola e il vento mi soffia tra i capelli, apro un occhio, poi l’altro e la vedo, coi suoi occhioni che mi scrutano guardinghi e le sue dita imbrigliate tra i miei capelli.

«Buongiorno» dico.

«Buongiorno a te» mi sorride, io sorrido e me la bacio.

«Dormito bene?»

«Sì, nonostante l’interruzione del mio sonno stanotte.»

«Mmh… Tu invece puoi interrompermi in quel modo ogni volta che vuoi» le dico.

«E tu? Hai dormito bene?»

«Dormo sempre bene con te, Anastasia.»

«Niente più incubi?»

«No.»

Aggrotta la fronte. Ecco che arriva la domanda!  «Che tipo di incubi sono?»

Mi incupisco, ma rispondo. «Si tratta di flashback della mia prima infanzia, o così dice il dottor Flynn. Alcuni sono vividi, altri meno.» Soprappensiero, sfioro con le dita la sua clavicola.

«Ti svegli piangendo e urlando?» dice.

«No, Anastasia. Non ho mai pianto. Per quanto mi ricordi.»  

«Hai qualche ricordo felice della tua infanzia?» mi domanda.

«Ricordo la puttana drogata che faceva una torta. Ricordo il profumo. Una torta di compleanno, penso. Per me. E poi l’arrivo di Mia, con mia madre e mio padre. Mia madre era preoccupata per la mia reazione, ma io ho adorato la piccola Mia fin dal primo istante. La mia prima parola è stata “Mia”. E ricordo la prima lezione di pianoforte. Miss Katie, la mia insegnante, era fantastica. Allevava anche cavalli.» Sorrido, è un ricordo nostalgico.

«Hai detto che tua madre ti ha salvato. In che modo?»

«Mi ha adottato» rispondo semplicemente. «La prima volta che l’ho incontrata, ho pensato che fosse un angelo. Era vestita di bianco ed era così gentile e calma, mentre mi visitava. Non lo dimenticherò mai. Se lei avesse detto no, o se Carrick avesse detto no…» Scrollo le spalle e poi guardo la sveglia. «Questo è un discorso un po’ troppo profondo per la mattina presto.»

«Ho giurato a me stessa di arrivare a conoscerti meglio.»

«Davvero, Miss Steele? Pensavo che volessi sapere se preferisco il tè o il caffè.»

«Comunque, credo che ci sia un modo per far sì che tu mi conosca meglio.» Spingo i fianchi contro di lei a mo’ di suggerimento.

«Credo di conoscerti già abbastanza bene sotto quell’aspetto.»

Anche qui hai ragione, mi conosci meglio di qualunque altra.  

«Non penso che ti conoscerò mai abbastanza bene sotto quell’aspetto» sussurro io. «Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te.»

«Non devi alzarti?»

«Non stamattina. C’è solo un posto dove voglio stare in questo momento, Miss Steele...» ...dentro di te...

«Christian!» Sussulta scioccata. Sono già dentro. Le afferro i polsi e gliele blocco sopra la testa.  «Oh, Miss Steele» mormoro con la bocca sulla sua gola e sollevandole la camicia biascico: «Oh, quello che mi piacerebbe farti...»

 

A colazione, Mrs. Jones prepara pancake e bacon per lei e omelette e bacon per me. Siamo seduti vicini, al bancone, in un silenzio rilassato.

«Quando incontrerò Claude, il tuo personal trainer, così vediamo cosa sa fare?» chiede.

«Dipende se vuoi andare a New York questo fine settimana oppure no… A meno che tu non voglia incontrarlo una delle prossime mattine. Chiederò ad Andrea di controllare i suoi impegni e fartelo sapere.»

«Andrea?»

«La mia assistente personale.»

«Una delle tue tante bionde» scherza.

«Lei non è mia. Lavora per me. Tu sei mia.»

«Io lavoro per te» mormora, acida.

«È vero.»

Le sorrido.

«Forse Claude può insegnarmi il kick boxing.»

«Ah, sì? Per aumentare le tue possibilità contro di me?» chiedo divertito. «Continua a provocare, Miss Steele»  la ammonisco, ma sono di ottimo umore.

Lei guarda il pianoforte. «Hai alzato di nuovo il coperchio» osserva.

«Stanotte l’avevo chiuso per non disturbarti. Non ha funzionato, evidentemente, ma ne sono contento.»

Mrs. Jones posa davanti ad Ana il sacchetto di carta che contiene il suo io pranzo. Un po’ mi sento in colpa, neppure un pasto decente... ma mica posso farla uscire...

«Questo è per dopo, Ana. Tonno va bene?» dice Gail.

«Oh, sì. Grazie, Mrs. Jones.»  –  Sei sempre gentile, Ana. Sapessi come mi piaci. –

«Posso chiederti una cosa?»

Ana, dopo che Mrs. Jones se ne è andata ricomincia il terzo grado.

«Certo.» Ma mi cambia l’umore.

«E non ti arrabbierai?»

Non so. «Riguarda Elena?»

«No.»

«Allora non mi arrabbierò.»

«Ma ho una domanda supplementare.»

«Ah.»

«Che riguarda lei.»

Alzo gli occhi al cielo. «Di che si tratta?» dico esasperato.

«Perché ti arrabbi sempre quando ti chiedo di lei?»

«Onestamente?»

Mi guarda torva. «Pensavo che fossi sempre onesto con me.»

«Tento di esserlo.» – Non proprio sempre, ma ti assicuro che ci provo. –

Stringe gli occhi. «Questa mi sembra una risposta molto evasiva.»

«Sono sempre onesto con te, Ana. Non voglio fare giochetti. Be’, non quel tipo di giochetti» spiego.

«Che tipo di giochetti ti piacerebbe fare?» chiede maliziosa.

La guardo bene: «Miss Steele, ti lasci distrarre così facilmente.»

Ridacchia. «Mr. Grey, tu mi distrai in così tanti modi.»

– Sei una rompipalle di proporzioni epiche, Miss Steele, ma sei tanto simpatica. E poi quando ridi... è una poesia. –  «Il suono che preferisco al mondo è quello della tua risata, Anastasia. Ma qual era la tua domanda di partenza?»

Mi guarda con una strana espressione, poi colta da illuminazione rammenta e chiede: «Ah, sì. Vedevi le tue Sottomesse solamente nei fine settimana?»

«Sì, è così» rispondo, non capisco dove voglia andare a parare.

Mi sorride, un sorriso radioso. «Perciò niente sesso durante la settimana.»

Ho capito! Rido. È inevitabile. «Ah, era qui che volevi arrivare.» Sono sollevato e divertito. – No, tesoro, niente sesso in settimana; proprio io, niente sesso nei giorni feriali, per non distrarmi: sto facendo la cura con te, Miss Steele. Non penso ad altro – mi dico.   

Le ridono gli occhi, sembra felice.

«Sembri molto compiaciuta di te stessa, Miss Steele.»

«Lo sono, Mr. Grey.»

«Fai bene a esserlo. Ora mangia la tua colazione» la rimprovero bonariamente. Che finisca almeno la colazione, visto che per pranzo ha solo un sandwich.

 

Siamo sul sedile posteriore dell’Audi. Taylor sta guidando per lasciare al lavoro prima lei e poi me. Sawyer è al suo fianco.

«Non avevi detto che il fratello della tua coinquilina arriva oggi?» chiedo, faccio l’indifferente ma sono geloso. Ho visto come la guardava il giorno della laurea. Io non dimentico nulla, lei sì.

«Ethan!… Me l’ero dimenticato. Oh, Christian, grazie per avermelo ricordato. Devo tornare al mio appartamento.»

Tornare? No, no, proprio no. Vai e vieni. «A che ora?»

«Non so bene quando arriverà.»

«Non voglio che tu vada da nessuna parte per conto tuo» ordino.

«Ma certo» mormora. «Sawyer farà la spia… Ehm… Sarà di ronda, oggi?» Lancia un’occhiata in direzione di Sawyer che arrossisce.

«Sì» ribatto.

«Se guidassi la SAAB sarebbe più facile» borbotta seccata.

«Sawyer avrà una macchina, e potrà portarti al tuo appartamento.»

«Okay. Ethan probabilmente mi contatterà in giornata. Ti farò sapere quali sono i suoi piani.»

«Okay» acconsento. «Da nessuna parte da sola. Mi hai capito?» La minaccio con l’indice.

«Sì, caro.» Mi sta prendendo per i fondelli.

Mi vien da sorridere. «E magari dovresti tenere acceso il tuo BlackBerry. Ti manderò lì le mail. Così eviteremo che il tizio del mio ufficio informatico passi una mattinata interessante, okay?» Il mio tono non potrebbe essere più sarcastico.

«Sì, Christian.» Alza gli occhi al cielo.

–  Metto in conto, Miss Steele. Tu provoca e io metto in conto, poi passo all’incasso. –  «Oh, Miss Steele, credo proprio che tu mi stia facendo

prudere le mani.»

«Ah, Mr. Grey, a te le mani prudono perennemente. Che cosa possiamo farci?»

Rido. –  Ci facciamo qualcosina questa sera, Miss Steele – e vengo distratto dalla vibrazione del BlackBerry.

Guardo il display, Elena!

–  Che cazzo vuole? Mi sta infastidendo. –

«Che cosa c’è?» ringhio nell’apparecchio, ne ho avuto abbastanza di lei, in questi giorni, ma ascolto quello che ha da dire.

«Christian, ho scoperto chi c’è sotto. Isaac. Si è arrabbiato perché l’ho strapazzato e l’ho sgridato davanti agli altri.»

«Stai scherzando?»

«Si voleva vendicare.»

«Per una scenata?»

«Sì. Una sciocchezza che non ti dico, ma lui se l’è legata al dito.»

«Quando te l’ha detto?»

«Ha confessato quando l’ho legato e l’ho frustato con il paddle dicendogli che ero nervosa perché dovevo parlare con un investigatore. Grazie, caro, del tuo aiuto, mi dispiace averti disturbato.»

Rido. «No, non ti preoccupare. Non devi scusarti. Sono contento che ci sia una spiegazione logica. Mi sembrava un prezzo ridicolmente basso.»

«Sì, infatti non era per il denaro, voleva farmi stare sulle spine, ma gli faccio passare la voglia.»

«Non ho dubbi che tu abbia pianificato qualcosa di diabolico e creativo per la tua vendetta. Povero Isaac.» Sorrido.

«Mi conosci proprio bene, caro» dice mielata. «È tutto a posto, grazie a te.»

«Bene»

«A presto.»

«Sì, ciao.» Chiudo, sollevato, sto sorridendo. Era una cretinata. Poi penso ad Ana seduta accanto a me.

«Chi era?» chiede, ma lo sa.

«Vuoi davvero saperlo?»

 Scuote la testa  e guarda fuori dal finestrino.

«Ehi.» Le prendo la mano e ne bacio le nocche. All’improvviso le succhio il mignolo, lei sussulta e si volta. Io lo mordo delicatamente.

«Non ti agitare, Anastasia» le spiego. «Lei è il passato.» Le bacio il palmo e le strappo un sorriso. Ma un pensiero sottile mi si è insinuato il testa.

 

Arrivo in ufficio e le mando una mail.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 14 giugno 2011 09.23

Oggetto: Alba

Adoro svegliarmi accanto a te la mattina.

Christian Grey

Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato Cotto, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Risponde quasi subito.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 14 giugno 2011 09.35

Oggetto: Tramonto

Caro Completamente e Totalmente Innamorato Cotto,

anch’io adoro svegliarmi con te. Ma amo essere a letto con te e negli

ascensori e sui pianoforti e sui tavoli da biliardo e sulle barche e

sulle scrivanie e nelle docce e nelle vasche da bagno e su certe

croci di legno con manette e letti a quattro piazze con lenzuola di

raso rosso e rimesse per le barche e camerette da ragazzo.

Tua

Sessualmente Folle e Insaziabile XX

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 14 giugno 2011 09.37

Oggetto: Hardware bagnato

Cara Sessualmente Folle e Insaziabile,

ho appena schizzato caffè su tutta la mia tastiera.

Non penso che mi sia mai capitato prima.

Ammiro una donna così concentrata sulla geografia.

Devo dedurre che tu mi vuoi solo per il mio corpo?

Christian Grey

Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Scioccato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 14 giugno 2011 09.42

Oggetto: Ridacchiando… bagnata anch’io

Caro Completamente e Totalmente Scioccato,

sempre.

Devo lavorare.

Smettila di importunarmi.

SF&I XX

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 14 giugno 2011 09.50

Oggetto: Devo?

Cara SF&I,

come sempre, ogni tuo desiderio è un ordine.

Adoro che tu stia ridacchiando e sia bagnata.

A più tardi, piccola.

x

Christian Grey

Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato

Cotto, Scioccato e Stregato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Metto giù il BlackBerry e comincio a lavorare. Chiamo Welch per sapere qualcosa di Leila e Hyde ma non ha novità.

Il pensiero che avevo accantonato torna prepotente: tutta la storia del ricatto è una fandonia!

Ripenso a ieri sera, ad Elena che fa un grosso sospiro e poi, vistasi alle corde dalla mia insistenza nel voler  mettere di mezzo Welch, mi dice: “Immagino che non sarebbe una cattiva idea”  e io rispondo “Okay. Lo chiamo domattina”...

Ed ecco che Elena mi chiama prima che io arrivi in ufficio e prima che possa mettere Welch all’opera; quel povero diavolo di Isaac non c’entra nulla, si è inventata tutto lei per avere una scusa per venire da me.

Sì, è tutta una scusa! Quando ha capito che non poteva agganciare Ana né col biglietto né con la mail ha cercato un modo per arrivare a me, ma non per telefono. No, doveva vedermi di persona.  Il cellulare staccato apposta... 

Ma perché vuole parlare con Ana? Vuole instradarla? Vuole capire se può farne una di noi? Magari poi godrebbe a vederla passare sotto le grinfie del suo ex marito.

Oh, mio Dio, questo mai! 

No, non può essere... anche se... come cazzo ha fatto ad avere la sua mail?

No, non può essere... Elena e Linc non hanno più contatti da un pezzo... solo a volte...

No, non può essere... Elena  pensa che Ana sia interessata solo ai miei soldi. Non vede altra possibilità. Vuole proteggermi...

Ma che cazzo vuole da me? Perché non mi lascia in pace? Perché non può pensare che io possa uscire da quel giro di merda?

Elena ha visto che io non ho trascinato Ana dentro al “gioco” e vuole farlo lei?

Se pensa che la lascerò avvicinarsi ad Anastasia - lei o chiunque - ha sbagliato di grosso!

Cerco di non pensare e mi butto a capofitto nel lavoro, alle undici ho una riunione importante.

All’ora di pranzo ricevo una chiamata da Ana. Sono in riunione. «Anastasia» rispondo immediatamente.  

«Christian, Jack mi ha chiesto di comprargli il pranzo.»

«Pigro bastardo» brontolo.

 «Perciò sto uscendo. Sarebbe meglio mi dessi il numero di Sawyer, così non dovrei disturbare te.»

«Non è un disturbo, piccola.»

«Sei da solo?»

«No. In questo momento ci sono sei persone che mi stanno fissando, domandandosi con chi diavolo stia parlando.»

«Davvero?» La sento ansimare  presa dal panico.

«Sì, davvero. È la mia fidanzata» comunico a tutti, staccandomi dal telefono. «Probabilmente pensavano tutti che fossi gay, sai.» Rido.

«Sì, probabilmente. Ehm… forse è meglio che vada» mormora imbarazzata.    

«Lo farò sapere a Sawyer» dico ridendo. «Hai notizie del tuo amico?»

«Non ancora. Sarai il primo a saperlo, Mr. Grey.»

«Bene. A più tardi, piccola.»

«Ciao, Christian.»

Sorrido. Tutti mi guardano stupiti e io sorrido.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 14 giugno 2011 14.55

Oggetto: Ospiti da terre assolate

Carissimo Completamente e Totalmente ICS&S,

Ethan è arrivato e sta venendo qui a prendere le chiavi di casa.

Mi piacerebbe molto assicurarmi che si sistemi bene.

Perché non passi a prendermi dopo il lavoro? Possiamo andare

all’appartamento, poi TUTTI fuori a mangiare, magari? Offro io.

Tua, Ana X

Sempre SF&I

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 14 giugno 2011 15.05

Oggetto: Cena fuori

Approvo il tuo piano. Eccetto la parte in cui vuoi offrire! Offro io.

Passo a prenderti alle sei.

x

PS: Perché non stai usando il tuo BlackBerry?!

Christian Grey

Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Contrariato,

Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Non le entra proprio in quella testolina vuota di usare il BlakBerry!

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 14 giugno 2011 15.11

Oggetto: Prepotenza

Oh, non essere così scontroso e irritabile.

È tutto in codice.

Ci vediamo alle sei.

Ana X

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 14 giugno 2011 15.18

Oggetto: Donna Impossibile

Scontroso e irritabile! Te lo do io lo scontroso e irritabile.

E non vedo l’ora.

Christian Grey

Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Più

Contrariato, ma Sorridente per qualche Sconosciuta Ragione, Grey

Enterprises Holdings Inc.

 

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 14 giugno 2011 15.23

Oggetto: Promesse. Promesse

Fatti sotto, Mr Grey.

Anch’io non vedo l’ora. :D

Ana X

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Il pomeriggio passa e alle sei meno cinque sono davanti alla SIP. Chiamo Ana.

«Scontroso e Irascibile arrivato» dico. 

«Bene, qui Sessualmente Folle e Insaziabile. Immagino che tu sia fuori» dice seccamente.

«Lo sono, infatti, Miss Steele. Non vedo l’ora di vederti.»

«Idem, Mr. Grey. Arrivo subito.»

 

L’Audi è parcheggiata vicino al marciapiede e io scendo mentre si avvicina. È bellissima fasciata in un tubino di lino blu attillato e tacchi alti, è proprio un bel vedere. Mi sorride e io mi sciolgo.

– Sono davvero innamorato –  constato ed è una sensazione così piacevole. Devo avere un sorriso idiota stampato sulla faccia.

La gioia mi scoppia dentro inaspettatamente, assaporo il momento, mentre ho la sensazione che potrei conquistare il mondo, anzi, l’ho definitivamente conquistato.

«Miss Steele, sei affascinante proprio come stamattina» dico e l’attiro tra le mie braccia, con tutta la passione che sento per lei.

«Anche tu, Mr. Grey.»

«Andiamo a prendere il tuo amico» e apro la portiera della macchina.

Mentre Taylor si dirige all’appartamento di Ana le spiego com’è andata la mia giornata, cioè molto meglio di ieri.

Poi le passo un foglio. «Questi sono gli orari in cui Claude è libero questa settimana» dico. Non mi sembra molto convinta.

Mentre l’auto accosta davanti a casa di Ana squilla il BlackBerry.

«Grey» rispondo a Ros. «Ros, cosa c’è?» Ascolto con attenzione, c’è stato un contrattempo: ad una delle navi della società è stato sequestrato il carico, classificato erroneamente come pericoloso.  

«Vado a prendere Ethan. Ci metto un paio di minuti» sento vagamente Ana che parla.

Annuisco, ma sto seguendo Ros.

Taylor le apre la portiera.

Riesco a sentire Ana che si annuncia: «Ciao, Ethan, sono io. Fammi entrare.» E la vedo entrare nel portone.

Dopo qualche minuto sono ancora impegnato con Ros quando vedo con la coda dell’occhio una figura avvicinarsi al portone di Ana. È un ragazzo biondo con un borsone sulla spalla. Mi giro, lo guardo meglio, sta guardando il mazzo di chiavi che tiene tra le mani... mi si gela il sangue nelle vene e grido: «Ethan!».


CAPITOLO 15


– Ethan!!!?!! – Chiudo la comunicazione, così, senza spiegazioni.

«Ethan!» penso, dico, chiamo...

Taylor mi sente, si volta un istante verso di me poi si precipita al portone.

Ha capito.

Io lo seguo.

Lo raggiungo dentro l’androne e lui ha già bloccato Kavanagh e gli ha strappato le chiavi di mano.

«Fermo qui, non si muova!» gli intima Taylor. Ethan è sbigottito, io ho  già aggredito la rampa.

– Devo fare in fretta! Devo volare! – mi urlo sulle scale. I miei peggiori incubi sono realtà.

Lo so.

Lo so io, lo sa Taylor.

«Cazzo! Ma non avete controllato l’appartamento, oggi?» chiedo ansando a Taylor che mi ha già raggiunto.

«Ovvio, signore. Due ore fa.»

Sono arrivato, spalanco la porta e ho una visione libera dell’openspace. Taylor è dietro di me.

– È viva! Dio, ti ringrazio! Grazie! – Una muta preghiera è tutto ciò a cui riesco a pensare, poi inquadro Leila, ha la pistola... puntata contro il mio amore.

Leila.

Leila!

Un fantasma.

Il fantasma del mio passato che mi perseguita. Mi tormenta, viene a dilaniarmi il futuro.

In questo momento ho rappresentato qui davanti a me quanto sia orrendo, macilento, putrido il mio passato.

Passato? Presente?

–  Questo sono io?  Questo volevo? Bramavo?–

Forse non ho il controllo su Ana, non ho più il controllo sul suo mio futuro.

Di certo ce l’ho sul mio passato.

Non vacillo. Nessun dubbio, nessun indugio, nessuna debolezza. Ho ben chiaro chi sono... chi ero... e lo guardo in faccia, il mio passato.

La guardo.

Io sono Christian Grey.

Non vacillo.

Anche lei lo sa. È qui per questo. Per un Dominatore.

Perché il Suo Signore riprenda il Possesso. La guidi.

Il Raffinato Signore ha preso il controllo.

Non esiste nient’altro.

Ora solo questo importa se voglio avere un futuro.

Oh, se solo il “Mio Futuro” che mi sta guardando spaurita con quegli occhioni che mi leggono dentro l’anima la smettesse di fissarmi e cercasse nuovi orizzonti da osservare fuori di qua, lontano dal pericolo!

Ho catturato il suo sguardo. Leila sgrana gli occhi e, per un momento, sembra che le ritorni la ragione. Sbatte le palpebre rapidamente, mentre la sua mano si stringe intorno alla pistola.

Il fiato mi si mozza in gola, il mio cuore prende a martellare così forte che sento il sangue pulsarmi nelle orecchie.  – No, no, no! – Il mio mondo vacilla nelle mani di questa povera donna pazza. Sparerà ad Ana?  Il pensiero mi paralizza.

Ma dopo un’eternità, mentre il tempo è come sospeso intorno a noi, lei abbassa leggermente la testa e mi fissa da sotto le lunghe ciglia, con espressione contrita.

Alzo una mano, segnalando a Taylor di restare dov’è.

È mia.

Il volto cereo di Taylor tradisce la sua furia. Non l’ho mai visto così, ma lui rimane immobile, mentre io non distolgo i “MIO” sguardo da Leila. Lei non ha ancora abbassato gli occhi, segno che non è ancora in mio totale potere. 

– O tu nel suo! –  mi sussurra all’orecchio una voce molesta.

È una lenta agonia.

Sono freddo, mi sento freddo come il ghiaccio, percepisco di nuovo quella sensazione che avevo abbandonato. Non mi serviva, non avvertivo il bisogno, ma fa parte di me. Il comando, il potere... sono adrenalina.

Una sensazione di potenza... sì, ora mi rendo conto che questo mi è mancato.

Molto.

Il Potere.

–  Eccola! È mia! È in mio potere. Posso fare di lei ciò che voglio. – Mi compiacerà come desidero.

Sono completamente a mio agio, nessuna paura, neppure per “lei”... se per una volta, una volta sola, ubbidirà al mio comando.

Senza discutere.

Osservo la reazione di Leila: le sue labbra si schiudono, il suo respiro si accorcia, mentre un po’ di rossore le colora le guance.

Sono di nuovo Io, basta un sussurro.

«Knell!»

Lei si lascia cadere in ginocchio, il capo chino e la pistola scivola, inutile, sul pavimento.

– Ha ottenuto ciò che voleva, –  mi dico, – un mio comando, la mia attenzione, diventare la mia sottomessa. –

Raggiungo con calma il punto in cui l’arma è caduta, mi chino a raccoglierla.

–  Questo oggetto mi fa orrore – mi dico, poi una vocina molesta mi si insinua in testa: – Però pinze, verghe, cinghie, fruste, flagellatori piombati, divaricatori e altre amenità no. –

Infilo l’arma nella tasca della giacca. Il posto più sicuro.

Guardo ancora una volta Leila, servilmente inginocchiata, per controllare il suo asservimento.

«Anastasia, va’ con Taylor» ordino. Taylor, ancora sulla soglia entra e guarda Anastasia, anche lui è preoccupato per Miss Steele.

Significa che il pericolo è molto più che reale.

 «Ethan?» Leggo il labiale più che udire la voce spaventata di Ana che domanda a Taylor, preoccupata per l’incolumità del suo amico.

«Al piano di sotto» le risponde lui in tono distaccato, con gli occhi puntati sulla figura inginocchiata.

«Anastasia!» Il mio tono non potrebbe essere più tagliente. Ma lei è ferma come una statua.

– Non se ne va. Cazzo, non-se-ne-va! Perché non se ne va? –  

E io devo occuparmi di Leila. Non posso perdere il contatto. Mi avvicino. Torreggio su di lei, protettivo. Leila è immobile. Innaturale.

Ana ci fissa... sconvolta. Anche lei è completamente immobile, totalmente innaturale, per lei. Stordita, molto più sconvolta di quando era sotto tiro. Impotente.

Non voglio vederla così!!!!  Anzi... – ...non voglio che mi veda così!!!! –

«Per l’amor di Dio, Anastasia, vuoi fare quello che ti viene detto per una volta nella vita?» dico forte a voce bassa e ferma.  La guardo furioso, la voglio fuori di qui. Immediatamente. Sono furioso. Furioso con lei, che mai, mai obbedisce!

La mia voce è una gelida lama di ghiaccio e intanto percepisco una leggerissima vibrazione nel corpo di Leila.

– Esulta? Sta esultando? – 

La rabbia sta pervadendo ogni recondito anfratto della mia anima, credo che dietro la calma delle mie parole la mia furia sia palpabile.

«Taylor, porta Miss Steele di sotto. Ora.» Taylor annuisce mentre Ana non distoglie il suo sguardo allucinato da me.  

«Perché?» sussurra, mi implora.

«Vai. Torna al mio appartamento. Ho bisogno di restare da solo con Leila» cerco di spiegare. A lei. –  Capiscimi, Ana, per favore! –  Ma do un contentino a Leila. Percepisco un’altra vibrazione di esultanza che fa fremere il corpo macilento di Leila.

Anastasia guarda Leila con sconforto e Leila risponde con un leve sorriso sulle labbra.

Trionfo contro paura?

Soddisfazione contro umiliazione? Angoscia? Sì, è così. Umiliata e sconvolta...

–  Oh, no! No! Non sentirti così, amore, no, no. No! – vorrei urlare, invece sento la voce di Taylor, ferma e serena: «Miss Steele. Ana.» Le tende la mano, ma lei, immobilizzata dallo spettacolo che le stiamo offrendo, io e Leila, è diventata una statua di marmo.  

«Taylor» lo incalzo e Taylor si china e la prende in braccio, di peso.  Mi volto verso Leila, le accarezzo la testa.

Leila.

«Sì Signore, Padrone...» mormora.

Mi volto ancora un istante per accertarmi che Anastasia sia uscita.

– Finalmente! –

Mi dedico a Leila.

La guardo inginocchiata ai miei piedi. I suoi capelli, una volta lisci e luminosi, sono unti e incollati al capo.

Se non fosse così ferita ne avrei quasi ribrezzo.

«Perché sei qui, Leila?» le chiedo dolcemente.

«Per servire il mio Padrone. Il Padrone avrà sempre cura di me.»

«Certo. È così. Tu farai tutto ciò che ti dirò di fare.»

«Sì, Padrone» mormora. «Io sono qui per servire il mio Padrone. La Tua schiava servirà il Padrone.» Leila parla come un automa e mi guarda con uno sguardo vitreo e allucinato che mette i brividi. Ma leggo anche un velato sorriso compiaciuto sulle labbra di questa povera figura martoriata, che non è altro che l’ombra di ciò che era. Restiamo un po’ così, sto pensando al da farsi. Intanto Taylor ricomparire sulla porta.

«Non ti muovere» le ordino e mi avvicino a Jason. Mi tolgo la giacca e, dopo aver estratto il BlackBerry, gliela consegno e comincio ad arrotolarmi le maniche.

«Anastasia?» domando.

«Con il signor Kavanagh» mi risponde senza distogliere lo sguardo dalla donna inginocchiata.

Annuisco.

Chiamo Flynn.

«John? Grey. Trovata. In casa di Anastasia» dico lapidario, senza fare conversazione. Gli do l’indirizzo.

«Organizzo e arrivo» risponde Flynn, altrettanto lapidario.

Chiamo Ros, spiego brevemente che ho avuto un contrattempo, ma lei ha già risolto e io torno ad occuparmi del “problema”.

«Leila. Alzati» le ordino gentilmente e la aiuto sollevandola con delicatezza.

Taylor controlla noi e la porta.

«Vieni» le dico e la conduco in camera di Anastasia. La faccio sedere sul letto perfettamente rifatto.

La sua figura diafana ha qualcosa di irreale ed è talmente inquietante da sembrare il set di un film horror.

Obbedisce, ha sempre obbedito, ma i suoi occhi lanciano guizzi di ribelle follia.

Il sorriso appena accennato, quel suo sguardo vitreo e allucinato e la figura macilenta e sporca si sovrapporranno per sempre al ricordo che avevo di lei.

In tutti questi giorni, da che è comparsa davanti a Gail, ho avuto la sua immagine davanti agli occhi a perseguitarmi, ma ora è così diversa dal ricordo che avevo che a stento la riconosco.

Guardo la stanza, sono passati solo pochi giorni e ho ancora l’immagine vivida di noi due, di me e di Ana, di una riconciliazione così profonda...  auspicata... anelata...

Guardo Leila sullo stesso letto.

Non ho voglia di parlarle.

So che devo farlo.

Il guizzo di desiderio che ho provato poco fa davanti alla sua obbedienza è dimenticato.

Accantonato.

– Parlale –  mi dico. – Ordinale qualcosa. Qualsiasi cosa... –  cerco di spronarmi, ma sono provato. – Ora le ordino qualcosa... ad esempio di sparire dalla mia vita! –

Non posso essere stato io a ridurla così.

Non può essere stato il ricordo di ciò che siamo stati...

No.

Sarà stato il suo ragazzo... gli altri Padroni... Linc... il marito... Perché io? Perché proprio io?

– Chissà se suo marito era il sottomesso oppure era il suo Padrone? – Questa domanda mi gira in testa da quasi tre anni.

Finito il contratto, neanche due mesi dopo, si sono sposati. Hanno organizzato una festa al club... di dubbio gusto...

Lui era –  è –  del giro... uno switch: a volte sub altre Dom... non aveva le idee ben chiare.

Dopo Leila ho cercato di essere un po’ più selettivo, riguardo alla loro professione, ai loro interessi. Solo che... beh... Leila era piuttosto giovane e molto bella. Un po’ sopra le righe... niente college... lavori saltuari... si barcamenava... Era venuta a Seattle per studiare arte...

– A Seattle?! Ma dai! –

Avrei dovuto riflettere... non era equilibrata... non ha mai frequentato la scuola... A pensarci ora, avrei dovuto rendermene conto. Ma era proprio bella, brillante, allegra, vivace.

È vero che era giovane, aveva la stessa età di Ana quando abbiamo cominciato, però era già passata sotto le mani di altri... di Linc.

Forse l’ho scelta apposta. Per mostrale la differenza. Non so, non mi ricordo... mi infastidisce solo pensarci.

Ora però devo parlarle.

Prima vado in bagno. Devo prendermi cura di lei, renderla presentabile.

Taylor si è avvicinato, presenza vigile e discreta, attende fuori dalla porta. Gli faccio cenno che è tutto sotto controllo. Ho sentito che ha dato ordini alla scorta e ha chiamato Welch. Ora la controlla dal corridoio, ma Leila non si muoverà. So che non disubbidirà al mio ordine, rimarrà immobile, lì seduta.

È qui per questo, per obbedire. Per costringermi a farla obbedire.

Questo vuole, non me Christian, no, vuole Il Padrone. Un Dom generoso...

So perfettamente che il denaro è la prima attrattiva visto che la “maschera” del Master livella ogni tipo di differenza di carattere, di personalità, annulla i vissuti. E non è un’attrattiva neppure quella sorta di gentilezza che si deve tenere nei confronti del sub visto che è atteggiamento simile per tutti. Solo l’aspetto e il denaro fanno la differenza: lezione numero uno di Linc. 

Non ho mai pensato che Leila provasse per me un sentimento reale, diverso da quello che provava per gli altri Padroni.

–  Forse non era così... – mi dico mentre faccio scorrere l’acqua nella vasca.

Essere schiava è una scelta di vita, meditata, accettata e consapevole. Occorre una grande forza per accettare di abbandonarsi, per realizzare questo ruolo... bisogna essere forti...

– Certo, tanto forti da ridursi così... – mi dico, in un barlume di coscienza. – Merda! – impreco e mi vedo davanti tutte le mie scelte passate e in questo caso Ana non ha nulla a che vedere con i miei ripensamenti. Sicuramente non dopo aver visto quel pallido fantasma seduto sul letto.

– ...lo stesso letto dove... –

È così chiaro, così evidente, il confronto. Un paragone così netto da togliere il respiro: il mio passato marcescente e il mio futuro vivido, luminoso, perfetto e puro come lei.

Già lo sapevo, l’ho capito in quei pochi infiniti giorni in cui l’ho perduta: perdo lei, perdo la redenzione.

– Non sono un fottuto idiota, so che lei è la mia sola speranza. Non la perderò. Non posso perderla... per cosa poi? Per avere cosa? Il dominio? Su chi? È potere, quello? Piagare alla mia volontà una mente debole che desidera solo essere piegata... per sopravvivere? –

Mi sta passando davanti tutta la mia vita, non riesco più a focalizzare i loro volti, sono tutte così simili. Neppure Susannah, l’ultima, anche lei è un ricordo sbiadito.

Sono stato fortunato.

Io sono sempre stato fortunato.

– Ana mi ha offerto un miraggio di redenzione – mi dico e metto una generosa dose del suo bagnoschiuma nell’acqua. Il suo profumo m’inonda le narici, mi pervade e cattura i miei sensi. Sento il mio corpo vibrare di una sensazione nuova, un misto di malinconia, piacere, desiderio e paura. Paura di non sentire più il profumo della sua pelle.

Non voglio vivere tutto questo mai più, mi dico.

So che Leila ha cominciato molto giovane... troppo... probabilmente cercava un padre.

Qualcuna ha cominciato per amore... altro che scelta meditata... e si è ritrovata ceduta ad alti Dom...

No, io non voglio più! Di certo non lo voglio per Anastasia!

– Cazzo! Ana era sconvolta e non per la pistola: mi ha visto con Leila ed era spaventata... tradita – mi dico, cercando di analizzare i suoi sguardi.

– Non devo pensarci, non devo pensarci, non devo pensarci... io sono il suo Signore ora. Non devo pensare ad Ana.  Non devo pensare, devo agire – e torno in camera.

Leila è seduta, nella stessa identica posizione in cui l’ho lasciata. Lo sguardo vuoto e un lieve sorriso stampato su quella faccia che sto cominciando ad odiare. Non potrebbe essere più diversa da Ana, dentro e fuori. E non solo ora, anche prima. Sono l’opposto!

«Alzati» le ordino.

Sono di nuovo il Padrone: il mio tono è calmo ma severo, il mio sguardo è glaciale.

– È quello che vuoi, no? – mi dico e ho la spiacevole, odiata, sensazione di sentirmi usato. Manipolato.

Non devo pensare che è entrata in casa mia e poi qui, in casa di Ana, è andata a cercarla alla SIP, ha frugato tra le sue cose...

– È pazza, in crisi depressiva, un episodio psicotico, o che altro accidenti è! È una povera vittima... – devo farmi il lavaggio del cervello per non vedere in lei solo una minaccia. –  Lei è una vittima del mio stile di vita –  mi ripeto.

Eppure, come una lama di luce, si apre uno squarcio... qualcosa di cui ho discusso con Flynn... secondo lui, da quello che gli ho riferito di Leila, dalla descrizione che ne ho fatto, lei è anaffettiva.

“Anaffettiva? La sua crisi non è il sintomo stesso di un amore interrotto?”, ho domandato a John.

“Io la classificherei fra gli psicopatici, Christian. Non farti troppi sensi di colpa. Gli psicopatici sono individui complessi, devianti e fuorvianti. Se consideri che la psicopatia, più che una malattia mentale, è un vero e proprio disturbo della personalità, e dai tuoi racconti se ne riscontrano molti tratti in Leila, allora la diagnosi è una e una sola. Dalla tua descrizione ne emerge il quadro di un soggetto subdolo, anaffettivo, egocentrico, manipolatore, lucido. Io lo classificherei tra gli psicopatici e se consideri che tali soggetti iniziano in tenera età ad essere attratti da sadismo, anche se inizialmente non sessuale, il quadro si completa.”

Il discorso di Flynn mi torna alla mente chiaro come se mi stesse parlando in questo istante. Ma non mi ha convinto. Lei è caduta in uno stato depressivo, probabilmente anche a causa mia, e, visto che non sono stato il suo solo Master, significa che è tornata da me per i sentimenti che prova o ha provato. Questo mi riempie di angoscia ma sento ancora la voce di Flynn che prosegue: “Lei è tornata da te perché sei l’ultima persona che le ha dato sicurezza e benessere. Hai provveduto a lei, hai acquistato i suoi quadri, consentendole un certo benessere di cui il marito, e probabilmente anche il nuovo compagno, ha approfittato. Certo che se avesse assunto anche lei qualche sostanza stupefacente il quadro sarebbe perfetto...”

“No, Leila non prendeva nessuna droga” gli ho risposto io categorico.

“Prendeva...” Flynn ha rimarcato il tempo verbale. Eh sì, John è un vero maestro ad instillare i dubbi e, visto che il nuovo fidanzato di Leila si è schiantato perché era strafatto di crack...

– Cercherò di indagare – mi dico, mentre penetro Leila con il mio sguardo più cupo. L’aiuto ad alzarsi prendendola per un gomito.

«Devi lavarti» le dico, con tono gentile e sguardo freddo. Ho deciso che adotterò questa linea, non so bene come dovrei comportarmi ma non posso essere troppo tenero e condiscendente perché non è quello che si aspetta da me, ma neppure avere le stesse reazioni che avrei avuto in situazioni normali. Normali? –  D’accordo, non c’è nulla di normale, non c’è mai stato nulla di normale, ma prima andava bene per me e per tutti, dannazione! –

La porto in bagno. Ha ancora indosso il trench. È sudicio... come lei.

Mi si stringe il cuore dentro al petto: l’impermeabile faceva parte della “dotazione sottomessa”, un lampo di dolore che mi sale in gola.

Le sfilo il soprabito, lei china il capo e congiunge le mani in grembo, in una delle antiche posture.

«Spogliati» chiedo in un sussurro. Mi manca il fiato per il dolore e mi rendo conto che sto trattenendo il respiro per l’odore poco piacevole che emana dalla sua persona.

Leila solleva lo sguardo e un baleno di trionfo le brilla nello sguardo.

– Un altro! –  mi dico. Chiudo gli occhi per arginare tutti i sentimenti tumultuosi che mi stanno sferzando dentro come un uragano. Rabbia, dolore, rabbia, pentimento, dolore, rabbia... rimorso. Vorrei tanto che non fraintendesse...

«Sì, Padrone. Come desideri Padrone. La tua schiava obbedisce, Padrone» e con movimenti a scatti si leva un maglioncino sudicio, rimane a petto nudo, davanti a me. I suoi occhi castani, prima opachi, offuscati e vagamente confusi hanno acquistato quel guizzo allucinato che esiste solo nello sguardo dei pazzi. Mi sono raggelato, vorrei essere lontano mille miglia, sulla Grace con Ana, ovunque con lei... ma non qui.

L’odore secco di sudore rappreso e il vago sentore di orina che percepisco quando si sfila i pantaloni mi riportano alla sua triste realtà.

Ora è qui, nuda davanti a me, un corpo nudo, come morto, è meno emaciata di quanto mi sarei aspettato, significa che qualcosa mangia. Il suo corpo, che un tempo ho desiderato, ho stretto, costretto, percosso, adorato e onorato con le mie cure, ora è completamente privo di attrattiva.

Provo repulsione.

– Da quanto tempo è in questo stato? – 

Glielo chiedo.

«Leila, da quanto sei in città? Dove vivi, dove stai?»

«Leila risponde: non è inadeguata. Giorni, tanti giorni. Con un’amica, non c’è più, l’amica, perché è i-na-de-gua-ta. A casa del Padrone. Ora sono qui, con il mio Padrone. Qui, in questa casa» risponde veloce, come un automa. Sembra una di quelle voci sintetizzate dal computer che rispondono in automatico al telefono.

Mette i brividi.

Non ho paura di lei, ho paura per lei. 

Nuda, la faccio entrare nella vasca e comincio a insaponarle la testa, veloce, voglio sbrigarmi... vedo con la coda dell’occhio la figura di Taylor che, vigile, controlla. Gli faccio segno che è tutto a posto e torno a occuparmi di Leila che asseconda i miei massaggi con piccoli movimenti del corpo.

Metto una buona dose di bagnoschiuma sulla spugna di Ana, non voglio toccarla direttamente, e comincio a detergere la pelle diafana della ragazza seduta tra le bolle.

«Il suo sapone» dice e piega un poco la testa di lato a osservare gli oggetti presenti sul ripiano della vasca. «Lei non è obbediente, la punirai?» mi chiede.

«Sì» rispondo in un singulto. «Certo.»

«Lei è inadeguata.»

«Sì, inadeguata, non è obbediente» dico a denti stretti, col cuore chiuso in una morsa.

«Non va bene per il Padrone» dice con decisione e con uno sguardo esaltato.

«Non va bene?» mormoro una domanda, non ce la faccio a dire che Ana non è adatta a me, anche se so che dovrei assecondarla... non ci riesco.

«Non è obbediente... e il Padrone è oscuro... gliel’ho detto che il Padrone è oscuro» dice guardando cupa davanti a sé.

«Oscuro?» dico con un groppo in gola, mentre le passo la spugna sotto le ascelle, sul collo, la schiena...

Non posso non pensare al bagno con Ana, dopo il biliardo, e mi piacerebbe sbattere la fronte contro il bordo della vasca, così forse mi sveglio da questo incubo.

«Continua tu» le ordino.  Non voglio toccarla nelle sue parti intime, sarebbe come violarla e le passo la spugna e lei la prende diligentemente tra le mani. Mi alzo per cercare un accappatoio e darle il tempo di lavarsi.

Torno vicino alla vasca e lei è immobile, con la spugna tra i palmi, tira un po’ su il capo, mi guarda e me la offre.

– Devo lavarla? –  mi chiedo. – Devo lavarla – mi dico. Ne ha necessità e un Padrone soddisfa ogni necessità della sua sottomessa, ogni bisogno...

La faccio sollevare sulle ginocchia e passo la spugna sulle sue parti intime, senza guardare.

Posso sentire il suo corpo vibrare al mio tocco, ne sono disgustato. Sono disgustato da me stesso.

– Altro che safe, sane e consensual, questa è una violenza: sano di mente e consenziente? Ma dove? E quello che non è “sicuro”, in questo momento sono io! Altro che regola prima del BDSM! –  mi dico. Mi rendo conto di essere alterato e se mi parla ancora di Ana esplodo, violando un’altra regola principe del Dom, cioè punire il sub quando si è in stato di rabbia o alterazione.

Proprio come una bambola Leila si lascia muovere e lavare, con quel fare ossequioso che ha imparato in tante sessioni. La sciacquo con la doccia, felice di aver quasi finito.

La asciugo e la riporto in camera. Mi segue obbediente, una schiava perfetta.

La faccio sedere sul letto, le asciugo i capelli con l’asciugamano. Poi le chiedo di stare ferma e vado a cercare il phon, nel bagno.

Quando torno, Leila è in piedi davanti al cassettone e ha in mano la boccetta di profumo di Anastasia. Se la sta spargendo sul collo.

«Angel» mi dice richiudendo la boccetta. «Piace al Padrone che siamo tutte uguali.»

Una furia feroce mi attraversa come una scossa da mille volt.

«Ora siamo uguali» ripete con quello sguardo trionfante che eliminerei volentieri con una bella maschera di latex. Il mio sguardo torna severo, glaciale, implacabile. Non posso certo mostrarle la mia rabbia, una debolezza imperdonabile!

La faccio sedere e le asciugo i capelli con l’asciugamano.

Come Ana.

Sento una fitta proprio in mezzo al petto, dove pian piano sto scoprendo di avere un cuore.

Poi uso il phon. Ora devo vestirla.

Apro il cassettone di Ana, tiro fuori un reggiseno, delle mutandine e una t-shirt. Era quella che aveva da Clayton... la riposo, cerco qualcosa che non le ho mai visto addosso e prendo una maglietta blu e un paio di pantaloni.

Sento Taylor che parla al telefono.

Ora viene il difficile: rivestirla.

«Vieni qui» ordino. «Togli l’accappatoio.»

Lei tentenna, io non voglio spogliarla. «Tu non vuoi contrariare il tuo Padrone, vero?» le chiedo intimidatorio.

«Sì, Padrone. Come tu vuoi Padrone» mormora allucinata ma non si toglie l’indumento.

«Mi stai disobbedendo?» chiedo dolce, ma i miei occhi sono una lama tagliente.

«Leila è obbediente. L’altra no. È i-na-de-gua-ta» scandisce le parole. «Io ho quello che ha lei. Siamo u-gua-li» mormora con un sorriso pazzo sulle labbra e lo sguardo vuoto.

«Uguali» confermo, ma dentro di me fremo.

«Il mio profumo piace al mio Padrone?» domanda. «La nuova... non la vuoi più. L’hai scacciata. Non è obbediente...» ripete per l’ennesima volta.

«No, Leila, non è adatta. Non potrà mai essere una brava sub» le dico sinceramente.

«Io sì» dice sicura e spavalda. Poi si sfila l’accappatoio, lo lascia cadere ai suoi piedi e, inaspettatamente, si lascia cadere in ginocchio, nuda, ai miei piedi.

«Alzati» le dico. Ma lei ha assunto la posizione di attesa, a capo chino. «Guardami» le intimo. «Tu compiacerai il tuo Signore» dico, vincendo la rabbia.

«Sì, io compiaccio. Al Padrone piace punirmi e io ho disobbedito.»

«No, Leila, tu sei obbediente» le spiego, capisco dove voglia andare a parare.

«Padrone, ho infranto una Regola, devo essere punita.»

«Che regola hai infranto?» domando, ma ho un sospetto, il sospetto che Flynn abbia ragione anche questa volta. L’assunzione di crack e la successiva crisi di astinenza più portare a crisi depressive specie in un soggetto debole sottoposto a forte stress...

Inginocchiata non risponde, solleva un poco il viso e si guarda intorno in cerca di ispirazione, poi prende la cintura dell’accappatoio e me la porge.

«Punisci la tua schiava, Signore» dice mesta, con gli occhi che le brillano. Non riesco a trattenere un sospiro. «Tu sai come. A te piace. Ti piace solo quello. Io voglio servirti, io posso, io ho quello che lei non ha...» ripete come una litania. E fa una cosa... una cosa che avrei tanto, tanto voluto evitare...

Si aggrappa alle mie gambe e cerca di sbottonarmi i calzoni.

Le blocco i polsi.

Basta.

Non scherzo più.

«Fermati» alzo il tono della mia voce e le indico di chinare il capo. Ma non posso essere troppo rude, non posso esagerare.

Taylor fa capolino dalla porta perché ha sentito.

Io segnalo che va tutto bene.

Taylor mormora che Flynn sta arrivando.

Leila coglie il mio momento di distrazione e si sdraia sul letto, dopo aver tolto il copriletto, divarica appena le gambe e mi porge la cintura.

«Legami, Padrone» implora. «Frustami. So che lo vuoi» mormora e lo ripete all’infinito, e mi implora, m’implora... porgendomi la corda, con i polsi giunti, le gambe aperte... «Legami... legami... frustami...» ripete invasata.

La guardo, sono in trance...

I miei desideri più oscuri si fanno strada dentro di me... deglutisco, mi sento avvinto da questo gioco mortale.

Niente, niente mi attira in lei, solo il desiderio di usare il suo corpo... di punirlo per tutto quello che ha osato... che ha osato fare... dire... dire di lei... usarle violenza... imporsi.

Poi Leila comincia a contorcersi in una danza oscena che ottiene l’effetto opposto di quello desiderato.

Sono disgustato. Chiudo gli occhi e tento di rivestirla.

«Non ora» dico. «Più tardi, Leila. Compiacerai più tardi il tuo Padrone, non ora. Il Padrone vuole che tu ti vesta, ora» dico dolcemente e le infilo la maglietta per poi passare ai calzoni. Evito di infilarle la biancheria.

«L’ho detto anche all’altra che il Padrone è oscuro» mi mormora all’orecchio mentre cerco di tirarle su i pantaloni. La guardo negli occhi ma lei sfugge il mio sguardo. Il mio stomaco si contrae per la paura. – Che significa? – mi chiedo e lei me lo spiga: «...e vuole solo quelle come noi...» poi guarda lontano e dice: «...come la Madre col Bambino. Siamo tutte uguali a lei. L’ho detto che tu sei nero, Padrone, oscuro... e lei lo sa, ora lo sa... ma non è adatta... lei non va bene per il Padrone...»

Non credevo potesse accadere ma sento il mio corpo tremare: freddo, brividi, rabbia, paura... non so perché... non so che cosa stia accadendo ma il mio corpo trema ed è l’unica mia reazione perché non riesco a pensare, non sento più nulla, tranne il tremore diffuso del mio corpo... e lei non smette, non smette più di parlare di infierire.

Ora ho la certezza che lei sappia che sono alle corde e continui a colpire.

«Le ho detto che lei mi somiglia... ma non è come me... lei usa il tuo nome... ti tocca... tu lasci che lei ti tocchi...»

–  Ci ha visto, ci ha spiato! –  Sono sempre più sconvolto, capisco perfettamente perché Ana fosse così sconvolta.

LE HA DETTO TUTTO. Di me. Ana ora sa TUTTO e ci ha visti... Ma io non voglio piùùù!!!

Devo calmarmi.

–  È solo una povera donna ferita –  mi ripeto, mi convinco. E io sono oscuro... è per questo che lei è andata fuori di testa? Vuole incolpare solo me? – È solo una povera donna ferita, è solo una povera donna ferita, è solo una povera donna ferita, è solo una povera donna pazza e ferita... – ma lei continua, imperterrita.

«Il Padrone lascia che la nuova lo tocchi, lo chiami, non obbedisce ma anche io... anche io toccato il Padrone... e il mio Signore ha gradito... la mia bocca...»

Leila continua ma io non ascolto più, mi fischiano le orecchie... Dentro di me sento il fuoco scorrere nelle vene...

– Era lei, era lei, era lei!!!!! Quella notte era lei!! Non era un sogno... –  dentro di me grido, strepito, scalpito... fuori sono di ghiaccio.

«Zitta!» ordino. DEVO farla tacere, non ne posso più e lei continua a parlare di sé, di me, di Ana... e di quanto lei sia “inadeguata”, “inadatta”...

–  Devo farla tacere –  penso, con gli occhi vitrei, più vitrei dei suoi.

Ormai Leila ha perso ogni freno, continua a parlare, seduta sul letto, mezza vestita. Blatera, sempre più confusa. Parla si sé, del suo fidanzato, sempre più disorientata e arrabbiata...

E io faccio l’unica cosa che posso per arginarla, per farla tacere... l’abbraccio, forte.

La tengo stretta tra le braccia, facendo solo attenzione che le sue mani non mi tocchino e la sua testa poggi in una zona sicura e comincio a cullarla, trattenendole il capo sulla mia spalla con una mano. La cullo.

E lei, proprio come il volume di una radio che si spegne, pian piano tace e comincia a piangere, prima piano poi con singhiozzi sempre più violenti.

–  Ma quando arriva Flynn? – mi domando e intanto continuo a consolarla e ninnarla come una bambina.

Solo di questo ha bisogno, solo questo posso darle ora. Non so quanto stiamo così, poi sento dei rumori e vedo Flynn nello specchio della porta.

Mi guarda con gli occhi spaventati, inquadra la situazione e si rilassa visibilmente.

Quella che penso sia un’infermiera, vestita con una divisa azzurra, si fa largo e apre una borsa, prepara veloce ed esperta una siringa, mentre Leila non si e accorta praticamente di nulla. Le afferra il braccio e le inietta un liquido bianco direttamente nella vena dell’avambraccio.

La figura singhiozzante che tengo tra le braccia non fa resistenza, come non se ne fosse neppure resa conto.

«Mi sembra abbastanza calma» mi dice Flynn. «È meglio che andiamo. Te la senti di portarla giù?» mi chiede.

Annuisco. Prendo il lenzuolo, ce l’avvolgo dentro e la sollevo tra le braccia. Taylor mi chiede se voglio che la porti lui.

Meglio di no.

Faccio un cenno di diniego.

Due minuti dopo sono nel retro dell’auto di John, con Leila tra le braccia che ha smesso di piangere ma rimane ferma e silenziosa.

Davanti alla clinica, a Fremont, ci stanno aspettando due infermieri con una lettiga e quella che credo sia un medico.

Flynn scende dall’auto e prende tra le braccia Leila, portandosi il suo braccio inerme dietro il collo. Leila, ormai sedata è una bambola di pezza e neppure si rende conto di essere stata adagiata sulla lettiga.

«Vai, Christian. Ora non serve che tu stia qui» mi incoraggia Flynn.

Mi avvicino al lettino, le carezzo la fronte e le deposito un bacio lieve sulla tempia.

 

Mezz’ora dopo sono in ascensore.

Se pensavo di avere avuto giornate di merda, in passato, non avevo ancora fatto i conti con questa serata infernale, mi dico. Poi penso alla settimana scorsa e penso che non ho toccato proprio il fondo, non nel vero senso della parola.

Sono incazzato, sfibrato, addolorato... lacerato.

– Ho bisogno di scopare – mi dico, guardando verso l’alto e sposto il peso da una gamba all’altra. – Ora la prendo, la faccio spogliare, la lego al letto con le gambe aperte e le entro dentro finché non mi è passata, finché non le faccio perdere i sensi. E poi pretendo, sì, pretendo che mi abbracci, che mi stringa... che mi dica che mi ama... stretto tra le sue braccia... Questo voglio! –   Questo è quello di cui ho bisogno.

Entro in casa mi viene incontro Gail. «Tutto bene, Mr. Grey?» mi domanda preoccupata.

«Sì, tutto a posto. Mrs Williams è al sicuro, Taylor ti spiegherà. Ana?»

«Mi dispiace, signore, non è ancora rientrata» mi spiega. «Che cosa desidera mangiare?»

«Non ho fame, Mrs Jones, aspetto Miss Steel. Ci arrangeremo, vada pure» la congedo, ma dentro sento un dolore sottile che mi serpeggia nell’anima. 

– Dov’è? – mi chiedo, ma la domanda vera, la domanda giusta, quella che non oso formulare è: – Tornerà? –

Mi ricordo della pistola che è al sicuro nella mia tasca e la deposito nel cassetto della mia scrivania, poi torno nel salone.

Aspetto Taylor che dovrebbe essere già qui, l’ho già chiamato e ho chiesto notizie, ma lui non sa dove sia Ana.

Ha lasciato la borsa sul sedile dell’Audi e nessuno dei due ha le chiavi: né lei né Kavanagh.

– Dov’è Jason? Lui sa di sicuro dov’è Ana –  mi dico. Mi aggiro come un’anima in pena per il salone, finalmente Taylor arriva e mi delucida:

Sawyer sta aspettando a casa di Ana. Lei non è tornata. Neppure il signor Kavanagh...

–  Sono insieme! E lei non ha con sé né la borsa, né il cellulare. –

A Fremont, appena salito in auto, l’ho chiamata e ho sentito la sua suoneria, quella dedicata a me, risuonare attutita sul sedile posteriore.

Nessuna notizia.

E io non posso stare... sono dilaniato.

Ho bisogno di lei.

Ho bisogno di sapere...

...che cosa sa...

...se mi vuole...

...se ha capito che io... le ho mentito. Ora lo sa che sono “oscuro”...

– È scappata via! Con Kavanagh. Non vedeva l’ora, quello – penso furioso, geloso.

– Era sconvolta. Tradita. –

E io sono terrorizzato.

Terrorizzato, lacerato. Furioso.

Richiamo Taylor che è tornato a casa di Ana a cercarla.

Sono attento ad ascoltare il suo rapporto, continuo a camminare avanti e indietro.  Non sento la porta aprirsi. Mi volto, la vedo, ho un tuffo a cuore.

«È qui» esclamo. Mi volto per fissarla e chiudo la comunicazione. «Dove cazzo sei stata?» ringhio, ma non mi avvicino.

Sento la furia montarmi al cervello e il sapore amaro della bile invadermi la bocca.

Ha gli occhi cerchiati e respira affannosa. «Hai bevuto?» chiedo, sgomento.

«Un po’» mormora.

Sussulto e mi passo una mano tra i capelli. «Ti avevo detto di tornare qui.» La mia voce risuona tranquilla ma non riesco a nascondere la rabbia che vi vibra dentro. «Sono le dieci e un quarto di sera. Mi stavo preoccupando per te.»

«Sono andata a bere un paio di birre con Ethan, mentre tu ti prendevi cura della tua ex» sibila verso di me. «Non sapevo per quanto tempo saresti rimasto… con lei.»

Stringo gli occhi, la studio. È arrabbiata?  Faccio un paio di passi verso di lei, ma mi fermo. «Perché dici così?» domando.

Le mie paura stanno diventando reali.

Vuole fuggire.

Non mi vuole più.

Ora sa e non mi vuole più.

Ha visto, poi Leila glielo ha detto.

Lei è troppo intelligente e lo ha capito. E non mi vuole più.

Aspetto una risposta, lei fa spallucce e abbassa gli occhi a guardarsi le mani.

«Ana, cosa c’è che non va?» chiedo, ma sto supplicando.

Deglutisce. «Dov’è Leila?» chiede e mi pianta gli occhi addosso.  

«In un ospedale psichiatrico a Fremont» dico e la scruto. «Ana, che cosa c’è?» Mi avvicino, di fronte a lei. «Cosa c’è che non va?» mormoro, la incalzo. “Che domanda idiota!” penso.

Scuote la testa. «Non vado bene per te» spara.

«Cosa?» esclamo, gli occhi sgranati. «Perché lo pensi? Com’è possibile che tu lo pensi?» quasi grido. – Solo tu vai bene per me SOLO TU! Non lei, nessuna di quelle: SOLO TU! –  So di avere gli occhi sgranati.

«Non posso essere tutto quello di cui hai bisogno» dice mesta. Addolorata.

«Tu sei tutto quello di cui ho bisogno.»

«Il solo vederti con lei…» La voce le muore in gola.

«Perché mi fai questo? Questa faccenda non riguarda te, Ana. Riguarda lei.» Inspiro forte, passandomi di nuovo la mano tra i capelli. – Come faccio a spiegarle? – «In questo momento è una ragazza molto malata.»

«Ma io ho sentito… quello che condividevate» dice angosciata.

«Cosa? No.» – Oh no, amore no! No. Non esiste nulla, non esiste più nulla: Esisti, Solo, Tu! Solo tu, amore mio! –  Cerco di toccarla, allungo una mano, ma lei si ritrae istintivamente. Lascio ricadere il braccio e la guardo, cerco di capire, di mettere a fuoco.

Sono terrorizzato. Il sangue mi è affluito in testa, una paura tale come fossi in punto di morte, mi manca il fiato. Sono nel panico. – Questa volta, se mi lascia, non torna più, perché ora sa! –

«Stai scappando?» domando in un sussurro.  

Resta muta.

– Sì, mi lascia! –

«Non puoi» la prego, imploro.

«Christian… io…» balbetta.

«No. No!» ripeto, ripeto ancora.

«Io…» sussurra.

Mi guardo intorno concitatamente. In cerca d’ispirazione, una soluzione, qualsiasi cosa! QUALSIASI! «Non puoi andartene. Ana, io ti amo!»

«Anch’io ti amo, Christian, è solo che…»

– Solo che? –  

«No… no!» dico disperato e mi prendo la testa tra le mani.

«Christian…»

«No» mormoro, sono nel panico.

IO HO LA NECESSITÀ ASSOLUTA DI APPARTENERLE!

IO SONO SUO!

– Non posso perderla, non posso perderla, io sono suo, suo, suo... io sono suo... – e crollo in ginocchio davanti a lei, con il capo chino, le mani sulle cosce. Faccio un respiro profondo e non mi muovo. Non mi muovo più. Lo deciderà lei. Farà tutto ciò che vorrà di me. Tutto quello che vuole!

«Christian, cosa stai facendo?» mi chiede, spaventata.

Continuo a guardare giù, senza sollevare gli occhi.

«Christian! Che cosa stai facendo?» ripete con voce acuta.

Non mi muovo. La mia Padrona non mi ha ordinato di rispondere e non rispondo, non mi ha ordinato di muovermi e non mi muovo. «Christian, guardami!» mi ordina, la sua voce sembra spaventata.

Alzo la testa senza esitazione e la guardo, impassibile come mi ha ordinato. Farò tutto quello che lei vorrà. Ho la necessità assoluta di appartenerle, lei è la mia padrona e io... sono il suo schiavo.


CAPITOLO 16


 «Christian, per favore, non fare così. Non voglio.»

Sento chiaramente la sua voce. La guardo, la sto guardando: è quello che mi ha chiesto. Il primo ordine. Mi ha ordinato di guardarla.

Questo è il modo che conosco per donarmi ad una donna.

«Perché stai facendo questo? Parlami» sussurra.

Sbatto le palpebre una volta. «Che cosa vorresti che ti dicessi?» le domando, con il tono più dolce che riesco a formulare così posso sapere che cosa desidera.

La sto guardando come mi ha chiesto: – Che cosa fa? Piange? Sono lacrime quelle che le rigano il volto? Perché? Io sono suo! – Può fare di me ciò che vuole, come più le aggrada: perché piange? Non c’è nulla di cui piangere.

Mi guarda? Perché mi guarda?

– Ah, capisco! Non sa che cosa ordinarmi, devo aspettare... – 

Deve imparare.

Sento una gran pace.

Non dipende più da me.

Dopo tanto tempo, dopo oggi... una gran pace.

Ora è lei che comanda, che ha tutto il potere. È lei che ha sempre avuto il potere. Che pace... appartenerle...

Mi guarda ancora.

Anche io la guardo, non mi ha ordinato di abbassare lo sguardo.

Mi fissa, perché i suoi occhi sono pieni di lacrime?

Che cosa sta facendo?

S’inginocchia? Perché? 

LEI NON  E’ UNA SOTTOMESSA!

Non è come le altre... non è mai stata come le altre!!!

Mai, mai, mai...

La volevo perché non era come le altre...

Ormai è tutto così putrido... solo lei è pura... non posso più farne a meno...

Lei NON è come le altre.

Come fa Leila a dire che ora è uguale a lei!

È  una bestemmia... una bestemmia...

Non posso... non voglio che siano uguali...

Dovrei sporcarla... farle del male... ferirla... per far sì che siano uguali... Non posso... è un mio limite assoluto!

L’UNICO LIMITE ASSOLUTO!

Leila è una povera anima ferita, un fantasma di donna... provo pena, pietà, dolore... rimorso.

Sto come sto... dilaniato a causa di Leila: lei ha ottenuto ciò che voleva, dilaniarmi. È riuscita nel suo intento di minare ciò che io ora ho e lei invece ha perduto. Io voglio fare qualcosa per lei, ma posso solo sperare di riportarla alla vita... Flynn mi ha assicurato... È Leila che deve cercare, sforzarsi di essere un po’ come Ana.

“Che cosa ha lei che io non ho?”

Me lo sono chiesto anche io...

La capacità donarsi. Di sforzarsi, di sacrificarsi, di soffrire...

E non si tratta di dolore fisico, quello passa subito - lo so bene - in special modo se il dolore ti piace e ti dà piacere...

No, io penso al lavoro, alla fatica, alla dedizione.

È stato facile per Leila procurarsi da vivere, mantenuta da chi pensava per lei in cambio di un finto asservimento e un po’ di sesso.

“Che cosa ha lei che io non ho?”

La capacità di soffrire per le proprie scelte, il mantenersi con i sacrifici, il dedicarsi per trovare da sola il proprio posto nel mondo, come ho fatto io.

“Che cosa ha lei che io non ho?”

La purezza, la forza, la cultura, la grazia...

“Che cosa ha lei che io non ho?”

Lei ha...

lei ha...

ME.

Io le appartengo.

Sono suo.

In suo totale potere.

–  Tutto, di me, le appartiene. –

Si sta asciugando le lacrime con il dorso della mano.

–  Non piangere, amore mio, non piangere... –

È sempre qui in ginocchio, come me.

Perché?

Perché non mi dà l’ordine.

Io eseguo, io so eseguire.

Non mi vuole!!!

Neanche così!

Non. Mi. Vuole!!!!

È il solo modo che conosco, amore... io non so, non so che altro fare!!!!!

«Christian, non devi fare così» sembra che mi supplichi invece di ordinare.

«Io non scapperò.»  

L’ha detto davvero?

«Te l’ho detto e ridetto.»

Ho sentito bene?

«Non scapperò.»

Sì, l’ha detto.

«Tutto quello che è successo…» dice...  

Sì, è successo, avrei dato un braccio perché ciò che è avvenuto oggi non fosse accaduto, ma è successo.

«...è sconvolgente» dice.

 È la parola giusta, qualcosa che sconvolge tutta la mia vita e anche la tua. La “nostra” vita.  

«Ho solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere…»

Riflettere?

«...un po’ di tempo per me stessa.»

No! Tu, senza di me, mai più!

«Perché pensi sempre al peggio?»

– PERCHÉ “IO SONO” IL PEGGIO, Ana! Io. Sono. IL PEGGIO. –

E lei parla, parla ancora...

«Stavo per suggerire che potrei tornare al mio appartamento stasera. Non mi hai mai dato tempo… tempo per riflettere bene sulle cose». Singhiozza.

Ora singhiozza!

Tornare a casa? Quale casa? Questa è la tua casa, qua con ME!

Con me!

Forse non va bene “questa” casa?

È giusto, questa casa non va bene per te: lo so.

«...Tempo per pensare, e basta.»

– Tempo? Per pensare? A cosa devi pensare? Non serve pensare, basta obbedire... se avessi firmato il contratto ora non dovresti pensare... non dovresti soffrire... non dovresti piangere... –  Continuo a guardarla, mi concentro, ma non mi ha ancora dato l’ordine.

«Ci conosciamo a stento,»

 – Ah, continua a parlare, non serve parlare, non serve a niente. Se avessi firmato il contratto... –  

«..e tutto questo fardello che ti porti appresso…»

Fardello... non posso obiettare. È un greve fardello, io sono un greve fardello...

«Ho bisogno… ho bisogno di tempo per riflettere.»

Tempo. Riflettere.

«E ora che Leila è… be’, ovunque sia… non è più là fuori e non è una minaccia…»

– Non è più una minaccia? Lei, forse, non è più una minaccia, ma c’è pieno, là fuori, di minacce che attaccano te per colpire me!!!! Da che sei entrata nella mia vita, tutto e tutti minacciano  me... TE... NOI!!! –

Perché?

Mi chiedo perché... perché?

Forse perché io non voglio più.  

Non voglio più la vita di prima e questa è una minaccia: se io non voglio più, proprio io che sono solo un sadico bastardo, allora significa che la vita di tutti, di tutti loro fa schifo... che le loro scelte - le nostre scelte -  fanno schifo!

«...pensavo… pensavo…» la voce le si affievolisce e mi guarda fisso.

– Pensavi? Anche io pensavo... pensavo che non ho mai avuto una scelta, prima di te... che scelta ho avuto? Una scelta limitata in un mondo limitato, una scelta fra cinquanta sfumature dello stesso colore, mentre fuori c’era l’arcobaleno. “Tu” sei l’arcobaleno e ho scelto te. Senza esitazioni. Sceglierò sempre  te... sempre. Tu non devi pensare... non serve... –   

«Vederti con Leila…»

Chiude gli occhi, ma io vedo il dolore. L’ho visto... a casa sua... il suo dolore.

«È stato un tale shock.»

 – Lo so, amore mio, lo so. Tremo a pensarci. –

«Ho avuto una fugace visione di quella che è stata la tua vita… e…»

–  Ti sei sentita tradita. I-NA-DE-GUA-TA. Ho capito, ho capito che hai visto... tutto ciò che sono... tutto ciò che sono stato... che non avevi visto bene quando te lo sei trovato davanti perché avevi gli occhi bendati o eri girata, a faccia in giù. Hai visto il mio piacere, quello che deriva solo dal possesso... per questo... per questo  sono qui... inginocchiato... per offrirti lo stesso dono... il POSSESSO... su di me... perché IO. SONO.TUO! –

La divoro con lo sguardo, divoro le sue lacrime.  Non so che altro fare... Non conosco modo... se solo avesse firmato...

Abbassa gli occhi sulle sue dita intrecciate, le lacrime continuano a scorrerle lungo le guance. Non so come fermarle, non mi ha ordinato di consolarla.

«Ha a che fare con il mio non essere abbastanza per te.»

– Oh, di nuovo questa storia? Io, di più, non so che fare! Sono qui in ginocchio come un vero schiavo quando avrei pensato che non lo avrei desiderato mai più. Sono qui in ginocchio per riuscire a farmi accettare da te... e tu, “tu”, pensi di non essere abbastanza? –  

«È stato un presentimento sulla tua vita, e ho così tanta paura che ti stanchi di me, e che poi te ne andrai… e che io finirò come Leila… un’ombra»

– Oh, Mio Dio, è anche la mia più grande paura! Ti amo, Ana, e se tu mi lasci vivrò nel buio più profondo, senza speranza. –  Mi rendo vagamente conto che le sue parole sono l’eco dei miei pensieri.

«Ti amo, Christian, e se tu mi lasci, sarà come vivere in un mondo senza luce. Vagherò nell’oscurità. Non voglio scappare. Sono solo spaventata dall’idea che tu mi lasci…»

– Sono solo spaventato dall’idea che tu mi lasci… – Sì, le tue parole sono l’eco dei miei pensieri.

«Non capisco perché mi trovi attraente» mormora. «Tu sei, be’, tu sei tu… e io…» Si stringe nelle spalle e mi guarda. «È solo che non lo capisco. Tu sei bellissimo, sensuale, di successo, buono, gentile e amorevole… tutte queste cose. E io no. E non posso fare quello che a te piace fare. Non posso darti quello di cui hai bisogno. Come potresti essere felice con me? Come potrei mai riuscire a tenerti legato a me?» sussurra, spaventata.

E io non capisco... davvero non capisco!

«Non ho mai capito cosa vedi in me.»

Il sole? La luna? Le stelle? La gioia? La felicità? La bellezza? L’arcobaleno? La purezza? Io vedo in te speranza e  ogni più piccola cosa bella, sei la più bella creatura su cui abbia posato gli occhi!

Io invece non capisco perché non lo vedi: è così chiaro!

«E osservarti con lei ha portato tutto a galla.» Tira su con il naso e si asciuga le guance con il dorso della mano, fissandomi. «Te ne starai qui in ginocchio tutta la notte? Perché lo farò anch’io!» esclama.

– Così non ci capiamo. Devo trovare un altro modo per arrivare a lei. Devo trovarlo... Questo sarà anche il solo modo che conosco per donarmi ad una donna ma con lei non funziona. Non funziona! Devo trovare un’altra soluzione. – 

«Christian, per favore… per favore… parlami» mi implora.

– Ma questo non è un ordine. Non se ne esce, non le interesso... non mi vuole così. Non so che altro fare! Ma come faccio a legarla a me? Io non posso stare... senza di lei... se se ne dovesse andare, o peggio, se dovesse accaderle qualcosa... a causa mia... –

Sbatto le palpebre. E glielo dico: «Ho avuto così tanta paura» sussurro. «Quando ho visto Ethan fuori dal palazzo,» cerco di spiegare, «ho capito che qualcuno ti aveva fatta entrare nell’appartamento. Taylor e io siamo balzati fuori dall’auto. Avevamo capito. E vedere lei là, in quello stato, con te, e armata… Penso di essere morto un migliaio di volte, Ana. Qualcuno che minaccia la tua vita… La realizzazione di tutte le mie peggiori paure. Ero così arrabbiato con lei, con te, con Taylor, con me stesso.» Scuoto la testa. – Io sono sempre arrabbiato. Poi se mi toccano te... –  «Non sapevo quanto lei potesse essere instabile. Non sapevo cosa fare. Non sapevo come avrebbe reagito.» Mi fermo un istante a raccogliere i pensieri, misurare le parole. «E poi lei mi ha dato la chiave. Aveva l’aria così contrita.»

Non posso dire ad Ana che Leila  lo ha fatto apposta, che mi ha manipolato.

Io lo so che è così. E io gliel’ho permesso perché era davvero instabile, lucida, ma in preda ad una crisi di follia.

«E allora ho saputo quello che dovevo fare.» Guardo Ana, attendo la sua reazione.

Intanto non se ne è ancora andata, non mi ha lasciato... come sabato... ed è ancora qui... altro che tornare al suo appartamento... io piuttosto la lego. –  No, no! Legarla no! Poi scappa davvero. Ci sarà pure un altro modo! – Con Ana devo usare l’altro modo: devo parlarle... 

«Va’ avanti» sussurra.

Deglutisco. «Vederla in quello stato, sapere di aver avuto a che fare in qualche modo con il suo stato…» Chiudo gli occhi, per cancellare un’immagine che ho contribuito a creare. «È sempre stata così maliziosa e vivace.» Rabbrividisco. –  Mai più riuscirò a rivederla diversa da stasera. Ero davvero scioccato dalla sua trasformazione –  sospiro. «Avrebbe potuto farti del male. E sarebbe stata colpa mia.» Ammutolisco solo al pensiero.

«Ma non l’ha fatto» sussurra. «E tu non sei responsabile dello stato in cui si trova, Christian.»

– Sì, sono responsabile. È inutile, lo so. – «Volevo solo che tu andassi via» mormoro. «Ti volevo lontana dal pericolo e… Tu. Proprio. Non. Te. Ne. Andavi!» sibilo a denti stretti e scuoto la testa. La guardo, è ancora qui. “Io” sono ancora qui! «Anastasia Steele, sei la donna più testarda che conosca.»  –  Ora glielo chiedo, casomai avessi capito male... –  «Non stavi scappando?»

«No!»

Chiudo gli occhi, mi rilasso. – Oh, bene! – «Pensavo…» Mi fermo. Pensavo che mi avrebbe lasciato un’altra volta. Non potrei sopportarlo. Deve capire... «Questo sono io, Ana. Tutto ciò che sono… E sono tutto tuo. Che cosa devo fare per fartelo capire? Per dimostrarti che ti voglio in tutti i modi possibili. Che ti amo.»

«Anch’io ti amo, Christian, e vederti così…» Oh no, ha ripreso a singhiozzare!  «Pensavo di averti spezzato.»

– A me? –  Se non te ne vai, non posso spezzarmi perché solo con te mi sento intero.

«Spezzato? Me? Oh, no, Ana. Proprio l’opposto.» Le prendo la mano, l’ho spaventata.  «Tu sei la mia ancora di salvezza» mormoro e le bacio la mano, l’unica mano al mondo a cui permetta di toccarmi, di cui io aneli il tocco, anzi, per sentirne il contatto premo il mio palmo contro il suo.

– Di più, amore mio, di più, molto di più. Anzi: tutto! –

Ho paura, lo so.

So anche che non ho nulla da temere.

Amo il suo tocco, lo bramo.

Mi ha toccato anche Leila e sono sopravvissuto... No, non devo pensarci, non devo focalizzare che Leila ha invaso i miei spazi... Ha oltrepassato i miei limiti...

È stato solo un sogno.

Devo convincermi che è stato solo un brutto sogno, uno dei miei incubi. 

Ora devo sovrapporre il tocco della mano che amo a quel ricordo spiacevole...

Ora siamo io e Ana. Solo noi...

– Toccami, ti prego. – Tiro la sua mano verso di me e me la appoggio al petto, nella zona off-limits.

È fuoco. Fuoco, fuoco, fuoco...

– Brucio, brucio, brucia! –

Il mio respiro accelera.

Il cuore, sotto la sua mano, batte a un ritmo frenetico, martellando.

– Allora ci sei! E batti, per giunta! Se è vero che ci sei, allora batti per lei, solo per lei... –  penso a denti stretti. 

Sento il fuoco scoppiettarmi in testa a friggermi le tempie.

Serro i denti, li serro forte.

La guardo, ha gli occhi dilatati e riesco chiaramente a leggere il panico.

Un po’, solo un po’, il fuoco si smorza sfrigolando, tuffato dentro quelle due pozze azzurre che sono le sue iridi.

Boccheggio, mi manca l’aria, ma so, so!, che non è nulla.

Nulla!

È solo la carezza della donna che amo.

Il mio respiro si acqueta, so che mi ama.

Trattengo ancora la sua mano sul mio petto.

So che vorrebbe fuggire, ritirarla, non glielo permetterò.

Voglio che mi esplori.

Le libero la mano dalla mia presa. Lei flette leggermente le dita, percepisco il calore della sua mano attraverso la stoffa fine della camicia.

Trattengo il fiato.

I suoi occhi si spalancano terrorizzati, sta per togliere la mano...

«No» dico in fetta, copro la sua mano con la mia e mi premo le sue dita addosso. «Non farlo.»

Fortunatamente lei si avvicina, le nostre ginocchia si toccano e lentamente solleva l’altra mano, per mostrarmi che sta per toccarmi, per aprirmi la camicia.

È quello che voglio.

Non vuole un Dominatore,  non vuole uno schiavo, desidera me.

È questo ciò le devo concedere, toccarmi, anche se per me è fuoco, è paura perché quando mi toccherà...

Delicatamente, inizia a slacciarmi i bottoni con una mano sola. L’altra è ancora appoggiata al mio petto.

– Ci siamo... sta per entrare... e quando l’avrà fatto... quando le avrò permesso di entrare... – Boccheggio, deglutisco. Il sangue mi pompa  nelle orecchie. – Quando mi avrà toccato... è un processo irreversibile... –

La sua mano indugia, di poco staccata dal mio torace, e mi fissa… chiedendomi il permesso.

– Sì – concedo. Ho paura.

Esita.

«Sì» dico d’un fiato.

Distende le dita tra i miei peli, li accarezza leggermente, all’altezza dello sterno.

Chiudo gli occhi, aspetto.

È un dolore indescrivibile.

Un dolore fisico insopportabile.

Come sia possibile, non lo so. È come se mi avessero dato delle martellate alla gola, insistenti.

Leggo il dolore nei suoi occhi e allontana subito le dita.

No, non posso permetterglielo!

Afferro veloce la mano e la riporto lì con fermezza, piatta sul mio torace nudo.

Ecco, mi ha toccato! È entrata e ora, ora, non potrà uscire mai più, mai più da questa gabbia.

«No» dico «Ne ho bisogno.»

I miei occhi sono chiusi ad assaporare questo dolore, questa agonia. E lentamente sento il fuoco della sua mano scaldarmi il cuore.

 – Ho bisogno di te, sei entrata dentro di me DEFINITIVAMENTE. Ora non posso più tornare indietro... mai più – e lo sento battere, battere forte, e stridere, e urlare... può urlare, un cuore?

Apro gli occhi.  Ansimo. È dentro, è entrata, è fatta! Sono sopravvissuto. L’ho voluto io... – Non posso più farmi mangiare vivo dal terrore; devo  abbattere a testate questo mio assurdo limite. Io non voglio limiti... Non con lei, mai più... –

 Io sono annientato, eccitato... sento tutto il mio corpo scosso da corrente elettrica: paura, fuoco e... desiderio.

– Ah, sì: è desiderio! Lo riconosco... – Le sue labbra sul mio petto... – È desiderio! È piacere! È voglia... mista a paura. –  

Una paura molto di più vivida di quella che sentivo nei giochi di sottomissione. È paura reale, pungente...

Ana si piega, china il capo... lo so... lo so da tanto tempo... dal primo istante, che saremmo arrivati a questo...

Lo so... lo aspetto... sto aspettando da sempre...

...il suo bacio sul cuore!

Gemo, un gemito strozzato mi esce dalle labbra...

– È bellissimo e orribile... –

Non ne ho paura ma è orribile, spaventoso... magnifico, magnifico... lo voglio... ancora, ancora!

«Ancora» sussurro.

Trasalisco, ad ogni bacio, trasalisco. E gemo. Poi non ne posso più la voglio: è mia, è mia!

La bacio, la possiedo come lei ha posseduto me, le devo entrare dentro, come lei è entrata entro di me, dentro al mio cuore.

 «Oh, Ana» sospiro, la bacio, la stringo, la voglio sotto di me, dentro di me.

Lacrime pungenti mi sferzano le palpebre e colano: colano!

– Ma è possibile? – 

«Christian, per favore, non piangere.»

 – Non sto piangendo, amore, non sto piangendo... –  O forse sì?  «Facevo sul serio quando ho detto che non ti avrei mai lasciato. Sono qui. Se ti ho dato l’impressione di volermene andare, mi dispiace… Per favore, per favore, perdonami. Ti amo. Ti amerò per sempre.»

Mi sollevo un po’. Incombo su di lei, per guardarla in viso, per crederle... – Come faccio a crederle? Come? Se sapesse... Non ha ancora capito bene, forse Leila non le ha detto davvero quelle cose di me... perché se sapesse... –

  «Cosa c’è?» mi domanda spaventata. «Qual è questo segreto per cui pensi che possa scappare a gambe levate?» –  Non molli mai, eh, Miss Steele? Mai! – «Che ti fa credere così fermamente che me ne andrei?» Mi prega con voce tremante. «Dimmelo, Christian, per favore…»

Mi tiro su a sedere, incrociando le gambe e lei fa lo stesso.

Mi chiedo distrattamente se saremo mai in grado di alzarci dal pavimento.

– Ok, d’accordo, intanto ci arrivi ed è meglio se te lo dico io... –

«Ana…» Mi fermo, cerco le parole. Sono annientato. Faccio un respiro profondo e deglutisco. «Sono un sadico, Ana. Mi piace frustare le ragazze brune come te perché assomigliate alla puttana drogata… alla mia madre biologica. Immagino che tu possa capire perché.» Lo dico tutto di un fiato, come la lezioncina imparata a memoria in prima elementare che non vedi l’ora di finire di esporre davanti ai tuoi compagni che aspettano solo di ridere di te.

«Hai detto che non eri un sadico» sussurra. Mi guarda allucinata, parla a stento e si vede che sta cercando di radunare i pensieri.

E questo è male.  

«No, ti ho detto che ero un Dominatore. Se ti ho mentito, è stata una bugia di omissione. Mi dispiace.» Abbasso gli occhi, mortificato. «Quando mi hai fatto quella domanda, immaginavo una relazione completamente diversa tra noi» mormoro.

Ora ho davvero paura che mi lasci. Sono arrivato fin qui, siamo arrivati fin qui... alla resa dei conti. E io sono nudo.

Si prende la testa tra le mani.

– Oh. Mio. Dio! Mi lascia, mi lascia... Mi lascia! – 

«Dunque è così» sussurra e mi guarda. «Non posso darti quello di cui hai bisogno.»

– Come? Ti appena detto che sono un sadico e tu, invece di fuggire terrorizzata, mi dici che non puoi accontentarmi? Tu PUOI accontentarmi... solo tu! – «No, no, no. Ana. No. Tu puoi. Tu davvero mi dai ciò di cui ho bisogno.» Serro i pugni. «Per favore, credimi» mormoro, supplico. – Credimi, amore, credimi! –

«Non so cosa credere, Christian. È una situazione così incasinata»

«Ana, credimi. Quando mi hai lasciato dopo che ti ho punito, la mia visione del mondo è cambiata. Non stavo scherzando quando ho detto che avrei evitato di sentirmi in quel modo un’altra volta.» La supplico, so di supplicarla. E canto, canto come un usignolo: «Quando hai detto di amarmi, è stata una rivelazione. Non me l’aveva mai detto nessuno prima, ed è stato come se io avessi messo una pietra sopra a tutto, o forse come se tu avessi messo una pietra sopra a tutto, non lo so. Il dottor Flynn e io ne stiamo ancora discutendo.»

«Che cosa significa tutto questo?» mi domanda stravolta.

«Significa che non ho bisogno di quelle cose. Non adesso.»

«Come fai a saperlo? Come fai a esserne così sicuro?» Sembra quasi arrabbiata.

«Lo so e basta. Il pensiero di farti male… in qualsiasi modo reale… è aberrante per me.» – Sono un sadico, mica un assassino! –

«Non capisco. E che ne è delle regole? Delle sculacciate e di tutte le perversioni sessuali?»

Faccio scorrere una mano tra i capelli, sorrido, penso, ricordo...

Il dolore era un piacere condiviso. Lei non concepisce che ci siano persone che amino il piacere che deriva da dolore, come una droga. Non ho mai, mai varcato il limite che mi è stato imposto, MAI! Solo rarissime volte sono arrivato al rosso anche durante le sessioni più violente. Ho sempre tenuto fuori la mia rabbia.

Sospiro.

Ho dovuto ingabbiarla durante certe prove, per non varcare la soglia... «Parlo di tutta la merda più pesante, Anastasia» confesso. «Dovresti vedere cosa posso fare con un bastone o con un flagellatore.»

«Meglio di no.»

«Lo so. Se tu volessi fare quelle cose, allora andrebbe bene… Ma non vuoi e io lo accetto. Posso non fare tutte quelle stronzate con te, se non vuoi. Te l’ho già detto una volta, hai tutto il potere. E ora, da quando sei tornata, non sento più quell’impulso.»

Mi fissa a bocca aperta. «Quando ci siamo incontrati, era quello che volevi, giusto?»

«Sì, indubbiamente.» – Lo voglio ancora, Ana, ma in modo diverso. –

«Come può il tuo impulso sparire e basta, Christian, come se io fossi una panacea, e tu fossi, diciamo così, guarito? Non riesco ad afferrarlo.»

Sospiro ancora una volta. «Non direi guarito… Non mi credi?»

«È solo che lo trovo… incredibile. Il che è diverso.»

«Se tu non mi avessi lasciato, probabilmente non mi sentirei così. Il tuo allontanarti da me è stata la cosa migliore che tu abbia mai fatto… Per noi. Mi ha fatto capire quanto ti volessi» – Quanto ti desiderassi, solo te. Solo te. –  «E quando dico che ti vorrei in tutti i modi possibili, lo intendo davvero.» – Ti voglio in tutti i modi possibili: voglio amarti, frustarti, sculacciarti, coccolarti, voglio tutto. Ma NON VOGLIO farti male. Non posso, non ci riesco... non desidero che tu senta male veramente... Aborro l’idea di lasciarti lividi. Non voglio! Non voglio spaventarti, non voglio! Questo devi comprendere: devi! –

Mi guarda incredula e mi guarda spaurita.

«Sei ancora qui. Pensavo che, a questo punto, te ne saresti già andata» sussurro. – Forse hai capito... che non potrei mai farti del male, mai! –

«Perché? Perché potrei pensare che sei uno psicopatico che fustiga e si scopa le donne che assomigliano a sua madre? Che cosa ti ha dato quest’impressione?» sibila.

– È furiosa? –

 Mi manca il pavimento sotto alle ginocchia. «Be’, non l’avrei messa proprio in questi termini, ma… sì» ammetto.  

La guardo in attesa di una sua reazione. – Ora se ne va... –

«Christian, sono esausta. Possiamo discuterne domani? Voglio andare a letto» mi dice alla fine, come se fosse Atlante stanco di sorreggere il mondo..

«Non te ne vai?»

«Vuoi che me ne vada?»

«No!» – Nooooho!!!!! –  «Pensavo che te ne saresti andata, quando avessi saputo.» Sta sorreggendo tra le braccia un’oscura minaccia di morte... e quella minaccia sono io, lo so bene. Ma non m’importa, io la voglio lo stesso. «Non lasciarmi» imploro, come un bambino. – Non lasciarmi anche tu... –

«Oh, devo gridarlo forte: no! Non me ne andrò!» urla.

«Davvero?» – Oh, davvero non mi lascia! –  mi dico, stupito. – Come faccio a crederle? Come?!? Me lo deve mettere per iscritto, che non mi lascia! Come posso fidarmi, altrimenti? Deve firmare ‘sto cazzo di contratto! Per la mia sanità mentale! DEVE FIRMARE! –

«Cosa devo fare per farti capire che non scapperò? Cosa posso dire?»

«Una cosa che puoi fare c’è.» Mi è venuta un’illuminazione. IL CONTRATTO!

«Cosa?» chiede.

«Sposami» sussurro.

Mi sta guardando ma non sono troppo sicuro che mi stia vedendo. Mi sembra più scioccata di prima, quando le ho detto che sono  un sadico.

Sorride...

– Accetta! Perché mai dovrebbe rifiutare? Infondo, io sono Christian Grey! –   

Ride?  

– Sta ridendo! –  Sarebbe più corretto dire che si sta sbellicando.

– Si copre il viso con il braccio per arginare il riso e le lacrime: si sta proprio sbellicando! – Non mi aspettavo questo tipo di reazione. Veramente non ho la più pallida idea di quale reazione aspettarmi perché non ho mai neppure contemplato l’idea del matrimonio. Però, dal momento che non ho nessuna intenzione di separarmi da lei mai più, perché non dovremmo contrattualizzare? 

– Forse perché ti dice di no, Grey, dal momento che le sembra una proposta cosa così buffa! –  mi dico risentito. – Eh no, eh! Nemmeno così, riesco a legarla a me? Cosa devo fare? Che cosa devo fare di più? Più di così, più di tutto... io proprio non posso! Solo lei, solo lei in tutto il mondo direbbe di no a ME!  Si sta calmando, è rinsavita – mi dico dopo quello che mi è sembrato un secolo. – Devo sapere! – 

Quando l’isteria svanisce, le sollevo il braccio dal volto.

Si gira, mi guarda, sdraiata sul pavimento.

Ha gli occhi bagnati di lacrime. “Oh, no...” Le asciugo una lacrima con le nocche.

«Trovi che la mia proposta sia divertente, Miss Steele?» dico lievemente indignato.

Lei solleva una mano e mi accarezza la guancia con tenerezza. Con amore.

Dio, io amo questa donna.

«Mr. Grey… Christian. Il tuo tempismo è senza dubbio…»

Ecco, sta parlando... ma...

«Così mi ferisci, Ana. Mi sposerai?»

Si siede e si protende verso di me, appoggiando le mani sulle mie ginocchia. Mi fissa. «Christian,» comincia, «ho incontrato la tua psicotica ex con una pistola, sono stata cacciata dal mio appartamento, mi sono ritrovata con te che diventavi un turbine…» Apro la bocca per parlare, ma lei alzo la mano e mi ferma. Obbedisco.  «Mi hai appena rivelato qualche informazione francamente scioccante riguardo a te stesso, e ora mi chiedi di sposarti.»

Ha ragione.

Sono vagamente divertito.

«Sì, credo che sia un’analisi giusta e accurata» dico seccamente.

Lei scuote la testa. «Cos’è successo all’appagamento ritardato?»

«L’ho superato, ora sono un deciso sostenitore dell’appagamento immediato. Carpe diem, Ana» mormoro.

«Guarda, Christian, ti conosco da circa tre minuti e ci sono ancora tante cose che devo sapere. Ho bevuto troppo, ho fame, sono stanca e voglio andare a letto. Ho bisogno di riflettere sulla tua proposta, proprio come ho avuto bisogno di riflettere sul contratto che mi hai dato. E, a essere sincera non è stata la proposta più romantica del mondo.»

Ok, analisi perfetta: «Un punto per te, Miss Steele» sospiro sollevato. «Perciò non è un no?»

«No, Mr. Grey, non è un no, ma non è neanche un sì. Me lo chiedi solo perché hai paura, e non ti fidi di me.»

«No, te lo chiedo perché ho finalmente trovato qualcuno con cui voglio passare il resto della mia vita.»

– Non ci avevo pensato, al matrimonio, ma visto che non ti libererai mai di me, Miss Steele, tanto vale metterlo per iscritto. –

Ana rimane a bocca aperta. Mi guarda sconcertata: – Forse mi dice di sì subito. –

«Non avrei mai pensato che mi sarebbe capitato» spiego.  

«Posso pensarci… per favore? E pensare anche a tutto quello che è successo oggi? A quello che mi hai appena detto? Mi hai chiesto pazienza e fiducia. Bene, chiedo le stesse cose a te, Grey. Ne ho bisogno adesso.»

No, non mi dice subito di sì.

– Pazienza e fiducia? –  Ok, posso farcela.

Mi protendo verso il suo bel faccino e le sistemo una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Posso farcela» ripeto le sue stesse parole di qualche giorno fa.

Le sfioro le labbra con un bacio: «Non molto romantico, eh?» chiedo e lei scuote il capo.  «Cuori e fiori?» Ana annuisce con decisione. – Va bene, piccola, come vuoi tu. –  «Hai fame?» 

«Sì.»

«Non hai mangiato.» Vorrei rimproverarla, ma mi trattengo.

«No, non ho mangiato. Essere cacciata dal mio appartamento dopo essere stata testimone dell’intima interazione del mio fidanzato con la sua ex Sottomessa mi ha considerevolmente guastato l’appetito.» Mi fissa truce, con i pugni chiusi sui fianchi.

Scuoto il capo e mi rimetto in piedi, ho le gambe addormentate.  Lascia che ti prepari qualcosa da mangiare» dico e le porgo la mano.

«Non possiamo andarcene a letto e basta?» mormora stancamente mentre mette la mano nella mia.

La tiro su. «No, hai bisogno di mangiare. Vieni.» La porto in cucina. Preparerò io per lei, così saprà che sono un uomo “da sposare”.

«Christian, non ho poi tanta fame» mi dice dopo aver visto l’ora.

La ignoro e rovisto nel frigorifero. «Formaggio?»  chiedo.

«Non a quest’ora.»

«Pretzel?»

«Freddi di frigorifero? No» esclama.

Mi volto e sorrido. Credevo le piacessero i pretzel, li fatti acquistare apposta. «Non ti piacciono i pretzel?»

«Non alle undici e mezzo di sera. Christian, vado a letto. Puoi startene lì a rovistare nel frigorifero per il resto della notte, se vuoi. Sono stanca, e ho avuto una giornata fin troppo impegnativa. Una giornata che vorrei dimenticare.»

Scivola giù dallo sgabello, sta per andarsene, vorrei sgridarla ma non ho voglia di irritarla.

«Maccheroni al formaggio?» propongo come ultima res, sollevando una ciotola bianca coperta da un foglio d’alluminio.

«Ti piacciono i maccheroni al formaggio?» mi domanda.

Annuisco. – A chi non piacciono? –

«Ne vuoi un po’?» le chiedo.

Annuisce e mi fa un debole sorriso.

– Oh, finalmente sorride! – sorrido anch’io. Mi illumino.

Infilo la ciotola nel microonde. Lei si siede e mi guarda scettica.

«Allora sai usare il microonde?»

Mi sta prendendo in giro. La ignoro.

«Se il cibo è confezionato, di solito riesco a farci qualcosa. È con quello vero che ho problemi.»

«È molto tardi» borbotta.

«Non andare a lavorare domani.»

«Io devo andare a lavorare domani. Il mio capo è in partenza per New York.»

«Vuoi andarci questo fine settimana?» chiedo.

«Ho controllato le previsioni del tempo e pare che pioverà» dice scuotendo la testa.

«Oh, allora che cosa ti va di fare?»

Il trillo del microonde annuncia che la nostra cena è riscaldata.

«In questo momento voglio solo affrontare un giorno alla volta. Tutta questa eccitazione è… sfiancante.»

Poso la ciotola tra i nostri due posti e mi siedo accanto a lei.

«Mi dispiace per Leila» mormoro. Voglio che sappia che non è colpa mia.

«Perché?» chiede.

«Dev’essere stato uno shock terribile per te trovarla nel tuo appartamento. Taylor lo aveva controllato prima. È molto turbato.»

«Non biasimo Taylor.»

«Nemmeno io. È stato fuori a cercarti.»

«Davvero? Perché?»

«Non sapevo dove fossi. Hai lasciato la borsa, il telefono in macchina. Non potevo neppure rintracciarti. Dove sei andata?» È inutile, solo geloso da morire, devo sapere.

«Ethan e io siamo semplicemente andati nel bar dall’altra parte della strada. Così potevo guardare cosa succedeva.»

«Capisco.» Non stava scappando con lui...

«E tu cos’hai fatto con Leila nell’appartamento?» Domanda a bruciapelo.

– Cazzo, sono andato a cercarmela! Idiota! –  Mi blocco con la forchettata di maccheroni sospesa a mezz’aria. –  Che cazzo le rispondo? La verità? – «Vuoi saperlo davvero?»  – Certo che vuole saperlo, è Ana! –

«Sì» sussurra.

Esito.

«Abbiamo parlato, e le ho fatto un bagno. E le ho fatto indossare qualcuno dei tuoi vestiti. Spero che non ti dispiaccia. Era sporca».

Sento Ana che fa un respiro profondo.

«Era tutto ciò che potevo fare, Ana.»

«Provi ancora dei sentimenti per lei?»

«No!» esclamo. – Noooho! – «L’ho vista così… così diversa, così distrutta. Tengo a lei, come ogni essere umano tiene a un altro.» Scrollo le spalle come per togliermi di dosso un ricordo spiacevole. So di essere nei guai, di nuovo. «Ana, guardami.»

Non si volta. 

«Ana.»

«Cosa?»

«Non significa niente. È stato come prendersi cura di un bambino, un bambino distrutto» mormoro.

«Ana?»

Si alza, sparecchia in fretta, vuole fuggire.  «Ana, per favore.»

Si gira e mi guarda. «Smettila, Christian! Smettila di dire: “Ana, per favore!”» mi strilla. 

Piange.

Sono nei guai.

«Ne ho abbastanza di tutta questa merda per oggi» dice rabbiosa. «Sto andando a letto. Sono stanca ed emotivamente provata. Ora lasciami perdere.» Gira i tacchi e scappa in camera da letto.

Mi appoggio con i gomiti al bancone e mi prendo la testa fra le mani.

–  Sono un coglione! Pazienza e fiducia... Fiducia, ok. Però, io e la pazienza non andiamo d’accordo –  penso sconfortato.

Vorrei correre di là a vedere come sta... per sapere... Però devo lasciarle i suoi spazi... i suoi tempi...

–  Ok, vado! – 

Corro in camera. Non c’è.

La porta del bagno è chiusa.

Aspetto. Tendo l’orecchio.

– È lì dentro che piange! –  Oh, no!

Entro.  È sul pavimento del bagno.

«Ehi» dico e mi chino. La prendo tra le braccia.

La sto facendo soffrire.

Non vorrei ma... qui non ci sono safeword.

«Per favore, Ana, non piangere» la prego. «Mi dispiace, piccola» le dico, la tengo stretta. E lei piange di più.

Ma mi abbraccia.

Mi stringe forte e io mi rassereno.

Lei si stringe a me e io, a poco a poco, sento tutta la merda di questa serata di merda scivolare via.

Dopo un bel po’, quando sento che ha quasi smesso, la prendo in braccio e la porto a letto.

In pochi secondi mi spoglio e m’infilo nel letto, accanto a lei.

È qui che voglio stare: me la prendo tra le braccia e la cullo finché non sento il suo respiro, scosso ancora da qualche singhiozzo, rallentare. Si è addormentata.

Annuso il suo profumo. Sfioro la sua pelle di velluto e cerco di non pensare, di non ricordare... vorrei solo dormire... come lei... le luci sono

spente. La tengo stretta, non voglio che si allontani da me...

Mi girano in testa le parole di Leila: “L’hai scacciata... non la vuoi più, l’hai scacciata, l’hai scacciata, l’hai scacciata... non va bene per il Padrone, Il Padrone è oscuro... è inadeguata... l’hai scacciata...”

Tutto, in me, si ribella, tutto!  

Io non l’ho scacciata... impossibile... impossibile... impossibile... impossibile...

Finalmente scivolo in un sonno oscuro e tormentato.

 

Mi sveglio di soprassalto. Sto urlando. Un’altra volta, anche se qui, con me, c’è lei...

– No, non c’è: è fuggita! È fuggita! –

«Christian!» sento la sua voce, lei è qui, c’è luce.

È lei che mi scuote.

Un incubo, nell’incubo sono solo, abbandonato, poi ho sentito i passi... i tacchi degli stivali...

Ana mi scuote... apro gli occhi. Lo cerco nella stanza, prima di tornare alla realtà, prima di tornare a lei.

«Te ne sei andata, te ne sei andata, devi essertene andata» borbotto. – Non avrei sognato se tu fossi stata qui, ormai lo so! –

«Sono qui» mormora e si siede accanto a me. «Sono qui.»

Mi accarezza il volto.

Sono sudato.

«Te n’eri andata» la accuso. 

«Sono andata a prendere da bere. Avevo sete.»

Vorrei punirla. Avrebbe dovuto chiedere il permesso: se fosse la mia sub avrebbe domandato il permesso... “È inadeguata” ripete ossessivamente una voce pazza nelle mie orecchie... “i-na-de-gua-ta!”

Chiudo gli occhi e mi stropiccio il viso.

Sono provato.

– Non posso più fare a meno di lei – constato.

La voglio troppo.

Tutta quanta.

Voglio davvero che mi sposi. Voglio davvero stare sempre con lei, tutta la vita.

Da che l’ho vista non ho resistito più di cinque giorni lontano da lei.

– È giusto che tu lo ammetta, Grey: sei innamorato da far pena. –  Sì, lo ammetto.

«Sei qui. Oh, grazie a Dio» gemo e la afferro, la attiro a me.

«Sono andata solo a bere» si giustifica, pentita.

La guardo, sono tutto sudato.

Lei mi accarezza. Mi sono abituato al suo tocco.

«Christian, sono qui. Non vado da nessuna parte» mi dice allarmata.

«Oh, Ana» sospiro.  – Sposami! – Dentro di me supplico.  La afferro per il mento per tenerle fermo il viso e poi la mia bocca è sulla sua.  Sa di arancia e amore.

E io la desidero. Desidero entrarle dentro... dentro l’anima, come lei è entrata dentro di me.

Anche il suo corpo si accende come il mio, in perfetta sintonia.

Siamo una cosa sola. Una. Cosa. Sola.

– Come può pensare che le farei davvero del male? – Sarebbe come farne a me stesso. E io non voglio più farmi male.

Voglio esplorarla, con le labbra, annusarla, sentirla.

Passo la mia bocca sul suo orecchio, scendo sulla gola e torno alla sua bocca, la “mia” bocca, perché tutto il suo corpo è mio, MIO! Non voglio violarlo, voglio venerarlo, anche attraverso il dolore, e le mordo il lobo, piano, più forte, poi ancora piano e lo tiro appena. Poi passo al suo labbro adorato, il labbro inferiore che mi fa morire... quando vedo i suoi denti bianchi che vi affondano dentro...

E la tocco. Tocco, sfioro, accarezzo il suo corpo splendido, la sua pelle di luna che mi disseta, infilando la mano sotto la T-shirt per arrivare al suo seno perfetto, per raggiungere e tormentare i suoi capezzoli con le dita, per strapparle gemiti di piacere.

«Ti voglio» ansimo.  – È così: inevitabile. –

«Sono qui per te. Solo per te, Christian.»

Gemo, mi esce un gemito di vittoria dalla gola: lei  qui per me... è stata creata per me, come un dono degli dei.

È mia.

Non mi lascerà. Non lo ha ancora fatto, non mi lascerà.

Mia!

E glielo dimostro posando la mia bocca sulla sua per sigillare con un bacio infinito questo amore, come una chiave che chiuda definitivamente le porte dietro di noi. 

Sento le sue dita che sollevano la stoffa della  mia maglietta, la aiuto e me la sfilo.

Non m’importa se mi tocca.  Mi toccherà, voglio che mi tocchi.

Mi sollevo, m’inginocchio tra le sue gambe, la faccio alzare un po’per spogliarla.

La voglio nuda.

Le prendo il viso tra le mani e la bacio, sprofondiamo di nuovo sul letto, le sono sopra.  La bacio, la voglio... ma sento che di colpo si irrigidisce...

– Oh, no! Che cosa c’è? –

«Christian… fermati. Non posso» mi dice sulle labbra e mi spinge via, premendo sul mio avambraccio.

«Cosa? Cosa c’è che non va?» chiedo e continuo a baciarle il collo, a leccarla, per non interrompere il nostro contatto. Per non perderla...

Ho voglia.

«No, per favore. Non posso farlo, non ora. Ho bisogno di tempo, per favore» mi supplica.

«Oh, Ana, non pensare troppo a quello» le mormoro all’orecchio, mordicchiando di nuovo il lobo: devo distrarla.

«Ah!» Sussulta.

–  Bene! – penso. – È di nuovo in mio potere. –

«Io sono quello di prima, Ana. Ti amo e ho bisogno di te. Toccami. Per favore.»  E io sono suo.

Voglio che mi tocchi.

Proprio questa notte.

Suo, completamente suo.

So che è ciò che vuole: tutto quello che vuole da me. 

Mi vuole senza limiti.

E io sono qui. Non vuole un Padrone e  tantomeno uno schiavo.

No, lei vuole me. Il mio corpo. Il mio cuore... che è tutto suo. 

È andata a cercarlo tra le macerie del mio passato e lo ha ripulito da ruggine e calcinacci.

– E allora toccalo, il mio cuore. Fallo. Fallo questa notte... –

La guardo, ho acceso l’abat-jour e la guardo dall’alto, sorreggendomi sulle braccia.

Esitante, alza una mano e accarezza i peli sopra il mio sterno.

Sussulto.

Sento una martellata che mi colpisce di traverso la gola, un dolore sordo.

La mia Padrona colpisce e io aspetto con gioia le sue frustate. Le frustate possenti della sua carezza.

Una frustata sulla spalla...

Tremo... e godo.

Mi attira a sé... e godo...

Sprofondo sul suo corpo e godo...

Sento le sue mani sulla schiena... e godo.

Gemo. Gemo ancora. Rantolo di dolore, brividi, piacere... gioia.

Affondo il viso nel suo collo per affrontare questo viaggio nei sensi alla scoperta del mio cuore. Annuso il suo profumo, assaporo con le labbra la seta del suo collo. M’inebrio di lei e del mio dolore.

Succhio, mordo, annuso... poi il mento... la bocca e infilo la lingua tra le sue labbra adorate, anzi, le “mie” labbra adorate... e lecco la fonte di ogni mio piacere, carezzandola tutta quanta, mentre lei mi esplora, percorre con le mani il mio corpo esplorando lande mai sfiorate prima. Da nessuno.

È fuoco. È ghiaccio. È corrente elettrica.

Io resisto a questo assalto, alla sua invasione aggrappato al suo seno, torturandolo. Una dolce vendetta per la sua sfacciata intrusione.

Succhio, succhio il suo capezzolo ritto con tutta la mia forza. La forza della disperazione.

Sono eccitato in un modo sconosciuto, ma così potente da sciogliermi e devastarmi il ventre.

Ana, eccitata dalla mia bocca, fa scorrere le unghie sulla mia schiena.

È così nuovo, potente, sconvolgente... eccitante...

«Oh, cazzo, Ana» singhiozzo, boccheggio, ansimo. La voglio.

Lei mi tocca? Io la tocco di più! Le mie mani vagano sotto a riprendersi quello che è mio, solo mio!

Si insinuano, entrano, concedono, bramano e concedono ancora.

Strofinano e sciolgono ogni nodo, ogni tensione. So come eccitarla, so liquefare il centro del suo corpo. Ansimo per il suo  tocco e per averla eccitata, sento i suoi sospiri e percepisco il suo ventre che vibra e che cerca di più, spingendo contro la mia mano.

«Ana» sussurro il suo nome per avvisarla che è il momento, che ora la prenderò, che le entrerò dentro come lei è entrata dentro di me, sotto la mia pelle... “under my skin”.   

Prendo il preservativo e glielo passo. Voglio che me lo metta lei, così mi toccherà, anche lì. La guardo un istante, eccitata... e confusa.

«Lo vuoi fare? Puoi ancora dire di no. Puoi sempre dire di no» le chiedo, preso da un impeto di generosa galanteria. Io, in questo momento non desidero costringerla... obbligarla. Sembra così confusa...

«Non darmi la possibilità di pensare, Christian. Anch’io ti desidero» mi risponde con un vago cipiglio.

Apre  la bustina con i denti, mentre io mi chino tra le sue gambe per darle libero accesso.

La guardo mentre mi tocca, le tremano le mani: il suo toco mi confonde.

«Attenta» la ammonisco. «Così mi smonti, Ana.»

Sbarra gli occhi e mi scruta, non voglio lasciarle il tempo di pensare, ho voglia, così me la trascino sopra.

«Prendimi tu» ordino. Lei si lascia scivolare su di me e io affondo. Gemo. Chiudo gli occhi, getto il capo all’indietro sui cuscini e mi godo lei su di me che si prende dal mio corpo tutto il suo piacere. Mi prende le mani e inizia a muoversi. Si china su di me e mi bacia il viso, afferra con i denti il mio mento, concedendomi una strana sensazione mai provata prima.

Godo.

L’afferro per i fianchi per sentirla meglio. Per sentirla tutta.  Per sentirla mia.

«Ana, toccami… ti prego.» È una preghiera quella che mi esce dalle labbra.  E lei appoggia le sue piccole mani sul mio petto.

Io vibro di piacere, di conforto, di uno strano dolore misto a panico che accende i miei sensi e sferza il mio membro affondato dentro di lei.

Sono eccitato.

Grido. Mi spingo più su che posso. Voglio tutto questo strano piacere... nuovo.

«Ah...»sento il suo gemito che è l’eco del mio e le sue unghie graffiano delicatamente la pelle del mio torace.

È piacere, è panico e tormento...

Fischio, mugolo, mi contorco, non riesco a gestire ciò che sento: è troppo. Mi si scioglie qualcosa dentro al petto. Io non so cos’è, non l’ho mai provato prima... o forse sì... così tanto tempo fa che non posso ricordare... così bello e pieno e immenso che non posso rinunciare... non vivrei se lo perdessi un’altra volta... un’emozione... un’emozione tanto grande che....  – Basta, basta così. –

Me la metto sotto.

«Basta» ansimo. «Basta, per favore.» – Ora ti scopo io! – ed è una supplica che viene dal cuore.

Sento le sue mai sulle guance, mi bacia. Mi fischiano le orecchie, sto godendo. Godo, scopo, mi fischiano le orecchie, la sue labbra sono umide...

Lacrime?

Mie?

No.

Non sono lacrime, no: è solo il mio cuore che si è sciolto...

La sua bocca è bagnata delle gocce del mio cuore che si è sciolto... per lei.

Le sue dita implacabili sono sulla mia schiena e reclamano il possesso.

Gemo, godo, soffro, sento, amo... rantolo, ma lei trema, la sento lontana, mentre io sono così vicino che potrei toccarle il cuore, come lei lo ha toccato a me.

Gemo, mi spingo sempre più su, voglio che venga, che provi ciò che provo io, ne ho bisogno.

«Lasciati andare, Ana» la imploro.

«No.»

«Sì!» ordino. Faccio roteare i fianchi in un movimento che so le concederà il piacere. Ancora. E ancora. «Avanti, piccola, ne ho bisogno. Vieni con me.»

Sto per venire, non resisto più, sono sconvolto e devo, devo!, far venire anche lei che obbedisce, mi accontenta ed esplode, giusto un attimo prima di me e si aggrappa, mi avvolge nelle spire del suo corpo, con amore.

 – Eccomi, sono qui, sono tuo... – «Anastasia!» grido il suo nome e le crollo addosso, completamente vinto.


CAPITOLO 17


«Non lasciarmi mai» le sussurro con la testa appoggiata sul suo petto, le sue dita tra i miei capelli. Sospetto le piacciano parecchio, i miei capelli. Mi viene da sorridere perché so che sta alzando gli occhi al cielo. «So che stai alzando gli occhi».  

«Mi conosci bene» replica piano.

«Vorrei conoscerti meglio.»

«E io vorrei conoscere meglio te, Grey. Cosa c’era nel tuo incubo?»

«Il solito.»

«Raccontamelo.» Sospiro piano. In questo, alla fine c’era solitudine ma di solito... «Devo avere all’incirca tre anni, e il magnaccia della puttana drogata è di nuovo fuori di sé. Fuma, una sigaretta dopo l’altra, e non riesce a trovare il posacenere.»  Mi fermo. «Fa male» dico.  «È il dolore che ricordo. È quello che mi fa avere gli incubi. Quello, e il fatto che lei non facesse niente per fermarlo.»

La cosa veramente dolorosa  del mio passato è la “sua” indifferenza. Se non mi amava lei, chi, chi potrà mai amarmi?

Semplice, no? 

Ana mi stringe. Non ho paura del suo abbraccio, né fastidio è solo... solo...  lei mi ama e, cosa straordinaria, io lo sento. Per la prima volta nella mia vita io lo sento.

Lei è diversa da chiunque, lei è così diversa anche da lei... «Tu non sei come lei. Non pensarlo neanche per un istante. Per favore.» Glielo dovevo dire, perché capisca che il mio passato quando sto con lei non esiste più. Neppure quando dormo, il passato è cancellato e c’è solo uno splendido futuro a cui non voglio e non posso rinunciare.

Mi guarda sbattendo le palpebre.

Riappoggio la testa sul suo petto e continuo inevitabilmente a confidarmi. «Qualche volta nei miei sogni lei è distesa sul pavimento, e penso che stia dormendo. Ma non si muove. Non si muove mai. E io ho fame. Sono davvero affamato. C’è un rumore sonoro e lui è di ritorno, e mi colpisce forte, imprecando contro la puttana. La sua prima reazione era sempre quella di usare i pugni o la cintura.»

«È per questo che non ti piace essere toccato?»

Mi stringo a lei. «È complicato» mormoro. Mi struscio contro il suo seno, inspirando profondamente. –  Mi piace toccare... e, cosa strana, mi piace se tu mi tocchi, Ana. –

«Rispondimi» mi incalza.

Sospiro. «Lei non mi voleva bene. Io non ne volevo a lei. Il solo modo di toccare che conoscevo era… violento. Viene tutto da lì. Flynn lo spiega meglio di me.»

«Posso vedere Flynn?»

La guardo. «Mr Cinquanta Sfumature ti sta contagiando?»

«Molto di più. Mi piace come mi sta contagiando in questo momento.» Si sta  dimenando sotto di me: provoca. Non so come sia possibile dopo ieri, dopo la giornata di merda di ieri, ma in questo momento sono tranquillo.

Sorrido.

«Sì, Miss Steele, piace anche a me.» Mi tiro su e la bacio.  La guardo, me la guardo: «Sei così preziosa per me, Ana. Facevo sul serio riguardo al matrimonio. Potremo conoscerci meglio, così. Io mi prenderò cura di te e tu potrai prenderti cura di me. Potremo avere dei bambini, se vorrai. Metterò il mondo ai tuoi piedi, Anastasia. Ti desidero, corpo e anima, per sempre. Per favore, pensaci.» È la verità. Voglio vivere con lei, magari un domani potremmo anche metter su famiglia: è così che funziona, no?

«Ci penserò, Christian. Lo farò» mi rassicura, dimostrandomi per l’ennesima volta di essere molto più matura della sua età. Un’altra avrebbe accettato senza pensare, allettata, se non da me, dai soldi e dalla posizione.

«Mi piacerebbe davvero molto parlare con il dottor Flynn, sempre che non ti dispiaccia.»

Non è proprio ciò che mi aspettavo mi rispondesse, ma credo che sia giusto dopo il mio bell’exploit di ieri sera e le mie shoccanti rivelazioni.

«Qualsiasi cosa per te, piccola. Qualsiasi. Quando vorresti vederlo?»

«Il prima possibile.»

«Okay. Domani mattina prenderò un appuntamento.»

Lancio un’occhiata all’orologio. «È tardi. Dovremmo dormire.» Allungo una mano per spegnere la luce e la attiro contro di me. La abbraccio e mi strofino contro il suo collo. «Ti amo, Ana Steele, e ti voglio al mio fianco, sempre» mormoro e la bacio sul collo. «Ora dormi.»

 

Sto dormendo beatamente abbracciato a una nuvola e sento muovere qualcosa, non riesco a focalizzare, come un piccolo terremoto che mi distoglie dal limbo sereno in cui sono sospeso...

Guardo annebbiato la mia nuvola che si allontana  scendendo di corsa dal letto... – Ah, Ana... è in ritardo, sono le otto e quarantacinque. – Ridacchio fra me e chiamo Taylor perché l’accompagni al lavoro. Ieri ho fatto spostare ad Andrea la riunione di questa mattina, non sapevo se la faccenda di Leila avrebbe richiesto la mia presenza: meglio essere preparati, anche perché è un incontro importante con due delegati tedeschi. Devo essere presente, non basta Ros.

Dopo ieri sera... vorrei starmene ancora un po’ con Ana... non vorrei ammetterlo ma sono provato...

–  To', ha già fatto! Ha fatto la doccia a tempo di record, si è già preparata i vestiti per l’ufficio... total blak, non male... –

Mi guarda, sveglio nel letto, e non dice niente. Starà ripensando a ieri?

– Cazzo, nooo! – 

Indossa veloce prima il reggiseno, voltata, lasciandomi ammirare il suo splendido sedere nudo che si contrae appena quando porta le braccia dietro per agganciare il reggiseno.

Poi infila gli slip... – Ma quanto può essere sexy? Mi fa morire! Quasi meglio quando si veste che quando si spoglia. – Sono in erezione, ma sotto le lenzuola non si nota.

«Stai bene» biascico.  – Benissimo, direi. Ora vorrei proprio fotterti così, in lingerie. – «Puoi chiamare e dire che sei malata, lo sai.»  Ci provo, se ci riesco la mattinata sarebbe perfetta, un perfetto modo per mettere una pietra sopra a ieri.

Mi guarda. È tentata. Infatti tentenna. Bene, siamo in due a giocare a questo gioco. – Tu tenti me, io tento te. –

«No, Christian, non posso. Non sono un amministratore delegato megalomane con un bellissimo sorriso, che può andare e venire a suo piacimento» dice imbronciata.

Mi piace quando mi fa i complimenti. «Adoro venire a mio piacimento.» Non ho resistito alla battuta e, visto che le piacciono i miei sorrisi cerco di raggiungere la perfezione... Infondo è per lei che sorrido.

«Christian!» mi rimprovera e mi getta addosso l’asciugamano umido. Rido. «Bellissimo sorriso, eh?»

«Sì. Lo sai che effetto mi fa» dice, intanto indossa l’orologio. «Davvero?» Sbatto le palpebre di proposito con aria innocente.

«Sì che lo sai. Lo stesso effetto che fa su tutte le donne. È davvero irritante vederle andare in estasi.»

«Ah, sì?» –  Gelosa, Miss Steele?  –

 «Non fare l’innocente, Mr Grey, non ti si addice» borbotta mentre si lega i capelli in una coda e si infila le scarpe a tacco alto piegando all’indietro il ginocchio.

– È proprio bella – penso. –  Non posso perderla. –  E quando si china sul letto per salutarmi con un bacio, l’afferro e l’attiro sul letto sotto di me. 

«Cosa posso fare per convincerti a rimanere?» le chiedo. So che mi dirà di no. Non insisterò. Non oggi. Non dopo ieri.  Non voglio calcare troppo la mano, devo lasciarle un po’ di spazio altrimenti sfugge via. Comunque io ci provo.

«Non puoi fare nulla» mormora, divincolandosi per tirarsi su a sedere. «Lasciami andare.»

La guardo imbronciato e lei mi sfiora le labbra con le dita, piano, procurandomi brividi impensati. – Il tocco di questa donna mi stende –  mi dico. – E i suoi baci mi conquistano – penso quando la sua bocca si posa sulla mia.

E le fiamme divampano in un istante, sa di menta e amore... ma non devo impedirle di vivere la sua vita, costringendola a vivere la mia, così la rimetto in piedi velocemente, lasciandola stordita.

«Taylor ti accompagnerà. È più veloce che cercare posto per il parcheggio. Ti sta aspettando fuori» le dico. Sono sereno, perché sembra che il vagone di liquame putrescente che ieri ci è finito addosso l’ha lasciata fresca e profumata come una rosa, come l’angelo che è.

«Okay. Grazie» mormora. Sembra delusa. «Goditi la tua mattinata di riposo, Mr Grey. Mi piacerebbe restare, ma il proprietario della società per cui lavoro potrebbe non approvare che i suoi impiegati non vadano in ufficio solo per un po’ di sesso.» Prende la borsa.

«Personalmente, Miss Steele, non ho dubbi che approverebbe. In effetti potrebbe insistere su questo punto.»

«Perché te ne stai a letto? Non è da te.»

Incrocio le mani dietro la testa e le rispondo: «Perché posso, Miss Steele.»

Scuote la testa. «A più tardi, piccolo.» Mi manda un bacio e se ne va.

 – Piccolo, eh? Sì, sono suo, – ammetto, – come lei è mia. – 

In effetti, stranamente, ho bisogno di un momento di relax. Devo riflettere.

Lo ammetto, sono provato. Svuotato. Devo ritrovare le energie.

Già mi manca... – ... Sono proprio messo bene! – mi dico.

Le mando un messaggio, casomai si ostinasse a usare la mail: mi sa che non ha proprio capito che passa tutto attraverso i server della SIP e per giunta c’è un programma spia nel suo PC, ma questo non voglio dirglielo.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 9.05

Oggetto: Mi manchi

Per favore, usa il tuo BlackBerry.

X

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Poi le mando un messaggio più intimo alla posta privata.

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 09.06

Oggetto: Mi manchi

Il mio letto è troppo grande senza di te.

A quanto pare dovrò andare anch’io al lavoro.

Anche i direttori generali megalomani hanno bisogno di fare qualcosa.

X

Christian Grey

Amministratore delegato che si gira i pollici, Grey Enterprises

Holdings Inc.

 

 

 

Non mi risponde subito e io mi rilasso ancora un po’ nel letto ripensando a ieri.  

Mi chiama Ros, i tedeschi non sono stati informati e lei è riuscita a posticipare solo di due ore.

Ho comunque tutto il tempo: devo chiamare Flynn, per Leila.

E Ana desidera parlargli.

Devo dire a John che dal questo colloquio dipende il mio futuro con lei. Non voglio influenzarlo, ma almeno questo posso dirglielo.

Io ci tengo troppo. Troppo.

Ieri sono andato fuori di testa per la paura di perderla.

Non sapevo più come fare per farle capire che sono suo, che le appartengo.

Mi ha conquistato in un modo... in  un modo...

Sono suo. Punto.

Lei può toccarmi, può fare di me ciò che vuole.

Mi ha toccato. Dentro.

È stato come tornare indietro nel tempo... anche lei mi toccava. Ora lo so, erano sensazioni troppo vivide perché non fossero ricordi reali.

Mia mad... La puttana drogata mi toccava, mi abbracciava e riprovare le stesse sensazioni è stato devastante.

Le ho permesso di farmi riprovare le stesse sensazioni, ora non posso perderla. Non posso più tornare indietro, ora che so... ora che l’ho fatta entrare... Chissà se lo ha capito?

Se lo avesse capito avrebbe accettato di sposarmi.

Ma se non lo avesse capito avrebbe mandato tutto all’aria, mi avrebbe mollato. Se ne sarebbe andata... dopo ieri sera... l’ho sconvolta...

Invece...

Abbiamo fatto l’amore. Abbiamo sul serio fatto l’amore. L’ho capito. L’ho sentito.

Ana non è come lei. È l’opposto, non le somiglia e non me la ricorda neppure. Anzi, raramente ho avuto quei flash quando ho scopato con lei. Lei è tutta un’altra cosa. È di più. Molto di più.

Sento il bip della sua mail.

       

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 9.27

Oggetto: Buon per te

Il mio capo è furioso.

È colpa tua che mi hai fatto tirare tardi con le tue… bricconate.

Dovresti vergognarti.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Bricconate? Figurarsi se usa il BlackBerry!

 

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 9.32

Oggetto: Bricconate?

Non devi lavorare, Anastasia.

Non hai idea di quanto le mie bricconate mi facciano inorridire.

Ma mi piace tenerti alzata fino a tardi ;)

Per favore, usa il BlackBerry.

Oh, e sposami, per favore.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 9.35

Oggetto: Devi guadagnartelo

Conosco la tua naturale propensione a darmi il tormento, ma ora

smettila.

Devo parlare con il tuo strizzacervelli.

Solo allora potrò darti la mia risposta.

Non sono contraria a vivere nel peccato.

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

– Darti il tormento? Ti do il tormento, Miss Steele? Guarda che prima o poi ti tormenterò davvero, piccola. Contaci. Specialmente se non usi ‘sto cazzo di cellulare! Giuro che ti appendo alla croce e ti frusto, anzi uso la verga su quel che culo che continui a sventolarmi davanti. Intanto Taylor non ha ancora buttato via niente. Dopo il casino di Leila che è entrata in casa, sabato sera, non se ne è fatto più niente e gli attrezzi sono ancora tutti nella stanza rossa. Sono così incazzato che ora li userei, violando una delle regole di sicurezza del BDSM, non punire quando si è in stato di alterazione. Ma caaazzo: credo davvero che tu lo faccia apposta! Dieci bacchettate sotto la pinta dei piedi, è il minimo! Sì, lo fai apposta! –

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 9.40

Oggetto: BLACKBERRY

Anastasia, se devi iniziare a discutere del dottor Flynn, allora USA IL BLACKBERRY.

Questa non è una richiesta.

Christian Grey

Amministratore delegato, Ora Contrariato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Non risponde.

Forse sta lavorando.

Se sta lavorando è al computer... e non guarda il cellulare.

Chiamo Flynn prima di uscire. Leila è sedata. Dorme. Non ha nuove da riferirmi, non ha ancora parlato con lei. L’hanno visitata e le sue condizioni fisiche sono buone. Ho preso appuntamento per Ana.

John sembrava quasi contento.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 9.50

Oggetto: Discrezione

È la miglior virtù.

Per favore, sii discreta… Le mail dal tuo posto di lavoro sono monitorate.

QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE?

Sì. Maiuscole urlanti, come dici tu. USA IL TUO BLACKBERRY.

Il dottor Flynn ci può incontrare domani sera.

X

Christian Grey

Amministratore delegato ancora contrariato, Grey Enterprises

Holdings Inc.

 

Le ho inviato quest’ultimo messaggio alla mail privata, quella programmata sul BlackBerry.

 

Vado in ufficio, sistemo tutto e la riunione comincia alle undici.  A mezzogiorno facciamo una pausa.

Andrea ha organizzato per il pranzo.

Torno nel mio ufficio, controllo la posta: niente.

Significa che non ha guardato il cellulare.

Starà bene?

Non mi vorrà più.

Avrà ripensato a ieri e non mi vorrà più.

Oppure quello stronzo del suo capo... ha detto che era incazzato...

Speriamo... speriamo che non le faccia niente. Welch è andato a trovare una delle sue ex assistenti. Gli ha chiuso la porta in faccia.  Chissà che le ha fatto?

Lo so benissimo che cosa le ha fatto!

Qualcosa in mano ho, almeno per farlo licenziare. Roach, sta valutando, ma sostituirlo ora, in fase di transizione, è un costo eccessivo.

Io però, appena entro lo sbatto fuori.

So che un maiale.

Se le accadesse qualcosa io...

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Oggetto: Sleale

Data: 15 giugno 2011 12.15

Non ho più tue notizie.

Per favore, dimmi che è tutto okay.

Sai quanto mi preoccupo.

Manderò Taylor a controllare!

X

Christian Grey

Amministratore delegato iperansioso, Grey Enterprises Holdings

Inc.

 

Aspetto qualche minuto ma devo tornare in riunione.

Sono preoccupato. Ho lasciato detto ad Andrea di passarmela, se mai chiamasse, solo lei.

Andrea bussa in sala riunioni entra e mi fa un cenno.

Mi scuso ed esco un attimo per risponderle dal cordless che Andrea  mi porge.

«Stai bene?» le domando preoccupato.

«Sì, benissimo.» Sospiro sollevato. «Christian, perché non dovrei stare bene?»

«Di solito sei così veloce a rispondere alle mie mail. Dopo quello che ti ho raccontato ieri, ero preoccupato». Terrorizzato, sarebbe più giusto dire.

Andrea mi chiede se deve sospendere la riunione. «No, Andrea. Di’ loro di aspettare» dico severo. Un cazzo di minuto possono aspettare o no, questi qua?

«La signorina Ros ha detto che preferirebbero interrompere per il pranzo...»

«No. Ho detto di aspettare» esclamo.

«Christian, sei chiaramente impegnato. Ti ho chiamato solo per farti sapere che sto bene, ed è vero. Ho una giornata molto piena, tutto qui. Jack continua a far schioccare la frusta. Ehm… voglio dire…» Silenzio. Quel bastardo sta per colpire: lo so. Minimizzo. «Fa schioccare la frusta, eh? Be’, un tempo lo avrei definito un uomo fortunato» commento, caustico. «Non farti mettere i piedi in testa, piccola.»

«Christian!» mi rimprovera.

«Tienilo solo d’occhio, tutto qui. Senti, sono felice che tu stia bene. A che ora devo passare a prenderti?»

«Ti manderò una mail.»

«Dal BlackBerry» dico, severo.

«Sì, signore» ribatte.

Inevitabile: sento un fremito tra le gambe. Certe reazioni, certi desideri non riuscirò mai a sopirli. «A più tardi, piccola.»

«Ciao…»

È ancora in linea.

«Riaggancia» mi esorta.

Sospiro. «Vorrei che non fossi mai andata al lavoro stamattina.»

«Anch’io. Ma sono occupata. Riaggancia.»

«Riaggancia tu.» Sorrido. – Ma che cretini! –

«Ci siamo già passati.»

«Ti stai mordendo il labbro.» Ne sono sicuro. «Vedi? Tu pensi che io non lo sappia, Anastasia. Ma io ti conosco meglio di quanto tu creda» – Per cui... sposami. Sposami... sposami! – 

«Christian, parleremo più tardi. Ora, davvero, anch’io vorrei non averti lasciato stamattina.» Sento una forte nota di malinconia nella sua voce. Sono preoccupato: potrebbe essere per via di ieri... o peggio... Hyde... «Aspetto la tua mail, Miss Steele.»

«Buona giornata, Mr Grey.»

Chiude lei. Non io. Non avrà l’ultima parola, penso sorridendo e torno alla riunione.

 

Nel pomeriggio, liquidati tedeschi subito dopo il pranzo, mi chiama Mia che sta organizzando la festa per il mio compleanno e vuole parlare con Ana, invitarla ufficialmente.

A che serva, non so, visto che non vado da nessuna parte senza di lei. Comunque le do mail, cellulare, indirizzo e ogni altro dato identificativo divulgabile, così non mi darà più il tormento.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 16.11

Oggetto: Antidiluviano

Caro Mr Grey,

quando, esattamente, me lo avresti detto?

Che cosa posso regalare al mio vecchietto per il suo compleanno?

Magari delle batterie nuove per il suo apparecchio acustico?

X

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Sorrido leggendo la mail.

BlackBerry, questo sconosciuto!

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 16.20

Oggetto: Preistorico

Non si sfottono i più anziani.

Felice che tu sia viva e vegeta.

E che Mia si sia fatta sentire.

Le batterie sono sempre utili.

Non mi piace festeggiare il mio compleanno.

X

Christian Grey

Amministratore delegato, Sordo come una Campana, Grey

Enterprises Holdings Inc.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 16.24

Oggetto: Mmh

Caro Mr Grey,

riesco a immaginarti mentre facevi il broncio e scrivevi l’ultima frase.

Mi fa un certo effetto.

XOX

Anastasia Steele

Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP

 

Io. La. Strozzo!

Anzi, prima la frusto, poi la scopo e dopo, molto dopo, la strozzo.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 16.29

Oggetto: Occhi al cielo

Miss Steele,

USA IL TUO BLACKBERRY!!!

x

Christian Grey

Amministratore delegato, con le Mani che Prudono, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Sicuramente ora sta alzando gli occhi al cielo e, come me le fa prudere lei, le mani, nessuna mai...

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 16.33

Oggetto: Ispirazione

Caro Mr Grey,

ah… le tue mani che prudono non riescono più a stare ferme, vero?

Mi domando che cosa ne direbbe il dottor Flynn.

Ma ora so che cosa regalarti per il tuo compleanno. E spero che mi faccia male…

;)A X

 

Sorrido. La amo. E la voglio in ogni modo possibile. Voglio che sia mia moglie, così sarebbe definitivo. Il controllo su di lei. Definitivo.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 16.38

Oggetto: Angina

Miss Steele,

non credo che il mio cuore potrebbe sopportare il colpo di un’altra mail come quella, o i miei pantaloni, per quel che importa.

Comportati bene.

X

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

– Anzi, no comportati male, così io posso comportarmi peggio... ne ho una voglia... –

Io so che non mi dirà di no. A tutto ciò che le chiederò di fare. Ma il matrimonio... Non so... forse...

Mettere la firma... Ho pensato che fosse ingenua a firmare senza leggere il contratto di riservatezza...

Ho sbagliato.

Quella è stata una firma ponderata.

Come ponderato è stato il non metterla sul contratto... anche se quel contratto è solo carta straccia, senza il minimo valore.

Anche adesso sta ponderando, valutando... è per questo che sono preoccupato che non accetti.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 15 giugno 2011 16.42

Oggetto: Difficile

Christian,

sto cercando di lavorare per il mio capo, che mi mette a dura prova.

Per favore, smettila di importunarmi e non mettermi anche tu a  dura prova.

La tua ultima mail mi ha quasi mandato in combustione.

A X

PS: Puoi passare a prendermi alle 18.30?

 

Quando vuoi. Non vedo l’ora di vederti. Non vedo l’ora di stare con te. Ora che Leila è al sicuro mi sento più sereno, più libero.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 15 giugno 2011 16.47

Oggetto: Ci sarò

Niente mi darebbe maggior piacere.

A dire il vero, mi vengono in mente diverse cose che mi darebbero un piacere ancora maggiore, e tutte riguardano te.

X

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Alle diciotto e dieci io e Taylor siamo già davanti alla SIP. Nell’attesa ascolto Debussy. Il contratto con i tedeschi è andato in porto. Ho concesso loro l’appalto per la movimentazione della merce in Europa. Sono soddisfatto. Anche loro.

Aspetto, sono piuttosto rilassato. Se non è troppo stanca, potremmo anche cenare fuori. Appena arriva glielo chiedo.

–  Figurarsi se quell’animale del suo capo la lascia uscire cinque minuti prima –  mi dico irritato.

Poi la vedo uscire dal portone di corsa, vestita di nero, è bianca come un cadavere. Il contrasto è evidente.

– È stanca, – mi dico.

Barcolla.

– Al solito non avrà mangiato. Non ha preso il pranzo che Gail le ha preparato, le girerà la testa –  e faccio per uscire e andarle incontro.

Si blocca appena fuori dal portene. Mi cerca con lo sguardo.

Sono preoccupato.

Di più: il terrore mi sta serpeggiando nelle vene... è crollata a terra...

Morta?

– Dio mio, no, Dio mio, no, Dio mio, no... Dio mio, fa che non le sia successo niente! –

Anche Taylor schizza fuori dall’auto e corre con me verso Ana stesa a terra.

Crollo in ginocchio al suo fianco.   

«Ana, Ana! Cosa c’è?» La prendo in grembo. È viva, questo è l’importante. Le tasto le braccia, su e giù, controllando che non ci siano segni di lesioni. Poi controllo la testa, prendendola tra le mani, la guardo negli occhi, non capisco se sia cosciente.

«Ana.» La scuoto piano. «Cosa c’è? Stai male?»

Muove appena la testa. Dice di no col capo.

«Jack» sussurra.

– Tutto chiaro! –  Faccio un cenno a Taylor, che ha già capito e si precipita dentro l’edificio. Ci pensa lui a stanarlo, quella bestia!

«Cazzo!» dico, pensando a quell’animale. – Cazzo, lo sapevo, lo sapevo! Che cosa le ha fatto quella bestia? Devo saperlo, devo! –

L’abbraccio stretta. E glielo chiedo, ma ho paura della risposta. «Che cosa ti ha fatto quel depravato?»

A quel punto Ana, che cosa fa? Ride, un’altra di quelle stupide risate scioccate, proprio come ieri sera.

«È per quello che gli ho fatto io.» Continua a ridere: la strozzerei.

«Ana!» la scuoto. Chiedo quello che mi tormenta: «Ti ha toccata?»

«Solo una volta.»

La rabbia, quell’onda violenta che mi squassa e mi lacera l’anima prende il possesso. Il controllo... il controllo ora è solo una parola il cui significato è stampato sulle pagine sottili di un dizionario, un significato dimenticato che non riesco più ad afferrare.

Mi alzo e la sollevo in braccio insieme a me, senza sforzo.

«Dov’è quello stronzo?» chiedo e la rimetto in piedi. Da dentro l’edificio sentiamo provenire grida attutite.

«Riesci a reggerti da sola?» domando, ma ho altro in testa.

Annuisce. «Non andare. Non farlo, Christian» mi dice preoccupata, terrorizzata. Beh, almeno ha smesso di ridere.

«Sali in macchina.» Grido, sono fuori di me.

«Christian, no.» Mi afferra il braccio. Per la prima, per la primissima volta sono infastidito da suo tocco. La scrollo via.

«Entra in quella dannata macchina, Ana.»

«No! Per favore!»  mi supplica. «Rimani. Non lasciarmi da sola» piagnucola.

Fremo di rabbia, mi passo una mano tra i capelli.

Sto per cedere alla sua richiesta, potrebbe davvero aver bisogno di me.

Le grida all’interno dell’edificio si intensificano, e poi cessano di colpo.

Che cosa ha fatto Taylor? Devo sapere. Tiro fuori il BlackBerry.

«Christian, Jack ha le mie mail» mi dice quando vede il cellulare.

«Cosa?» Ho capito perfettamente. Ecco la prova provata che è Hyde ad avere messo sotto controllo i computer della SIP. Avevo già avvisato Roach di quest’eventualità. Ma ora, oltre ad essere fuori di me per via di Hyde sono incazzato nero con Ana. Nero!

«Le mail che ti ho mandato. Voleva sapere dove finiscono le tue. Stava cercando di ricattarmi.»

Vedo rosso! «Cazzo!» esclamo e la guardo... Dio, non so come la sto guardando.  

Chiamo Barney. «Barney. Grey. Ho bisogno che tu acceda al server centrale della SIP e cancelli tutte le mail che Anastasia Steele mi ha mandato. Poi accedi ai file di dati di Jack Hyde e accertati che non siano archiviate lì. Se ci sono, cancellale… Sì, cancella tutto. Adesso. Fammi sapere quando hai fatto.»

Chiudo rabbioso. Questa è sistemata.  

Chiamo Roach. «Roach. Grey. Hyde. Lo voglio fuori. Adesso. All’istante. Chiama la sicurezza. Fagli sgombrare subito la scrivania, oppure la prima cosa che farò domani mattina sarà liquidare questa società. Hai già tutte le giustificazioni di cui hai bisogno per dargli il benservito. Mi hai capito?»

«Bene, Grey. Ho capito. Sarà fatto. Chiamo subito la sicurezza.»

– Perfetto. – riaggancio.

«BlackBerry» sibilo verso di lei a denti stretti.

«Per favore, non essere arrabbiato con me.» Mi guarda sbattendo gli occhioni.  

«Sono arrabbiato con te proprio adesso» ringhio e mi passo un’altra volta la mano nei capelli. «Sali in macchina.»

«Christian, per favore…»

«Sali in quella dannata macchina, Anastasia, o che Dio m’aiuti, ti ci chiuderò dentro io» la minaccio.

«Non fare niente di stupido, per favore» mi prega.

«STUPIDO!» esplodo. «Ti ho detto mille volte di usare quel cazzo di BlackBerry. Non venirmi a parlare di cose stupide. Entra in quella fottutissima macchina, Anastasia. ORA!» urlo.

Alcuni passanti si voltano e ci guardano.

«Okay» mormora. «Ma per favore, sta’ attento.»

Serro le labbra e  le indico furioso la macchina. 

«Per favore, sii prudente. Non voglio che ti succeda niente. Ne morirei» mormora.

– Ne moriresti? Tu? Io morirei se ti perdessi! Ma... forse anche per te è così – mi dico, scosso da una rivelazione. Mi blocco. Sbatto le palpebre, ma sono troppo furioso e poi devo vedere come sta Taylor.

Faccio un respiro profondo.

«Starò attento» dico, un po’ più calmo. Non posso compromettere tutto per un momento  di ira.

Taylor è già dentro da cinque minuti. Lo individuo immediatamente nell’androne, nel gabbiotto della sicurezza. Ha bloccato Hyde che è seduto su una sedia e guarda fisso l’agente della sicurezza che sta parlando al telefono.   

Li raggiungo, resto un po’ indietro, nascosto da una colonna e guardo quel viscido verme che mi dà la schiena. Solo Taylor si è accorto della mia presenza.

«Sentiamo che cosa ne dice Roach» sento che blatera. «La faccio licenziare seduta stante, quella str...» non finisce la parola, Taylor, in piedi accanto a lui, gli molla un colpo micidiale a lato della faccia con il pugno di costa. «Hai visto, Smith, tu mi sei testimone!» gracida.

«Ho visto, signor Hyde, ma il signor Roach...» balbetta quello imbarazzato. «Mi dispiace, signore, ma ha detto che lei deve essere scortato fuori. Immediatamente. Deve liberare l’ufficio seduta stante.»

«Come? Ma che cazzo...? Fammi parlare con Roach» urla all’agente, che gli passa la cornetta.

Ascolta e impallidisce.

– Bene! Brutto stronzo, ti sta bene! – penso e mi godo la scena, non visto. Solo Taylor mi lancia qualche occhiata, attento ad ogni movimento di quel bastardo.

«Io...» mormora al telefono, «è solo una scusa della ragazza» dice a Roach. «È un meschino trucchetto per mascherare le sue mancanze e i suoi ritardi». Tace e ascolta. «Sì. Come vuoi. Subito, va bene» dice e ripassa la cornetta a Smith che riprende a parlare col capo. Annuisce e chiude.

«Andiamo» e lo fa alzare, sempre sotto il controllo vigile di Taylor. Quando si muovono noto la pistola di Taylor infilata nella cintura dei calzoni, significa che l’ha tolta dalla fondina.

Li seguo.

Taylor e l’agente rimangono sulla porta mentre Hyde entra per radunare le sue cose.

«Avrei bisogno di qualche scatolone» sento chiedere.

«Ok. Qui ci pensa lei?» chiede l’agente Smith rivolto a Taylor e  si allontana nella direzione opposta  alla mia, ma mi nota e mi fa un cenno con il capo. 

Taylor mi guarda, credo sia ben visibile la mia furia.

«Signore, è meglio che lei non entri» dice piano. «Lasci fare a me, l’ho già sistemato» dice, cercando di blandirmi. «Mr Grey...» cerca le parole per fermarmi.

Io lo tranquillizzo con un gesto della mano. Non ho nessuna intenzione di buttare al vento la mia vita per questo bastardo. Se l’avesse... beh, in quel caso... non sarebbe già più qua. Jason si fa da parte e mi lascia entrare.

Hyde si gira. Mi guarda. So che la mia faccia è una maschera di ghiaccio, ma non riesco comunque a nascondere la mia furia.

Il suo ghigno mi fa imbestialire ancora di più, se ciò è possibile. Lo guardo bene, i segni dell’“incontro” con Taylor sono evidentissimi, ha il viso tumefatto e zoppica leggermente. E io, in me, gioisco. Taylor deve aver sfogato su di lui anche la rabbia accumulata ieri.

E ora tocca a me.

«Mr Grey» dice con un tono di voce che è tutto un programma.

«Mr Hyde» rispondo.

«Ci ha già pensato il tuo scagnozzo a portarmi i tuoi omaggi, brutto bastardo che non sei altro. Hai sfoderato tutte le conoscenze che hai, per mettermi alla porta? Intanto sei solo un piccolo bastardo, niente altro, io lo so bene, a me non la racconti, brutto figlio di troia. E mi hai messo una spia nell’ufficio, per prenderti anche questo, figlio di puttana.»

Ascolto fermo immobile il suo sproloquio e lo guardo.

Ha il volto deformato dall’ira e dai pugni di Jason.

«Quella figa di legno, se non avessi i soldi mica te la dava, quella puttana.»

Come sono in questo momento riuscirei ad abbattere anche Claude con tre pugni, figurarsi se non metto giù questo lurido bastardo.

Tre pugni in rapida successione, tutti e tre alla faccia, senza neanche dargli il tempo di reagire e l’ho già messo giù; si accascia sulla scrivania e io gli sbatto la testa contro lo spigolo.

«Mr Grey» sento Taylor che è entrato per fermarmi.

«Fremo lì» gli ordino. «Stai tranquillo» gli dico e tengo bloccato Hyde per il collo.

«Ok» dice Jason e sento che ha fermato l’agente della sicurezza che stava per entrare.

«Ti faccio passare io la voglia di mettere le mani addosso alle assistenti, brutto stronzo. Che cazzo le hai fatto?» urlo e non resisto alla tentazione di sbattergli la faccia sulla scrivania.

«Non le ho fatto niente, è stata quella tr...» Lo fermo prima, con una gomitata tra le costole, so che gliene ho spezzata una, l’ho sentito. O forse gliel’aveva già rotta Jason prima.

Non importa, è l’esito che conta.

«Ahig!» urla.

«Le hai messo le mani addosso e io adesso le metto addosso a te!»

«Lo voleva, quella stronza, che la toccassi, ma ha detto no perché preferisce i tuoi fottuti soldi, la puttan...» Questa volta uso i piedi, per sferrargli un calcio e piegargli le gambe. Cade in ginocchio.

«Ti ho chiesto di dirmi che cazzo le hai fatto, brutto stronzo!» grido e lo arpiono per il collo.

«Niente, non le ho fatto un cazzo, è lei che mi ha mollato un calcio nelle palle» biascica mentre lo tengo stretto con il gomito attorno al collo. «Ha fatto bene. E io ora ti rovino» dico e gli mollo un’ultima ginocchiata nello stomaco, lo lascio andare e lui crolla sul pavimento.

Esco dal suo ufficio, Jason e l’agente mi lasciano passare.

Aspetto fuori che si riprenda e raccolga la sua roba.

Passano dieci minuti, mi sono calmato.

– Un calcio nelle palle – mi dico, mi ripeto. – E brava Ana! –

Alla fine Hyde esce, seguito dalla guardia e io e Taylor li seguiamo fuori.

Hyde punta dritto al taxi che lo sta aspettando parcheggiato proprio vicino all’Audi. Dà uno sguardo ai vetri oscurati del SUV prima di montare a bordo. Il tassista mette in moto e parte e io e Taylor saliamo sull’Audi. Taylor sale dietro. Guido io, così non penso troppo e poi lei è seduta accanto a me.

Sta bene. Questo è l’importante.

Tace. Ha il buon senso di tacere. Mi lancia un’occhiata spaventata, mentre sto guidando. Poi il telefono dell’auto squilla.

«Grey» rispondo.

«Mr Grey, sono Barney.»

«Barney, sono con il vivavoce, e ci sono altre persone in macchina» lo avverto.

«Signore, tutto fatto. Ma ho bisogno di parlare con lei di qualcos’altro che ho trovato nel computer di Mr Hyde.»

«Ti chiamerò non appena arrivo a destinazione. E grazie, Barney.»

«Nessun problema, Mr Grey.» Barney riaggancia. Cos’altro c’è nel computer di Hyde?

«Hai intenzione di parlarmi?» mi chiede con garbo.

La guardo, poi torno a fissare la strada.  

«No».

Passo davanti alla svolta che porta a casa sua. Lei guarda fuori. So cosa sta pensando, vorrebbe che la lasciassi a casa sua per evitare il confronto. Proprio meglio stare zitti perché se ora mi chiede di tornare a casa sua, finisce male.

Tace. Meglio.

Arrivo all’Escala, mi fermo davanti all’entrata, parcheggerà Taylor e scendo dalla macchina. Vado ad aprirle la portiera, questa volta non scende se non la trascino fuori.

«Scendi» ordino, mentre Taylor prende il mio posto alla guida. Accetta la mano che le porgo e mi segue in silenzio all’ascensore. Non la lascio andare.

Non la lascio andare mai più.

«Christian, perché sei così arrabbiato con me?» mi sussurra mentre aspettiamo l’ascensore.

«Lo sai il perché» mentre entriamo  e digito il codice. «Dio, se ti fosse capitato qualcosa, a questo punto quell’uomo sarebbe morto» ruggisco.  Mi rendo conto che nella mia voce c’è sgomento. Le porte dell’ascensore si chiudono. «Per come stanno le cose, gli rovinerò la carriera, così che non possa più approfittarsi delle ragazze, cane miserabile che non è altro.» Scuoto la testa. «Cristo, Ana!» Abbaio, ruggisco, ho dentro un cane feroce che mi sta rodendo il fegato: se le fosse accaduto qualcosa io... io... – OH MIO DIO! – penso lacerato, con un tale sgomento che... e non resisto più: l’afferro e la imprigiono nell’angolo dell’ascensore. Le tiro indietro i capelli, le faccio sollevare il viso, e la mia bocca è sulla sua, con un’urgenza, con una smania, un bisogno tale che ho provato solo il giorno della mostra. E la bacio... basta un bacio... le basta un bacio per confondermi... mi destabilizza... lei mi annienta. Lei e ciò che provo per lei.

Una passione che mai avrei pensato di provare.

Non so perché, ma la cosa mi sorprende. Assaporo la sua bocca, il suo desiderio per me. Rivedo il sollievo sul suo volto quando mi ha visto sul marciapiede davanti alla SIP: anche io sono prezioso per lei, come lei lo è per me. 

Mi fermo, la guardo e continuo a premerla contro la parete di questo dannatissimo ascensore. E la guardo. «Se ti fosse successo qualcosa… Se lui ti avesse fatto del male…» rabbrividisco al pensiero. «BlackBerry» ordino più calmo. «D’ora in avanti. Capito?» Speriamo che abbia capito.

Annuisce, deglutendo, incapace di interrompere il contatto con il mio sguardo.

Mi raddrizzo, ma non la lascio andare finché l’ascensore non raggiunge il piano.

«Ha detto che gli hai dato un calcio nelle palle.» Mi scappa quasi da ridere. –  Ben fatto, piccola. –

«Sì» sussurra.

«Bene.»

«Ray è un ex militare. Mi ha istruita bene» mi spiga.

«Sono veramente felice di sentirlo» dico con un sospiro e aggiungo, inarcando un sopracciglio: «Devo ricordarmelo».

La prendo per mano e la porto fuori dall’ascensore. Mi segue.

Tutta la pura, la tensione, la rabbia è fluita via con un bacio, perso tra le sue labbra.

«Devo chiamare Barney. Non ci metterò molto» le annuncio entrando in casa.

E so che la lunghissima sfilza di rogne di queste giorni non è ancora finita.


CAPITOLO 18


Scompaio nel mio studio lasciandola nel salone.

Chiamo immediatamente Barney.

«Barney? Grey. Dimmi.»

«Signore, confermo: era lui ad aver installato il programma spia negli altri PC. Ho pulito tutto e ho conservato le prove dei suoi illeciti in un archivio criptato, gliel’ho già inviato insieme a...» tentenna.

«Insieme?» lo sollecito.

«Insieme a una cartella che era nel computer di Hyde, signore, una cartella col suo nome».

«Il mio nome?!»

«Sì, signore. O meglio, le sue iniziali: “C.G.”»

«E cosa c’è dentro?»

«Articoli, immagini, notizie che la riguardano. In un altro file c’era il curriculum della signorina Steele con indirizzo, numero telefonico e la foto del badge e un’ultima cartella...» aggiunge.  «Alcune mail che vi siete scambiati, lei e Miss Steele. Anche le sue, Mr Grey» mi spiega.

«Ok, controllo. Altro?»

«No. Per ora no. Ho pulito tutto. Posso dirle, però, che inviava i dati ad un altro terminale, probabilmente il computer di casa. Il server è occultato, al solito, fa il giro del mondo. Ma lo stano, signore: ci conti».

«Grazie Barney». Chiudo la comunicazione.  E vado a cercare il mio tormento. Entro nel salone, sta bevendo un bicchiere di vino.

Ne ho bisogno anche io.

«’sera, Gail». Saluto Mrs Johns, punto dritto verso il frigo e mi verso anch’io un bicchiere di vino.

«Buonasera, Mr Grey. In tavola tra dieci minuti, signore?»

«Perfetto.»

Sollevo il bicchiere. «Agli ex militari che addestrano bene le loro figlie» brindo e la guardo in viso. Meno male che Rey le ha insegnato come difendersi, altrimenti ora... Meglio non pensarci.

«Alla salute» mormora alzando il bicchiere. Ha un’espressione preoccupata: starà male per quello che le ha fatto quello stronzo? Devo sapere. «Cosa c’è?» chiedo.

«Non so se ho ancora un lavoro.»

Piego la testa di lato. La osservo. Dovrei permettere che la licenzino, così, poi, con la testina che si ritrova, dovrei sbattermi come un ossesso per rendere sicuro il suo nuovo posto di lavoro? Dovrei lanciarmi in una nuova acquisizione? «Vuoi ancora averne uno?» chiedo.

«Certo.»

«Allora ce l’hai ancora.» Semplice.      

Alza gli occhi al cielo, mi viene da ridere. Solo dieci giorni fa sarei diventato furioso.

Dieci giorni fa ERO furioso. Ho passato una vita ad essere furioso e a controllare la mia furia.

Ora sono furioso solo con lei... e con chi le fa del male. Ovviamente.

Solo lei può farmi davvero arrabbiare.

E rasserenare.

Pacare.

– Uhmmm... se non mi sposa... –  Devo avere il controllo su di lei per averlo su me stesso. 

Ci sediamo a tavola. Sta mangiando il tortino di pollo con appetito: bene. L’esperienza di oggi non le ha chiuso lo stomaco. Non avevo voglia di affrontare l’ennesima discussione sul cibo... e tantomeno le dirò di Barney e quel che mi ha riferito, anche se ha già cominciato col terzo grado.

Non so bene neppure io che cosa significhi ciò che Barney ha scoperto Devo analizzare bene il contenuto dei file. Devo riflettere. Poi devo anche lavorare. Glielo dico... no, invece è lei che mi fa la sua comunicazione: «Ha chiamato José» dice  con noncuranza.

«Ah». Mi giro verso di lei e la guardo.  

«Vuole consegnarti le foto venerdì.»

«Una consegna personale. Che gentile» borbotto . – Non molla! – penso. Neanche io mollerei... e non ho mollato.

«Vorrebbe uscire. Per un drink. Con me.»

«Capisco.» – Capisco? No! Eh no che non capisco! Che cazzo vuole? –

«E Kate e Elliot dovrebbero essere tornati» aggiunge velocemente.

Dove vuole andare a parare?

Poso la forchetta e aggrotto la fronte e chiedo: «Che cosa mi stai chiedendo esattamente?»

«Non ti sto chiedendo niente» risponde stizzita.

No, lei non chiede, lei fa di testa sua! – Cazzo io ho bisogno di un contratto! –  

«Ti sto informando dei miei programmi per venerdì» mi annuncia.

Lei. Mi. Informa. MI INFORMA! A me!

«Senti, vorrei vedere José, e lui vorrebbe fermarsi a dormire. Può stare qui oppure nel mio appartamento, ma se starà là, allora dovrei esserci anch’io.»

Sbarro gli occhi! Dormire con lui? – Eh no, eh! No, no! – «Ci ha provato con te.»

«Christian… settimane fa. Era ubriaco, io ero ubriaca, tu hai salvato la situazione. Non succederà più. Non è Jack, per l’amor di Dio.»

«C’è Ethan là. Può tenergli lui compagnia.» Ho sempre una soluzione pronta.

«Vuole vedere me, non Ethan.»

Questa femmina mi farà impazzire.

«È solo un amico» continua con enfasi.

«Non mi piace.»

«È un mio amico, Christian. Non lo vedo dall’inaugurazione della mostra, ed è stato un incontro troppo breve. So che tu non hai amici, a parte quella donna orrenda, ma non mi lamento quando la vedi!» esclama.

La guardo, cerco di capire quello che mi sta dicendo. Donna orrenda? Elena?

«Voglio vederlo. Sono stata una pessima amica per lui.»

«È questo ciò che pensi?» domando riguardo a Elena.

«Che penso di cosa?»

«Di Elena. Preferiresti che non la vedessi?» – Perché io preferirei proprio che tu non vedessi nessuno. Nessuno! –

«Esattamente. Preferirei che non la vedessi.»

«Perché non l’hai detto?»

«Perché non sta a me dirlo. Tu pensi che lei sia la tua unica amica.» Si stringe nelle spalle, esasperata.

Lei “è” la mia unica amica.

«Proprio come non sta a te dire se posso o non posso vedere José. Lo capisci?»

– Che faccio? Innesto la miccia? No: non posso punirla. Poi...no, non oggi... –

Amici.

A che cosa servono? Io voglio lei, non gli amici... Anche lei dovrebbe volere solo me...

Suppongo che alla sua età una ragazza abbia degli amici...

 – Chissà se le sottomesse avevano degli amici? –  Non me lo sono mai chiesto. Non mi sono mai neppure posto la domanda. In effetti non m’interessava un bel niente di quello che facevano quando non erano con me, mi bastava che rispettassero le Regole.

Amici...

Meglio qui... sotto il mio controllo, altrimenti se ne va nel suo appartamento con quei due...

– E io faccio una strage! –

«Può stare qui, suppongo» concedo. «Così posso tenerlo d’occhio» borbotto infastidito.

«Grazie! Sai, se verrò a vivere qui anch’io…» Si zittisce.

Annuisco. – Vai avanti, piccola... Non so se lo hai notato, Miss Steele, ma tu vivi già “qui”. Con me. –

«Non è che ti manchi lo spazio» continua. Sorride. Mi sta provocando. Sì, mi sta proprio provocando.

Sorrido anch’io. «Lo stai facendo per me quel sorrisetto, Miss Steele?»

«Assolutamente sì, Mr Grey.»  Si alza per sparecchiare.

«Lo farà Gail.»

«L’ho fatto io adesso.» Dice, riponendo l’ultimo piatto in lavastoviglie.

La guardo. – Vuole sempre avere l’ultima parola! –

«Devo lavorare per un po’» le dico.

«Fantastico. Troverò qualcosa da fare.»

«Vieni qui» le ordino. La voglio vicino.

Voglio capire se va tutto bene, se è ancora spaventata. Obbedisce. Si accoccola tra le mie braccia.

Quando capirà che la voglio al sicuro?

La avvolgo. La stringo. «Tutto okay?» chiedo.

Di lei m’importa. M’importa tutto quello che fa, tutto quello che prova.

«Okay?» risponde.

«Dopo quello che è successo con quello stronzo? Dopo quello che è successo ieri?» aggiungo.

– Cazzo, tra ieri e oggi c’è da riempire le quattro pagine della cronaca nera dello Seattle Magazine. –   Cerco di mostrarmi tranquillo, ma tranquillo non sono.

 «Sì» sussurra.

Lei è una “tosta”, ma già lo sapevo. Per stare con me...

La stringo forte a me e lei si abbandona.

È bellissimo.

Mi rasserena.

Mi fa sentire potente. Potente davvero.

E mi sento completo, come mai prima.

Io la amo.

«Non litighiamo» mormora.

Le bacio i capelli. Io non voglio litigare. Inspiro a fondo. «Hai un profumo meraviglioso come sempre, Ana.»

«Anche tu» sussurra e mi bacia sul collo regalandomi un brivido. Meglio andare...

«Ne avrò per un paio d’ore» dico.

Vado nel mio studio: sistemo velocemente quello che avevo ancora da sbrigare. È arrivato il primo carico in Durfur, controllo che sia tutto corretto, tutto a posto. Controllo la distribuzione. Visiono ancora una volta il contratto di oggi, poi mi dedico alle cartelle di Hyde.

Guardo le mie foto; ci sono anche le foto con Ana, quelle a Portland della laurea e della mostra, e quelle qui a Seattle, alla festa in maschera.

Controllo le date dei file: tutte successive a venerdì scorso, la cartella è datata 10 giugno.

Sospiro.

Strano.

– Questo qui è un vero pazzo psicopatico – mi dico. – Seriale. Un maniaco seriale. –  Ne sono convinto.

Ana ha davvero fatto un brutto incontro.

– Anche se non ci fossero state di mezzo le mail lui avrebbe attaccato comunque. Le mail sono state una scusa. Non aveva scampo. Meno male che si sa difendere, altrimenti... Altrimenti... – 

Meglio non pensarci. Meglio non pensare neppure a ieri sera... Sono andato fuori di testa al solo pensiero di perderla. È preoccupante: non riesco a stare più di un’ora senza sapere dov’è, cosa fa, se sta bene...

Sono diventato Ana dipendente.

Io!

Dipendente da un’altra persona.

Incredibile...

Sono disposto a cambiare tutta la mia vita per lei, tutte le mie abitudini. Devo buttare via gli attrezzi che la spaventano, su, nella Stanza dei Giochi. Stamattina avevo cominciato, poi la telefonata di Ros...

– Cazzo! Non ho chiuso la porta! Ana! –

Chissà se...?

– Vado a vedere. –

La cerco veloce prima in camera e biblioteca... non è al piano di sotto.

– È su! – mi dico.

Salgo le scale e noto che la porta della stanza dei giochi è aperta. La luce filtra dalla porta accostata.

– Ana! –  

Sta aprendo il primo cassetto...

Dilato gli occhi.

Una reazione involontaria.

Credo che, in me, abiti una fiera, tutti i sensi accesi... i muscoli si contraggono.

Una reazione fisica, ferina. Animalesca.

No.

È solo il Raffinato Signore che, sopito sul divano Chesterfield da domenica, si è destato appena ha fiutato la preda.

Qui dentro.

Percepisco il suo odore... profumo di caccia, essenza di paura mista ad eccitazione. Mi sconvolge le budella.

– Non mi ha visto – mi dico. – Non mi ha sentito... come un vero predatore che sta per balzare sulla vittima ignara. –

Ha preso in mano un dilatatore anale. Quello piccolo. È nuovo, l’ho acquistato per lei.

– Non vedo l’ora di usarlo–  penso. – Ma devo aspettare. Un passo dopo l’altro... È vero: devo prima insegnarle a camminare e non posso assolutamente correre. La perderei. –  E io non voglio perderla. Non posso, non posso...

È una litania infinita che mi ripeto da quando mi ha lasciato... non posso...

Ma io sono così: è un istinto... forse sopito... ma c’è... è prepotente... indomabile... e lei, “qui”, accende i miei sensi in un modo ancor più feroce che qualsiasi altra. Io lo so il perché: perché lei è preda, non vuole questo gioco, ma subisce il fascino mortale dell’oscuro.

Io questo non lo avevo mai sperimentato, MAI.

E mi eccita, mi eccita, mi eccita in un modo...

– Uhmmm!!! Dio, la voglio! – Sento il contorcersi delle viscere, sento l’erezione vibrarmi tra le gambe e percepisco lampi in testa che mi scuotono nel profondo.

– Cazzo, sono un Dominatore! Non posso farci niente. E la piegherò alle mie voglie, anche questa sera. La trascinerò nel mio mondo, nei miei giochi... la possederò... –

Alza lo sguardo, mi vede. Leggo uno strano terrore nei suoi occhi e il suo sguardo si riverbera come una scudisciata tra le mie gambe.

«Ciao.» Sorride nervosamente, con gli occhi sgranati, mortalmente pallida.

«Che cosa stai facendo?» le chiedo, cercando di controllare l’intonazione della voce. Cerco di trattenere il mio istinto Dom: la postura, il tono, lo sguardo cambiano immediatamente quando sono così eccitato. Devo ammettere che la maggior parte delle volte sono talmente preso da lei che mi basta averla tra le braccia, sprofondare nel suo mondo vanilla, per sentirmi tanto soddisfatto e completo da non ricordare quasi un altro tipo di realtà.

Ma “lei”, “qui dentro”... uhmm... Mi avvampa la testa... e non solo quella.

– Giochiamo, Miss Steele. Giochiamo! – Arrossisce.  – Ecco che diventa rossa: mi mancava questa sua reazione. E naturalmente mi eccito ancora di più. Anzi, sono proprio infoiato. –  Inspiro profondamente.

«Ehm… ero annoiata e curiosa» borbotta, imbarazzata di essere stata scoperta.

Non si aspettava di vedermi così presto. In effetti  le avevo detto che sarei stato occupato un paio d’ore, ma non riesco a starle lontano. E ho fatto bene.

 «Una combinazione molto pericolosa» dico. Mi passo l’indice sul labbro inferiore, sto assaporando l’essenza della paura che si è appena posata sulle mie labbra. Non devo perdere il contatto visivo: è puro piacere.

Deglutisce a fatica.

Lentamente entro. Mi chiudo la porta alle spalle. Carico di aspettative questo mio gesto: ho chiuso fuori il resto del mondo. Siamo solo noi due.

Vibro.

Mi appoggio con noncuranza al cassettone. Inspiro. «Dunque, che cosa ti incuriosisce, esattamente, Miss Steele? Forse posso illuminarti.» – Ahaahhh, giochiamo, Miss Steele, giochiamo: ne avevo una voglia... –

«La porta era aperta… Io…» Mi guarda stralunata, sbatte le palpebre. Io mi appoggio con i gomiti al cassettone e poso il mento sulle mani giunte. «Sono entrato qui stamattina, domandandomi cosa fare di tutto questo. Devo essermi dimenticato di chiudere.» Mi acciglio. Sono entrato per un attimo, volevo togliere quegli attrezzi che la spaventavano tanto.

«Ah.»

«Ma ora eccoti qua, curiosa come sempre.»

«Non sei arrabbiato?» sussurra, con il fiato che le rimane.

Piego la testa di lato per osservarla e confonderla.

«Perché dovrei essere arrabbiato?» – Sono tutt’altro che arrabbiato, Miss Steele. Tu ora sei al sicuro. Al sicuro... qui... con me. –

«Mi sento come se avessi sconfinato… e tu ce l’hai con me. Tu sei sempre arrabbiato con me.»

«Sì, hai sconfinato, ma non sono arrabbiato. Spero che un giorno vivrai qui con me, e tutto questo…» indico la stanza con un gesto della mano, «… sarà anche tuo.» Mi guarda a bocca aperta. «È per questo che sono stato qui oggi. Cercavo di decidere cosa fare.» Mi picchietto sulle labbra con l’indice per intimidirla.

«Sono sempre arrabbiato con te? Non lo ero stamattina.» Io sono arrabbiato con te, solo con te, solo quando mi fai arrabbiare. Quando ti metti in pericolo, mettendo a repentaglio il benessere dell’unica cosa che mi interessi al mondo: tu. E divento feroce con chi ti tocca.

«Eri allegro. Mi piace il Christian allegro.»

«Davvero?» La guardo, sorrido.

«Cos’è questo?» Solleva un piccolo dilatatore e mi domanda delucidazioni curiosa.

«Sempre a caccia d’informazioni, Miss Steele. Quello è un dilatatore anale».

«Oh…»

«L’ho comprato per te.»

 «Per me?»

Annuisco.  

«Compri… ehm… giocattoli nuovi… per ogni Sottomessa?»

«Alcune cose. Sì.»

«Dilatatori anali?»

«Sì.»

Deglutisce.

«E questo?» Tira fuori le sfere.

«Sfere anali» dico. «Fanno un certo effetto se le tiri fuori durante l’orgasmo» spiego. – Possono procurati un orgasmo cosmico, Miss Steele che sicuramente prima o sperimenterai... qui dentro... –

«Sono per me?» sussurra.

«Per te.» Annuisco lentamente. – Oh, sì, piccola, tutto per te. –

«Dunque questo è il cassetto anale?»

Mi esce un sorrisetto malizioso.–  Ma manca qualcosa. Quel cassetto non può contenere l’unica cosa che voglio davvero infilare nel tuo splendido sedere, miss Steele – «Se preferisci» dico invece, per non spaventarla. Non voglio che scappi fuori urlando. La voglio qui, ora. 

– Ma non giocheremo qui, in questa stanza, Miss Steele. È ancora troppo presto. Non stasera. Non sei ancora pronta. E nemmeno io. Sono stati due giorni davvero pesanti: potrei eccedere, con tutte queste tentazioni.– 

Chiude in fretta il cassetto, è spaventata e la sua bella faccina ha assunto un color rosso fiamma.

«Non ti piace il cassetto anale?» le chiedo con aria innocente, divertito. – Oh, come mi piace provocarla! –

Mi guarda con un’aria da sbruffoncella stringendosi nelle spalle e dice: «Non è proprio in cima alla mia lista “cose da fare con Christian”.»

– Oh, Miss Steele, invece questo è proprio in cima alla mia lista “cose da fare con Ana!”–  

Timidamente, apre il secondo cassetto.

Rido.

«Quello contiene una selezione di vibratori.»

Lo richiude alla velocità della luce. Ora è color porpora. Mi trattengo a stento dal ridere.

«E quello dopo?» sussurra imbarazzatissima.

«Quello è più interessante.» Apre timidamente il cassetto di pinze e mollette.

«Pinze genitali» spiego. Mi avvicino, lei prende le pinze con catena e chiede spiegazioni.  

«Alcuni di questi sono per il dolore, ma la maggior parte sono per il piacere» spiego in generale.

«Che cos’è questo?»

«Pinze per capezzoli. Per entrambi.»

«Entrambi? I capezzoli?»

Sorrido con malizia. «Be’, ci sono due mollette, piccola. Sì, entrambi i capezzoli, ma non è quello che intendevo. Queste sono sia per il piacere sia per il dolore. Dammi il mignolo.»

Obbedisce e le pinzo la punta del dito. «La sensazione è molto intensa, ma è quando si tolgono che si provano il dolore e il piacere più forti.»

«Mi piace la foggia» mormora togliendola molletta.

«Lo sai, Miss Steele? Credo che ci avrei scommesso.» So che è intrigata. Non dirà di no... a tempo debito.

Annuisce timida e rimette le pinze nel cassetto.

Mi sporgo e prendo una coppia di pinze a vite.

«Queste sono regolabili.» Le sollevo per fargliele ispezionare.

«Regolabili?»

«Le puoi mettere molto strette… oppure no. Dipende dall’umore» – Il mio umore, ovviamente! –

Deglutisce, ha capito.

Prende in mano rotella di Wartenberg.

«E questo?» Mi guarda perplessa.

«Quella è una rotella neurologica di Wartenberg.»

«Per?»

La prendo. «Dammi la mano. Con il palmo in su.»

Mi tende la sinistra, le accarezzo la mano, mi fa sempre un certo effetto il contatto con la sua pelle. Faccio scorrere la rotella sul suo palmo.

«Ah» si lamenta.

«Immaginala sul seno» mormoro. – Io me la sto immaginando proprio ora! –

Strappa via la mano.

«C’è una linea di confine molto sottile tra piacere e dolore, Anastasia» continuo dolcemente a spigare e rimetto a posto la rotella.

«Mollette da bucato?» chiede stupita.

«Si possono fare parecchie cose con una molletta da bucato.»

–  Non hai idea di quali posti potrei pinzare, che piacere nel vedere il tuo corpo decorato con questi versatili oggettini, la tua pelle arpionata e dolorante e il tuo sussulto quando le strapperò via in un solo gesto. Un lampo di dolore, nessun segno e tutto il piacere concesso dall’orgasmo. –   

Chiude il cassetto.

«È tutto?» sono divertito. Eccitato.

«No…» Apro il quarto cassetto... ball gag.

«È una ball gag. Una specie di bavaglio. Per tenerti buona» spiego.  

«Limiti relativi» mormora.

«Ricordo» dico. «Puoi comunque respirare. I denti afferrano la pallina.» La prendo e con le dita mimo una bocca che tiene stretta la pallina.

«Hai mai indossato una ball gag?» chiede.

«Sì.»

«Per soffocare le urla?»

«No, non è fatta per questo.» – Ma  io non voglio farti urlare di dolore! Quando lo capirai? – «Ha a che fare con il controllo, Anastasia. Quanto indifesa ti sentiresti legata e senza poter parlare? Quanto ti dovresti fidare, sapendo che ho potere su di te? che devo saper leggere il tuo corpo e le tue reazioni, piuttosto che sentire le tue parole? Ti rende più dipendente, e dà a me il controllo definitivo.»

Continua a deglutire. «Ne parli come se ti mancasse.»

«È ciò che conosco.» Tutto ciò che conosco dei rapporti con una donna: niente altro, prima di te.

«Tu hai potere su di me. Sai di averlo» sussurra.

«Ce l’ho? Mi fai sentire… indifeso.»

«No! Perché?» chiede spaventata.

– Perché non ho il controllo! – «Perché sei la sola persona che conosco che possa davvero farmi male.» – Sono debole se mi toccano te. – Le sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«Oh, Christian… Questo vale per entrambi. Se tu non mi volessi…» Rabbrividisce, abbassando gli occhi sulle dita intrecciate.

– È impossibile, una cosa impossibile. –

Scuote la testa. «L’ultima cosa che voglio è farti male. Ti amo» mormora.

Mi accarezza le guance.

Un’ombra mi passa nello sguardo: nessuna donna  ha mai toccato qui dentro. Solo lei.

Appoggio il viso sulle sue dita, adoro il suo tocco. Mi riempie, mi appaga, mi completa. Rimetto a posto la ball gag nel cassetto e le circondo la vita con le mani. La attiro a me.

«Abbiamo finito con la presentazione e descrizione del campionario?» chiedo e le accarezzo la schiena fino alla nuca.

«Perché, cosa vuoi fare?»

La bacio dolcemente e lei si abbandona.

«Ana, oggi sei stata quasi aggredita.» Penso con dispiacere a quello che le è accaduto. Mi è svenuta davanti, si spaventata molto, anche se fa la spavalda. Non me la sento di forzarla. Anche se qui è inevitabile pensare a quello.  

«Allora?» chiede.

«Cosa significa “allora”?» la rimprovero.

«Christian, sto bene.»

La stringo forte. «Quando penso a ciò che poteva succedere» dico in un sospiro, seppellendo la faccia tra i suoi capelli.

«Quando imparerai che sono più forte di quello che sembro?» mi sussurra dentro al collo.

«Io lo so che sei forte» rimugino, poi le do un bacio sui capelli e la

lascio andare.

Continua la sua indagine, rovista chinandosi sul cassetto delle cinghie e manette e tira fuori la barra divaricatrice.

Le solleva. Curiosa.

«Questa è una barra divaricatrice con manette per mani e piedi» spiego, ma la mia mente ha già fatto ogni tipo di valutazione. – Dimostrazione pratica! Se non è scioccata da Hyde, questo è il gioco giusto per questa sera.

«Come funziona?» domanda affascinata.

«Vuoi che te lo mostri?» mormoro sorpreso dal fatto che me l’abbia chiesto lei. – Troppo facile! –

«Sì, voglio una dimostrazione. Mi piace essere legata» confessa.  «Oh, Ana» mormoro. D’improvviso il Dom che c’è in me sta per scattare, ma qui... no. Non qui. Qui potrei diventare pericoloso. Lo voglio troppo. Ci sono troppe distrazioni. Potrei eccedere.

«Cosa c’è?»

«Non qui.»

«Cosa vuoi dire?»

«Ti voglio nel mio letto, non qui. Vieni.» Afferro la barra dalla sua mano e la trascino fuori.

«Perché non qui?» chiede.

«Ana, tu puoi anche essere pronta a tornare là dentro, ma io no. L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai lasciato. Quando lo capirai?» Mi acciglio e lascio il polso che tenevo stretto nella mia mano. «Di conseguenza, tutto il mio atteggiamento è cambiato. Tutta la mia visione della vita è radicalmente mutata. Te l’ho detto. Ciò che non ti ho detto è…» Mi fermo. Devo spiegarle che potrei esagerare, soprattutto oggi. Dopo Leila, dopo Hyde, dopo le sceneggiate di Elena. Dopo tutta la merda di questi giorni, Non voglio rischiare. Cerco le parole giuste. «Sono come un alcolista in recupero, okay? È l’unico paragone che mi viene in mente. L’impulso è sparito, ma non voglio avere tentazioni. Non voglio farti del male.» – Non conosco i tuoi limiti, non voglio varcarli mai più e non è questo il momento di esplorarli insieme. – «Non posso sopportare l’idea di farti del male perché ti amo» aggiungo, guardandola negli occhi.

All’improvviso fa una cosa inaspettata. Incredibile. Si lancia su di me  con tanta foga che devo lasciar cadere la barra che ho in mano per prenderla e lei mi spinge contro il muro, mi afferra il viso tra le mani e bacia la mia bocca spalancata per la sorpresa. Mi infila la lingua in bocca in un assalto che non ho mai subito. Mi viene da ridere. Il suo bacio appassionato mi fa sentire... boh? Non so... Mi accendo come un fiammifero. La blocco, la prendo per le spalle e l’allontano da me. «Vuoi che ti scopi qui sulle scale?» mormoro. Mi manca il fiato. «Perché in questo momento lo farei.»

«Sì» dice. Il suo sguardo è intenso, brilla.

«No. Ti voglio nel mio letto.» Ho bisogno del letto per usare la sbarra. Ora voglio giocare. La sollevo e me la carico su una spalla. Pesa meno di un cuscino. Strilla. E io le mollo una sculacciata con tutta la mia forza sul sedere. E lei strilla. Mi chino ad afferrare la barra.

– Ora ci divertiamo, Miss Steele. –

«Non penso che mi farai del male» mormora arrivati in camera, quando la metto giù.

«Nemmeno io penso che ti farò del male» dico io. – Io non ti farò mai del male, mai! Né fisico, né di nessun altro tipo. Il dolore, un po’ di dolore, non è male. Non è il male! –  Le prendo la testa tra le mani e la bacio, a lungo, intensamente, e il mio sangue avvampa più di quanto stia già bollendo. «Ti desidero così tanto» le dico sulla bocca, ansimando. «Sei sicura dopo… dopo oggi?» Non vorrei che facesse la sbruffona, io la scopo legata alla barra e poi lei sta male: devo sapere se va tutto bene.

«Sì, anch’io ti desidero. Voglio spogliarti.»

Vuole toccarmi, come ieri sera. Uhmm... Va bene. Sì, lo voglio anch’io.

«Okay» dico.

Allunga le mani verso i bottoni della camicia. Trattengo il fiato. Non mi farà del male, come io non ne farò a lei.

«Non ti toccherò, se non vuoi» sussurra.

«No» dico veloce. «Fallo pure. È fantastico. Sto bene» mormoro.  

Slaccia delicatamente un bottone dopo l’altro. Guardo le sue mani.  

«Voglio baciarti lì» dice guardando il mio petto.

«Baciarmi?»

«Sì.»

Sussulto intimorito quando sento le sue labbra morbide sfiorarmi i pelo del petto. È bellissimo, spaventoso e bellissimo. Sono dolcemente eccitato. –  Dai , toccami, toccami... –

«Sta diventando più facile, vero?» chiede piano.

Annuisco. – Oh sì... – Mi fa scivolare dalle spalle la camicia che cade a terra.

«Che cosa mi hai fatto, Ana? Dimmelo» gemo. «Qualunque cosa sia, non ti fermare.» E la prendo tra le braccia, le infilo le mani tra i capelli e li tiro indietro per avere libero accesso al suo collo.

Le mie labbra corrono sul suo mento, mordicchiandolo dolcemente. Mugola e mi sfiora con le dita i pantaloni, alla ricerca della cerniera. Oh, desidero questa donna. «Oh, piccola» gemo senza fiato e la bacio dietro l’orecchio.

Spingo la mia erezione contro il suo ventre. Voglio farle sentire cosa scatena, anche toccandomi. All’improvviso fa un passo indietro e si lascia cadere in ginocchio davanti a me.

«Ehi…» ansimo. –  Che fai, piccola? – Mi tira giù pantaloni e boxer in un solo movimento brusco. Cedo alla violenza.

Lo prende in bocca, prima che possa rendermene conto sto già godendo. La guardo mentre mi succhia, eccitato nel vedere i suoi movimenti, osservando la sua lingua che si muove languida su e giù.

Godo. Succhia più forte, godo di più. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dal piacere. Al diavolo tutta la tensione, la rabbia, la paura... voglio solo perdermi dentro di lei, dentro la sua bocca. Assecondo i suoi movimenti ondeggiando i fianchi.

«Caaazzo» sibilo e la trattengo per la testa, e muovo i fianchi per entrare più in profondità nella sua bocca. Sento la sua lingua che mi gira intorno, regalandomi un godimento pieno, forte, forte perché mi sta succhiando forte… più volte…

«Ana.» Cerco di tirarmi indietro. Lei non si ferma, mi trattiene per i fianchi.  – Cazzo, sto per venire. –

«Per favore» ansimo. «Sto per venire, Ana» gemo.

Non si ferma, succhia ancora, lecca e muove la sue belle labbra su e giù.

E io vengo.

Grido e erompo nella sua bocca. Mi svuoto, spingendomi più a fondo. Apro gli occhi e le vedo mentre si lecca le labbra. Verrei di nuovo se non avessi appena fatto.

«Oh, dunque è questo il gioco a cui stiamo giocando, Miss Steele?» Mi chino, le metto le mani sotto le ascelle, la tiro su e la bacio. Affondo la lingua nella sua bocca. Ansimo. «Sento il mio sapore. Il tuo è migliore» le dico sulla bocca, ancora eccitato.

– Che cazzo, mi fa questa donna?  –Le sfilo la maglietta e la getto sul pavimento, poi la sollevo e la butto sul letto. Le afferro i pantaloni della tuta e glielo sfilo.

– Bene: nuda. Finalmente! –

La ammiro sdraiata sul mio letto. In attesa. Vogliosa. Assaporo la sua immagine.

«Sei una donna bellissima, Anastasia» mormoro con ammirazione. – Sei davvero bellissima, amore mio. –

Piega la testa di lato, civettuola, e mi sorride.

«Tu sei un uomo bellissimo, Christian, e hai un sapore meraviglioso.» Le sorrido anch’io, eccitato dalle sue parole.

– Ma adesso tocca a me! –  Prendo la barra divaricatrice. Le afferro la caviglia sinistra e velocemente la chiudo nella cavigliera, ma non troppo stretta. Verifico quanto spazio ha, inserendo il mignolo tra la cavigliera e la pelle. Non distolgo gli occhi dai suoi. Non ho bisogno di vedere cosa sto facendo, sono movimenti familiari. Mmh… «E ora vediamo di cosa sai tu. Se ricordo bene, sei una leccornia straordinariamente squisita, Miss Steele.»

Le prendo l’altra caviglia e, in modo rapido, la chiudo nell’altra cavigliera, così che i piedi rimangono a una distanza di mezzo metro.

«La cosa bella di questo divaricatore è che si può allungare» dico a bassa voce. Premo un pulsante sulla barra, e le sue gambe si aprono di quasi un metro.  Spalanca la bocca e fa un bel respiro.

– Sì, piccola sei a mia disposizione. –  Mi passo la lingua sulle labbra a pregustare ciò che assaporerò.

«Oh, ci divertiremo un mondo con questa, Ana.» Afferro la barra e la ruoto, cosicché si ribalta sulla pancia. «Vedi cosa posso farti?» dico cupo e ruoto di nuovo la barra bruscamente, cosicché torna sdraiata sulla schiena, a fissarmi a bocca aperta, senza fiato. «Queste manette sono per i polsi. Penserò se mettertele oppure no. Dipende se ti comporterai bene oppure no.»

«Quando non mi comporto bene?»

«Mi vengono in mente alcune infrazioni» rispondo dolcemente, facendole scorrere le dita sotto i piedi, facendole il solletico. Cerca di sottrarsi al mio tocco ma la barra la tiene in posizione. È in mio potere, l’ha capito.  

«Il BlackBerry, per esempio» comincio a enumerare.

Sussulta. «Che cosa mi farai?»

«Oh, non rivelo mai i miei piani.»  Le sorrido, un sorriso da Stanza dei Giochi. Salgo carponi sul letto, per trovarmi in ginocchio davanti alle sue gambe, nudo. «Mmh… Sei così aperta, Miss Steele.» Le sfioro delicatamente l’interno di ciascuna coscia, in modo lento ma deciso, disegnando piccoli cerchi. Non interrompo mai il contatto visivo.

«È tutta una questione di attesa, Ana. Che cosa ti farò?»

Si contorce sul letto, mugola. Le mie dita continuano il lento assalto alle gambe, oltrepassando il retro delle ginocchia.

«Ricordati: se qualcosa non dovesse piacerti, basta che tu mi dica di fermarmi» le ricordo. Chinandomi le bacio il ventre, la succhio con morbidi baci, mentre le mie mani la torturano con una lenta carezza tra le cosce.

«Oh, per favore, Christian» mi supplica.

«Oh, Miss Steele. Ho scoperto che sai essere impietosa nei tuoi assalti amorosi su di me. Credo di poter contraccambiare il favore su di te.»

Stringe la trapunta con le dita, mentre si arrende.

La mia bocca scende e le mie mani salgono, mentre le dita trovano la via al suo culmine, esposto e vulnerabile. Emette un lamento. Le mie dita entrano e lei solleva i fianchi. Gemo, è così bagnata che mi eccita. «Non la finisci mai di sorprendermi, Ana. Sei così bagnata» mormoro contro il suo pube. Scendo, la mia bocca trova la sua fonte.

Inizia il mio assalto lento e sensuale, la lingua che turbina più volte mentre le dita si muovono dentro di lei. Lo so fare bene. Lo farò al meglio, così mi ecciterò anch’io. Continuo il mio assalto.

– Vuoi sapere che cosa ti farei per il BlackBerry, Miss Steele? Userei lo sculacciatore per tormentarti tra le gambe finché non vieni, torturata e dolorante, in un orgasmo che non hai ancora provato. – 

Invece io continuo e lei inarca la schiena mentre la lecco.

«Oh, Christian» uggiola.

«Lo so, piccola» sospiro mi faccio largo verso di lei, soffio dolcemente sulla parte più sensibile del suo corpo.

«Ah! Per favore!» lo supplico.

«Di’ il mio nome» ordino. Non voglio che mi chiami Signore o Mr Grey, voglio che dica il mio nome, che lo gridi, perché quando lo sento uscire dalle sue labbra è come un colpo al cuore. Meraviglioso, eccitante.

«Christian» mi chiama. Eccitata. E io vibro.

«Ancora» dico d’un fiato. Leccando le gocce che scorrono per me. E mordicchio tra le sue gambe. Voglio che goda.

«Christian, Christian, Christian Grey» grida forte. – Oh, sì! –

«Sei mia» ruggisco.

All’ultimo assalto della mia lingua lei cede, si abbandona all’orgasmo, in modo spettacolare, e visto che ha le gambe aperte, va avanti ripetutamente. È mia.   

La giro, non credo se ne sia resa conto. «Stiamo per provare questo, piccola. Se non ti piace, o è troppo scomodo, dimmelo e io mi fermerò. Stenditi, piccola» le sussurro il mio ordine all’orecchio. «Testa e torace sul letto.» Intontita, obbedisce. Le tiro indietro entrambe le mani e le assicuro con le manette alla sbarra, vicino alle caviglie, facendole flettere le ginocchia. Ha il sedere in aria, vulnerabile. Mio. Completamente mio.

«Ana, sei bellissima.» Non riesco a trattenere il desiderio che esce dalla mia voce. Strappo la bustina del preservativo e me lo infilo. Faccio scorrere le dita dalla base della schiena, poi ancora più sotto, lì, e indugio con un dito, la sfioro, sul sedere. «Quando sarai pronta, voglio anche questo.» Ansima forte mentre si tende tutta sotto la mia leggera pressione. «Non oggi, dolce Ana, ma un giorno… Ti voglio in ogni modo. Voglio possedere ogni centimetro di te. Sei mia» dico e le mie parole le strappano un gemito. Sorrido. Le mie dita passano sul davanti, si muovono su e giù su un territorio più familiare. Solo un attimo, ora la voglio, così, esposta. Alla mia mercé.

E me la prenderò come piace a me; la penetro con forza, spingendo i miei fianchi per sfondare, in questa posizione.

«Ahi! Piano!»

Mi fermo. «Stai bene?»

«Fa’ piano… Fammici abituare.»

Scivolo fuori e poi la penetra di nuovo, delicatamente, riempiendola… due, tre volte.

È inerme.

«Sì, bene, ora ci sono» sussurra, pronta.

Gemo e ricomincio, forte, riprendo il ritmo. E mi muovo, mi muovo… implacabile… riempiendola tutta… ed è favoloso. FAVOLOSO! Favoloso... godo di un piacere completo, pieno perché c’è gioia nella sua vulnerabilità, si arresa a me. MIA!

Posso perdermi in lei nel modo che voglio.

E si lascia andare.

Viene di nuovo, gridando forte, urlando il mio nome.

Anche io. Mi lascio andare. Rovescio in lei tutto quello che ho, tutto quello che mi rimane. Anche io grido: «Ana, piccola» e crollo accanto a lei.

Slaccio in fretta cavigliere e manette, le massaggio le caviglie e i polsi. Quando ho finito la attiro tra le braccia e lei si accoccola, abbandonata, esausta. Si appisola e io rimango fermo immobile a guardarla, custodendola tra le braccia. Custodendo il mio tesoro tra le braccia. 

«Potrei osservarti dormire per ore, Ana» mormoro quando apre gli occhi; la bacio sulla fronte. Probabilmente sta ancora dormendo. Forse no: sorride e si strofina languidamente contro di me.

«Non vorrei mai lasciarti andare» le dico dolcemente e la avvolgo tra le braccia.

«Non voglio andarmene mai. Non lasciarmi andare via» mormora assonnata, le palpebre che rifiutano di sollevarsi. 

–  E chi ti lascia? Non ti sei resa conto che non ti lascio? – «Ho bisogno di te» sussurro, ma non so se mi stia sentendo, addormentata su di me.  «Ho bisogno di te come l’aria, amore mio. E non ti lascerò andare via.»


CAPITOLO 19


– Mmh… -

È sempre un bel mattino quando mi sveglio accanto a lei.

Profuma di buono, profuma di angelo.

Profuma di amore.

Alla naturale reazione mattutina del mio corpo si aggiunge il ricordo dei giochi di ieri.

La barra giace ai piedi del letto dove l’ho posata quando abbiamo finito. È meraviglioso averla a disposizione. Aperta. Mi piace legarla... possederla...

Non voglio pensare a tutte le merde che continuano a pioverci addosso, voglio riempirmi di lei... di cose belle...  e annuso la pelle serica del suo collo.

«Buongiorno, piccola» mordicchio il lobo dell’orecchio, quando mi accorgo che è sveglia.

L’ho fatto apposta, a svegliarla, voglio scoparla.

La luce brillante del primo mattino inonda la stanza, permettendomi di osservare l’effetto della mia carezza sul suo seno e concedendomi il piacere di vedere i suoi capezzoli che si rizzano al passaggio delle mie dita. Poi, da dietro le afferro i fianchi per  riuscire ad insinuare la mia erezione nella fessura tra le sue natiche e fargliela sentire bene.

Ieri sera mi ha eccitato parecchio l’idea di affondarle anche dietro, ma stiamo insieme da troppo poco tempo per forzarla. Oramai ho capito: non posso correre, un passo dopo l’atro... abbiamo ancora tanto da sperimentare e tutto il tempo del mondo.

– Ora mi piacerebbe affrontare qualche pista già battuta – mi dico quando sento il suo corpo che si strofina contro il mio e si stiracchia. – Non serve accendermi, piccola. Sono già in fiamme da quando ho aperto gli occhi – mi dico.

«Sei contento di vedermi?» mi mormora, mezza addormentata, la sua citazione di Mae West.

– No, piccola, è una pistola –  penso sorridendo. «Sono molto contento di vederti» dico e infilo la mano tra le sue gambe, faccio scivolare  le dita tra le grandi labbra e sfrego per eccitarla. «Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te, Miss Steele» e la faccio girare sdraiata sulla schiena per avere un accesso totale al mio posticino preferito.  «Dormito bene?» domando. Continuo il massaggio e le sorrido: è inevitabile, lei mi fa felice solo aprendo gli occhi.

I suoi fianchi cominciano a ondeggiare al ritmo della danza che le mie dita orchestrano. 

La bacio, devo. Per la mia sanità mentale è meglio che la mia bocca sfiori le sue labbra.

Gemo, ma pianissimo, anzi smorzo il mio lamento nella seta del suo collo. Succhio, sfioro, carezzo... ogni sogno perverso si perde nel languore concesso dalle mie dita umide che si scaldano dentro di lei.

«Sei sempre pronta» constato. Le basta una carezza per desiderarmi. Ne sono stupito, affascinato, perché non devo creare particolari situazioni, entrare in qualche gioco perverso per essere desiderato, no, basta il mio contatto... Beh, mi stupisce... è nuovo.

Continuo la mia esplorazione con la bocca e arrivo al suo seno. Prendo di mira i suoi capezzoli ritti e li morsico coi denti per ottenere lo stesso effetto delle mollette di metallo, per abituarla al dolore, poco alla volta, per farle sperimentare il godimento che può nascere da un  po’ di dolore. Tiro e il capezzolo si tende tra i miei denti, prima uno poi l’altro. Non faccio piano, ma è già eccitata e non si rende conto di quanto sia forte la pressione.

«Mmh…» mugola di piacere e la mia reazione è devastante. Ringhio:  

«Ti voglio adesso.»

Mi protendo verso il comodino e prendo un preservativo. Mi metto in ginocchio tra le sue gambe e gliele faccio aprire, mentre indosso il profilattico.

– Odio ‘sti cazzo di cosi! Non mi fanno sentire niente... poco... – «Non vedo l’ora che sia sabato» confesso.

«La tua festa?» ansima.

– Cazzo me ne frega della festa. La faccio io a te, la festa. – «No. Così potrò smetterla di usare questi fottuti aggeggi.»

«Definizione calzante» ridacchia.

Sorrido srotolo il preservativo sulla punta. «Stai ridacchiando, Miss Steele?»

«No.» Cerca di fare una faccia seria, ma non ci riesce.

«Questo non è il momento di ridacchiare.» Scuoto la testa per ammonirla.  

«Pensavo che ti piacesse quando rido» sussurra roca, mi fissa, ma ha già smesso di ridere.   

«Non ora. Ho bisogno di fermarti e penso di sapere come» dico.

– Anzi. Ti ho già fermato ancora prima di entrare. – Mi aiuto con la mano per  posizionare la punta, entro in ginocchio, così spingo più forte e arrivo subito a meta.

Emette un grido che tenta di fermare serrando le labbra, ma non ci riesce. Il suo urlo mi eccita, una reazione istintiva. «Certo. Sono contentissimo di vederti, Miss Steele» sputo tra i denti. «E tu? Sei contenta di assaggiare le mia pistola?» – Se citi tu, cito anch’io. – Un’altra cosa che amo di lei: sa sempre esattamente di cosa stiamo parlando; amo la sua cultura, amo la sua voglia di conoscere e di sperimentare... e la userò.

A mio vantaggio.

Smetto di pensare e mi lascio trasportare dalla corrente che scorre in me e defluisce in lei: una danza solo nostra, una danza speciale che mi concede un godimento mai provato e spingo, spingo forte, vorrei entrarle dentro, più su che posso, così torno in ginocchio, afferro le sue gambe, me le avvolgo attorno ai fianchi e le sollevo il bacino per avere libero accesso. Le afferro i seni e li strizzo forte nei miei palmi. Lei grida, sbatte la testa sul cuscino e grida. E viene... Posso sentire le sue più intime contrazioni anche attraverso il profilattico: è un richiamo irresistibile, un massaggio ancestrale che mi condanna all’orgasmo. Non mi sottraggo...

 

«Che cosa desidera per colazione, Ana?»

«Prenderò solo un po’ di cereali. Grazie, Mrs Jones.»

Non so perché, ma Ana guarda Gail e arrossisce.

Arrossisce sempre, eppure non è così timida.

La guardo, è proprio carina con la gonna antracite e la camicetta grigia di seta, fa molto “donna in carriera”. Sta bene. È una bellezza molto fine. Elegante.

E io voglio che indossi solo le cose più belle: voglio riempirla di cose belle.

«Sei adorabile» le dico sincero.  

«Anche tu.» Mi piacciono i suoi complimenti, mi fanno stare bene.

«Dovremmo comprarti qualche altra gonna» dico.  «Mi piacerebbe portarti a fare shopping.»– Voglio comprarti il mondo, Anastasia: posso. – 

Lei mi guarda accigliata e cambia discorso. «Mi domando che cosa succederà oggi al lavoro.»

«Dovranno rimpiazzare il depravato.» Me l’ero quasi dimenticato.

«Spero che prendano una donna come mio nuovo capo.»

«Perché?»

«Be’, tu avresti meno da obiettare se andassi via con lei» mi  punzecchia.

– Io sono geloso anche di tua madre, Ana – penso con disappunto a questa mia debolezza e intanto mangio. Poi mi vien da ridere al pensiero di Ana con un’altra donna, farebbe la stessa faccia inorridita che aveva ieri sera col dilatatore anale in mano.

«Cosa c’è di divertente?» chiede.

«Tu sei divertente. Mangia i tuoi cereali: tutti, se non vuoi altro.»

Fa una smorfia imbronciata e inizia a mangiare.

 

«Dunque, le chiavi vanno qui.» Le indico l’accensione sotto la leva del cambio.

«Strano posto» borbotta, ma sembra entusiasta, come un bimbo a Natale.

 «Sei piuttosto eccitata per tutto questo, eh?» dico divertito. Mi piace da morire farla felice.

Annuisce, sorridendo. «Senti questo odore di macchina nuova. È ancora meglio del Modello Speciale Sottomessa… ehm… dell’A3» aggiunge velocemente, arrossendo.

Sorrido. «Modello Speciale Sottomessa, eh? Ci sai fare con le parole, Miss Steele.» La guardo con finta disapprovazione. Fintissima. «Bene, andiamo» e le indico l’uscita del garage con un cenno della mano.

Batte le mani come una bambina, avvia la macchina, e il motore fa le fusa risvegliandosi. Inserisce la marcia, toglie il piede dall’acceleratore e la SAAB si muove dolcemente. Taylor mette in moto l’Audi dietro di noi, e quando la sbarra automatica si alza, ci segue fuori dall’Escala e in strada.

«Possiamo accendere la radio?» chiede mentre siamo fermi al primo stop.

«Voglio che ti concentri» rispondo tagliente.

«Christian, per favore, riesco a guidare con la musica accesa.» Alza gli occhi al cielo. La guardo attraverso la fessura dei miei occhi. – Ecco, ora ti saresti meritata una bella punizione. – Allungo la mano verso la radio.

«Puoi attaccarci il tuo iPod e gli MP3, e anche metterci i CD» spiego.

Le voci sonore e dolci dei Police improvvisamente riempiono la macchina. Drizza le orecchie, alza le sopracciglia: la conosce!

Spengo immediatamente.

«King of Pain» dice.

– E ti pareva! –

http://www.youtube.com/watch?v=0mgSCKXSp9M

«Il tuo inno» mi punzecchia, ma subito cambia espressione e tace.

– E ti pareva! “Immagino di aver sempre pensato che tu potessi mettere fine a questo regno/Ma è il mio destino essere il re del dolore/ Sarò sempre il re del dolore.” Figurati se non la conosceva! –

«Ho quell’album, da qualche parte» si affretta ad aggiungere poi tace.

–  Sono davvero il Re del Dolore? Lo sono ancora? – mi chiedo.

«Ehi, Miss Lingua Biforcuta. Torna indietro.» Si è distratta e non ha girato all’incrocio. «Sei molto distratta. Concentrati, Ana» la rimprovero. È anche vero che non ha quasi mai guidato a Seattle. «Gli incidenti capitano quando non ti concentri.»

«Stavo solo pensando al lavoro» dice preoccupata.

«Andrà tutto bene, piccola. Fidati.» Le sorrido. Non permetterò che la licenzino, poi lei non c’entra niente.

«Per favore, non interferire. Voglio farcela da sola. È importante per me» mi spiega. Io non rispondo. «Non litighiamo, Christian. Abbiamo passato una mattina meravigliosa. E ieri notte è stato…» Cerca le parole, ma le ho trovate io: “stupendo, divino...” «...divino» la sua voce fa da eco ai miei pensieri.

Ho chiuso gli occhi per rivedere noi, ieri. I giocattoli e tutto il resto. Lei legata... legata a me... È stato... eterno. Un piacere eterno... «Sì. Divino» confermo dolcemente. «Intendevo davvero quel che ho detto.»

«Cosa?»

«Non voglio lasciarti andare.»

«Non voglio andarmene.»

Sorrido, rassicurato. Sto cominciando a credere che sia vero. 

«Bene» dico. – Allora sposami! – grida una voce dentro di me. – Sposami. –

 

Entra nel parcheggio a mezzo isolato dalla SIP.

«Ti accompagno all’ingresso. Taylor mi verrà a prendere lì» mi offro di accompagnarla, così sto ancora un po’ con lei.

– Sì, è preoccupante. Comincio a preoccuparmi davvero. –  

Ma è per tutti così? Boh? Chiederò a John, lui ha sempre una risposta per tutto.

E poi, queste cose, le sa.

«Non dimenticarti che vediamo il dottor Flynn stasera alle sette» dico e le tendo la mano.

Preme il telecomando per chiudere l’auto e prende la mano che le offro. – È simbolico – penso afferrando le sue dita.  – Spero che accetterà la mia mano... –

«Non lo dimenticherò. Compilerò una lista di domande da fargli» mi risponde.

 – Sta dicendo sul serio? – «Domande? Su di me?» chiedo sconcertato. Annuisce. – Sta dicendo sul serio! –

«Posso rispondere io a qualsiasi tua domanda su di me» dico risentito.  – Nessuno mi conosce meglio. –

«Ma io voglio l’obiettiva e dispendiosa opinione del ciarlatano.»

M’incupisco. Mi fermo, l’abbraccio e le incrocio le mani dietro la schiena, per bloccarla... Sono preoccupatissimo. «È una buona idea?» le domando. È molto di più che preoccupazione: è terrore.

«Se non vuoi che lo faccia, non lo farò.» Mi guarda, io rifletto.

Da uno strattone per liberare una mano e la lascio andare. Mi accarezza. Il suo tenero tocco al volto mi rasserena.  

«Di che cos’hai paura?» chiede con voce dolce e rassicurante.

«Che tu te ne vada.»

«Christian, quante volte te lo devo dire che non vado da nessuna parte? Mi hai già raccontato il peggio. Non ti lascio.»

«Allora perché non mi hai risposto?»

«Risposto?» dice. So che è in malafede.

«Sai a cosa mi riferisco, Ana.»

Sospira. «Voglio sapere se sono abbastanza per te,  Christian. Tutto qui.»

«E non ti fidi della mia parola?» esclamo, esasperato, lasciandola andare.

«Christian, tutto questo è successo così in fretta. E per tua stessa ammissione, hai cinquanta sfumature di tenebra dentro di te. Non posso darti quello che vuoi» mormora.

 – Non puoi darmi quello che voglio? Io voglio te: come cazzo faccio a fartelo capire? Come? Magari Flynn ci riesce! –

«Non è solo per me» continua. «Ma questo mi fa sentire inadeguata, soprattutto dopo averti visto con Leila. Chi mi dice che un giorno non incontrerai qualcuna a cui piace fare quello che fai tu? E chi mi dice che tu non… non ti innamorerai di lei? Qualcuna che sia più adatta alle tue necessità.» Si guarda le mani.

«Conosco diverse donne a cui piace fare quello che mi piace. Nessuna di loro mi affascina nel modo in cui mi affascini tu. Non ho mai avuto un legame emotivo con nessuna di loro. Sarai solo tu per sempre, Ana.» – Oh Signore! Se potessi vedere che cosa sento dentro non mi diresti sempre le stesse cose! Che cosa devo dirti? Che dirti di più che ti amo? Io. Non. Lo. So. Non lo so! –

«Perché non hai mai dato loro una possibilità» dice esasperata.

La guardo, la lascio parlare e penso: – Tu, questa possibilità, te la sei presa, loro hanno preso qualcos’altro, dandomi prova che avevo ragione io. Tu no. Tu. NO! –

«Hai passato troppo tempo chiuso nella tua fortezza, Christian» continua.

– No, non è vero, Miss Steele! Non è questo il punto: per te esisto solo io, per loro sono solo, anzi ero, l’ipotesi migliore, per questo me ne sto nella mia fortezza. Prima di te non valeva la pena scendere, salivano loro. E in fretta! –  

«Senti, ne discutiamo più tardi» conclude il discorso.

 – Ottima idea!– penso io.

«Devo andare al lavoro. Forse il dottor Flynn saprà illuminarci» specifica.

Questa discussione è decisamente troppo impegnativa per essere fatta in un parcheggio alle otto e cinquanta del mattino, così taccio e annuisco.

Sospiro. «Vieni» le ordino, tendendole la mano.

 

Sono da poco entrato in ufficio, ho appena finito la riunione con Andrea e con quell’intontita di Olivia che continua a guardarmi inebetita, quando mi squilla il BlackBerry.

«Anastasia. Stai bene?» chiedo preoccupato. – Chissà com’è andata? – Mi rendo conto solo ora che ero in apprensione.

«Mi hanno appena dato il lavoro di Jack… Be’, temporaneamente» dice in fretta.

«Stai scherzando?» Faccio un salto sulla sedia. – Ma come cazzo si muovono questi?!? Mica ho parlato a Roach di Ana... forse glielo ha detto Hyde. Possibile... No. Non glielo ha detto Hyde: lo avrebbe fatto solo se fosse stato informato dell’acquisizione, ma Ana ha detto che non sapeva nulla, era a conoscenza solo delle mail... Ora telefono a Roach! –

«Hai qualcosa a che fare con questo?» domanda arrabbiata.

«No, no, affatto» le spiego subito. «Voglio dire, con tutto il rispetto, Anastasia, sei lì da poco più di una settimana, e non lo dico per farti torto.» Io non lo farei mai! Ci vogliono mesi per valutare la “tenuta” di un dipendente, anche il migliore. All’inizio sono tutti motivati, poi... Vedi Olivia che stagna da troppo e finirà in reception appena finito il periodo di valutazione.

«Lo so» replica. «A quanto pare, Jack mi apprezzava davvero.»

«Ah, sì?» commento. – Non lo dico, come ti apprezzava... In ogni caso la tua cultura, la tua abilità con le parole non sono mai state in discussione: ti amo anche per questo. Credo proprio che sia il lavoro giusto per te –  rifletto. – Ma voglio vederci chiaro. – Sospiro. «Be’, piccola, se pensano che tu possa farcela, sono sicuro che ce la farai. Congratulazioni. Forse dovremmo festeggiare dopo aver incontrato il dottor Flynn.»

«Mmh… Sei sicuro di non aver niente a che vedere con questo?».

– NO!!!! Ti ho detto di no! Ma che cazz... –  Mi fa inferocire che si dubiti di me. Della mia professionalità. E qui si parla di professionalità. Acquistare una società, per me, è lavoro quotidiano. Posso acquisire, smembrare, cedere, far rifiorire un’azienda, lo so fare. E controllo ogni cosa, ogni dipendente diretto, e non ho mai regalato niente a nessuno sul lavoro. – Non lo farò neppure con te... se non te lo meriti. Poi, come ti permetti di dubitare di me? – Mi vengono in mente due o tre modi per punire un tale insulto... dovrei proprio farlo: ha messo in forse ciò che sono... «Dubiti di me? Mi fa arrabbiare che tu lo faccia» le spiego ma sono inferocito.

«Mi dispiace» mormora contrita.

«Se hai bisogno di qualcosa, fammelo sapere. Io sono qui. E, Anastasia?» metto in chiaro tutto e le ricordo per l’ennesima volta la stessa cosa.

«Cosa c’è?»

«Usa il BlackBerry» aggiungo.

«Sì, Christian.»

Non riaggancio, faccio un respiro profondo, non sono più arrabbiato. Infondo le sono piovuti addosso mille fastidi in pochi giorni e quasi tutti a causa mia... dovrei aiutarla, non intimorirla. «Dico davvero. Se hai bisogno di me, sono qui». Spero che capisca che è vero e di “usarmi” se avrà bisogno di aiuto, di consigli. Io sono qui per lei, per aiutarla.

«Okay» dice piano. «Sarà meglio che vada. Devo trasferire le mie cose.»

«Se hai bisogno di me… Davvero» dico, sottovoce.

«Lo so. Grazie, Christian. Ti amo.»

Lei sa sempre come farmi tornare il buonumore: mi scalda il cuore. Mi fa felice. Riempie in un attimo la mia esistenza di... amore.

Sì, di amore. «Ti amo anch’io, piccola».

«Ci sentiamo più tardi.»

«A più tardi, piccola.»

Chiude la conversazione.

Chiamo Roach IMMEDIATAMENTE!

«Roach? Grey.»

«Buongiorno Grey, Hyde è fuori, come hai chiesto.»

«Io non ho “chiesto”!»

«Infatti, come hai ordinato. Smith mi ha riferito...»

«Non era la prima volta» spiego.

«L’ho capito, ma non ne avevamo avuto sentore, altrimenti avremmo provveduto immediatamente. Nessuna si è mai lamentata del suo comportamento, neppure Miss Steele.»

«Sapevi che era la mia fidanzata?» domando duro.

Roach tace qualche istante. «Sì. L’ho vista entrare nella tua auto, lunedì; ho riconosciuto il tuo autista.»

«È per questo che le avete affidato il posto di Hyde?» quasi abbaio.

«No» risponde pronto. «Questioni di bilancio. Non ci lanciamo certo in un’assunzione a pochi giorni dal subentro della nuova gestione. È una mansione provvisoria; Samuelson, il direttore editoriale della sezione saggistica ha visionato i file di Hyde e non si è voluto accollare un ulteriore impegno. Poi, guardando con più attenzione ha notato che le cartelle non erano  state rinominate e il nome-autore-file riportato in automatico era ancora quello della sua assistente: un lavoro notevole in pochi giorni. È stata una scelta obbligata» mi spiega dettagliatamente Roach. Dovrei essere stupito invece sono molto sollevato e... felice.

«Ho capito» dico duro. «E poi se si dovesse commettere qualche imperdonabile errore la responsabilità ricadrebbe sul diretto responsabile» preciso con un tono volutamente sarcastico.

«Eh...» risponde sibillino Roach. Posso indovinarne l’espressione beffarda, anzi me lo vedo che tira su le sopracciglia cespugliose e pensa: “... e poi sono tutti cazzi di Miss Steele, quindi vedetevela fra voi”.

– Non fa una piega – penso.

«La signorina Steele spiega una tua scalata così improvvisa» mi dice anche.

«Non direi improvvisa, è qualcosa che sto esaminando da un po’. Non mi muovo mai senza aver valutato accuratamente un affare. Ammetto che l’assunzione da parte vostra della signorina in questione abbia orientato le mie scelte» spiego e svelo il mio piccolo segreto, così si muoverà anche lui di conseguenza.

Lo saluto. Devo fare un’altra telefonata.

Devo confermare l’appuntamento di stasera fissato per le otto. Chiamo io direttamente, anche se è stata Andrea a prendere i primi contatti  Posticipo di qualche minuto, avverto che potrei ritardare, causa traffico. Poi chiamo Andrea e le chiedo di prenotare per la cena: sì, dobbiamo proprio festeggiare!  

 

– Sarà meglio che capisca che sono felice per lei –  penso durante il pranzo di lavoro. Torno in ufficio, prendo un biglietto e butto giù due righe:

 “Congratulazioni, Miss Steele.

E tutto da sola!

Nessun aiuto dal tuo amministratore delegato

megalomane, iperamichevole, vicino di casa.

Con amore,

Christian.”

 

Questa volta chiamo direttamente Olivia e le ordino di far consegnare cento rose a Miss Steele,  bianche e rosa pallido, simbolo di purezza e ammirazione. Ho controllato su internet, è quello il messaggio.

 

Alle quattro meno un quarto sono in palestra, sto per “scontrarmi” con Bastille.  Arriva una mail... – Ah, BlackBerry, meno male, forse l’ha capita. –

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 16 giugno 2011 15.43

Oggetto: Megalomane

… è il tipo di maniaco che preferisco. Grazie per i bellissimi fiori. Sono arrivati in un grande cesto di vimini, che mi fa pensare a picnic e coperte.        

A X

 

Picnic? Perché no, Miss Steele. Perché no?

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 16 giugno 2011 15.55

Oggetto: Aria fresca

Maniaco, eh? Il dottor Flynn potrebbe avere qualcosa da dire in

proposito. Vuoi fare un picnic?

Potremmo divertirci all’aria aperta, Anastasia…

Come sta andando la tua giornata, piccola?

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

 – Io mi diverto sempre con te, anche stamattina –  penso mentre comincio a mollare qualche calcio a Claude. Mi basta pensare a Hyde e a ieri e lo stendo, stendo il mio super-allenatore-campionissimo in pochi secondi. Vado a bere e controllo il cellulare. – Ecco il messaggio – mi dico sollevato.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 16 giugno 2011 16.00

Oggetto: Frenetica

La giornata è volata. Ho a stento un momento libero per pensare a qualcosa che non sia il lavoro. Penso di potercela fare! Ti racconto tutto quando arrivo a casa.

L’aria aperta sembra… interessante.

Ti amo.

A X

PS: Non preoccuparti per il dottor Flynn.

 

Invece sono molto preoccupato per Flynn.

Rispondo.

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 16 giugno 2011 16.09

Oggetto: Ci proverò…

… non temere.

A più tardi, piccola. x

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Torno ad allenarmi.

È stato un bel match. Rientro a casa correndo, mi faccio una doccia lunga e rilassante. Mi preparo per la serata.

Prima della cena abbiamo ancora alcuni impegni.

Entro nel salone per aspettarla. Ros mi chiama e mi delucida sugli sviluppi di un nuovo software che stiamo mettendo a punto per gestire un impianto logistico nell’East Coast . «Ros, è grandioso. Dillo a Barney e partiamo da quel punto… Ciao.»

– Eccola! Perché non entra? – La raggiungo sulla soglia del salone.

«Buonasera, Miss Steele» le mormoro sulle labbra. «Congratulazioni per la tua promozione.» La avvolgo tra le braccia. È mia.

«Ti sei fatto la doccia» mi dice.

«Mi sono appena allenato con Claude.»

«Ah.»

«Sono riuscito a stenderlo un paio di volte» annuncio, raggiante.

«Non succede spesso?»

«No. Dà una grande soddisfazione quando capita. Hai fame?» Scuote la testa. Sempre la stessa domanda, sempre la stessa risposta, sempre la stessa storia.

«Cosa c’è?» La vedo impacciata.

«Sono nervosa. Per il dottor Flynn.»

«Anch’io. Com’è andata la tua giornata?» La libero dal mio abbraccio e lei mi fa un breve resoconto. La ascolto con attenzione. Ho la conferma di ciò che mi riferito Roach.

Ora so che andrà alla grande e probabilmente manterrà il posto anche dopo l’ufficializzazione. E non per un mio intervento.

Questo è davvero il lavoro per lei.

«Ah, c’è un’ultima cosa» aggiunge. «Oggi sarei dovuta andare a pranzo con Mia.»

Sono sorpreso. «Non me l’avevi detto.»

«Lo so, me ne sono dimenticata. Comunque, non ci sono potuta andare per via della riunione e allora Ethan si è offerto di prendere il mio posto.»

Lei si morde il labbro: è sulle spine e io, al solito sono... – Ma che cazzo, Kavanagh deve per forza venire a fare shopping nel mio drugstore? –   «Capisco. Smettila di morderti il labbro.»

«Vado a darmi una rinfrescata» dice e un quarto d’ora dopo riemerge fresca di doccia e cambiata.

 

Lo studio del dottor Flynn non è lontano dall’appartamento.

«Di solito vengo da casa facendo una corsa» le spiego mentre parcheggio la SAAB. Avevo voglia di provarla. «È una grande macchina» dico.

«Lo penso anch’io.» Mi sorride, poi si incupisce.

«Christian… io…» Mi guarda ansiosa.

«Cosa c’è, Ana?»

«Ecco.» Tira fuori dalla borsa una piccola scatola regalo nera. «Questo è per te, per il tuo compleanno. Vorrei dartelo adesso… ma solo se mi prometti di non aprirlo fino a sabato, okay?»

Sono sorpreso e deglutisco. – Perché? Perché ora? Perché è preoccupata? Perché non posso aprirlo... io sono curioso e non amo le attese.  – Poi penso: – Ok. Se lei vuole così... – «Okay.»

Ana sospira mentre mi porge il regalo. Scuoto la scatolina per cercare di sondare. Buio totale. Mi vien da ridere.

E sono felice: lei ha pensato a me!

«Non puoi aprirlo fino a sabato» mi ammonisce.

«Ho capito» dico. «Perché me lo stai dando adesso?» Mi infilo la scatoletta nel taschino interno della giacca gessata.

«Perché posso, Mr Grey» risponde pronta e fa una strana faccia compiaciuta.

Mi vien da ridere. «Ah, Miss Steele, mi rubi le battute.»

 

Anna, la segretaria di Flynn ci accoglie calorosamente e ci scorta nel suo studio.

Flynn è seduto alla scrivania dalla parte opposta della Stanza; quando entriamo, si alza e ci viene incontro vicino a uno dei due divani verdi.

«Christian.» Mi sorride amichevole.

«John.» Gli stringo la mano. «Ti ricordi di Anastasia?»

«Come potrei non ricordarmene? Benvenuta, Anastasia.»

«Ana, per favore» mormora, mentre lui le stringe la mano con decisione.

«Ana» le dice gentile, indicandole i divani.

Io le indico su quale dei due sedersi e mi siedo sul divano accanto.

Flynn invece si accomoda su una delle poltrone e prende in mano un taccuino di pelle. Sono teso. Tesissimo. Mai stato così teso davanti a uno strizzacervelli. Mai!  Accavallo le gambe, la caviglia appoggiata al ginocchio, e allungo un braccio sullo schienale. Con l’altra mano prendo quella di Ana e la stringo, fingendo di rassicurarla, ma sono io che ho bisogno del contatto. – Poi potrebbe non volermi più... –  questo pensiero molesto mi sta logorando l’anima da troppo tempo e io ho bisogno di certezze, rassicurazioni e controllo.

«Christian ha chiesto che tu lo accompagnassi a una delle nostre sedute» esordisce il dottor Flynn, gentile. «Solo perché tu lo sappia, consideriamo questi incontri assolutamente riservati…»

Ana alza un sopracciglio, guardando il dottore, e lui si ferma a metà della frase. «Io… ehm… ho firmato un accordo di riservatezza» mormora imbarazzata per quell’interruzione.

Sia io che Flynn la guardiamo. Le lascio la mano, sono imbarazzato, non ho mai parlato di questo a John.  

«Un accordo di riservatezza?» Flynn aggrotta la fronte e mi guarda con aria interrogativa.

Mi stringo nelle spalle.

«Inizi tutte le tue relazioni con una donna con un accordo di riservatezza?» mi chiede.

«Quelle contrattuali, sì.»

Flynn sorride. «Hai altri tipi di relazioni con le donne?» mi domanda, e sa già la risposta; sembra divertito.

«No» rispondo dopo un attimo. Ci ho anche pensato: buffo, no? 

«Come pensavo.» Flynn riporta la sua attenzione su Ana. «Bene, immagino di non dovermi preoccupare della riservatezza, ma posso suggerire che voi due discutiate di questa faccenda, a un certo punto? Se ho capito bene, non ti stai più facendo coinvolgere in relazioni contrattuali.»

«Spero in un tipo di contratto diverso» rispondo e guardo Ana che sicuramente non mi darà la sua risposta qui e ora.

«Ana, devi perdonarmi, ma probabilmente conosco di te molto più di quanto pensi. Christian mi ha raccontato parecchie cose.»

Di lei gli ho raccontato tutto nei minimi dettagli, alla faccia del contratto di riservatezza.

– Ma l’accordo di riservatezza non è una novità: lo firma ogni dipendente, collaboratore, i fornitori... molte delle persone che entrano in contatto con me. –  È una procedura adottata da molte persone influenti altrimenti tutti saprebbero tutto di ciò che accade ai vertici. – Non ci vedo nulla di strano... beh, forse non si applica alle relazioni... ma è perfettamente legale e vincolante – mi dico. – Taylor, Mrs Jones, Sawyer, nonché Ryan e Reynolds... Vado avanti? Andrea, Welch... hanno firmato tutti clausole di riservatezza nel contratto di assunzione. Ah, Barney... Meglio che mi fermi. Ci ho provato anche con Mia e Elliot, ma...– 

«Un accordo di riservatezza?» prosegue. Ana mi guarda nervosa. «Questo deve averti scioccata.»

Lo guarda sbattendo le palpebre. «Oh, credo che lo shock per quello sia diventato insignificante, viste le più recenti rivelazioni di Christian» risponde, con la voce bassa ed esitante. Sembra nervosa.

Sono nervoso. Sono un sadico, gliel’ho detto.

«Ne sono sicuro.» Il dottor Flynn le sorride gentile. «Allora, Christian, di cosa vorresti parlare?»

Mi stringo nelle spalle. «Anastasia voleva vederti. Forse dovresti chiederlo a lei.»

Il volto del dottor Flynn lascia trasparire la sua sorpresa. La guarda scaltro. Ha capito. E io sono fritto.

Deglutisco.

Avrei dovuto richiamarlo, spiegargli, per “indirizzare” un po’ questa seduta.

A mio favore.

Ana si fissa le dita mortificata.

«Ti sentiresti più a tuo agio se Christian ci lasciasse per un po’?»

– No! Merda! –

Lei mi guarda,  vorrei poterle dire di dire di no, ma...

«Sì» sussurra.

– Cazzo! – Apro la bocca, vorrei... poi mi alzo.

«Grazie, Christian» dice il dottor Flynn, impassibile.

La guardo: vorrei tanto, tanto sapere che cosa gli racconterà; poi esco facendo ben attenzione a non  sbattere la porta.

Mi seggo nella sala d’aspetto.

Anna vorrebbe conversare, io no, così le sorrido e fingo di essere occupato con un messaggio del mio BlackBerry che mi è venuto in soccorso con un “bip” provvidenziale.

– Ora John la mette in guardia: inevitabile. A me propina tutte le sue belle manfrine sulla terminologia medica su sadismo sessuale e altre minchiate, ma sappiamo benissimo entrambi che cosa sono io! E ora lo dice anche a lei, che è proprio meglio che scappi a gambe levate – penso disperato. – La metterà in guardia, è inevitabile... Io lo farei... per non... per non  vederla come Leila... – Mi rendo perfettamente conto di non essere la miccia scatenante e neppure l’unica causa della depressione di Leila, però è dura lo stesso.

Non farei mai del male ad Ana, mai volontariamente, ma... infondo io sono il Re del Dolore, questo sono. Non nascondiamoci dietro un dito, anche se, da che sto con lei, non ho più certe visioni del passato che rivivevo in determinati momenti: ora sto con lei, punto e basta... anche con la testa... anche quando il sesso è più spinto... beh, insomma... io penso a lei e basta.

Anche quando mi fa incazzare.

Il fatto è che in questo momento, per la prima volta nella mia vita voglio uscirne, uscirne davvero e non solo a parole.

Voglio uscire da tutta la rabbia che ho “organizzato” dentro di me. Voglio stare bene.

Sono due mercoledì di fila che io John ridiscutiamo di TBOS.

Prima, quando Flynn parlava, io lo ascoltavo ma le sue parole non avevano senso: io ero già là dove volevo essere, quindi non avevo problemi da risolvere. Dominavo il mio mondo e anche quello di moltissimi altri, perché cambiare?

Poi lei mi ha lasciato... non avevo neppure la forza di venire qui... non avrei saputo che dire perché il dolore... sì, diamo il giusto nome alle cose... il dolore che mi aveva di nuovo tolto la parola;  il dolore è eruttato tutto in una volta dalla prigione in cui lo avevo rinchiuso per tanto, tanto tempo... dal primo incontro con Elena, direi.

«Hai incanalato la tua rabbia verso l’interno, ma non l’hai vinta definitivamente, l’hai dominata, come tutto il resto» mi ha spiegato Flynn un sacco di volte. «È più facile mostrare il proprio dolore all’esterno.» Flynn ha insistito un bel po’ su questa cosa, specie riferita al mio passato e all’accettazione della sottomissione da parte di Elena. Ho usato il dolore, il mio e quello degli altri, come strumento. Sono diventato un Dominatore, scelta facile per chi, come me, ha necessità del controllo e, ovviamente, è guidato da un sadismo radicato.

Flynn sostiene che non è quello il mio problema e che se riesco a controllare i  miei impulsi non c’è nulla di patologico.

Se sapesse che cosa provo io... che cosa vedo in certi momenti... non direbbe così. Anche se devo ammettere che con lei non succede.

Per questo non posso perderla.

E così va bene la terapia breve, va bene di tutto... per lei. Tutto.

Ora so dove voglio essere, dove mi vedo fra 10, 1000 anni: con lei, dentro di lei.

È quello che mi ha detto Flynn mercoledì scorso, quando gli ho portato qui tutta la mia rabbia, questa volta esposta in bella vista, manifesta.

«Hai finalmente ridisegnato i tuoi obbiettivi; finché non hai realizzato che mancava qualcosa nella tua vita, non prendevi in seria considerazione l’ipotesi di cambiare. Prima con la terapia volevi solo cancellare il disagio che quello che tu chiami “abisso di perversione” ti procurava, ma non hai realmente pensato che fosse un limite, bensì un punto di forza. Il tuo stile di vita ha colmato troppo a lungo le tue lacune affettiva e solo oggi che sei rimasto solo puoi capire che era una visione miope, la tua» mi ha detto Flynn.

E ho colmato le mie lacune, anzi, è bastata Ana a colmare tutti i miei vuoti.

Sono anni che siedo in queste sale d’aspetto, aspettandomi chissà quali verità dalle parole cariche di nozioni e vuote di significato di tutti i terapeuti che ho conosciuto. Tutti uguali, anche quando ero bambino.

Anzi, da ragazzo mi divertivo a sparare cazzate che immancabilmente i dottori correvano a riferire ai miei.

Quella che ho preso più di mira è stata la dottoressa Zimmermann. Era vecchia e ascoltava in silenzio. A quei tempi avevo appena cominciato con Elena, ma mi sono guardato bene dal raccontarle qualcosa. Inventavo sogni, sparavo cazzate... tutte balle.

Dopo una ventina di sedute la vecchia mi ha consegnato, davanti ai miei, una videocassetta VHS  e ha detto: “Questa è la terapia per vostro figlio, non posso fare altro per lui. Io ho finito” .

È stata l’ultima seduta, le uniche parole che ha pronunciato.

I miei sono andati su tutte le furie.

L’ho guardata, poi, quella cassetta.

L’ho riguardata e guardata ancora...

Aveva capito tutto. Tutto quanto. Anche le miei bugie. TUTTO QUANTO!

Io ho provato a cercarla, anni dopo. Era tornata in Germania, era malata di Alzheimer o qualcosa di simile. Poi ho trovato Flynn, che aveva seguito i suoi corsi, qui negli Stati Uniti: credo sia venuto apposta e poi si sia fermato perché ha incontrato Rhian.

Anche martedì dell’altra settimana, quando lei mi ha lasciato, ho riguardato quel film: l’ho guardato tutto due volte... “Lezioni di piano”.

https://www.youtube.com/watch?v=i0eQ_hvV9bI

Basta! Non ne posso più, è passata mezzora, è quasi finito il tempo.

– Che cazzo si devono raccontare? –  Sono ai minimi termini. Mi alzo e busso.

Forte.

Ed entro senza aspettare.

Lei è arrossita.

«Bentornato, Christian» dice Flynn.

«Pensavo che il tempo fosse scaduto, John» mento, so che abbiamo ancora dieci minuti.

«Quasi, Christian. Unisciti a noi.»

Mi seggo accanto a lei. So l’effetto che le faccio e ho intenzione di sfruttarlo al meglio perché non fugga via, per ricordarle quello che ci lega.  Le metto una mano sul ginocchio, con fare possessivo. –  È mia! – Il mio gesto non passa inosservato a Flynn che mi scruta.

«Hai qualcos’altro da chiedermi, Ana?» domanda.

Scuote la testa.

«Christian?»

«Non oggi, John.» Non ora, non con lei... anzi, non vedo l’ora di fuggire via di qua.

Flynn annuisce.

«Potrebbe essere un bene se veniste ancora insieme. Sono sicuro che Ana avrà delle altre domande.»

Annuisco riluttante. Poi però focalizzo una parola: – Insieme? Ancora? Ancora insieme? – Mi tranquillizzo.

Lei arrossisce. – Chissà che si sono detti? – Le prendo una mano preoccupato e la guardo attentamente.

«Tutto okay?»

Mi sorride e annuisce.

«Come sta lei?» chiedo a Flynn. Di Leila so solo che è ancora sedata per farla uscire dalla fase acuta della crisi.

«Ce la farà» risponde, rassicurante.

«Bene. Tienimi aggiornato sui suoi progressi.»

«Lo farò.»

«Possiamo andare a festeggiare la tua promozione?» propongo ad Ana, un po’ più sollevato.

Lei annuisce e ci alziamo, salutiamo in fretta e la spingo via all’uscita come se stessimo perdendo l’ultimo treno.

– Voglio fuggire via di qua nel più breve tempo possibile! – e la trascino fuori, in strada.

Appena fuori l’aggredisco ansioso:  «Com’è andata?»

«È andata bene» dice serena.

La guardo sospettoso.

Lei piega la testa di lato. «Mr Grey, per favore, non guardarmi in quel modo. Per ordine del dottore, ti darò il beneficio del dubbio.»

«Che cosa vuol dire?»

«Vedrai.»

La scruto.

«Sali in macchina» ordino e apro la portiera del passeggero della SAAB.

Il suo BlackBerry suona. Lo tira fuori dalla borsa. Guarda il display. Risponde: «Ciao!»

– Chi cazzo è? – penso. Non riesco proprio a stare tranquillo!

Ana mi fissa. “José” mima con le labbra verso di me.

La guardo impassibile. Dentro di me il Kracatoa minaccia l’eruzione.

«Scusa, non ti ho chiamato. È per domani?» chiede, poi ascolta la risposta. «Be’, sto da Christian in questo momento» gli spiega. – Beh, piccola, non so se lo hai capito ma “in questo momento” significa per sempre, perché te lo puoi scordare di andartene via! –   «...e lui dice che, se vuoi, puoi rimanere a dormire a casa sua.»

– È la soluzione salomonica che mi permetterà di accontentare Ana e dimostrare a Mr Rodriguez a chi appartiene Miss Steele, una volta per tutte – penso rabbuiato.

Probabilmente lui ora le sta chiedendo di me perché Anastasia si volta, dà le spalle alla macchina per non farsi notare da me e risponde: «Sì.» Sta rispondendo a monosillabi: ho la certezza che stiano parlando di me.

«Seria» aggiunge.

– Una cosa seria... – Ho capito il senso del discorso. – Meno male! – penso. – Meno male che sono roba seria, per lei. –

«Sì» continua. Ora Rodriguez ha capito che io sono nei paraggi. – E non me ne vado! Non la mollo, caro il mio Josè! –

«Certo» dice con enfasi, si volta, mi guarda e rimane un po’ perplessa. «Puoi venire a prendermi al lavoro?» gli domanda. Questa richiesta di appuntamento fatta dalla mia donna a un altro uomo mi fa incazzare parecchio.

«Ti mando un messaggio con l’indirizzo» e lui ha accettato, ovvio. «Alle sei?» concordano.

Sorride.  Uno di quei sorrisi che mi riserva quando è felice. – Cazzo, se sono geloso! Sono una furia! – «Fantastico. Ci vediamo.» Chiude la comunicazione e si volta intimidita.

Sono appoggiato alla macchina e sto guardando la mia fidanzata che è felice di aver appena dato un appuntamento a un altro.  – Perché cazzo non dovrei essere geloso? Ci vorrebbe una bella punizione. Con lei, una dopo l’altra, a ripetizione. A ripetizione! Sarebbe condannata a essere legata al tavolone, notte e dì, e non dico che cosa le farei... –

«Come sta il tuo amico?» le chiedo invece, gelido.

«Sta bene. Mi verrà a prendere al lavoro, e penso che usciremo a bere qualcosa. Vuoi venire con noi?»

Esito. – Domani sarò fuori città, altrimenti mica ti mollavo. –«Non pensi che ci proverà con te?» chiedo. So perfettamente che non lo farà, ma lo voglio sentire da lei. Voglio sentirle dire che lui non le interessa.

«No!» sbraita esasperata.

Non alza gli occhi al cielo: strano! Ha capito! Sa che sta tirando troppo la corda. –  Vabbè che le punizioni classiche sono bandite... ma so trovare vie alternative –mi dico.

«Okay.» Mi arrendo. E sollevo le mani in segno di resa.

«Mi aspettavo di dover litigare  e il fatto che tu abbia acconsentito subito mi spiazza» confessa.

«Vedi? Posso essere ragionevole.» Le sorrido.

Mi guarda scettica.

«Posso guidare?» chiede, cambiando discorso.

La guardo sorpreso dalla richiesta. «Preferirei che non lo facessi.»

«Perché?»

«Perché non mi piace che guidi qualcun altro, quando ci sono io.»

«Stamattina ce l’hai fatta, e sembri tollerare che Taylor guidi per te.»

«Mi fido ciecamente della guida di Taylor.»

«E della mia no?» chiede con le mani sui fianchi. «Onestamente, la tua mania del controllo non conosce limiti. Guido da quando avevo quindici anni.»

Scrollo le spalle in risposta.

«È la mia macchina?» mi chiede esasperata.

«Certo che è la tua macchina.»

«Allora dammi le chiavi, per cortesia. L’ho guidata due volte, e solo per andare e tornare dal lavoro. Mi stai rubando tutto il divertimento.» È in piena modalità broncio.

È tanto carina. Come posso dirle di no?

«Ma non sai dove stiamo andando.»

«Sono sicura che potrai illuminarmi, Mr Grey. Hai fatto un ottimo lavoro fin qui.»

– Un ottimo lavoro fin qui? –  mi domando stupito. – Un ottimo lavoro con te? Con noi? –  Le sorrido.

«Un ottimo lavoro, eh?» mormoro.

Arrossisce. «In gran parte sì.»

«Be’, in questo caso…» e le  consegno le chiavi, giro intorno alla macchina, fino alla portiera del conducente, che apro per lei.

– Sono o non sono un gentiluomo? –

 

«Qui a sinistra» ordino, una volta saliti in macchina, e ci dirigiamo a nord, verso la I-5. «Accidenti, rallenta, Ana.» Mi afferro al cruscotto. – Oh, per l’amor di Dio. – «Rallenta!»

 Van Morrison cantilena in sottofondo.

«Sto rallentando!»

Sospiro.

«Cosa ti ha detto il dottor Flynn?» Non resisto più, glielo chiedo.

«Te l’ho detto: mi ha suggerito di darti il beneficio del dubbio.» Poi, improvvisamente mette la freccia per accostare.

«Che cosa stai facendo?» esclamo, allarmato.

«Ti lascio guidare.»

«Perché?»

«Così posso guardarti.»

Rido. «No, no. Hai voluto guidare tu. Allora guida, e ti guarderò io.»

Si volta e mi guarda, rabbuiata.

«Tieni gli occhi sulla strada!» ordino.

Invece accosta subito prima di un semaforo, esce infuriata dalla macchina, sbattendo la portiera, e rimane in piedi sul marciapiede, con le braccia incrociate  e mi guarda truce.

Scendo anch’io. «Che cosa stai facendo?» chiedo furioso. – Anastasia tu riesci a farmi infuriare in un nanosecondo solo guardandomi. Infuriare davvero! –

«No, tu cosa stai facendo!?»

«Non puoi parcheggiare qui.»

«Lo so.»

«Allora perché l’hai fatto?»

«Perché ne ho abbastanza che mi abbai ordini. O guidi tu, oppure chiudi la bocca e lasci guidare me!»

– Oh, bene! Un’altra bella litigata in mezzo alla strada: con una sottomessa questa è un’eventualità non contemplata. –

«Anastasia, torna in macchina, prima che prendiamo una multa.»

«No.»

La guardo sbattendo le palpebre, dovrei essere furioso.

Una volta... prima... prima di lei... beh, mi sarebbe bastata una sillaba non prevista per scatenare la mia rabbia.

Ora lei mi fa arrabbiare, infuriare, mi fa andare fuori dei gangheri come mai nessuno prima e io... stranamente... non sono arrabbiato. 

Questa cosa mi spiazza.

Con lei, di lei, per lei io sono geloso, incazzato, alterato, spaventato, turbato, furioso... ma non sono più arrabbiato... dentro... non sono più arrabbiato. Dentro.

E questa cosa mi spiazza, mi manda in confusione. Mi svuota.

Mi passo una mano tra i capelli.

La guardo. Sono perplesso e lei ride: aggrotto la fronte. «Cosa c’è?» esclamo irritato.

«Tu.»

– Io!?!!! Ti sei appena fermata sul marciapiede dell’interstatale e “io” sono quello che non va? – «Oh, Anastasia! Sei la donna più irritante del pianeta.» Sollevo le mani. «Benissimo. Guiderò io.»

Ma lei nel frattempo si è avvicinata, ha afferrato il bavero della mia giacca e mi ha attirato a sé.

«No, tu sei l’uomo più irritante del pianeta, Mr Grey.»

La guardo, mi sono già sciolto. L’abbraccio e la tengo stretta a me.

«Allora, forse siamo fatti l’uno per l’altra» dico. E ora lo so, lo so con certezza.

Inspiro forte il suo profumo di angelo, con il naso infilato tra i suoi capelli. Si stringe a me, come ad una roccia nel mare in tempesta. Tutto si placa.

Per la prima volta da questa mattina mi rilasso.

«Oh… Ana, Ana, Ana» sospiro con le labbra premute contro i suoi capelli.  

E lei sa che cosa voglio dire. E non ha nulla a che fare con auto Saab, parcheggi pericolosi, sedute psicanalitiche, sottomesse, regole, gelosie...

Siamo solo noi due. Solo noi due.

Immobili.

Immobili a goderci questo momento di inaspettata tranquillità per la strada.

La lascio andare e la faccio salire in auto.

Mi infilo di nuovo nel traffico e mi lascio trasportare dalle note di Van Morrison, soprappensiero. Penso a quando mi sento “svuotato” da che sto con lei. Svuotato, non vuoto. Svuotato di tanta... sì, tanta merda e riempito con altre cose, molto più preziose. Più ricche. Ascolto le parole di Van Morrison e le ripeto tra me.

Voglio mostrarle questa sorpresa prima di fare un’offerta scritta. Non m’interessa che le piaccia o meno la struttura. Ha poca importanza, intanto faccio tabula rasa. Voglio che le piaccia il posto. Un posto solo mio e suo.

Solo io e lei. Come prima, in mezzo al traffico. Soli.

La canzone finisce, mi volto e le sorrido.

«Sai, se avessimo preso la multa, la macchina è intestata a te» osservo.

«Be’, allora è un bene che abbia avuto una promozione. Posso permettermi le contravvenzioni» dice compiaciuta, fissandomi.  

Inizia un’altra canzone di Van Morrison e io salgo sulla rampa d’accesso della I-5, puntando verso nord.

«Dove stiamo andando?»

«È una sorpresa. Cos’altro ti ha detto Flynn?»

Sospira. «Ha detto qualcosa a proposito del TTBBOS o una roba del genere.»

«TBOS. L’ultimo ritrovato della psicologia» mormoro.

«Hai provato altri metodi?»

Sbuffo. «Piccola, li ho provati tutti. Cognitivismo, Freud, funzionalismo, terapia della Gestalt, comportamentismo… Citane uno, e io l’ho sperimentato» dico con amarezza.  

«Pensi che quest’ultimo approccio ti aiuterà?»

– Sì. Lo penso davvero. Ora, con te, lo penso davvero. Anche Flynn lo pensa. –  «Cosa dice il dottor Flynn?» chiedo. Non sono più preoccupato come prima, tuttavia sono ancora in apprensione.

«Dice di non fissarsi sul tuo passato. Di focalizzarsi sul futuro… su dove tu vuoi essere.»

Annuisco. – Guarda, ti sto portando proprio adesso là dove voglio essere nel mio futuro. – «Cos’altro?» insisto.

«Abbiamo parlato della tua paura di essere toccato, anche se l’ha chiamata in un modo diverso. E dei tuoi incubi e dell’odio verso te stesso.»

Noto con la coda dell’occhio che mi sta guardando. 

Sto pensando che non ho incubi da che dormo con lei e che lei mi ha toccato. – Tu mi tocchi, io non sono morto. Mi sto abituando... anzi... mi piace. Per certi versi mi piace tanto. –  Mi giro e la guardo. – Sì, mi piace, Miss Steele, mi piace il tuo tocco. –

«Occhi sulla strada, Mr Grey» mi redarguisce alzando un sopracciglio.

Giro la testa immediatamente. Obbedisco.

«Avete parlato per un’eternità, Anastasia. Cos’altro ti ha detto?»

Deglutisce.

– Ecco, ci siamo – mi dico.

«Non pensa che tu sia un sadico» risponde con un filo di voce.

«Davvero?»

– Flynn ha propinato anche a lei la manfrina delle abitudini sessuali, significa che non l’ha messa in guardia. Probabilmente non è compito suo. Il suo compito è curare i postumi, come con Leila. –

L’atmosfera all’interno della macchina sembra scendere in picchiata.

«Sostiene che il termine non è riconosciuto in psichiatria. Non dagli anni Novanta» si affretta a dire, a mo’ di battuta.

Non rido. Sospiro. «Flynn e io abbiamo opinioni diverse al riguardo» osservo pacato.

«Mi ha detto che pensi sempre il peggio di te stesso. So che è vero» mormoro. «Ha anche menzionato il sadismo sessuale, ma dice che è una scelta di vita, non una condizione psichiatrica. Forse è a questo che ti riferisci tu.»

La fulmino con lo sguardo. «E così… ti è bastata una seduta con il buon dottore per diventare un’esperta» dico acido e torno a rivolgere gli occhi alla strada.

Sospira. «Senti, se non vuoi sentire quello che mi ha detto, allora non chiedermelo» ribatte tranquillamente. E tace.

– Ha ragione– penso. – Ma che cazzo le vado a dire? Prendi e porta a casa: se a lei va bene e si sente tranquilla ma perché mai dissuaderla? – Perché potrei farle del male. Se ripiombassi in quella nebbia oscura potrei farle cose che lei non vuole.

– No. – mi dico deciso. – No, farle del male sarebbe inammissibile. Sarebbe peggio per me che per lei. E poi ho sempre rispettato i limiti di tutte. Tutte! –

«Voglio sapere di cosa avete discusso» continuo e intanto imbocco l’uscita per dirigermi a ovest, verso il sole che sta lentamente tramontando.

«Mi ha definita la tua amante.»

«Davvero?» – Amante– mi ripeto. – Suona bene. – «Be’, è un termine appropriato. Credo che descriva accuratamente ciò che siamo. Non trovi?»

«Pensavi alle tue sottomesse come amanti?»

 – Noho! – mi dico stupito e questa risposta mi esce di getto. Ci penso un attimo: – No. – mi ripeto convinto.

 Coinvolgimento psichico, intensi stimoli erotici, attrazione fisica e sessuale, ma... nessun coinvolgimento emotivo che mi facesse pensare di avere un’amante. Mai. Solo Elena, almeno da parte mia, ma lei ha sempre smorzato i miei entusiasmi, spiegandomi bene che non avrei dovuto provare alcun coinvolgimento emotivo in quello che facevamo. Dopo i miei primi entusiasmi, che sono durati abbastanza a lungo in verità, abbiamo mantenuto costantemente la relazione su un piano di affettuosa amicizia, che è rimasta anche dopo.

Svolto verso nord prima di rispondere convinto: «No. Loro erano partner sessuali. Tu sei la mia unica amante. E voglio che tu sia anche di più per me.»

«Lo so» sussurra, sembra emozionata. «Ho solo bisogno di tempo, Christian. Per pensare a quello che è successo in questi ultimi giorni.»

– Una grandissima pioggia di liquame che ti è piovuta addosso? Sarebbe proprio meglio non pensarci, piccola! – La guardo. – Se tu non dai una risposta alla mia domanda, non vedo perché dovrei essere io a rispondere a te! –

Le sorrido, il semaforo a cui mi sono fermato ora è verde, accelero e alzo il volume della musica.

– Discussione finita, Miss Steele. Fortunatamente abbiamo archiviato anche l’“Intervista col vampiro”, ... col ciarlatano costoso... insomma è andata bene. – Alzo il volume dello stereo e la voce di Van Morrison copre ogni possibile attacco di Miss Lingua Biforcuta.

Ora voglio prepararmi alla sorpresa che le farò.

«Dove stiamo andando?» chiede a voce alta per superare le note della canzone.

«Sorpresa.»


CAPITOLO 20


Continuo a guidare lungo un viale ben tenuto, con abitazioni di un solo piano rivestite di legno, dove i bambini giocano a basket nei cortili o girano in bicicletta o corrono per strada. Tutto sembra ricco e sano, con le case immerse tra gli alberi.

Qualche minuto più tardi, svolto a sinistra e  mi fermo davanti a un cancello di metallo bianco, incastonato in un muro di arenaria alto due metri. Digito una combinazione sul tastierino numerico e il cancello si apre.

La guardo. Sono teso. In forte apprensione.

«Che cosa c’è?» mi chiede, sembra preoccupata.

«Un’idea» dico e guido la SAAB attraverso il cancello.

Procediamo lungo una stradina costeggiata dagli alberi, larga appena per due macchine. Da un lato c’è un’area boschiva molto folta, e dall’altro un vasto prato, dove una volta doveva esserci un campo coltivato, ora incolto. Erba e fiori selvatici lo hanno invaso, creando una specie di paradiso terrestre… La brezza serale soffia muovendo l’erba e il sole al tramonto colora d’oro i fiori selvatici. È un posto meravigliosamente tranquillo. 

 – Questo è il posto ideale per l’idea di oggi: un bel picnic... a modo mio, s’intende –  penso divertito, ma continua ad essere agitato.

La stradina fa una curva e si allarga nell’ampio viale d’accesso di un’impressionante casa di pietra rosa chiaro in stile mediterraneo. Tutte le luci sono accese, ogni finestra brilla nel crepuscolo. La BMW parcheggiata di fronte al garage quadruplo, deve essere della signorina Kelly; io mi fermo davanti al grande portico.

Spengo il motore e so di guardarla con ansia. «Continuerai ad avere una mente aperta?» le domando.

Aggrotta la fronte. «Christian, ho avuto bisogno di una mente aperta dal giorno in cui ti ho conosciuto.»

– Urca,  mi sa che ha frainteso, pensa forse che l’abbia condotta in qualche club dei nostri? Dalla faccia che fa, direi di sì. Infondo le ho detto che volevo festeggiare... lei – Le sorrido e annuisco. «Un punto per te, Miss Steele. Andiamo.»

La porta di legno scuro si apre e Olga Kelly, l’agente immobiliare ci accoglie sulla soglia.

«Mr Grey.» Lei sorride calorosamente e ci scambiamo una stretta di mano.

«Miss Kelly.»

Lei sorride a Ana e le porge la mano.

«Olga Kelly» si presenta, spigliata.

«Ana Steele» mormora la mia fidanzata in risposta.

– Se ti conosco come ti conosco, Miss Steele, ora stai pensando gelosa:  “Chi è questa donna?” –  

Lei si fa da parte, accogliendoci in casa. Quando entriamo nella casa vuota, Ana si blocca scioccata. Credo stia cominciando a capire.

Ci troviamo in un grande ingresso. Le pareti sono di un color giallo primula - per inciso, sono un obbrobrio - con alcuni segni dove un tempo dovevano essere stati appesi dei quadri. Tutto quello che rimane è l’antico lampadario di cristallo, non orribile, in verità. I pavimenti sono di legno opaco. Ci sono porte chiuse sia alla nostra destra sia alla nostra sinistra, ma non do tempo ad Ana di soffermarsi e la trascino con me.

«Vieni» la conduco attraverso un arco, in un ampio vestibolo. È dominato da un grande scalone con una ringhiera di ferro dal disegno complicato, non mi fermo, non me ne frega niente della casa. Attraversiamo il salone, che è vuoto a parte un enorme tappeto di un oro sbiadito e altri noiosissimi lampadari di cristallo.

Punto verso la portafinestra e usciamo su una grande terrazza di pietra. Sotto di noi c’è un prato curatissimo grande almeno quanto mezzo campo da calcio, e oltre quello la vista.

Ecco perché siamo qui: la vista!

Il panorama, ininterrotto, mozza il fiato: è incredibile.

Crepuscolo sul Sound. In lontananza si estende l’isola Bainbridge, e più in là, nella sera trasparente come il cristallo, il sole tramonta lentamente, ardendo sangue e fiamme arancio, al di là del Parco nazionale di Olympic.

Sta trattenendo il fiato: le piace! La sto guardando ansioso ma so che le piace.

«Mi hai portata qui per ammirare il panorama?» sussurra.

Annuisco serio.

«È sconvolgente, Christian. Grazie» mormora e torna a guardare il panorama.

Mi sa tanto che non abbia capito! A lei basta guardare un po’ il panorama… Solo lei!

– Che cosa credi, che ti porti in una proprietà privata per farti ammirare la vista come regalo per la promozione? Solo tu Miss Steele! … solo tu… – 

Le  lascia andare la mano, devo spiegarle…

«Come la vedresti se fosse così per il resto della tua vita?» le dico a fior di labbra.

Si volta di scatto, occhi azzurri sgomenti in occhi grigi pensierosi. Spalanca la bocca, e mi fissa esterrefatta.

«Ho sempre desiderato vivere sulla costa. Navigavo su e giù sul Sound sognando queste case. Questo posto non rimarrà in vendita a lungo. Vorrei comprarlo, demolirlo, e costruire una nuova casa, per noi» mormoro, confesso e lei sembra paralizzata. – Orco! Di’ qualcosa! – «È solo un’idea» aggiungo cauto.

Lancio un’occhiata alle mie spalle per valutare la casa.

«Perché vuoi demolirla?» se ne esce.

– Perché non mi piace! – «Mi piacerebbe costruire una casa più ecosostenibile, usando le ultime tecnologie. Potrebbe occuparsene Elliot.»

Da un’altra occhiata all’edificio. Miss Olga Kelly è nell’ingresso. Avrà capito che è l’agente immobiliare?

«Possiamo dare un’occhiata alla casa?»

«Certo.» Scrolla le spalle, stupito.

Il volto di Miss Kelly si illumina, quando torniamo dentro.

È contenta di portarci a fare un giro e di propinarci la sua lezioncina.

La casa è enorme: più di mille metri quadrati su due ettari e mezzo di terreno.

Mentre seguiamo Miss Kelly su per lo scalone che porta al piano superiore, Ana mi chiede: «Non potresti rendere più ecologica e sostenibile la casa esistente?» Le brillano gli occhi.

La guardo perplesso. «Dovrei chiederlo a Elliot. È lui l’esperto.»

Miss Kelly ci conduce nella camera da letto padronale, dove finestre a tutta parete si aprono su un balcone; la vista è, come sempre, spettacolare. Mi piace moltissimo, devo ammetterlo.

Mi sa che anche a lei piaccia.

Miss Kelly mi spiega la proprietà potrebbe ospitare scuderie e un

recinto per i cavalli.  – Mi mancano i cavalli! –  penso allucinato.

«Il recinto dovrebbe prendere il posto dell’attuale prato?» chiede Ana.

«Sì» Miss Kelly si illumina, invece Ana sembra disgustata. – Bene, il prato non si tocca! –

Tornati nel salone, Miss Kelly si allontana con discrezione per farci parlare e io torno in terrazza. Il sole è tramontato e le luci delle città della Penisola Olimpica scintillano dalla parte opposta del Sound. La prendo tra le braccia e le sollevo il mento con l’indice, guardandomi negli occhi. «Molte cose a cui pensare?» le chiedo speranzoso.

Annuisce.

«Volevo essere sicuro che ti piacesse prima di comprarla.»

«La vista?»

Annuisco io.

«Adoro la vista, e mi piace la casa, così com’è.»

«Davvero?»

Sorride. «Christian, mi avevi già conquistata con il prato» dice e io mi sciolgo, dentro di me tiro un sospiro di sollievo e sorrido, sorrido anch’io. –  Le piace! Piace anche a lei! – E da un po’ che ho in mente un posto simile, ma non aveva senso. Prima. Mi dispiacerebbe farmi sfuggire l’occasione proprio adesso… Beh, sì… insomma proprio adesso se lei mi dicesse di sì.

E la attiro a me, afferrandole la nuca e poso la mia bocca sulle sue labbra a cercare un bacio.  

 

In macchina, mentre torniamo a Seattle,  il mio umore è notevolmente migliorato perché le due faccende che m’impensierivano, sono andate per il meglio… però non mi ha detto sì, neppure dopo aver la casa. «Quindi la comprerai?» chiede.

«Sì.»

«E metterai l’Escala in vendita?»

«Perché?»

«Per pagare…» La sua voce si affievolisce. Certo: arrossisce.

Le sorrido malizioso. «Fidati, me lo posso permettere.»

«Ti piace essere ricco?»

«Sì. C’è forse qualcuno a cui non piace? Anastasia, imparerai anche tu a essere ricca, se dirai di sì.» Ci provo, ma l’argomento denaro è più un ostacolo che un incentivo con lei, se voglio farla capitolare.

«La ricchezza è qualcosa a cui io non ho mai aspirato, Christian.» Si acciglia. – E ti pareva! –

«Lo so. Mi piace questo di te. Ma non hai nemmeno mai sofferto la fame» osservo.

«Dove stiamo andando?» chiede allegra, vuole cambiare discorso.

Non mi risponderà neppure questa sera. Dovrò sfoderare ben altre armi, ma sono pieno di risorse! 

«A festeggiare.»

«Festeggiare cosa, la casa?»

«Te lo sei già dimenticato? Il tuo ruolo di direttore editoriale ad interim.»

«Oh, sì.» Sorride. Sembra che se ne sia dimenticata davvero. «Dove?»

«Al mio club.»

«Il tuo club?»

«Sì. Uno dei miei club.»

 

Il Mile High Club è al settantaseiesimo piano della Columbia Tower. È molto alla moda e ha la vista più strabiliante di tutta Seattle.

«Cristal, signora?» Le porgo  una coppa di champagne ghiacciato e lei  siede sul bordo dello sgabello del bar del club.

«Oh, grazie, “signore”.» Mette l’enfasi sulla parola signore, caricandola di significato e sbatte le ciglia deliberatamente con fare civettuolo.

La guardo. «Stai flirtando con me, Miss Steele?»

«Sì, Mr Grey. Che cosa hai intenzione di fare in proposito?»

«Sono sicuro che mi verrà in mente qualcosa» rispondo. – Ho già in mente qualcosa – penso. «Vieni, il nostro tavolo è pronto.»

Mentre ci avviciniamo al tavolo, la prendo per un gomito, fermandola. «Va’ a toglierti le mutandine» le dico all’orecchio. S’irrigidisce: – Bene! –  «Vai» ordino.

Mi consegna la sua coppa di champagne, gira bruscamente sui tacchi e punta verso la toilette.

– Obbedisce, bene! Alle volte si comporta come una vera sottomessa… quando si tratta di sesso… – Beh, mah… tutto sommato è questo l’importante… – Anche se io vorrei avere il controllo totale, su di lei – rifletto. Arriva il cameriere, ordino champagne, ostriche e branzino: più o meno stesso menù della cena all’Heathman.

La vedo tornare, infondo non è la prima volta che se ne va in giro senza slip, penso divertito. Mi alzo e penso al suo bel sedere nudo, accarezzato dalla stoffa dell’abito e ho un fremito. «Siediti accanto a me» e le indico la sedia. «Ho ordinato per te. Spero che non ti dispiaccia.» Le passo la sua coppa di champagne a metà.

La guardo, voglio sedurla.

Anzi, devo.

Non avrò perso lo smalto in meno di un mese, no?

Appoggio le mani sulle mie cosce, in un muto richiamo.

Lei schiude leggermente le sue: il messaggio è arrivato.

Il cameriere arriva con un vassoio di ostriche su ghiaccio tritato. “Ostriche.” Il ricordo di noi due nella sua sala da pranzo privata all’Heathman mi invade la mente. Discutevamo del contratto. Oddio, ne è passato di tempo. Ne sono successe di cose, sembra una vita fa.

«Mi sembrava che ti fossero piaciute le ostriche, l’ultima volta che le hai mangiate» dico suadente, voglio risvegliarle dei ricordi, rimetterla nello stesso stato di agitazione di quella sera.

«L’unica volta che le ho mangiate» fa la spiritosa ma ansima, la sua voce rivela quello che sta provando: è inquieta, anche lei è tornata indietro nel tempo. Sorrido, sono soddisfatto è di nuovo con le spalle al muro. Non sa giocare certe partite, ma è proprio questo il bello, giocare con la sua ingenuità, fare leva sul suo imbarazzo per dominarla. È qualcosa di nuovo rispetto alle solite regole sub/Dom, una soggezione autentica. E io voglio godermela tutta.

«Oh, Miss Steele, quando imparerai?» dico, ma penso: “Non voglio che impari mai, voglio che resti sempre così”. Scelgo un’ostrica dal vassoio e sollevo l’altra mano dalla coscia.

Sussulta per l’attesa, ma io continuo, prendo una fetta di limone, lentamente.

«Imparare cosa?» chiede.  È agitata, si vede.

Strizzo delicatamente il limone sull’ostrica. «Mangia» le ordino avvicinandole il guscio alla bocca.

Schiude le labbra… Per un attimo mi manca il respiro, la sua bocca è miele e luce e incanto. E io sono ape e falena. Ma lei non lo deve sapere… non ora, almeno. Appoggio il guscio al suo labbro inferiore. «Sposta lentamente indietro la testa» mormoro, quasi senza fiato.

“Ah, che bocca che ha: potrei morirci dentro”.

Fa quello che le dico e l’ostrica le scivola tra le labbra, vorrei che fosse la mia lingua a scivolare sopra la sua. Non la tocco, solo il guscio lo fa.

Anche io mangio un’ostrica, poi gliene porgo un’altra.

Continuiamo questa straziante routine finché non le finiamo tutte e dodici. La mia pelle non sfiora mai la sua.

Voglio farla impazzire come lei sta torturando me nell’attesa di una sua risposta.

“Perché? Perché non mi dice sì? Ha deciso di accettare il consiglio di Flynn e darmi una possibilità, perché attendere, allora? Lo sa che non sopporto le attese… sì, insomma, non sopporto di non avere il controllo… mi fa impazzire!... No, no Miss Steele, sarò io a fare impazzire te!”

«Ti piacciono ancora le ostriche?» le chiedo mentre ingoia l’ultima.

Annuisce e arrossisce. Il mio gioco sta funzionando. «Bene.»

Si agita sulla sedia.

Con aria indifferente, appoggio di nuovo la mano sulla mia coscia, in un gesto sensuale: voglio che brami il mio tocco.   

Faccio scorrere la mano su e giù per la coscia, sollevo il palmo per illuderla, poi lo riappoggio.

Il cameriere rabbocca le nostre coppe di champagne e toglie i piatti. Qualche minuto dopo ritorna con le nostre portate: branzino, servito con asparagi, patate saltate e salsa olandese.

«Uno dei tuoi piatti preferiti, Mr Grey?»

«Assolutamente sì, Miss Steele. Anche se credo che il mio preferito sia il merluzzo come lo fanno all’Heathman.» “Così ora è tutto chiaro, amore, se ancora non lo avevi capito!”.

Continuo a muovere la mia mano su e giù sulla coscia, in un richiamo insistente.

«Mi sembra di ricordare che fossimo nella tua sala da pranzo privata, allora, a discutere del contratto.»

«Giorni felici» dico io, sorridendo malizioso. “Felici? Ora credo proprio di essere molto più felice… anzi, sarei felicissimo se mi dicessi di sì”. «Stavolta spero di arrivare a scoparti.»

Muovo la mano per prendere il coltello: si era illusa che la toccassi. “No, piccola, Non ti toccherò”.

Assaggio un boccone di branzino con fare languido, voglio torturarla apposta.

«Non contarci» borbotta risentita, ha capito il mio gioco e ora fa l’offesa «A proposito di contratti…» aggiunge con il broncio, «l’accordo di riservatezza?»

«Straccialo» dico. “Cosa potresti andare a dire in giro? Che sei la mia fidanzata? Mi sa che lo sappiano già tutti”.

«Che cosa? Davvero?»

«Sì.» Mi fido ciecamente, BlackBerry a parte…

«Sei sicuro che non correrò al “Seattle Times” con le mie rivelazioni?» mi stuzzica.

“Veramente quello che ha annunciato rivelazioni ai giornali sono io: voglio che lo sappiano tutti che sei mia!” 

Rido.

«No, mi fido di te. Ti darò il beneficio del dubbio.»

«Idem» mormora.

«Sono molto contento che indossi un vestito» dico piano.  Sto elaborando qualcosa di un pochino più perverso di due carezze sotto il tavolo per Miss Steele.

«Allora perché non mi tocchi?» sibila.

«Ti mancano le mie carezze?» le domando perfido.

«Sì» risponde pronta.

«Mangia» le ordino. “È l’unica cosa su cui davvero non transigo”.

«Non mi toccherai, è così?»

«No.» Scuoto la testa.

Ansima sonoramente.

«Prova solo a immaginare come ti sentirai quando saremo a casa» sussurro. «Non vedo l’ora di portartici.» “Eh, sì: sono davvero un gran bastardo!” e tra me e me rido.

«Sarà colpa tua se prenderò fuoco qui al settantaseiesimo piano» borbotta a denti stretti.

«Oh, Anastasia, troveremo il modo di estinguere l’incendio» dico, sorridendole con malizia. “Oh, piccola non vedo l’ora di trascinarti a casa e scoparti fino a farti svenire. Ma non ora. Ora voglio consumarti. Anzi, devo! È una questione di onore”.

Furiosa, conficca la forchetta nel branzino. Mi viene da ridere…

Assaggia un boccone. Guarda un punto lontano, pensa… poi chiude gli occhi e lo assapora, muovendo le labbra serrate in un dolce bacio ad occhi chiusi che si perde nella sala. Apre gli occhi piano, sbattendo impercettibilmente le lunghe ciglia per lasciarmi intravvedere il celeste dei suoi occhi. “Sa che ha degli occhi splendidi, la stronza!”  e inaspettatamente posa le mani sulle sue cosce e solleva lentamente il vestito per scoprire un po’ le cosce.

“Cazzo! Non è valido! Time out!” Rimango bloccato un momento, la forchettata di pesce a mezz’aria.

Cerco di ignorarla.

Ma è difficile.

Anche per me è difficile.

Con lei è davvero tanto difficile.

Dopo un istante riprendo a mangiare.

Mi ignora e prende un altro boccone di branzino, poi posa il coltello,

fa scorrere le dita in mezzo alle cosce, battendo leggermente sulla pelle.

Mi blocco di nuovo, torturato dal fremito insistente del mio membro che mi ha annunciato la sveglia. “Stronza!” penso. “Devo passare all’artiglieria pesante” mi dico. «So cosa stai cercando di fare.»

«So che lo sai, Mr Grey» replica sottovoce. «È questo il bello.» “Stronza!”

Solleva un asparago per il gambo, mi guarda da sotto le ciglia, e lo immerge nella salsa olandese, facendo vorticare la punta ripetutamente.

«Non rovescerai la situazione, Miss Steele.» Sorridendo, allungo la mano e le prendo l’asparago, senza toccarla. «Apri la bocca» ordino.

“Perderai la guerra di nervi, piccola. È un gioco le cui regole conosco da troppo tempo, tu invece sei una principiante”.

Schiude appena le labbra e si passa la lingua su quello inferiore facendomi morire, la principiante. Ho una voglia pazzesca di addentarglielo, altro che asparago! «Apri di più» sussurro, schiudo anche io le labbra apro la bocca e le mostro la lingua. La sua reazione involontaria al mio abboccamento mi stende: soffoca un gemito e si morde il labbro inferiore, prima di obbedire.

“Cazzo, io ora te lo addento, quel labbro!” penso di getto. Ovviamente mi trattengo, ma inspiro. Forte.

Continua a guardarmi con gli occhi sgranati: non c’è sensualità, nel suo sguardo, solo una dolce malizia ingenua e acerba che mi rivolta le viscere. Mi guarda e lo prende in bocca, l’asparago… e siamo solo noi, in tutta la sala, tutto il mondo è scomparso, in un attimo infinito che si si prolunga per tutto il tempo in cui le sue labbra succhiano… e leccano… l’asparago… ma il mio membro, vigile tra le mie gambe, sussulta come se le cure della sua lingua fossero dedicate realmente a lui. Tutto questo gioco mi regala un attimo di intenso piacere. Chiudo gli occhi – sento il suo mugolio sommesso – li riapro e lei geme. Allunga una mano per toccarmi.

“No! Vietato toccare!” Le afferro il polso e la blocco. «Oh, no, non lo farai, Miss Steele» mormoro dolcemente, suadente. Mi porto la sua mano alla bocca e le sfioro le nocche con le labbra. So che effetto le faccio. «Non toccare» la  ammonisco e rimetto la sua mano sul ginocchio.

«Giochi slealmente.» Fa il broncio.

«Lo so.» “Non giocherò mai lealmente quando si tratta di te, piccola, mai: la posta è troppo alta. E io voglio vincere a tutti i costi. A TUTTI I COSTI! È troppo importante. Tu sei troppo importante!” Alzo la mia coppa di champagne per proporre un brindisi a lei, a noi… e lei mi imita.

«Congratulazioni per la promozione, Miss Steele.»

Facciamo tintinnare i bicchieri e lei, nemmeno a dirlo, arrossisce.

«Sì, piuttosto inaspettata» borbotta.

Ripenso a Roach, poi a Hyde. M’innervosisco.

«Mangia» ordino. «Non ti porterò a casa finché non avrai finito la cena e allora potremo davvero festeggiare».

“E, tranquilla bambina, che festeggiamo: a modo mio” e il pensiero di me e di lei mentre festeggiamo che mi sta passando nella testa in questo momento è davvero osceno.

«Non sono affamata. Non di cibo».

Scuoto la testa: “Neppure io, miss Steele”, ma la minaccio lo stesso con lo sguardo. «Mangia, oppure ti metterò sulle mie ginocchia, proprio qui e intratterremo gli altri ospiti.» Mi fa ridere, mi diverte, sto bene con lei, ma continuo imperterrito a sgridarla e a tenerla sulla corda. E poi voglio che mangi, avrà bisogno di energie. Prendo un asparago per il gambo e ne immergo la punta nella salsa olandese.

«Mangia questo» dice. La mia voce è bassa e seducente.

Mi accontenta.

«Tu non mangi abbastanza. Hai perso peso da quando ti conosco» penso desolato.  “Specie dopo quella settimana d’inferno” mi dico.

Mastica l’asparago. «Voglio solo andare a casa e fare l’amore» mormora sconsolata..

«Anch’io,» ammetto, «e lo faremo. Mangia.» Sorrido. “Anche io ne ho una gran voglia, amore, e se ti sbrighi a mangiare ce ne possiamo andare in fretta di qui”.

Riluttante, torna al cibo e comincia a mangiare.

Facciamo due chiacchiere, così si distrae e mangia, una buona volta, intanto continuo a provocarla. 

Finalmente finisce di mangiare e poso coltello e forchetta sul piatto.

«Brava bambina» dico soddisfatto

Mi guarda accigliata. «E adesso?» chiede,  non sa cosa aspettarsi, è questo che voglio, lasciarla insoddisfatta, in tensione, piena di timore e perverse aspettative per ciò che le farò.

«Adesso? Ce ne andiamo. Credo che tu abbia certe aspettative, Miss Steele. Che io intendo soddisfare al meglio delle mie capacità.»

«Al meglio… delle tue… ca… pa… cità?» balbetta e ha gli occhi dilatati.

“Ok, bene. Ora ce l’ho in pugno!” penso alzandomi.

«Non dobbiamo pagare?» chiede, sembra senza fiato.

«Sono un socio del club. Mi manderanno il conto. Vieni, Anastasia, dopo di te.» Mi sposto di lato e lei si alza. “So che ora sta pensando: ‘Sono senza mutandine’  e io ne approfitterò, anzi, non penso ad altro”. La guardo studiando bene le possibili mosse del gioco che ho in mente. Sono eccitato. Credo che si veda, per lo meno credo che lei lo abbia capito… o forse no.

Si ferma e deliberatamente si aggiusta il vestito sui fianchi. “Lo ha capito!”

«Non vedo l’ora di portarti a casa» le sussurro all’orecchio e sto ben attento a non toccarla… non ancora.  

Verso l’uscita, chiedo al maître di far portare fuori  dal parcheggio la Saab.

Davanti all’ascensore veniamo raggiunti da due coppie di mezza età. Quando le porte si aprono, la prendo per il gomito e la guido verso il fondo della cabina. Mi guardo bene intorno, siamo circondati da specchi fumé: “Vanno bene” penso. Mentre le altre coppie entrano,  riconosco Fletcher, un avvocato amico di mio padre che mi saluta. «Grey.» Mi fa un cenno educato con la testa e io rispondo in silenzio.

Le coppie sono in piedi di fronte a noi, rivolte verso le porte dell’ascensore. È evidente che si conoscono. Le donne chiacchierano a voce alta, eccitate e loquaci dopo la cena. Penso che siano tutti un po’ brilli. “Meglio” mi dico.

Quando le porte si chiudono mi chino per allacciarmi una stringa: sto indossando i mocassini.  Senza dare nell’occhio, le metto una mano sulla caviglia, facendola  sussultare, e, certo di non essere visto, faccio scorrere la mano lungo la sua gamba, sensualmente. “Finalmente!” penso. E posso sentire i brividi che le procura il mio tocco. Specialmente quando arrivo su, al sedere.

Non ho molto tempo e veloce mi sposto dietro di lei, certo che gli altri siano distratti dalle loro chiacchiere, intenti ad osservare lo scorrere dei numeri dei piani sul display. Le cingo la vita con un braccio, tenendola ferma mentre le infilo le dita tra le gambe, insinuando la mano a scavalcare la stoffa del vestito.

“Che meraviglia: è bagnata! È sempre bagnata”.

L’ascensore scende dolcemente, fermandosi al cinquantaduesimo piano per lasciar salire altre persone, ma io non sto facendo attenzione: Sono concentrato su ogni movimento che le mie dita compiono tra le sue umide labbra. Intorno, in piccoli cerchi, avanti, indietro… dentro.

«Sempre pronta, Miss Steele» le sussurro tra i capelli, posso sentire i suoi ansiti trattenuti.

Fuori, dentro.  Continuo.

“Godo, sì, sto godendo!”  La trascino indietro contro la parete e le faccio sentire l’erezione. Posso udire il suo gemito soffocato perché ho il volto affondato tra i suoi capelli.

Si tende tutta e sussulta. «Stai ferma e buona» le ordino piano all’orecchio e continuo il mio massaggio incurante delle sei persone  che non sanno nulla di ciò che sta succedendo nell’angolo.

Si lascia andare contro di me e io aumento la stretta intorno alla sua vita, premendo sempre più forte l’erezione contro il suo fianco.

Ci fermiamo al quarantaquattresimo piano. Dentro… fuori… dentro… fuori…” Impercettibilmente, spinge contro il mio dito insistente.

«Ssh» sibilo per impedirle di mugolare. Altre due persone salgono nella cabina. L’ascensore sta diventando affollato e noi arretriamo, schiacciati nell’angolo.  La tengo stretta e continuo il mio gioco; non sono un esibizionista, per niente, ma mi divertirebbe un sacco essere scoperto, solo per vedere la sua faccia.

Strofino il naso nei suoi capelli profumati. Sono certo che sembreremmo una giovane coppia innamorata che si scambia effusioni, se qualcuno si desse la pena di voltarsi e guardare cosa stiamo facendo.

Meglio rincarare la dose e infilo anche il medio, oltre all’indice.

Lei geme, io noto che le persone di fronte a noi sono ancora intente chiacchierare, del tutto ignare.

Appoggia la testa contro il mio petto, arresa. “Bene” penso e continuo.

«Non venire» le intimo. «Ti voglio dopo» ma la torturo usando il palmo dell’altra mano per premerle il ventre, così che mi senta bene e arrivi all’orgasmo.

Deve imparare a trattenerlo… se venisse ora, senza il permesso la punirei…

Ah, no niente punizioni…

Beh, intanto non è venuta e l’ascensore raggiunge il pianoterra.

Con un trillo forte le porte si aprono e, quasi all’istante, i passeggeri iniziano a uscire. Lentamente, sfilo le dita e le bacio la nuca.  Si volta e mi guarda sconvolta. Io saluto l’amico di mio padre con la moglie e torno ad osservarla, sta tremando e quasi non riesce a stare dritta: sono felice del potere che ho su questa donna, perché è pari a quello che lei ha su di me… quasi pari, perché se fosse pari mi avrebbe già detto di sì.

Freddo e imperturbabile chiedo: «Pronta?» Poi assaggio i suoi umori sulle mie dita, con fare licenzioso. Succhio. «Strepitoso, Miss Steele» dico gustando.

«Non posso credere che tu l’abbia fatto» mormora  scandalizzata.

«Sarai sorpresa da quello che posso fare, Miss Steele» dico. Le sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Voglio portarti a casa, ma forse non arriveremo più in là della macchina.» Le sorrido, la prendo per mano e la tiro fuori dall’ascensore prima che ci passiamo la notte. «Vieni.»

«Sì, lo voglio fare.» Vuole “venire”, penso ilare.

«Miss Steele!» la redarguisco, fingendomi sdegnato. “Le ho insegnato bene!” sto pensando invece. “Ancora un po’ di pazienza, Miss Steele, solo un po’ di pazienza: molto meno di quella che tu hai chiesto a me.”

«Non ho mai fatto sesso in macchina» bofonchia. 

Mi fermo e le sollevo il mento con le stesse dita che ho usato per “sollevarle il morale”. «Mi fa molto piacere saperlo. Devo dire che sarei stato molto sorpreso, per non dire arrabbiato, se l’avessi fatto.»

Arrossisce e sbatte le palpebre.

So perfettamente che l’ha fatto solo con me, ma mi piace farla arrossire. E prima o poi lo faremo anche in macchina, ma lo deciderò io come, quando e che auto usare.  

«Non è ciò che intendevo» mi spiega pronta.

«Che cosa intendevi?» dico irato.

«Christian, è solo un modo di dire.»

«Il famoso detto “Non ho mai fatto sesso in macchina”. Sì, ce l’avevo sulla punta della lingua.» Mi fingo arrabbiato per metterla ulteriormente  in imbarazzo, ma sono irritato anche solo a pensare a lei con un altro.

«Christian, non stavo riflettendo. Per l’amor del cielo, hai appena… mmh… mi hai appena fatto quella cosa in un ascensore pieno di gente. Ho la testa confusa.»

«Che cosa ti ho fatto?» la sfido. Voglio sentirglielo dire.

«Mi hai fatta eccitare, molto. Ora portami a casa e scopami.»

Rimango a bocca aperta. Poi rido, sorpreso. «Sei una romanticona, Miss Steele.» La prendo per mano e la conduco alla macchina.  

«E così vuoi fare sesso in macchina» mormoro, mentre giro la chiave dell’accensione.

«Molto francamente, sarei stata felicissima di farlo sul pavimento dell’atrio.»

«Credimi, Ana, anch’io. Ma non mi piace essere arrestato a quest’ora della notte, e non volevo scoparti in un gabinetto. Be’, non oggi.»

«Intendi dire che era una possibilità?» “Che buffa che è!” penso divertito.

«Oh, sì.»

«Torniamo indietro.»

Mi volto verso di lei, non riesco a fare la faccia scandalizzato e rido. Rido sul serio e anche lei  ride, contagiata.

Io la amo. Punto.

Le poso una mano sul ginocchio, voglio il contatto e la accarezzo delicatamente.  Smette di ridere.

«Abbi pazienza, Anastasia» dico, anche io ho smesso di ridere e mi immergo nel traffico di  Seattle.

Parcheggio la SAAB nel garage dell’Escala e spengo il motore. All’improvviso, nei confini della macchina, l’atmosfera tra noi cambia.

Mi volto, lei mi sta guardando. La voglio. La desidero qui... ovunque... «Scoperemo in macchina quando e dove deciderò io» dico. «In questo momento voglio prenderti su ogni superficie disponibile del mio appartamento.»

«Sì.» È senza fiato. Potrei chiederle qualsiasi cosa, in questo momento, e lei accetterebbe. Qualsiasi.

Sto assaporando il potere che ho su di lei.

So che ce l’ho, lo sento. Lo gusto. È un’onda potentissima. So che a letto posso fare ciò che voglio di lei. So che si comporterebbe come una sottomessa perfetta e accetterebbe ogni mio capriccio.

Il punto è che… non voglio.

Non voglio una sottomessa: voglio lei. Voglio lei nella stanza dei giochi. E fuori. Voglio estendere la mia influenza su di lei fino a possederla totalmente. Dentro e fuori del letto.

Dentro è facile, è facile anche con lei. Poi ne trovo mille, per certi giochi. Ne ho trovate mille e ancora mille. Non m’interessa più: io voglio lei, voglio essere solo io per lei di giorno, di notte. SEMPRE. SOLO IO. E non solo a letto.

Ora, per la verità, me la scoperei qui, ma non voglio dargliela vinta. Protende le labbra a occhi chiusi, vuole un bacio da me. 

Se la bacio la scopo seduta stante.

Apre gli occhi, quegli occhioni meravigliosi che mi leggono l’anima.

«Se mi baci adesso, non lo faremo nell’appartamento. Vieni.»

Scendo dall’auto.

Aspettiamo l’ascensore, ancora una volta, e il mio corpo è in trepidante attesa. Le tengo la mano e mi distraggo pensando a dovrei potrei prenderla, giusto per ingannare il tempo.

In ascensore, metto la spunta, lo abbiamo già fatto, quindi il primo posto utile è l’atrio. Faccio scorrere ritmicamente il pollice sulle sue nocche per alimentare il fuoco che la brucia.

«Allora, cos’è successo all’appagamento immediato?» chiede mentre aspettiamo l’ascensore.

«Non si addice a ogni situazione, Anastasia.»

«Da quando?»

«Da stasera.» So di aver sparato una cazzata: non so se l’ho sparata ora o l’altra volta quando parlavo di appagamento immediato, so solo focalizzando il tavolo  e valuto quanto tempo impiegheremo a raggiungerlo. Più in là dell’atrio… non vado. Ed è vitale che mantenga il controllo. Su di lei. Su di me… voglio il controllo su “noi”.

«Perché mi stai torturando così?» piagnucola interrompendo i miei pensieri.

“Bella domanda, datti la risposta, Miss Steele!”

«Occhio per occhio, Miss Steele.»

“E poi: chi sta torturando chi?”

«Come ti sto torturando io?»

«Credo che tu lo sappia.»

Mi guarda. Ha capito: «Anch’io credo nell’appagamento ritardato» sussurra. Le do uno strattone alla mano e la attiro fra le mie braccia, l’afferro per la nuca, facendole piegare la testa all’indietro, tirandole i capelli. «Cosa devo fare per farti dire di sì?» “Sono disposto a tutto. Tutto!”

«Dammi un po’ di tempo… per favore».

IO SO perfettamente che è giusto che ci pensi, che valuti… Non è una cazzo di decisione da prendere su due piedi.

È la decisione di una vita.

Questa cosa mi conforta, perché IO SO che è qualcosa che sta ponderando bene e non perché sono un fottuto sadico bastardo, no. Sta ponderando senza farsi influenzare dall’amore, dal sesso, da ciò che posso offrirle, e soprattutto da tutto il mio denaro,  perché è giovane ma così saggia da non lasciarsi influenzare da un miraggio. Chiunque avrebbe accettato al volo, lei invece sta valutando la decisione della vita, per legarsi a me per l’eternità e non “finché dura”, dimostrandomi per l’ennesima volta che ho ragione a volerla, a volerla per sempre.

“Va bene, ti do tempo, ma tu, per pietà, datti una mossa!!!!” Sbuffo e l’attiro fra le mie braccia, ne ho una voglia da esplodere!

Poi entriamo in ascensore – finalmente un altro ascensore –  e mani, bocche, lingue, labbra, dita e capelli sono un tutto unico. Il desiderio, forte e intenso, mi invade il corpo, ottenebrandomi la mente. La spingo contro la parete, intrappolandola con i miei fianchi, una mano tra i suoi capelli, l’altra sul mento, per tenerla ferma.

«Io ti appartengo» le confesso. «Il mio destino è nelle tue mani, Ana.» Lei cerca di spogliarmi, mi tocca – può farlo –  veramente tocca i miei vestiti e mi tira giù la giacca dalle spalle, mentre l’ascensore raggiunge l’appartamento, e incespichiamo fuori nell’atrio.

La premo  contro la parete di fianco all’ascensore, la mia giacca ormai sul pavimento. Le mie mani sono sulle sue cosce, la mia bocca sulla sua. Finalmente le sollevo il vestito.

«La prima superficie è qui» le dico e penso che la scoperò ovunque, qui, prima di portarla nell’altra casa. “Le piace, la casa”  penso mentre la sollevo da terra. «Avvolgi le gambe intorno a me.»

Obbedisce.  Mi giro, la deposito sul tavolo e la faccio distendere sulla superficie rimanendo in piedi tra le sue gambe.

Prendo un preservativo in tasca e le passo la bustina. Mi abbasso la cerniera «Ti rendi conto di quanto mi ecciti?» ammetto.

«Che cosa?» ansima. «No… io…»

«Be’, lo fai» dico piano. «Tutte le volte.» La guardo, prendo il preservativo e me lo infilo, le allargo bene le gambe: è senza mutandine, col vestito sollevato così ho accesso immediato.

«Tieni gli occhi aperti. Voglio vederti» ordino,  le prendo le mani tra le mie ed entro. Lei li chiude, disobbedendomi. Geme e inarca la schiena sollevandosi dal tavolo. «Occhi aperti!» ringhio, stringo le mani e spingo, più su che posso, così apre gli occhi.

Cerco un ritmo lento, dentro e fuori, ma è estenuante, ho voglia di venire. E lei grida.  Apro la bocca per dire… che devo dire? Che dire… penso solo che godo… sto godendo di lei.

Seguo il ritmo e lei muove i fianchi, mi cerca, si muove con me e grida, viene. Non aspetto altro, non aspetto oltre e la seguo, veniamo insieme, in perfetta sincronia. «Sì, Ana!» urlo e mi abbandono su di lei, il mio capo sul suo petto, liberandole le mani che tenevo strette tra le mie non per impedirle di toccarmi, no. Le tenevo tra le mie perché… perché lei è mia! Alzo la testa e la guardo. «Non ho ancora finito con te» mormoro e la bacio.

“Lo vuoi? Te ne do una super dose che ti farà capitolare!”  e la trascino in camera, la spoglio e pian piano ricominciamo. “Giuro, continuo finché ho la forza!”

 

Siamo distesi, nudi, lei è senza fiato. Io le accarezzo la schiena. «Soddisfatta, Miss Steele?»

Lei annuisce, stremata.

Ho dato il meglio di me, anzi, sono sprofondato in un sogno vanilla che non finiva mai. 

Alza la testa e mi guarda con la vista annebbiata dal sonno.

Deliberatamente, piega la testa in modo che io sappia che lei sta  per baciarmi il petto: mi avvisa.

Per un istante ho la tentazione di ritrarmi ma lei mi sfiora, solo i peli del petto, con le labbra morbide.

Voglio di più.

L’iniziale fastidio e la paura della paura sono quasi dimenticati: voglio di più. Mi metto sul fianco per darle libero accesso e guardarla negli occhi.

«Il sesso è così per tutti? Mi sorprende che la gente riesca a uscire di casa» chiede, improvvisamente timida.

Sorrido. «Non posso parlare per tutti, ma è dannatamente speciale con te, Anastasia.» Mi chino e la bacio: sento davvero sapore di vaniglia, sapore di baci, sapore di amore, sapore di Ana.

«Questo perché tu sei dannatamente speciale, Mr Grey» dice e mi fa una carezza sul viso, scaldandomi il cuore.

Non so che dire. “Io? Speciale? È meglio non dire in cosa sono speciale altrimenti finiamo di nuovo per litigare”.

«È tardi. Dormi» dico. La bacio, mi stendo e l’attiro a me, per addormentarci abbracciati.

«Non ti piacciono i complimenti.»

«Dormi, Anastasia.»

Tace.

Finalmente.

«Amo quella casa» se ne esce prima di addormentarsi.

E figurarsi se non pensava al restauro, ha la passione di rimettere a posto le cose, non butta niente; tutto è bello e tutto e buono per lei… Anche io…

“Amo quella casa…” ha detto e…«Io amo te. Ora, dormi» ordino, strofino il naso tra i suoi capelli che profumano di vaniglia  e pian piano scivolo nel sonno, trattenendo il mio tesoro al sicuro tra le braccia.

 

«Devo andare, piccola.» La bacio dietro l’orecchio per svegliarla.

«Che ore sono?» chiede.

«Non allarmarti. Ho una colazione di lavoro.» Strofino il naso contro il suo.

«Hai un buon profumo» mormora, stiracchiandosi sotto di me.

Mi circonda il collo con le braccia. «Non andare.»

«Miss Steele, stai cercando di trattenere un uomo dall’andare a svolgere la sua onesta giornata di lavoro?»

Annuisce, ancora mezza addormentata, e le sorrido, sereno.

«Per quanto tu sia una vera tentazione, devo andare.»

Le do un bacio veloce, troppo veloce,  mi alzo. «A più tardi, piccola» e la lascio.

 

Mentre mi siedo alla scrivania, mando un messaggio a Ana.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 17 giugno 2011 08.59

Oggetto: Superfici

Ho calcolato che ci sono almeno trenta superfici da provare. Non

vedo l’ora di sperimentarle tutte, una per una. Poi ci sono i pavimenti, le pareti. E non dimentichiamo il terrazzo.

Dopodiché c’è il mio ufficio…

Mi manchi. X

Christian Grey

Amministratore delegato priapeo, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Interessante, l’ufficio: mai esplorato!

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 17 giugno 2011 09.03

Oggetto: Romantica?

Mr Grey, hai una sola cosa in testa.

Mi sei mancato a colazione.

Ma Mrs Jones è stata molto premurosa.

A X

 

È vero, ho solo una cosa in testa ma ho contagiato anche lei! 

Gail premurosa? Che cosa sta macchinando?

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 17 giugno 2011 09.07

Oggetto: Intrigato

In cosa sarebbe stata premurosa Mrs Jones?

Che cosa stai combinando, Miss Steele?

Christian Grey

Amministratore delegato curioso, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

Sta macchinando qualcosa… Strano come in poco più di un mese ci conosciamo già tanto bene.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 17 giugno 2011 09.10

Oggetto: È un segreto…

Aspetta e vedrai. È una sorpresa.

Devo lavorare… Lasciami in pace.

Ti amo.

A X

 

Io non ti lascerò mai in pace. Io non ti lascerò mai, neanche morto, Miss Steele.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 17 giugno 2011 09.12

Oggetto: Frustrato

Detesto quando mi tieni nascoste le cose.

Christian Grey

Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

 

So che ha qualche cosa in mente, tutto sa a sapere cosa: stasera  la faccio cantare.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 17 giugno 2011 09.14

Oggetto: Pazienza

È per il tuo compleanno.

Un’altra sorpresa.

Non essere così irritabile.

A X

 

Io? Irritabile? Sì, oggi un pochino, devo andare a Vancouver per sistemare la questione del finanziamento alla Washington State University . Sono costretto a portarmi dietro anche Ros, per sistemare conteggi e bilanci. Chiamo Taylor perché organizzi i piani di volo: andremo con Charlie Tango, così saremo di ritorno prima che Ana finisca… e posso andare a prenderla al lavoro…

 “Oh, merda!” penso. “Sto diventando Ana-dipendente!” e così, per non smentirmi, chiamo Olga Kelly per fermare la casa.


CAPITOLO 21


 

Al solito, mattinata intensa: una riunione con lo staff e poi a Portland per discutere con quelli del dipartimento di Scienze Ambientali di Vancouver per visionare i loro progetti finanziati dalla mia donazione.

Mi sarebbe piaciuto spedirci Sam, il mio addetto alle pubbliche relazioni che mi ha convinto a sostenere i loro progetti. Invece siamo dovuti volare a Portland in due, io e Ros, per visionare i loro bilanci. “Accidenti a Sam”, mi dico, poi rifletto: “Senza Sam non l’avrei conosciuta… Sì, scelgo sempre bene il mio personale. Fortuna che ci hanno ‘mollato’ subito dopo pranzo così posso andare anche io con Ana e il suo ‘amico’. Non mi va di lasciarla sola con lui” penso mentre comunico con la torre di volo e chiedo l’autorizzazione al decollo.

Tutto a posto. Visibilità ottima. Ho anche il tempo di fare un giro sulla Catena delle Cascate.

È la prima volta che porto Ros con me in elicottero.

Sembra contenta, si guarda in giro ammirata. “Ros è un altro prezioso acquisto” penso soddisfatto, guardando il mio braccio destro, il mio vice, il mio alter ego. Sono contento che sia qui con me.

Ho deciso di farle vedere il vulcano Sant’Elena che nei mesi passati sembrava minacciare un’altra eruzione, invece hanno momentaneamente revocato il divieto di sorvolo.

È uno spettacolo, sia il monte Saint Helens che la Catena delle Cascate. È valsa la pena fare una piccola deviazione… anche se non l’ho comunicata.

Torno verso Seattle e riprendo quota, appena sopra i cento metri – stavo sorvolando troppo basso sul vulcano, sotto la quota di sicurezza –  e fortuna che sto risalendo perché il pannello di controllo ha cominciato a segnalare… tutto insieme!

Luci e lucine… lampeggia tutto!

“Cazzo! Un incendio? Possibile? Il motore principale… andato!… Anche il secondo?!? Ma come cazz…?!!! Tutti e due!!!! A fuoco!?! No, non è possibile…”

«Abbiamo un problema, capo?»

«Direi due, Ros, ma non preoccuparti, ho tutto sotto controllo».

“Controllo? Non so più nemmeno che cosa significhi ‘controllo’! Inizia a preoccuparti, Ros, perché io sono preoccupato” una voce sta urlando dentro di me e tutto il sangue mi è affluito alle tempie, mi fischiano le orecchie. È meglio non pensare che… Eh sì, da che c’è lei… ogni cosa, ogni dannata cosa, va storta! Proprio ora… Sembra che il destino… “No, qui non c’entra un cazzo il fottuto destino! Qui qualcuno ci ha messo lo zampino! Ora mantieni i nervi saldi, Grey! Ricordati i fondamentali: blocco motore per avaria? Si può atterrare senza conseguenze se…” Controllo la strumentazione… l’altimetro. “Cazzo, sono un po’ troppo basso, ma ero appena risalito a quota di sicurezza fuori dalla ‘curva dell’uomo morto’. Devo prendere ancora un po’ di quota…”

Salgo ancora qualche metro: devo fare in modo che si inneschi il meccanismo di autorotazione, come un’auto in folle… di quelle senza il cambio automatico… le ruote girano anche se il motore è fermo… uguale.

“Ecco, ora fermo tutto”.

Se non entra in gioco l’effetto dell’autorotazione sono morto… siamo morti…

“Tutto fermo… niente… Niente! Cazzo, l’avrò fatto un milione di volte in simulazione… Dai, entra, dannazione! Siamo morti… morti! Addio Ana… penso solo a te… solo a te… mi si spezza il cuore… non ti vedo più… proprio ora che… Sì…sì… sì, sì sì Dio ti ringrazio!!!” Sento, attraverso i comandi, dalla risposta di Charlie Tango, che l’aria che attraversa le pale innesca il meccanismo, proprio qualche istante dopo aver iniziato a perdere quota.

Ros sta pregando, lo vedo dal movimento delle labbra. “Brava, Ros… prega!”

La corrente d'aria sta facendo ruotare le pale. “Bene! La rotazione genera portanza e limita la velocità di caduta: ok, tutto ok!”

Tutto spento… ora si scende. “Ci siamo… ora devo portar giù Charlie Tango… amico non mi mollare, la voglio rivedere… proprio ora… proprio ora che ho cominciato a vivere… Il suo regalo… avessi almeno aperto il suo regalo… mi avesse almeno risposto di sì… morirei contento… Invece lei è con quel Rodriguez… Se muoio lui è già lì, pronto a consolarla. Non distrarti, Grey: controllo! Controllo! Andrà bene, andrà fottutamente bene perché tu sei il migliore, Grey, il migliore! Brava, Ros, continua a pregare… in silenzio, però. Fortuna che avevo aumentato un po’ la velocità, sono già vicino al Silver Lake…”

Cerco con lo sguardo e a memoria il luogo migliore per atterrare. Il più vicino possibile a una strada. Riesco a percorrere ancora un breve tragitto, mi sposto fuori dal Parco di Gifford, verso la statale, verso il lago Silver Lake. Vedo una spianata adatta…

“Ecco, ci siamo” mi dico e sento sfrigolare in coda. “Ora vediamo se sono davvero bravo… O sei bravo o sei morto, Grey… oppure molto fortunato! Bravo e fortunato… un bel connubio…”

Vedo il suolo avvicinarsi…

Ho già cambiato il passo delle pale… passo negativo… così ho ridotto la velocità entro i limiti di normale atterraggio e ho resistenza durante la discesa, come il freno motore di un auto: finora tutto perfetto.   

“Solo tu, Ana, solo tu… angelo mio… penso solo a te…

‘Forse ha solo avuto fortuna, Mr Grey’. Rivedo nitidamente il suo viso, le sue labbra che pronunciano quelle poche parole, nel mio, ufficio, il primo giorno. “Oggi spero, amore, che sia così, che io abbia davvero fortuna… Tu sei la mia fortuna…”

Sento la tensione della cloche, vedo il suolo… lo spiazzo… mi batte forte il cuore… “Ho un cuore… ed è tutto tuo… tutto tuo. Lo hai voluto… bene, eccolo! Proprio ora che ha ricominciato a battere…”

E ora l’ultima cosa, devo rimettere il passo positivo e poi… spero: non posso fare altro, non mi resta niente altro che… il suo viso… il suo sorriso… la sua voce che mi dice “Ti amo”.

“Perché proprio ora?”

L’ultima manovra, cambio passo e sento la spinta verso l'alto che mi permette di ammorbidire il contatto col suolo e…

BUM!

L’impatto.

Un contraccolpo. Uno scossone.

Polvere fuori, dentro e un fumo acre che invade l’abitacolo e i miei polmoni.

Siamo a terra siamo vivi.

Tossisco, tossisce anche Ros per il fumo: è viva!

«Tutto ok?»

«Sì, capo. E tu?»

«Sganciati! Fuori!»

Mi libero. Aiuto Ros a uscire e intanto cerco l’estintore. Scendo anche io, meglio allontanarsi quel tanto che basta a non morire da idiota, visto che siamo riusciti a cavarcela per un pelo.

Comincio a lanciare il getto dell’estintore contro le fiamme che stanno mordendo la coda di Charlie Tango.

Ros ha il buon senso di tacere, anzi prova a telefonare.

“Donna intelligente, devo darle un aumento”.

Intanto io continuo a dirigere il getto e avvolgo il mio adorato velivolo con la stessa cura che uso per annodare le corde intorno a un corpo nudo, un rito antico, giri uguali, forme armoniche, una cura passionale e penso che mi piacerà legare Ana, perché ora posso – sono con i piedi a terra – non sono morto.

La rivedrò.

Sarà bellissima vestita solo delle corde che le decoreranno il corpo.

È un rito, bisogna saperlo compiere, non ci si può improvvisare. Bisogna legare le zone giuste, non stringere determinati punti delle braccia che provocherebbero la perdita dei sensi. Bisogna calcolare pesi e baricentri.

È un’arte. Come volare.

Io so volare.

“Ecco, l’incendio è spento: devo tornare a casa. Da lei”.

«Tutto bene, Ros?» chiedo.

Sono perfettamente padrone di me. Sono o non sono Mr Controllo?

«Capo, sei incredibile! Sei stato incredibile!» Ros mi guarda esterrefatta. «Non c’è campo» dice poi, guardando il cellulare.

«Lo so, nel Parco di Gifford non prende… non dovremmo essere troppo lontani dalla statale. La strumentazione e la radio sono andati».

Controllo il GPS e memorizzo la posizione.

Anche Ros cerca la posizione sul cellulare.

Facciamo il punto: cercheremo di arrivare alla statale e lì pagheremo qualcuno che ci dia un passaggio.

In due abbiamo 634 dollari e 25 cent.

Però prima dobbiamo arrivare alla prima strada…

Ci mettiamo in cammino. Il mio GPS non segnala sentieri mentre quello di Ros individua una specie di pista.

Usiamo il suo, camminiamo per più di due ore prima di arrivare alla Spirit Lake Highway.

Ros, coi tacchi si ferma ogni tre passi.

I tacchi!

Sono tentato di darle le mie scarpe.

E lo faccio.

Scarpe e calze, altrimenti non ne usciamo più.

Alla fine raggiungiamo la strada.

Il cellulare di Ros è defunto. Il mio mi abbandona subito dopo avermi spiegato che siamo a 15 miglia da Castle Rock.

Dei pochi automobilisti che passano, non se ne ferma uno e noi continuiamo a piedi.

Grazie a Dio un grosso TIR accosta e ci fa salire.

Il conducente si deve essere impietosito.

E va Seattle.

Chiacchieriamo del più e del meno.

Gli spieghiamo che abbiamo avuto un incidente.

Rimaniamo sul vago.

Abbiamo avuto l’ennesima fortuna oggi: è un buon uomo e guida sicuro. Tira dritto, non si ferma, non ne vuole sapere di fermarsi a mangiare un boccone con noi, anzi, divide con noi il suo pasto.

Meglio così. Voglio arrivare a casa il più in fretta possibile.

Ana è col suo amico Josè…

Magari è preoccupata…

“Bene!”

Oppure è con lui in qualche pub.

A bere…

“Cazzo, devo tornare subito a  casa!”

Il nostro nuovo amico ci lascia davanti casa, prima Ros, poi me. Non vuole il nostro denaro: non ne vuole proprio sapere.

Intanto ho memorizzato il numero di targa, ci penserà Welch a rintracciarlo e troverò modo di sdebitarmi.

Prima di scendere, Ros mi restituisce scarpe e calze.

«Capo… grazie… Sei stato fantastico» mi dice salutandomi.

«Grazie a te, Ros».

Davanti all’Escala c’è una ressa di giornalisti nella hall del palazzo, ho notato le telecamere.

“Sanno di me” mi dico.

Prima che mi notino chiedo al camionista di lasciarmi davanti al garage. Lo saluto. Lo ringrazio. Chiamo l’ascensore e, finalmente, sono a casa.

“Sarà già tornata? Saprà che mi sono schiantato? Probabilmente lo sa mezzo mondo… Sarà preoccupata?” mi domando, mentre l’ascensore macina piani.

http://www.youtube.com/watch?v=1k0nMxO6mu0

Apro la porta e c’è un caldo torrido.

Cerco Ana con lo sguardo ma un grido di mia madre mi distrae.

«Christian!» urla e corre verso di me attraversando il salone correndo verso l’entrata.

Deposito giacca e scarpe sul pavimento, appena in tempo per prendere mia madre al volo. Mi abbraccia, mi bacia e io… io sono sopraffatto.

Contento.

Soddisfatto.

Appagato.

Continua a baciarmi sulle guance. Non smette, non smette più e io mi sento… sollevato. «Mamma?» Sono anche sconcertato, mai visto mia madre così.

«Pensavo che non ti avrei rivisto mai più» mi sussurra.

«Mamma, sono qui.»

«Sono morta un migliaio di volte oggi».  

Piange e singhiozza, senza più riuscire a trattenersi. La abbraccio, la tengo stretta. “Mamma…” penso.

«Oh, Christian» singhiozza lei, abbracciandomi e piangendo contro il mio collo, l’autocontrollo ormai perduto. Non mi scosto, non mi allontano, anzi, annego nel suo abbraccio… La prima volta.

Senza timori.

Senza paura.

Senza dolore.

Anelo il suo abbraccio.

Avrei potuto non rivederla.

Anche mio padre lancia un grido dal corridoio.

«È vivo! Merda… sei qui!» Mio padre grida uscendo dall’ufficio di Taylor, con il cellulare stretto in mano, e abbraccia me e mia madre.

«Papà?»

Sono sopraffatto. Costernato, ma sereno e lo voglio, desidero che mio padre mi stringa tra le braccia. La prima volta.

Senza timori.

Senza paura.

Senza dolore.

“Ecco che arriva anche Mia!”

Papà è il primo a staccarsi, asciugandosi gli occhi e battendomi una mano sulla spalla. Anche Mia mi lascia andare, e infine anche mia madre mi lascia il campo libero. Fa un passo indietro.

Io devo vedere… lei.

«Scusa» mi dice.

«Ehi, mamma, va tutto bene» la rassicuro. Va davvero tutto bene… se ora la vedo.

«Dove sei stato? Che cos’è successo?» chiede mia madre piangendo e prendendosi la testa tra le mani.

«Mamma» mormoro. La stringo di nuovo tra le braccia e le do un bacio sulla testa. «Sono qui. Sto bene. Mi ci è solo voluto un tempo infinito per tornare da Portland. Cos’è questo comitato di accoglienza?»

“Dove diavolo è?”

La cerco nella stanza. C’è il fuoco acceso. “Ecco che cos’era questo caldo”.

La cerco, la cerco con lo sguardo: eccola! Seduta su divano.

È bianca come un morto. Ha gli stessi due fanali che aveva l’altro venerdì.

“Toh, ti pareva: Josè! Lascala andare!” Sembra che mi abbia ascoltato perché lascia andare la sua mano: me lo avrà letto in faccia.

Piange.

E io chiedo a mia madre: «Mamma, io sto bene. Cos’è successo?»

Lei mi mette le mani sulle guance. «Christian, sei stato dato per disperso. Il tuo piano di volo… Non l’hai mai comunicato a Seattle. Perché non ci hai contattati?»

«Non pensavo che mi ci sarebbe voluto così tanto.»

«Perché non hai chiamato?»

«Il mio cellulare aveva la batteria scarica.»

«Non potevi farci avere notizie… in qualche altro modo?»

«Mamma… è una lunga storia.»

«Oh, Christian! Non farmi mai più una cosa del genere! Hai capito?» sta quasi urlando.

«Sì, mamma.» Le asciugo le lacrime con i pollici e la stringo ancora a me. Quando lei si ricompone, la lascio per andare ad abbracciare Mia, che mi dà il solito colpo al torace con una mano.

«Ci hai fatti preoccupare!» esclama, anche lei in lacrime.

«Sono qui adesso, grazie al cielo».

“Arriva anche Elliot, così poi abbiamo finito!” Mi abbraccia e mi dà una pacca sulla schiena.

Mi vien da ridere, perché è una vita che vorrebbe farlo.

“Ecco, fratello, ci sei riuscito!”

«È bello vederti» dice a voce alta, anche se un po’ roca, cercando di nascondere le proprie emozioni.

Kate è in piedi dietro di lei e la consola. Le sussurra qualcosa che non riesco a sentire.

«Adesso vado a salutare la mia fidanzata» dico ai miei. Entrambi annuiscono, sorridono e si fanno da parte.

Ana!

Mi si getta fra le braccia, singhiozzando il mio nome.

«Ssh…»  e la tengo stretta, nascondendo il volto tra i suoi  capelli e inspirando a fondo. “Che paura di non rivederti più!” Alza il viso bagnato

dalle lacrime verso di me e le do un bacio veloce. Non voglio lasciarmi andare ora, qui, davanti a tutti. Voglio un momento solo per noi.

«Ciao» mormoro.

«Ciao» balbetta mogia.

«Ti sono mancato?»

«Un po’.»

Sorrido. «Lo vedo.» E con una carezza, una di quelle carezze che lei riserva a me, le asciugo una lacrima.

Ma continua a piangere.

È stata in pena.

Come ho potuto dubitarne?

«Pensavo… Pensavo…» dice con voce strozzata.

«Lo vedo. Ssh… Sono qui. Sono qui…» mormoro e la bacio di nuovo.

«Stai bene?» mi chiede.

“Ora che sono con te? Sì”.

Mi tasta il petto, le braccia, i fianchi per accertarsi che non manchi nulla.

Sono qui, sono tornato.

«Sto bene. Non vado da nessuna parte.»

«Oh, grazie a Dio.» Si stringe a me. Non volevo altro.

«Hai fame? Vuoi qualcosa da bere?»

«Sì.»

Fa per scostarsi e andarmi a prendere qualcosa, ma non la lascio andare.

Le metto una mano sulla spalla e tendo l’altra a Rodriguez.

«Mr Grey» dice José.

«Christian, per favore» dico. Mi fa sentire vecchio!

«Christian, bentornato. Mi fa piacere che tu stia bene e… ehm… grazie per l’ospitalità qui.»

«Non c’è di che.»

Arriva anche Gail, anche lei sembra stravolta, non è la solita, impeccabile Mrs Jones. Ha i capelli sciolti e indossa pantaloni grigi morbidi e un’ampia maglietta con la scritta WSU COUGARS: informale.

«Posso portarle qualcosa, Mr Grey?» Si asciuga gli occhi con un fazzoletto di carta.

Le sorrido, mi fa tenerezza. «Una birra, per favore, Gail. Una Budvar, e qualcosa da mangiare.»

«Te la prendo io» dice Ana.

“No, tu stai qui!” «No, non andartene» e me la stringo forte.

Bevo la birra che Gail mi ha portato.

«Mi sorprende che tu non voglia qualcosa di più forte» dice Elliot. «Allora, che cazzo ti è successo? La prima notizia che ho sentito è stata quando papà mi ha chiamato e mi ha detto che il tuo trabiccolo era disperso.»

«Elliot!» lo rimprovera mia madre.

«Elicottero» ringhio, correggendolo. Sempre la solita storia!  

«Sediamoci, così vi racconto.» Attiro Ana accanto a me, e tutti si siedono, con gli occhi fissi su di me che bevo una generosa sorsata di birra, poi lancio un’occhiata verso l’ingresso e vedo Taylor che anche lui, in quanto a faccia, è tutto un programma.

«Tua figlia?»

«Sta bene adesso. Falso allarme, signore.»

«Bene.»

«Sono contento che siate tornato, signore. È tutto per ora?»

«Dobbiamo prelevare l’elicottero.»

Taylor annuisce. «Adesso? O domani mattina?»

«Domani mattina, penso, Taylor.»

«Molto bene, Mr Grey. Desidera altro, signore?»

Scuoto la testa.

«Christian, cos’è successo?» chiede mio padre. E racconto tutto ciò che ci è successo: quando arrivo all’atterraggio sento Ana che mi rabbrividisce tra le braccia.

«Hai freddo?» chiedo. Lei scuote la testa.

«Come hai fatto a spegnere il fuoco?» chiede Kate.

«Estintori. Dobbiamo averli a bordo… per legge» le rispondo. “Ovvio, No?”

«Perché non hai chiamato o usato la radio?» chiede mia madre.

«Con l’elettronica di bordo spenta, non avevamo la radio. E non ho voluto correre il rischio di riaccenderla, per via del fuoco. Il GPS funzionava ancora sul BlackBerry, così sono stato in grado di raggiungere la strada più vicina. Ci abbiamo messo quattro ore per arrivare qui. Ros aveva i tacchi» spiego. «Il cellulare non riceveva. Non c’è copertura a Gifford. La batteria di Ros è stata la prima a esaurirsi. La mia si è consumata lungo il tragitto.»

«Allora come hai fatto a tornare a Seattle?» mi chiede mia madre.

«Abbiamo fatto l’autostop e unito le nostre risorse. Tra Ros e me avevamo seicento dollari, e abbiamo pensato di pagare qualcuno perché ci riportasse a casa. Poi si è fermato un camionista e ha accettato di darci un passaggio. Ha rifiutato i nostri soldi e diviso il suo pasto con noi. C’è voluta una vita. Non avevamo un cellulare… strano ma vero. Non mi sono reso conto…»

«… che eravamo preoccupati? Oh, Christian!» mi rimprovera mia madre come un bambino. «Siamo impazziti!»

«Sei stato la notizia dell’ultima ora, fratello.»

«Sì. Me lo sono immaginato quando sono arrivato qui sotto e alla reception e ho visto uno stuolo di fotografi. Mi dispiace, mamma…Avrei dovuto chiedere al camionista di fermarsi per fare una telefonata. Ma ero ansioso di tornare a casa.» Lancio un’occhiata a José.

«Sono solo contenta che tu sia tornato e tutto intero, caro.»

Ana si rilassa e appoggia la testa sul mio petto. E ricomincia a piangere.

«Entrambi i motori?» chiede ancora mio padre incredulo.

«Vai a capire!» dico facendo scorrere una mano sulla sua schiena. Non voglio rivelare ora i miei sospetti. «Ehi» sussurro a Ana. «Smettila di piangere.»

Si asciuga le lacrime con il dorso della mano. «E tu smettila di scomparire.» Tira su con il naso.

Mi fa sempre ridere.

«Un cortocircuito… È strano, no?» dice ancora mio padre insistente.

«Sì, è venuto in mente anche a me, papà. Ma ora voglio solo andare a letto e non pensarci più fino a domani.»

«Allora i media sanno che Christian Grey è stato trovato sano e salvo?» chiede Kate.

«Sì. Andrea si occuperà dei media, insieme ai miei addetti alle pubbliche relazioni. Ros l’ha chiamata dopo che l’abbiamo accompagnata a casa.»

«È stata Andrea a telefonarmi per farmi sapere che eri ancora vivo.» Papà sorride.

«Devo dare un aumento a quella donna. Caspita, è tardi» dico.

«Signore e signori, penso che, con questa osservazione, il mio caro fratello ci stia dicendo che ha bisogno di un sonno ristoratore» dice Elliot. Gli faccio una smorfia, ma gli sono molto riconoscente perché ancora pochi convenevoli  e finalmente posso starmene da solo con la mia fidanzata.

Io e Ana li accompagniamo all’ascensore e José si sta aggirando nel corridoio, quando noi  rientriamo nell’appartamento.

«Sentite, io vado a dormire… Vi lascio, ragazzi» dice.

«Sai già dov’è la tua camera?» chiedo.

José annuisce.

«Sì, la governante…»

«Mrs Jones» interviene Ana.

«Sì, Mrs Jones me l’ha mostrata prima. Hai proprio una bella casa, Christian.»

«Grazie».

 «Vado a mangiare. Mrs Jones dovrebbe aver preparato qualcosa per me. Buonanotte, José» e lascio Ana a salutare il suo amico, dando prova di grande magnanimità.

“Intanto lei è mia” penso.   

E la aspetto nel salone. Arriva dopo due minuti.

Finalmente siamo soli e ci guardiamo.

«È ancora arrabbiato» dico, pensando a José. Mi fa un po’ pena.

Lo sarei anch’io… arrabbiato.

Anzi, io molto, molto di più.

Non è possibile quantificare una mia ipotetica arrabbiatura. Molto meglio che sia incazzato lui.

«Come fai a saperlo, Mr Grey?» chiede Ana.

«Riconosco i sintomi, Miss Steele. Credo di soffrire della stessa malattia.» È per questo che sono stato così magnanimo.

«Pensavo che non ti avrei mai più rivisto» sussurra invece lei. Ha una faccia… una faccia che…

«Non è stato così brutto come sembra.»

Raccoglie dal pavimento la mia giacca e le scarpe, e mi raggiunge.

«Questa la prendo io» dico, allungando la mano verso la giacca. Mi ero portato dietro il suo regalo.

Allungo una mano e me lo prendo tra le braccia “il mio vero regalo”: lei! Lei è il regalo più bello che io potessi farmi: darmi una possibilità con lei.

La stringo forte.

«Christian» ansima e ricomincia a piangere.

«Ssh…» Le bacio i capelli. «Sai…» dico, «nei pochi istanti di paura prima di atterrare, tutti i miei pensieri sono stati per te. Tu sei il mio talismano, Ana.»

«Ho creduto di averti perso» le esce solo un singhiozzo.  

Restiamo in piedi, l’uno tra le braccia dell’altra, a riprendere il contatto e a rassicurarci l’un l’altro. Mentre si stringe a me, fa cadere rumorosamente a terra le mie scarpe.

«Vieni a fare la doccia con me.» mormora lui.

«Okay.»

«Sai, anche mentre piangi sei bellissima, Ana Steele» le dico sollevandole in mento per guardarla bene. Le brillano gli occhi di lacrime e amore. Per me.

Mi chino su di lei e la bacio. Finalmente.

«Devo appoggiare la giacca» mormoro.

«Lasciala cadere a terra» mi dice.

«Non posso. È per via di questa» e tiro fuori la scatola dal taschino.  

«Aprila» sussurra. Sembra emozionata.

«Speravo che l’avresti detto. Stavo per impazzire» confesso.

Mi sorride maliziosa.

Il primo sorriso che le vedo da stamattina.

Scarto e apro la scatolina. Aggrotto la fronte quando tiro fuori l’oggetto di plastica.

“Seattle?”

Un portachiavi di plastica con una foto  composta da tanti piccoli pixel che si accendono e si spengono sullo schermo a LED.

Rappresenta lo skyline di Seattle, con la parola SEATTLE scritta in grassetto sopra.

Lo fisso per un minuto e poi la guardo, divertito. Perplesso.

Davvero non capisco.

«Giralo» sussurra senza fiato.

Lo faccio.

Un uragano mi investe e mi lascia lì.

Sconvolto.

Stranito.

Felice.

Pieno.

Pieno di…

La parola SÌ si accende e si spegne sul display del portachiavi.

C’è scritto SÌ.

Ha detto SÌ!!!!!

 «Tanti auguri» mi dice. 


CAPITOLO 22


«Mi sposerai?» chiedo. Continuo a chiedere, mi DEVE rispondere!

Annuisce nervosa.

«Dillo» le ordino.  Me lo DEVE dire!

«Sì, ti sposerò» dice col sorriso.

Non lo avrei mai pensato… sarà la tutta la tensione che ho accumulato oggi, ma proprio non me lo aspettavo.. . non mi aspettavo proprio di…

e io… io… esplodo. Esplodo!

Quello che sento… beh… mai provato, proprio mai!!!

Un’esplosione mai provata… è… è… sì, è felicità. Credo sia questa la felicità. Mi sembra di aver provato qualcosa di simile quando mi ha detto che accettava la mia proposta, in auto, di ritorno da Portland, dopo la mostra, ma…

No, ora è di più. Mooolto di più!

E la prendo tra le braccia, la faccio volteggiare. Una sensazione di totale pienezza che mi fa scoppiare… sì, il cuore. Il cuore. “Mi sa tanto che ce l’ho un cuore, forse nero, ma batte e batte forte per te, amore mio”. Sono esploso. E rido di gioia.

È mia. Mia, mia… per sempre.

Ogni più oscuro bisogno è soddisfatto. Mai, mai – mai! – mi sono sentito così appagato.

E pieno.

Completo.

Intero.

Si aggrappa alle mie braccia per non cadere.

“Non preoccuparti, piccola, non ti lascio cadere. Non ti lascio più!”

E non permetterò a lei di lasciare me. Veglierò  su di lei, l’accudirò, la proteggerò… le donerò il mondo.

La rimetto giù, ma solo per poterla baciare come si deve. Sentire le sue labbra, la sua lingua che sfiora la mia…

“Cazzo, avrei potuto non esserci più, non rivederla più”. Sento i brividi raggelarmi la nuca per lo scampato pericolo. Sono più spaventato e raggelato ora che oggi; ora a mente fredda ho più paura.

«Oh, Ana» le sussurro sulle labbra.

«Pensavo di averti perso» mormora di nuovo, confusa e senza fiato per il bacio.

«Piccola, ci vuole molto più di un 135 in avaria per tenermi lontano da te.» Non molto, in verità, ma questo non glielo dico, anche perché il pensiero di non rivederla più ha guidato ogni mio gesto, facendo sì che noon sbagliassi nulla, neppure un movimento.

«Un 135?»

«Charlie Tango. È un Eurocopter EC135, uno dei più sicuri della sua categoria.»

Mi guarda con un lampo di paura negli occhi.

Ha capito.

Sa quanto sono stato vicino alla morte.

Mi irrigidisco, non posso farci nulla.

E me ne sarei andato senza vivere questo attimo di pura gioia mai provata.

“Un momento…” penso, “… ma lei mi ha dato il regalo prima…” Chiedo.

«Aspetta un attimo. Mi hai dato questo prima che vedessimo Flynn» dico sollevando il portachiavi che tengo stretto nel mio pugno.

“Questo significa che…”

Annuisce, seria. Si stringe nelle spalle, come a scusarmi. «Volevo che sapessi che qualsiasi cosa Flynn mi avesse detto non avrebbe fatto alcuna differenza per me.»

Sono sconcertato. «Perciò ieri sera, quando ti pregavo di darmi una risposta, ce l’avevo già?»

Annuisce di nuovo e sta cercando disperatamente di valutare la mia reazione.

Ce n’è abbastanza per una punizione.

«Tutta quella preoccupazione» dico. La cosa che mi fa imbestialire è che sarei morto senza sapere. Imbestialire! «Oh, non cercare di fare la furba con me, Miss Steele. In questo preciso momento, voglio…» “…PUNIRTI!” 

Mi passo una mano tra i capelli… dovrei essere furioso… invece…

Scuoto la testa…

«Non posso credere che tu mi abbia lasciato in sospeso» dico incredulo.

“Tu ne fai quello che vuoi, di me, vero Miss Steele?”

«Credo che qui ci voglia una punizione, Miss Steele» le dico tranquillo.

“Punizione?  Devo proprio punirti. Non vedo alternative. Devo punirti per aver fatto di me… l’uomo più felice del mondo”  penso e mi sento rimescolare da una strana gioia. Sono finalmente senza pensieri. “Giochiamo, piccola” mi dico mentre mi lascio travolgere da queste sensazioni meravigliose, vivide e forti, che ho provato solo da che sto con lei: è felicità. Dovrei essere furioso, arrabbiato – un tempo lo sarei stato –  dovrei sentirmi dilaniato invece sono… sereno. SERENO!

“Giochiamo, piccola. Giochiamo!”

 Lei fa un passo indietro. Mi studia preoccupata, sa di averla fatta grossa.

“Scappi?”  Scappa da me. So che non ha paura. Non ha più paura di me. Gioca.

«È questo il gioco?» sussurro. «Perché io ti darò la caccia. E ti stai mordendo il labbro» aggiungo minaccioso.

Fa un altro passo indietro, poi si volta per scappare via, ma invano. Rapido la afferro e la sollevo, me la carico in spalla. Lei squittisce mentre attraversiamo il corridoio: «Christian!»

Di sicuro non vuole che il suo amico ci senta: bene, allora faccio ancor più chiasso.

Poi sento, inaspettata, una pacca su una natica.

“Oh… piccola… sfrontata!” E contraccambio. Forte.

«Oh!» guaisce.

«È il momento di fare una doccia» dichiaro trionfante.

«Mettimi giù!» Ride.

«Sei affezionata a queste scarpe?» chiedo, divertito, mentre apro la porta del bagno.

«Preferisco quando toccano il pavimento.»

«Ogni tuo desiderio è un ordine, Miss Steele.» Senza metterla giù, le tolgo entrambe le scarpe e le lascio cadere a terra. Fermandomi davanti allo specchio, mi svuoto le tasche: il BlackBerry fuori uso, le chiavi, il portafoglio, il portachiavi. Il mio meraviglioso portachiavi.

Nello specchio posso inquadrare bene il suo culo favoloso posato sulla mia spalla. Quando ho finito, punto dritto alla doccia.

«Christian!»

Ora ha capito.

 Apro l’acqua… fredda.

Grida.

Poi si zittisce… il suo amico… al piano di sopra.

Ride.

«No!» squittisce. «Mettimi giù!» Mi dà un’altra pacca, più forte stavolta, e io la faccio scivolare a terra giù per il mio corpo parimenti fradicio. Gronda acqua, rossa in volto, sconvolta e senza fiato, e la guardo ridendo.

“Cazzo, sono felice!” La amo. Tanto. “Ti amo” e torno serio,  la voglio. Ora.

Qui.

Gelati, bagnati e grondanti.

Le prendo il volto tra le mani, attirando le sue labbra verso le mie.

Il suo bacio è dolce, adorante, e mi distrae totalmente. Ci siamo solo noi due sotto la cascata d’acqua.  

Sono tornato e lei è qui, con me.

Mi accarezza il torace, sento il calore invadermi nonostante l’acqua sia gelata. Muovo lievemente la manopola del miscelatore.  Intanto lei mi sfiora il petto e più giù, tra le gambe. Gemo contro la sua bocca mentre mi sfila la camicia dai pantaloni, e non stacco le mie labbra dalle sue.

Comincia a sbottonarmi la camicia, io le rendo il favore, abbassando la cerniera del vestito.

“Bello questo abito, sexy. Ad uso e consumo di Mr Rodriguez”  penso geloso.

Mi impossesso della sua bocca, famelico. E il mio corpo esplode di desiderio, come prima era esploso di felicità. Una felicità e un desiderio travolgenti.

Lei, con la stessa urgenza, tira forte i lembi della mia camicia, strappandomela di dosso. I bottoni volano dappertutto, rimbalzando sulle piastrelle e scomparendo sul fondo della doccia. Mi toglie la stoffa fradicia dalle spalle e la fa scivolare lungo le mie braccia. Non ha nessuna remora a toccarmi e io voglio che lo faccia: mi ha toccato il cuore, può toccare ciò che vuole.

Anche la mia famiglia ha capito che lei può toccare ciò che vuole, che ha toccato ogni corda, e ora anche loro possono passare dal pertugio che ha scavato lei.

Pertugio… è piuttosto un’autostrada a sei corsie, ormai.

Mi preme contro la parete, impedendomi di svestirmi da solo. «I gemelli» mormoro, sollevando i polsi, per agevolarle il lavoro.

La guardo attraverso la cascata d’acqua, so che vorrebbe togliermi i pantaloni, ma prima lei,  voglio nuda prima lei. La faccio voltare per toglierle l’abito. Le scosto i capelli. Non resisto: le lecco il collo e lo percorro con la lingua fino all’attaccatura dei capelli, baciandole e succhiandole la pelle.

Vorrei divorarla.

Geme, lo posso sentire anche attraverso lo scroscio della doccia. Lentamente la faccio girare e le faccio scivolare il vestito dalle spalle, lo abbasso fino all’addome e slaccio il reggiseno, voglio toccarle il seno.  Continuo a baciarla. La tocco, irresistibilmente attratto.  «Sei così bella.»

È legata, intrappolata dai suoi stessi abiti, ed è mia, solo mia. 

Butta indietro la testa, offrendomi il collo come uno di qui vecchi film sui vampiri, quelli in bianco e nero, intanto i colori svaniscono sotto il getto e lo scroscio sembra la colonna sonora gracchiante di un film muto.

Spinge i suoi seni dentro le mie mani.

Godo.

Allunga con fatica una mano all’indietro per toccarmi.

Godo.

Trasalisco e godo.

Trattengo il fiato… come osa!?!

Come osa possedermi in questo modo… senza limiti… senza un solo, unico, piccolo, assurdo limite residuo.

Sono senza fiato… senza fiato a godermi il tocco della sua piccola mano sul mio pene che è già di marmo. Assaporo il suo tocco attraverso la stoffa dei calzoni. Non voglio toglierli perché voglio che sia prima lei, nuda, alla mia mercé. In soggezione, in sottomissione…

E poi voglio sentire il piacere e il fastidio della stoffa che mi sfrega il membro.

Le pizzico i capezzoli, che si induriscono e si tendono sotto il mio tocco, ogni pensiero scompare e il piacere, acuto e carnale, mi trafigge il ventre. Voglio darle piacere e stimolarla come solo il dolore può fare.

Getta la testa all’indietro, contro di me, e geme.

«Sì!» “Così” sospiro e la faccio girare, catturando le sue labbra con le mie. La spoglio con urgenza.

Lei prende il bagnoschiuma, se ne versa un po’ sul palmo e mi guarda, aspetta un mio assenso.

“Hai capito o no che io non ho più limiti?” Annuisco appena.

 Appoggia delicatamente la sua mano e inizia a sfregare il sapone sulla pelle.

Analizzo nella mia mente qualche residuo di paura, come se fossi entrato in una stanza aspettandomi di trovare un nemico, mi stessi guardando intorno e il mio sguardo non trovasse altro che due occhi spalancati di un bimbo, seduto contro il muro.

Sono solo con lei, non in compagnia delle mie paure.

Sono solo con lei, legato al mio angelo che mi sfiora con le sue ali.

Sospiro, un po’ di ansia, e tanto sollievo.

Siamo soli noi due, lontani dal pericolo… siamo insieme.

Questo basta.

È mia!

La attiro a me afferrandole i fianchi.

«Va bene?» chiede. Ha paura delle mie paure: vuole rispettare i miei confini, anche se, in realtà, non ha avuto remore a sfondare ogni barriera come un panzer. 

«Sì.»

Mi vengono in mente le molte docce che abbiamo fatto insieme, ma quella all’Olympic è un ricordo dolce-amaro: ora lei può toccarmi e può lavar via ogni traccia  di residue remore da questo guscio vuoto che ha riempito di amore… e di gioia… e… di tutto.

Era vero: prima non ero niente. Il nulla!

Ero così “poco”, ero così “niente” da non rendermi conto che avevo l’amore intorno, l’amore vero, e non lo avevo mai sentito, assordato dalla paura di perderlo un’altra volta, di perdere un’altra volta le mie radici.

«Tocca a me» dico. Non voglio che smetta, né è troppo o troppo intenso, anzi, ormai è una necessità, quella di essere toccato. No, è perché voglio essere io a toccarla.

E lavo i suoi splendidi capelli, le massaggio la cute: voglio darle il piacere che il suo tocco dona a me, anche se dubito che abbia lo stesso sapore di libertà.

Sembra abbastanza soddisfatta.

Ridacchio. «Ti piace?» chiedo.

«Mmh…»

 “È un sì”. Sogghigno. «Anche a me». Le bacio la fronte e  continuo. «Girati» ordino.

Obbedisce come un bravo soldatino… nudo… e sexy.  

Quando ho finito, la rimetto sotto il getto della doccia.

«Butta indietro la testa» dico, così da sciacquarle le ciocche.

Obbedisce come una brava sottomessa… ovviamente nuda… e sexy da morire.

Sciacquata, si gira e punta ai miei calzoni.

«Voglio lavarti tutto» annuncia. Alzo le mani: “Sono tutto tuo, piccola”.  

Ride felice e mi spoglia.

“Questa ragazzina mi ha fatto conoscere la felicità” penso eccitato, mentre mi sfila boxer e calzoni, avida. Mi ha concesso il mondo con un sorriso, nulla che potessi acquistare neanche con tutto il mio denaro.

Prende di nuovo il bagnoschiuma e una spugna.

«Sembra che tu sia contento di vedermi» mormora.

“Ti piace molto citare Mae West, eh?” «Sono sempre contento di vederti, Miss Steele.»

“Così contento che non ne hai idea!”

Specie stasera, in special modo dopo questa giornata terribile.

“E sai perché è stata terribile? Perché me ne sarei ‘andato’ proprio adesso che per la prima volta ho voglia di restare… ma questo non te lo dico.”

Insapona la spugna e riprende il suo viaggio lungo il mio torace.  Con la spugna punta verso il basso, attraverso il ventre, lungo la peluria addominale fino all’inguine e alla mia erezione.

La guardo attraverso le fessure degli occhi, incrocio il suo sguardo pieno di desiderio e mi faccio travolgere.

Lei lascia cadere la spugna e usa le mani, afferrandomelo con decisione.

Emette un sospiro, forte.

“Brava, così: fatti sentire!”

Chiudo gli occhi, getto la testa all’indietro e gemo, spingendo i fianchi contro la sua mano.

“Sì, masturbami! Quasi quasi vengo tra le tue mani, così non mi devo sbattere a infilarmi quell’affare…”

Mi blocco, mi viene un pensiero… “Oh, porc… è sabato!”

«È sabato!» esclamo e le infilo la lingua in bocca, dopo averla afferrata stretta. Mi gusto questo bacio bagnato, per eccitarmi ancora di più.  “Eh vai! Ora ti fotto, ti fotto per bene! E vado fino in fondo” penso mentre le sto leccando la bocca.

Spingo la mia mano lungo il suo corpo e percorro la strada per raggiungere la fonte del mio piacere, nascosta tra le sue gambe. Esploro, scavo. Sento la viscosità della sua risposta, intanto continuo il mio bacio. Non le permetto di respirare, voglio che respiri con me e trattengo la sua testa afferrandole i capelli, stretti nel mio pugno.

«Ah…» Lei geme nella mia bocca. E io mi eccito, sempre di più. Sempre di più… «Sì» sibilo e la sollevo, prendendola sotto i glutei. «Allaccia le gambe intorno a me, piccola.»

Da perfetta apprendista obbedisce e aderisce a me, incollata. È ciò che più mi piace, averla con me, legata attaccata a me.

Appoggio la sua schiena contro la parete della doccia per muovermi a mio piacimento.

«Occhi aperti» intimo. «Voglio vederti.»

Mi guarda sbattendo le palpebre e il mio cuore martella, il sangue pulsa caldo nelle vene, il desiderio, concreto e dilagante, che irrompe dentro di me mi accende, m’infiamma anche sotto il getto d’acqua.

Poi entro, lentamente la riempio di me, finalmente pelle contro pelle.

Mi godo l’attimo.

L’abbiamo fatto solo poche volte così, senza protezione. Io sento tutto, persino il profumo.

Si spinge contro di me, mi regala la delizia.

Rantolo. Forte.

Quando sono completamente dentro, tutto dentro di lei, mi fermo ad assaporare.

«Tu sei mia, Anastasia» dichiaro.

«Sempre.»

“Bene!”  Sorrido vittorioso. Completamente mia, per sempre.

Dentro di me esulto.

«E ora possiamo farlo sapere a tutti, perché tu mi hai detto di sì.» La bacio, catturando le sue labbra con le mie e inizio a muovermi… a ritmo lento. Chiude gli occhi e si lascia trasportare dalla mia danza, una danza antica: la danza degli amanti.

Nudi, sotto lo scroscio della doccia, io e lei… avrei potuto perderla.

Poteva finire tutto oggi… invece è oggi che comincia tutto.

Sto solo aspettando il suo orgasmo per seguirla e liberarmi.

Sento che biascica il mio nome al mio orecchio: è il segnale.

Mi svuoto dentro di lei, fino all’ultima goccia, fino a che non ho più nulla da dare. Anzi, prendo. Prendo lei. Tutta quanta, tutta mia!

Crollo sul pavimento, la trasporto con me, tenendola stretta, baciandole il viso, mentre l’acqua calda scende su di noi, lavando via ogni timore.

«Ho le dita raggrinzite» mormora, mentre giace stremata sul mio petto, appagata dal sesso.

“Oh, che romanticona che sei, Miss Fiori e Cuori, proprio la frase giusta” penso sereno e divertito.

Le bacio le mani, con venerazione. Ora la sua mano è mia, me l’ha promessa.

Sono felice.

Appagato e felice.

Non ho bisogno di altro.

«Dovremmo uscire da questa doccia» dico.

«Sto comoda qui.»

Seduta tra le mie gambe, stretta a me… sta bene qui. Mi si allarga il cuore.

La sento ridere.

«Qualcosa ti diverte, Miss Steele?»

«È stata una settimana faticosa.»

«È vero.»

«Grazie a Dio sei tornato sano e salvo, Mr Grey» sussurra, quasi le manca la voce.

Il mio corpo si contrae involontariamente. «Ho avuto paura» ammetto.

«Prima?» Annuisco. «Allora hai cercato di sdrammatizzare per rassicurare la tua famiglia?»

«Sì. Volavo troppo basso per atterrare bene. Ma in qualche modo ce l’ho fatta.»

Ho detto una balla, ai miei. È stato un miracolo, ecco cosa è stato, un fottuto miracolo.

A lei lo devo dire.

Io, a lei, dico tutto. Anche perché mi fa stare meglio, confidarmi.

Ma lei mi guarda spaurita e balbetta: «Quanto ci sei andato vicino?»

«Vicino.» Mi fermo. «Per alcuni secondi, ho pensato che non ti avrei mai più rivista.»

Mi getta le braccia al collo e sento nitidamente le sue parole, pronunciate con la voce strozzata, ancorarsi dentro il mio cuore: «Non posso immaginare la mia vita senza di te, Christian. Ti amo così tanto che ho paura.»

«Anch’io» dico d’un fiato.  Paura di perderti! «La mia vita sarebbe vuota senza di te, ti amo così tanto.» La stringo forte anch’io. «Non ti lascerò mai andare via.»

«Non vorrò mai andare via.» Mi bacia sul collo ma io voglio un bacio vero. «Vieni. Asciughiamoci e andiamo a letto. Io sono esausto e tu hai l’aria distrutta.»

Mi guarda strano.

«Qualcosa da dire, Miss Steele?»

Scuote la testa e si alza barcollando.  

Sono le due del mattino passate e, finalmente asciutti, siamo pronti per andare a dormire.

Guardo ancora una volta il mio portachiavi, incredulo: fantastico!

 «È fantastico. Il miglior regalo di compleanno che abbia mai ricevuto.» “È esattamente quello che desideravo, l’unica cosa di cui avessi bisogno: TE.” «Meglio del mio poster firmato da Giuseppe DeNatale.»

Ride. «Te l’avrei detto prima, ma visto che il tuo compleanno era imminente… Che cosa regaleresti a un uomo che ha tutto? Così ho pensato di regalarti… me stessa.»

Ok, ho capito perché non mi ha risposto subito, ma l’avevo già perdonata, nell’esatto istante in cui ho capito che mi aveva detto “sì”.

Poso il portachiavi  sul comodino e l’abbraccio per dormire: la mia posizione preferita.

«È perfetto. Come te» dico.

«Sono ben lontana dalla perfezione, Christian.»

«Stai facendo un sorrisetto compiaciuto, Miss Steele?»

Sussulta. «Forse.» Ridacchia. «Posso chiederti una cosa?»

«Certo» rispondo deciso e sicuro, tanto so che non si fermerà, ma in cuor mio non so mai dove voglia andare a parare con le sue domande e sono lievemente intimorito.

«Non hai chiamato durante il tuo viaggio di ritorno da Portland. Non l’hai fatto per via di José? Eri preoccupato del fatto che fossi qui da sola con lui?»

“Beccato!” Non le sfugge nulla!

Si volta.

«Ti rendi conto di quanto è ridicolo? Dello stress che hai fatto subire alla tua famiglia e a me? Ti amiamo tutti così tanto.»

Mi rimprovera peggio di mia madre.

Forse ha ragione.

Ha ragione su tutta la linea.

«Non avevo idea che foste tutti così preoccupati» cerco di scusarmi.

Mette il broncio come una bambina: è così carina.

«Quando ti ficcherai in quella testa dura che sei amato?» continua imperterrita.

«Testa dura?» “Che fai? Insulti?”

Annuisce. «Sì. Testa dura.»

«Non penso che la durezza della mia testa superi quella di un’altra parte del mio corpo.» Cerco abilmente di uscire dal vespaio in cui sono finito… beh, veramente mi ci sono cacciato da solo a causa della mia assurda gelosia. Cerco di farla ridere.

«Sono seria! Smettila di cercare di farmi ridere. Sono ancora arrabbiata con te, anche se la mia rabbia è in parte eclissata dal fatto che sei a casa sano e salvo, quando pensavo…» La voce le muore per la paura. «Be’, lo sai che cosa ho pensato.» Non vuole dirlo forte.

La accarezzo.

«Mi dispiace. Okay.»

«E la tua povera mamma! È stato molto commovente vederti con lei» sussurra.

«Non l’avevo mai vista così» confesso. «Sì, è stato davvero toccante. Di solito lei è così controllata. È stato quasi uno shock.»

«Lo vedi? Tutti ti vogliono bene.» Sorride. «Forse adesso inizierai a crederci.»  

Ci credo?

“Sto iniziando a crederlo perché… perché me lo dici tu. Io credo in te che sei il mio angelo. Tutto ciò che dici si avvera, sei il mio talismano, piccola.”

Avvicina il suo adorabile viso al mio e mi bacia. «Buon compleanno, Christian. Sono contenta che tu sia qui per condividere questa giornata con me. E non hai ancora visto cosa ho preso per te domani… ehm… oggi.» Sogghigna cospiratrice.

«C’è qualcos’altro?» domando felice. Tutto quello che arriva da lei è bellissimo, anche l’aliante, perché lei mi conosce e sa che cosa mi piace, che cosa mi fa felice.

«Oh, sì, Mr Grey, ma dovrai aspettare.»

Ok, aspetto, intanto il mio regalo ce lo già e me lo abbraccio per dormire meglio.

 

Vagamente sento che lei si muove tra le mie braccia. Apro un occhio. Sono ancora stanco.

Non voglio svegliarmi… sono ancora stanco.

Ieri…

Oh, cazzo! Ieri me la sono vista brutta!

Oggi invece sono qui, vivo e vegeto, ed è un giorno...

Che giorno è?

Un giorno speciale.

… il mio compleanno.

Allora non c’è niente di speciale.

Sì, è speciale perché lei mi ha fatto un regalo.

Un altro regalo.

Si è alzata.

Di già?

Perché?

“Oh, no! Rodriguez!!!”

Mi alzo di scatto.

Sto per lanciarmi alla ricerca dell’arca perduta ma cambio idea e faccio una puntatina in bagno. E meglio.

Una puntatina veloce e mi dirigo nella zona giorno.

«L’omelette va bene per te?» sento la sua voce.

«Certo» risponde Rodriguez.

«Anche per me» dico entrando nel salone.

Non ho indossato apposta la t-shirt sul pigiama: voglio che José mi veda così. mezzo nudo e capisca bene a chi appartiene la Venere in vestaglia di seta che gli sta preparando la colazione.

Voglio che abbia ben chiaro in testa che io e lei, questa notte, l’abbiamo passata a scopare.

«José.» Lo saluto con un cenno.

«Christian.» Lui contraccambia il mio cenno con solennità.

La guardo e le sorrido trionfante.

Mi guarda e in un secondo la sua espressione, da interrogativa, diviene guardinga, poi sospettosa e, infine, irata.

“Non puoi arrabbiarti, piccola, è il mio compleanno!”  HA capito perfettamente che sto marcando il territorio.

«Stavo per portarti la colazione a letto» dichiara le sue buone intenzioni. 

Vado dietro il bancone, le metto un braccio intorno alla vita, le sollevo il mento per baciarla bene, a uso e consumo di Mr Rodriguez che ci sta guardando con l’espressione di chi ha appena ingoiato una boccetta di olio di ricino.

«Buongiorno, Anastasia» dico.

Mi guarda irata e arrossisce.

Arrossisce sempre.

«Buongiorno, Christian. Buon compleanno.» Mi sorride. È tanto bella.  Mi piace tanto. «Non vedo l’ora di ricevere l’altro mio regalo di compleanno» confesso e lei diventa ancora più rossa.

Forse è meglio se aspettiamo di essere soli.

Magari il regalo è qualche indumento di biancheria intima, meglio sorvolare e attendere, anche se odio le attese.

Infatti lei si volta e comincia a preparare la colazione.

«Allora, quali sono i tuoi programmi per oggi, José?» chiedo, con apparente noncuranza, mentre mi seggo su uno sgabello.

«Proseguirò il mio viaggio per andare a trovare mio padre e Ray, il padre di Ana.»

M’incupisco: “Che ha a che fare José con il padre di Ana? Vuole passare dal padre per arrivare alla figlia?” Non mi stupirebbe.

«Si conoscono?» domando guardingo.

«Sì, sono stati insieme nell’esercito. Avevano perso i contatti, finché Ana e io ci siamo trovati al college. È piuttosto singolare. Ora sono inseparabili. Andremo a pescare.»

«Pescare?» “Piacerebbe anche a me, adoro pescare”.

«Sì. Ci sono belle prede in quelle acque costiere. Le trote di mare possono essere molto grosse.»

«È vero. Mio fratello Elliot e io una volta abbiamo preso una trota di quindici chili.» Piace anche a Elliot, pescare. E a mio padre.

«Quindici chili? Niente male. Il padre di Ana sostiene di detenere il record. Venti chili.» “Sì, vuole passare dal padre per arrivare alla figlia, il subdolo!”

«Stai scherzando! Non me l’ha mai detto». Anche io faccio vedere che sono in perfetta sintonia con il mio futuro suocero.

«A proposito, buon compleanno» dice cambiando discorso, visto che non è più su un terreno sicuro.

«Grazie. Allora, dove ti piace andare a pescare?» continuo io, imperterrito, anche perché non abbiamo molti altri argomenti di conversazione. A parte Ana, ovviamente.

E continuiamo per un po’, poi gli chiedo della mostra e delle foto che gli sono state commissionate da qualche ente, a Portland.

Non mi stupisce, come fotografo è bravissimo.

So riconoscere valore e talento, quando lo vedo.

Quando arriva il momento della partenza, José sembra un tantino più rilassato. E anche io.

È meglio che vada a vestirmi e mi infilo in fretta jeans e maglietta, per accompagnare il nostro ospite alla porta. Scalzo, raggiungo Ana nell’ingresso per i saluti.

«Grazie per avermi ospitato» mi ringrazia, stringendomi la mano.

«Quando vuoi…» Gli sorrido. Sono sincero.

José l’abbraccia velocemente, troppo velocemente per poter innestare, in me, la miccia della gelosia. «Abbi cura di te, Ana» le dice.

«Certo. È stato bello vederti. La prossima volta passeremo una vera serata fuori.»

“Con me” penso.

«Ci conto.» Ci saluta con la mano dall’interno dell’ascensore, prima che le porte si chiudano.

«Vedi, non è tanto male.»

«Vuole ancora entrarti nelle mutandine, Ana. Ma non posso dire di biasimarlo.»

«Christian, questo non è vero!»

«Non te ne accorgi?» Le dico. “Ma come fa ad essere tanto ingenua?” mi domando. “Ma se è per quello che ti fa ribollire il sangue” mi dico, “proprio perché è tanto ingenua!”  «Ti vuole. Alla grande» le spiego con un ghigno che spero tanto passi per un sorriso.

Si acciglia. «Christian, è solo un amico, un buon amico.»

Alzo le mani fingendo di arrendermi. «Non voglio litigare» dico dolcemente.

«Nemmeno io.»

«Non gli hai detto che ci sposeremo» le faccio notare risentito.

«No. Ho pensato che dovrei dirlo prima a mia madre e a Ray.»

Annuisco. “Vero.” «Sì, hai ragione. E io… ehm… dovrei chiedere la tua mano a tuo padre...» … a proposito di futuri suoceri.

Scoppia a ridere. «Oh, Christian… non siamo nell’Ottocento.»

“Ma io sono un gentiluomo! A cui piacerebbe tanto scoparti legata, appesa al soffitto, ma un gentiluomo!”

«È un tradizionalista» dico, pensando a Ray. So valutare bene le persone.

«Parliamone più tardi. Voglio darti l’altro mio regalo.»

Ho come l’impressione che voglia sviare il discorso, ma chi se ne frega, io voglio il mio regalo.

«Ti stai mordendo il labbro» dico, e le sollevo il mento per studiarla: è agitata.

Ed è tanto carina.

Mi prende per mano e mi porta in camera, mi lascia in piedi davanti al letto e, da sotto la sua parte, estrae due pacchi dono.

«Due?» chiedo, meravigliato.

Fa un respiro profondo. «Questo l’ho comprato ieri prima del… ehm… dell’incidente. Non sono più così convinta della scelta, adesso.» Mi consegna in fretta il pacco più piccolo. La guardo, perplesso, percependo la sua insicurezza.

«Vuoi davvero che lo apra?»

Annuisce, ansiosa.

Strappo la carta e guardo sorpreso la scatola.

«Charlie Tango» sussurra intimorita.

“Lo vedo: è delizioso!”

È il modellino di legno di un elicottero, con le pale che si azionano a energia solare. Lo apro. «Energia solare» mormoro. «Wow.» Mi siedo sul letto e inizio a montarlo. E in men che non si dica lo assemblo, altro che l’aliante per cui c’è voluta un’eternità. E glielo mostro sul palmo della mano. Un elicottero blu di legno; sì, mi conosce, sa cosa mi piace e sa farmi felice. 

La guardo e penso che è magnifica. 

Poi vado alla finestra per vedere se questa meraviglia funziona. Faccio in modo che la luce del sole colpisca il modellino. Il rotore si mette a girare.

«Guarda!» esclamo, esaminandolo con attenzione. «Cosa possiamo già fare con questa tecnologia!» Lo sollevo all’altezza degli occhi, osservando le pale che girano. Ci sono infinite possibilità di sviluppo e infiniti usi, penso affascinato.

«Ti piace?»

«Ana, lo adoro. Grazie.» La bacio per ringraziarla, poi torno a guardare il mio regalo con le sue piccole pale che girano. «Lo metterò insieme all’aliante nel mio ufficio» dico distrattamente osservando il modellino. Alzo la mano, in modo da oscurare il sole, e le pale rallentano fino a fermarsi.

“Che forza! Mi piace un sacco”.

Lo appoggio sul cassettone e mi volto verso di lei.

«Mi terrà compagnia mentre andiamo a recuperare Charlie Tango.»

«È recuperabile?»

«Non lo so. Lo spero. Mi mancherà, altrimenti. Cosa c’è nell’altra scatola?» le domando. Ora sono davvero curioso.

Adoro i suoi regali. E il pacco che fa bella mostra di sé, piazzato sul letto, è bello grosso.

«Non sono sicura di sapere se questo regalo sia per te o per me.»

«Davvero?» Sono curiosissimo.

Nervosa, mi passa il secondo pacco.

Lo scuoto piano ed entrambi sentiamo sbatacchiare qualcosa di grosso.

La osservo. «Perché sei così nervosa?» le chiedo, divertito.

Si stringe nelle spalle, imbarazzata.  

Arrossisce. Alzo un sopracciglio.

«Mi hai incuriosito, Miss Steele» sussurro. «Devo dire che mi piace la tua reazione. Che cos’hai architettato?» La scruto cercando di scoprire di più attraverso i suoi occhi.

Non dice nulla, ma vedo che trattiene il fiato.

Tolgo il coperchio della scatola e tiro fuori un biglietto. Il resto del contenuto è avvolto nella carta. Apro il biglietto.

Leggo velocemente. Cerco di capire. «Trattarti in modo rude?» domando. Non voglio lasciarmi prendere dall’emozione.

Annuisce e deglutisce.

La guardo diffidente, valutando la sua reazione.

Sto valutando.

E sto pensando al contenuto della scatola.

Strappo la carta azzurra ed estraggo una mascherina per gli occhi, pinze per capezzoli, un dilatatore anale, il mio iPod, la cravatta argentea e, ultima ma non meno importante, la chiave della stanza dei giochi.

Sto valutando. Sto valutando in maniera razionale e del tutto asettica, come quando analizzo uno qualsiasi dei miei affari. Faccio sempre un veloce bilancio preventivo dei pro e dei contro prima di lanciarmi in un affare.

Domando, casomai avessi frainteso: «Vuoi giocare?»

«Sì» risponde, a fior di labbra.

«Per il mio compleanno?»

«Sì.» Potrebbe essere più flebile la sua voce?

Volutamente non mi sono lasciato invadere dalle emozioni, non posso permettermi nulla d’impulsivo.

E poi, devo godermi il momento.

Devo godermi il trionfo.

«Sei sicura?» chiedo preoccupato. “Preoccupato di che? Non eccederò, non eccederò mai più”.

«Non la frusta, o cose del genere.»

«Questo l’ho capito.»

«Sì, allora: sono sicura.»

Scuoto la testa e guardo il contenuto della scatola.

«Sesso folle e insaziabile. Bene, credo che possiamo fare qualcosa con tutto questo» mormoro, quasi più a me stesso. Ho compiuto la mia analisi preventiva e rimetto gli oggetti nella scatola.

Lascio che l’onda di desiderio che ho ingabbiato fino ad ora mi avvolga e mi trascini nella sua risacca.

Dentro di me il trionfo, pieno completo e totale, pervade ogni più piccolo recesso del mio IO. Esulto perché l’ho sempre saputo che avrei ottenuto questo, che me lo avrebbe chiesto lei. Sapevo che lei si sarebbe assoggettata alle mie voglie.

Alzo il capo.

«Adesso» ruggisco. Sento il sangue che ribolle nelle vene e le viscere che si contraggono dentro al mio ventre.

«Vieni!» le ordino e le porgo la mano. “Sì, sì, sì. Sì!” Godo!

Lei mette la sua mano nella mia. Godo.

Finalmente!

Di sopra, nella Stanza Rossa, il Raffinato Signore solleva il sopracciglio, distrattamente si alza, si guarda intorno… è finita la sua attesa. 


CAPITOLO 23


Ok, andiamo. Mi fermo fuori dalla stanza dei giochi.

«Sei sicura di volerlo fare?» chiedo, devo essere sicuro.

«Sì» mormora intimidita.

«C’è qualcosa che non vuoi fare?» domando.

Sbarra gli occhi. «Non voglio che mi scatti fotografie» mi dice.

“Come? Che significa?” mi domando. Vorrei chiedere a lei, ma soprassiedo, non voglio guastarmi il momento, però non mi piace questa sua affermazione: è scattato un campanello d’allarme.

«Okay» rispondo dubbioso.

“Non voglio pensarci… non devo pensarci…” mi ripeto ossessivo. Dentro me so che significa qualcosa di poco piacevole, ma accantono per godermi il momento… lei… qui…

Chiudo a chiave. Chiudo fuori il mondo e il semplice gesto di isolarla dal resto dell’universo mi riempie di una gioia nuova, mai sperimentata, amplificata dal desiderio intenso che sempre mi pervade in questa stanza.

Poso la scatola del regalo sul cassettone, estraggo l’iPod, lo accendo, lo collego allo stereo; le ante di vetro scuro scivolano aprendosi silenziosamente. Premo alcuni bottoni e il rumore di un treno della metropolitana riecheggia nella stanza. Abbasso il volume, tanto che il lento e ipnotico ritmo elettronico che segue diventa musica d’ambiente, la voce è dolce e roca e il ritmo è misurato, deliberatamente… erotico: perfetta!

“Sì: perfetta per fare l’amore… e qualcosa di più” penso eccitato, ma sono totalmente controllato. Mi volto a guardarla, ferma al centro della stanza, avvolta nella seta della mise da notte. Si morde il labbro; lo fa sempre quando è agitata. Ed è un segnale erotico che comunica direttamente al mio inguine un messaggio e stimola pensieri poco limpidi.

Mi avvicino, lento, le tiro il mento in modo che smetta di mordersi il labbro.

«Che cosa vuoi fare, Anastasia?» le poso un casto bacio all’angolo della bocca.

«È il tuo compleanno. Qualsiasi cosa tu voglia» sussurra.

Le accarezzo il labbro inferiore con il pollice e intanto penso che davvero la voglio in ogni modo possibile.

«Siamo qui perché pensi che io voglia essere qui?»

Devo sapere se lo sta facendo solo per me oppure anche lei desidera essere qui. So che anche lei, in cuor suo, lo vuole quasi quanto me, ma non voglio ombre.

«No. Anch’io voglio essere qui» conferma.

Assaporo la sua risposta.

O meglio… quella parte di me che attende dal giorno che è fuggita via correndo, assapora.

Assapora il trionfo.

Il Raffinato Signore è di nuovo padrone dell’universo, un universo racchiuso tra quattro pareti, è vero, ma che hanno confini così labili da estendersi in oscuri mondi.

«Oh, ci sono tante possibilità, Miss Steele. Iniziamo con lo spogliarti.»

Tiro la cintura della  vestaglia, in modo che si apra e riveli la camicia da notte di seta.

Faccio un passo indietro e mi seggo sul divano Chesterfield.

«Svestiti. Lentamente» ordino e pregusto lo spettacolo.

Deglutisce più volte, stringe impercettibilmente le cosce, poi inizia il suo show. Per me.

Mi passo l’indice sulle labbra, mentre la contemplo e la osservo scostare appena le spalline sottili della camicia da notte; mi fissa, poi le lascia cadere. La veste le scorre addosso in morbide onde, raccogliendosi ai suoi piedi, come un tributo. È completamente nuda, ansimante, pronta per me.

Mi meraviglia.

È così bella che provo meraviglia.

Questa giovane donna meravigliosa mi appartiene.

È di una bellezza da mozzare il fiato e si offre a me. È un’offerta da immolare sull’altare delle mie perversioni, lo so. E lo accetto con infinito piacere.

 Mi alzo,  raggiungo il cassettone e prendo la mia cravatta.

Voglio “decorarla”, devo renderla ancora più sensuale per assaporare fino in fondo il momento. Voglio “vestirla” di carnalità, per eccitarmi ancor di più.

Impercettibilmente muove le mani  a offrirmi i polsi, come la prima volta.

No. Non è questo ciò che voglio. “Non voglio legarti i polsi: voglio legare te!”

«Credo che tu sia poco vestita, Miss Steele» mormoro.

Le metto la cravatta intorno al collo ed eseguo un nodo Windsor. Stringo.

Le sfioro la base del collo e una corrente elettrica mi attraversa.

La ricaccio indietro.

Lascio lunga l’estremità più larga della cravatta, cosicché la punta accarezzi il suo pube.

«Stai molto bene, Miss Steele» e mi chino per baciarla delicatamente sulle labbra. «Che cosa ne facciamo di te, adesso?» chiedo.

“Oh, so perfettamente che fare” e strattono il “guinzaglio” per attirarla tra le mie braccia.

Le afferro i capelli dietro la nuca e strattono, forte, per tirarle indietro il capo e impossessarmi delle sue labbra.

Le infilo la lingua in bocca, come sempre ho fatto da che sono diventato un Dom, con ciascuna di loro, primo passo per stabilire il mio possesso. “Usa la lingua come un’arma, inclemente e implacabile” ricordo ancora, chiare e vivide le parole di Elena.

La mia mano percorre la sua schiena nuda fino ad arrivare al suo sedere. Stringo forte una natica, strizzo con tutta la forza delle mie mani. Sussulta e io godo. Sento che il sangue scorre veloce, lo sento pulsare, me lo sento in bocca.

“Basta!”, non posso continuare oltre il mio assalto. “È inutile, voglio già scopare. Con lei è così: non me ne frega un cazzo di tutto il resto… la voglio scopare”. Urgentemente. “Dovrei prima scoparla e poi portarla qui a giocare… Potrebbe essere un’idea… solo che dopo sono così sereno che ho voglia solo di baci… e di ricominciare a scopare… è un circolo vizioso”  mi dico.

Tuttavia questa stanza non ha perso le sue attrattive, anzi. Il mio desiderio sta montando sempre più feroce, la voglia di sperimentare i suoi orizzonti e farle conoscere i  miei cresce a dismisura.

Così mi rilasso e procedo.

Mi stacco.

«Girati» ordino e lei obbedisce. Sfilo i capelli imbrigliati nella cravatta e li intreccio. Li lego.

La treccia, lei non lo sa, non è altro che un attrezzo che serve a stabilire il dominio. Serve a tirare, imbrigliare, guidare, legare e anche a sostenere. E a farle provare dolore.  

La treccia è un’alleata.

Do uno strattone così la guido, la comando e al contempo, velatamente, ne spiego l’uso…

Le faccio sollevare la testa. Riesco a vedere il suo bellissimo viso e, attratto, affondo le labbra nel suo collo profumato.

Sono completamente immerso dentro di lei e nel gioco che mi ha voluto regalare.

Accetto anche questo suo dono, ma non voglio abusarne – sarebbe così facile – per non precludermi l’altro mio dono… lei, tutta lei per sempre.

«Hai dei capelli bellissimi, Anastasia» mormoro e le bacio la gola. «Devi solo dirmi di fermarmi. Lo sai, vero?» sussurro contro il suo collo.

Annuisce, ad occhi chiusi, e mi godo lo spettacolo di lei che si offre.

La faccio girare e strattono la cravatta.

È un guinzaglio, l’umiliante decoro di un gioco delle parti indossato da ogni brava sottomessa, ma lei non lo sa. Io sì.

«Vieni» dico, tirando leggermente e la conduco vicino al cassettone dove ci sono gli altri oggetti a nostra disposizione. «Anastasia, questi oggetti,» le mostro il dilatatore anale, «questo è di una misura troppo grande. Come vergine anale, non vuoi iniziare con questo. Vogliamo iniziare con questo.» Sollevo il mignolo e lei sussulta, sconcertata dalla consapevolezza che infilerò le mie mani dentro. Solo il pensiero basta a farmi partire a razzo verso il “Paradiso Privato del Dominatore”, il luogo segreto dove si approntano i banchetti più succulenti.

Il Raffinato Signore annuisce compiaciuto, sicuro che finalmente sarà soddisfatto, perché il suo gioco, finalmente, è cominciato.

Già solo la parola “vergine” solletica i miei ricordi e ripenso alla nostra prima volta: non lascerò che il mastino che sta sbavando di nuovo in me si sleghi dalla catena e infierisca, togliendomi il piacere di gustarmi a pieno la deflorazione. Questa volta, no! Farò piano, un po’ per volta  e preparerò accuratamente il suo corpo a ricevermi. A ricevermi in toto.

“Cazzo, sto divagando! Rimani concentrato, Grey, altrimenti la fotti dietro più veloce della prima volta!”  Probabilmente questo è solo l’ammonimento che il Signore Ben Poco Raffinato mi sta urlando all’orecchio per non perdersi il suo gustoso banchetto.

«Solo un dito…» spiego, spiego ad entrambi. Questo è il limite che mi prefiggo oggi: questa è la prima volta, per lei ma anche per me.

«Queste sono troppo strette.» E le mostro le pinze per i capezzoli. «Useremo queste.» E prendo le pinze regolabili. «Si possono regolare» spiego. Davvero non voglio farle male, desidero che capisca quanto è bello tutto questo, ma non posso cominciare facendole male.

«Chiaro?» domando, mi sta guardando con gli occhi sgranati.

«Sì» sussurra, deglutendo a fatica. «Mi dirai che cosa intendi farmi?»

«No. Me lo inventerò via via. Non è una recita, Ana.»

«Come devo comportarmi?»

«Come vuoi.»

«Ti aspettavi il mio alter ego, Anastasia?» domando ironico, ma so che lui è qui, accanto a me.

«Be’, sì. Mi piace» mormora.

“Uhmm…” Ecco, sono davvero compiaciuto. “Non finirai mai di stupirmi, Miss Steele!”  e le accarezzo una guancia.

In realtà il Raffinato Signore non è stupito, lo sapeva perfettamente, che sarebbe finita così.

Sospiro e faccio scorrere il pollice sul suo labbro inferiore.

Poi parlo: «Sono il tuo amante, Anastasia, non il tuo Dominatore. Amo sentirti ridere e ridacchiare come una bambina. Mi piace quando sei rilassata e felice, come nelle foto di José. Questa è la ragazza che è capitata nel mio ufficio. La ragazza di cui mi sono innamorato» confesso. «Ma, detto questo, mi piace anche essere duro con te, Miss Steele, e il mio alter ego conosce un paio di trucchetti. Dunque, fa’ come ti viene detto e voltati.» La guardo e lei ansima. “Bene, funziona anche con lei!”

Obbedisce. Si volta e io prendo delle manette di cuoio dalla cassettiera e un dilatatore di metallo che ha anche la prodigiosa funzione di vibrare, una volta che lo si fa scattare: l’ho scovato apposta per lei, sono certo che gradirà.

«Vieni» ordino e tiro la cravatta, guidandola verso il tavolo. “Ora la faccio salire sul tavolo e me la godo” penso eccitato dal solo fatto di averla “alla catena”.

«Voglio che tu ti metta in ginocchio qui sopra» dico quando siamo accanto al tavolo.

La sollevo per depositarla sul tavolone.

Pregusto.

Lei si mette in ginocchio davanti a me, da brava sottomessa, con grazia innata.

Ora siamo occhi negli occhi.

Stranamente… sono emozionato.

Faccio scorrere le mani sulle sue cosce, le afferro le ginocchia, le divarico e rimango in piedi davanti a lei.

Sono in erezione.

Sono in erezione già da prima di entrare, solo che ora si sta facendo sentire in maniera prepotente. E non è una cosa usuale, io so dominare un’erezione… solo con lei.

«Braccia dietro la schiena. Ti legherò i polsi» annuncio.

Estraggo dalla tasca le manette di cuoio e le giro intorno.

Ci siamo.

La sua vicinanza è eccitante.

Questa donna sarà mia moglie. Il mio animo esulta.

Ho un  momento d’incertezza, inebriato dalla sua vicinanza e dalla felicità che mi procura il pensiero di averla per sempre. Lei ne approfitta, fa scorrere le labbra schiuse sul mio mento, mi lecca delicatamente accendendo i miei sensi, facendomi desiderare… l’amore. Rimango immobile, chiudo gli occhi. Smetto di respirare per resistere e mi tiro indietro.

«Smettila. Oppure tutto questo finirà molto più in fretta di quanto entrambi desideriamo» la avverto.

Per un momento, penso che dovrei punirla, punirla… di concedermi la felicità.

Sorrido.

«Sei irresistibile» dice, imbronciata.

«Lo sono adesso?» ribatto secco, con il mio tono più duro.

Annuisce.

«Bene. Non distrarmi, oppure ti imbavaglierò.»

«Mi piace distrarti» sussurra. Mi sta provocando. Sa che non la punirò e mi sta provocando.

«Oppure ti sculaccerò» annuncio.

Sorride con tutta la malizia di cui è capace nascosta negli occhi. Non le faccio paura, non le faccio più paura. E mi sorprendo a constatare che ne sono felice.  Mi sorprendo a constatare quello che avevo già capito da un pezzo: NON SONO PIU’ ARRABBIATO. Mi piace ancora tutto questo. Mi piace da morire, ma non c’è più rabbia in me.

«Comportati bene» brontolo, faccio un passo indietro, e la guardo mentre mi percuoto il palmo della mano con le manette di cuoio. È un implicito avvertimento, mi piacerebbe sculacciarla, anche se col suo bel culo… beh, voglio farci dell’altro.

L’ha chiesto lei, “regalandomi” il dilatatore anale.

Lei cerca di fare un’espressione contrita. Non ci riesce.

 Mi sto divertendo.

«Così va meglio» dico e mi protendo per provocarla.

Non cede, peccato!

Le unisco i gomiti dietro la schiena legandoli con le manette. È completamente in mio potere, bloccata.  Inarca la schiena e  spinge in avanti il seno.

“Dio, quanto è bella!”

Indietreggio di un passo per ammirarla.

“Dio, quanto sei bella, Ana!”

«Ti senti bene?» domando.

So che dirà di sì.

Annuisce.

 «Bene.» Tiro fuori la mascherina per gli occhi dalla tasca posteriore dei pantaloni.

«Penso che tu abbia visto abbastanza» mormoro.

Meglio chiuderle quegli occhi di cielo, se voglio godermela tutta fino in fondo.

Sarà anche meglio toglierle la cravatta per non ungerla, non voglio rovinarla, mi piacerebbe indossarla… sì, se l’abito lo richiederà, mi piacerebbe indossarla per il matrimonio.

Sì.  

«Non voglio rovinare la mia cravatta preferita» mormoro.

Sciolgo il nodo e la sfilo lentamente.

Mi avvicino al cassettone, intanto sbottono i jeans e tolgo la t-shirt. Prendo l’olio profumato, me lo verso sulle mani e comincio a sfiorarle il viso, le guance, giù per la mascella, seguendo il profilo del mento. Sento il suo corpo tendersi, mentre la mia carezza passa al collo e più giù  scivola morbida sulla gola, attraverso la clavicola e quindi sulla spalla. 

Continuo la mia lenta, viscosa carezza e finalmente arrivo ai suoi seni eccitati, bramosi delle mie carezze, lo vedo dai suoi capezzoli ritti e turgidi, ma gli giro intorno, evitandoli.

 Inarca il corpo per incontrare la mia mano e farsi toccare, ma io la faccio scendere lungo i fianchi, in un movimento misurato, al ritmo con la musica.

Geme.

«Sei così bella, Ana» e le mie parole escono di getto, la mia bocca vicina al suo orecchio.

Solo ieri ho pensato di non rivederla più…

Ho pensato che non mi volesse più, una volta conosciuti i miei segreti.

Ho pensato che mi avrebbe lasciato, spaventata da una pistola puntata…

Invece è qui.  

E sarà mia moglie.

Continuo il massaggio sul suo corpo.

«E presto sarai mia moglie, una moglie da possedere e da curare» sussurro. «Da amare e da proteggere. Con il mio corpo, io ti venero».

Piega la testa all’indietro e geme, mentre le mie dita trovano il suo clitoride nascosto.

«Mrs Grey» mormoro, mentre scavo per trovare la mia via.   “Uhm, come suona bene, Mrs Grey…”.

Geme.

«Sì» dico mentre continuo a stuzzicarla. «Apri la bocca.»

Ansima, ha già la bocca aperta. L’apre ancora di più e le infilo il dilatatore tra le labbra. Ha la forma di un grosso succhiotto per bambini, con piccole scanalature, intagli, e una catenella alla fine.

«Succhia» ordino. «Te lo infilerò dentro. Succhia» ripeto e smetto di massaggiarla. Cerco di trattenermi, ma non resisto, afferro i suoi  seni a mo’ di coppa. «Non smettere di succhiare» ordino.

Succhiando lo scalda e al contempo si eccita.

Pizzico dolcemente, stringendoli tra il pollice e l’indice, i suoi capezzoli che  si induriscono e si allungano sotto il mio tocco. «Hai un seno così bello, Ana» mormoro e mi gusto i suoi capezzoli ritti, stretti tra le mie dita. Voglio vederli decorati.

Geme.

La sfioro di nuovo con le labbra e arrivo la seno, mordicchiando e succhiando, e tracciando un sentiero fino al capezzolo. Le mani mi servono libere e  preparo le pinze, applico la prima proprio dove la mia lingua sta disegnando umidi cerchi.

Sussulta, solo un po’.

«Ahi!» Il lamento le esce confuso, per via dell’oggetto che ha in bocca. Continuo a leccare per distrarla e applico l’altro.

Geme sonoramente: è un suono che parla direttamente al mio membro che ha un fremito.

«Sentilo!» dico. «Dammi questo» e tiro leggermente il dilatatore di metallo che ha in bocca, e lei lo lascia andare. Lascio di nuovo che le mie mani scorrano su di lei.  Prima di versarmi altro olio sulle mani mi sfilo i jeans, sono  nudo. In erezione.

Insinuo le dita unte fra le sue natiche per farmi strada verso luoghi ancora inesplorati.

Sento che il suo corpo si irrigidisce, ormai conosco ogni sua minima reazione: conosco i suoi timori, il suo piacere, i suoi dolori… ora posso usare il suo corpo a mio piacimento.

In pochi giorni il suo corpo mi ha svelato i suoi segreti.

Ora so quando fermarmi e fin dove spingermi… sarà un bel viaggio… in compagnia di una sirena.

“Mio Dio, è bellissima!” penso estasiato ed eccitato come non mai. Ammiro il suo corpo statuario inginocchiato sul mio tavolo, reso iridescente e luminoso dall’olio profumato, i capezzoli, incatenati e torturati, tesi allo spasmo, le sue labbra rosse sono una ciliegia succulenta lievemente dischiusa, pronta ad offrire baci. “È una visione celestiale, qui, davanti a me, a sospirare” penso e la ammiro inginocchiata e imbrigliata dalle fasce di cuoio che le costringono i gomiti. “Cazzo, se mi piace! Voglio proprio godermela tutta” mi ripeto sfiorandole il solco dei glutei. Sento il suo magnifico corpo contrarsi.

«Ssh, tranquilla» le sussurro nell’orecchio e le bacio il collo, mentre le mie mani disegnano trame tra le sue gambe. Quando le mie dita entrano dentro, lei geme forte di piacere.

«Metterò questo dentro di te» spiego. «Non qui» e  le mie dita le accarezzano tra i glutei, spalmandoli di olio. «Ma qui.» Muovo le dita in circolo, ripetutamente, dentro e fuori, colpendo la parete anteriore della vagina. Geme e i suoi capezzoli imprigionati si gonfiano regalandomi una sferzata al cazzo.

«Ah.»

«Zitta ora.»

Tolgo le dita e riempio il vuoto con il dilatatore.

Voglio farla godere, voglio per me tutto il suo piacere, voglio donarle il mondo, un mondo fatto di orgasmi esplosivi. Lo so fare e desidero che lei provi più piacere di tutte quelle che sono passate di qua… più di chiunque: lo so fare, ora posso.

Ma prima mi concedo un bacio sulle sue belle labbra boccheggianti, le prendo il viso tra le mani, gli occhi bendati,  e le infilo la lingua in bocca per assaggiare il suo sapore.

“Uhm, buono” ma non mi lascio distrarre e proseguo il mio compito, faccio scattare il dilatatore che inizia a vibrare dentro di lei.

Sussulta. «Ah!»

«Tranquilla» le dico dentro la sua bocca. Sempre con la lingua a leccare la sua, tiro le pinze, per farle male. Grida, forte, dentro la mia bocca e io mi godo il piacere immenso del suo dolore che si riverbera sulle mie labbra, concedendomi un istante di puro delirio erotico.

«Christian, per favore!»

«Ssh, piccola. Abbi pazienza.» So che non mi sta chiedendo di smettere. So che non è per morso di dolore che mi sta implorando –  perché mi sta implorando – lei vuole, ma non sa che cosa. E io sono qui per mostrarglielo, per farle capire che cosa desidera in realtà.

«Brava bambina» la rassicuro e ammiro il suo corpo che freme, scosso da tanti stimoli diversi. So, e lo so perché l’ho provato, che sta godendo come non mai.

«Christian» ansima disperata.

«Ssh, sentilo, Ana. Non avere paura.»

“Cancella la paura, Ana, e ascolta il piacere.” 

Attendo che la paura passi e lei si concentri sulle sensazioni che il suo corpo sta provando. Grazie a me, che sono il suo Signore… suo Marito…

Suona bene… Mrs Grey…

Io mi concedo il mio, di piacere, mi diletto a toccarla, palparla, averla con la piena consapevolezza del possesso: è mia. MIA!

È mia per sempre, lo ha promesso.

È una promessa che vale più di mille contratti.

MIA!

Infilo le mani nel suo sedere, mi piace da morire e non vedo l’ora di godermelo fino in fondo, ma non oggi. Non eccederò, anche se sarebbe davvero un regalo di compleanno indimenticabile.

No, il mio regalo è “lei” e “lei qui”, “lei qui per me”, che lo vuole, che si offre a me con fiducia. Nessun regalo più superarlo.

 «Sei così bella» gemo e spingo un dito unto dentro di lei, dietro,  e affondo, piano, nel suo sedere, godendomi il possesso totale sul suo corpo. Perché di questo si tratta, possedere il suo corpo a mio esclusivo e totale piacimento, questo è il regalo.

Godo!

Muovo il mio indice dentro e fuori e afferro il suo mento con i denti, torturandolo e giocando con il mio giocattolo nuovo.

E sì, non ho mai avuto niente di simile prima, niente che le sia anche solo lontanamente paragonabile, perché non solo mi ha concesso il suo corpo ma mi ha regalato il suo bellissimo cuore e mi ha donato la sua anima.

Per me.

Per me…  

«Sei così bella, Ana.»

Le mie parole sono il segnale e lei viene, torturata, scossa da brividi e tremori.

Io continuo il mio assalto dietro, entrando e uscendo.

«Ah!» grida e io la stringo forte, per godermi il suo corpo pulsare tra le mie braccia e per sostenerla. «No» urla, supplica, sta ancora godendo. Non voglio che lo stimolo diventi fastidio, voglio che assapori fino in fondo il piacere e sfilo il vibratore. E anche il dito.

Continua a tremare. Sgancio una delle manette e il suo braccio cade in avanti. La sua testa ciondola sulla mia spalla, sé sfibrata.

La porto a letto, ora voglio la mia parte, e la adagio sulle lenzuola di raso fresche. Comincio a massaggiarla, il retro delle cosce, le ginocchia, i polpacci e le spalle. Mi stendo al suo fianco e tolgo la mascherina, le sciolgo la treccia e la bacio.

La musica è cessata e posso sentire il suo respiro che torna regolare e per l’ennesima volta dico: «Sei così bella» e finalmente apre i suoi occhioni azzurri e li pianta nei miei. «Ciao» dico.

Rantola in risposta.

«È stato abbastanza rude per te?» chiedo ridendo.

Annuisce e mi sorride. «Credo che tu abbia tentato di uccidermi» borbotta.

«Morte per orgasmo. Ci sono modi peggiori per andarsene»  dico, ma immediatamente mi viene in mente Charlie Tango.

Anche a lei e mi accarezza il volto. «Puoi uccidermi così ogni volta che vuoi» sussurra.

Le bacio la mano e la guardo deliziato:  la desidero così tanto, desidero così tanto che mi tocchi e lei mi sta baciando, delicatamente, trattenendo il mio viso tra le mani come fossi una cosa preziosa… preziosa per lei.

Rispondo al bacio, poi mi fermo. «Questo è ciò che voglio fare» mormoro e frugo sotto il cuscino alla ricerca del telecomando dello stereo. «Voglio fare l’amore con te» le dico. Ed è ciò che voglio, qui, ora, sempre.

Siamo solo io e lei, senza rabbia… solo piacere… nessun fantasma, nessuna oscura presenza che giunge dal passato a guastarmi il presente: sono libero. Con lei sono libero e non ho bisogno di nessuna torbida vendetta per godere.

E mi perdo in lei, in questo… sì, lo dico lo dico, amore. Amore. Cerco il piacere, annego, affogo dentro di lei.

Riemergo dal mio orgasmo con la voce di Roberta Flack  che cantilena “The First Time Ever I Saw Your Face”.

La stringo forte, seduta di fronte a me, sulle mie gambe, a cavalcioni e me la stringo al cuore.

La amo.

La amo tantissimo.

Quando guardo il suo volto è rigato di lacrime. Sono ancora dentro di lei, ancorato a lei. «Ehi. Perché stai piangendo?» chiedo preoccupato.

«Perché ti amo così tanto» sussurra.

Le sue parole sono una sferzata, un onda che mi invade e mi riempie, mi colma.

“Lo so” sento una voce che erompe dal profondo. “Lo so!”  

«E tu, Ana, mi fai sentire… intero» dichiaro.

Me la bacio, il mio meraviglioso regalo, mentre Roberta Flack finisce la sua canzone.

Abbiamo parlato, parlato, parlato, seduti sul letto della stanza dei giochi, lei sulle mie ginocchia, le nostre gambe intrecciate. Il lenzuolo di raso rosso è drappeggiato intorno a noi come un involucro regale, e non ho idea di quanto tempo sia passato. Ana sta imitando la sua amica Kate durante il servizio fotografico all’Heathman.

Lei mi fa anche ridere.

«E pensare che avrebbe potuto essere lei a venire a intervistarmi. Ringrazio Dio per quel banale raffreddore» dico e bacio il naso.

«Credo che si trattasse di influenza, Christian» mi rimprovera e fa  scorrere pigramente il suo indice tra i peli del mio torace. Non c’è paura in me, nessuna tensione, è diventato normale che lei mi tocchi.

«Le verghe sono scomparse» dice.

Le scosto i capelli dal viso dietro l’orecchio. «Pensavo che non avresti mai superato quel tuo limite assoluto.»

«No, penso che non ce la farò» sussurra con gli occhi sgranati.

Poi si gira ad osservare le fruste, gli sculacciatori, i flagellatori allineati sulla parete opposta. Seguo il suo  sguardo. «Vuoi che elimini anche quelli?»

«Non il frustino… quello marrone. O quel flagellatore con le frange di pelle scamosciata» dice arrossendo.

«Okay, il frustino marrone e il flagellatore. Oh, Miss Steele, sei piena di sorprese.»

«Come te, Mr Grey. È una delle cose che amo di te» e mi posa un bacio delicato all’angolo della bocca.

«Cos’altro ami di me?» voglio sapere tutto  e voglio ricevere complimenti.

«Questa.» Mi accarezza la bocca con un dito. «Amo questa e quello che ne viene fuori, e quello che mi fai con lei. E poi ciò che c’è qui dentro.» Mi accarezza una tempia. «Sei così brillante, arguto, preparato, competente in così tante cose. Ma più di tutto amo quello che c’è qui.» Sospiro piano, beandomi delle sue parole, delle sue ammissioni.

Sono così felice della sua stima, la tengo in gran conto.

Preme il palmo della mano contro il mio petto, lei può, e credo possa sentire il battito del mio cuore. «Sei l’uomo migliore che abbia mai incontrato. Quello che fai… come lavori… incute un timore reverenziale» sussurra.

“L’uomo migliore?” ecco, ora sono davvero stupito.

«Un timore reverenziale?» chiedo. Sono sconcertato. Imbarazzato. Vorrei abbracciarla solo per non sentire più questo imbarazzo e lei si lancia su di me, accontentandomi,  e mi affoga nel suo abbraccio.

 

Sono al telefono con Portland per il recupero di Charlie Tango. Taylor è con me. Charlie Tango è stato localizzato e c’è già sul posto una squadra di recupero, dovrebbe rientrare al Boeing Field in nottata.

Ho lasciato Ana in cucina che prepara il pranzo.

Sono ancora al telefono e arriva una mail.

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 18 giugno 2011 13.12

Oggetto: Pranzo

Caro Mr Grey, ti sto mandando una mail per informarti che il tuo pranzo è quasi pronto.

E che il sesso che ho fatto stamattina era incredibile e perverso.

Il sesso perverso dovrebbe essere raccomandato il giorno del

compleanno.

E, un’altra cosa… ti amo.

A X

(la tua promessa sposa)

 

Oh, mancava giusto il biglietto di auguri! Bene!

Rispondo immediatamente.

 

Da: Christian Grey

A: Anastasia Steele

Data: 18 giugno 2011 13.15

Oggetto: Sesso perverso

Quale aspetto è stato più incredibile?

Sto prendendo appunti.

Christian Grey

Amministratore delegato, Affamato e Deperito dopo gli Esercizi Mattutini, Grey Enterprises Holdings Inc.

PS: Adoro la tua firma.

PPS: Cos’è successo all’arte della conversazione?

 

Come mi piace messaggiare con lei!

 

Da: Anastasia Steele

A: Christian Grey

Data: 18 giugno 2011 13.18

Oggetto: Affamato?

Caro Mr Grey,

posso attrarre la tua attenzione sulla prima riga del mio precedente messaggio, che ti informava che il tuo pranzo è praticamente pronto…? Perciò basta con tutte queste sciocchezze su fame e deperimento. Riguardo agli aspetti incredibili del sesso perverso… francamente… tutti. Sarei interessata a leggere i tuoi appunti. E anche a me piace la mia firma tra parentesi.

A X

(la tua promessa sposa)

PS: Da quando sei così loquace? E sei al telefono!

 

Non resisto e corro di là, da lei.

Alza lo sguardo dai fornelli e mi vede.

Giro intorno al bancone della cucina, la prendo tra le braccia e le schiocco un sonoro bacio.

«Questo è tutto, Miss Steele» dico e la lascio per tornare al mio lavoro.

Devo chiamare per organizzare.

Ho le idee molto chiare su ciò che voglio per lei, mi è bastata una telefonata per avere ciò che desidero.  Andrea è davvero preziosa, è praticamente tutto pronto per stasera e ha già consegnato l’anello a Mia.

Devo concordare tutto anche con lei.

La chiamo.

Spero che riesca a mantenere il segreto solo un po’, giusto il tempo che riesca la sorpresa. Per lei… tutto!

«Limitati a farli entrare e lasciali soli. Hai capito, Mia?» sibilo irritato. «Bene.» Alzo gli occhi: “Eccola! Bella!”

Mi guarda e mima l’azione di mangiare, le sorrido e annuisco.

«Ci vediamo dopo.» Riaggancio. «Un’altra telefonata?» “Me la concedi, un’altra telefonata?”

«Certo» accorda.

«Quel vestito è molto corto» osservo con disappunto.

«Ti piace?» Fa una giravolta veloce davanti a me per farsi ammirare.

«Sei fantastica, Ana. È solo che non voglio che nessun altro ti veda così.» Sono davvero gelosissimo.

«Ah!» Mi guarda severa. «Siamo a casa, Christian. Non c’è nessuno a parte il tuo staff.»

“Ecco! Bastano.”

Se ne va. E io mi accingo a fare “la telefonata”.

Cerco in rubrica Rey Steele e chiamo.

“Cazzo, sono agitato” constato. “IO!”

«Pronto, buongiorno Mr Steele, sono Christian. Christian Grey» specifico.

«È successo qualcosa ad Ana?» domanda spaventato.

«No, no» mi affretto a rispondere. Sono imbarazzato, che cosa si dice al proprio futuro suocero? «Mr Steele…»

«Rey».

«Rey, ti ho chiamato per chiederti la mano di tua figlia Anastasia» dico tutto d’un  fiato.

Silenzio.

«Ti ringrazio, Christian, anzi sono colpito, favorevolmente colpito, ma… Anastasia ha accettato?» domanda.

«Sì, ha accettato di diventare mia moglie» confermo.

«Io…» comincia Rey incerto. «So che sei un bravo giovane, penso di saper valutare le persone anche dopo poche parole. Ti ringrazio per questa telefonata, sei un uomo serio e per bene. Però lei è mia figlia, Christian. È poco più di una bambina... il matrimonio è un passo importante, non qualcosa da prendere alla leggera. Vi conoscete solo da pochi giorni… Vorrei parlare con lei ora, se non ti dispiace» dice poi, lasciandomi nell’incertezza.

«Certo» rispondo e vado di là con il telefono in mano. «C’è Ray in linea per te» mormoro, porgendo la cornetta a Ana che mi guarda prima sospettosa poi guardinga.

Senza fiato,  prende il telefono e copre il microfono.

«Glielo hai detto?!» sibila. Annuisco, lievemente preoccupato dal suo sguardo angosciato.

“Merda!”

Fa un respiro profondo. «Ciao, papà.»

Posso indovinare che cosa gli stia dicendo Rey.

«Che cosa ne dici?» chiede al padre.  

Attendo la voce di Ana.

«Sì. È una cosa improvvisa… Rimani in linea» dice e si allontana da me. Vorrei tanto seguirla per ascoltare la sua conversazione ma le lascio la sua privacy e la guardo mentre esce  sul terrazzo.

No, non resisto. Mi avvicino quel tanto per udire la sua voce che dice: «So che è una cosa improvvisa e tutto il resto… ma… be’, io lo amo. Lui ama me. Mi vuole sposare, e non ci sarà mai nessun altro per me.»

“Non ci sarà mai nessun altro per me”, “non ci sarà mai nessun altro per me”, “non ci sarà mai nessun altro per me”… le sue parole riecheggiano in me e mi confortano.

“Neanche per me ci sarà mai un’altra, Ana. MAI!”

Non sono stupito dalla reazione di Rey, è fatto come sua figlia, o è Anastasia che è come lui: non gliene frega un acca dei miei soldi, pensa solo al suo bene e alla sua felicità.

«Lui è tutto per me» sento anche e mi si scioglie qualcosa dentro. Sono davvero felice.

«Certo, papà» dice. «Mi accompagnerai all’altare?» chiede. «Grazie, papà. Ti passo Christian. Sii gentile con lui. Lo amo» sussurra. Io indietreggio per non farmi sorprendere a origliare, sta rientrando, mi passa di nuovo il telefono con uno sguardo feroce.

Prendo il telefono e torno nel mio studio.

«Ana è convinta della sua scelta» mi dice Rey riluttante. «Se lei è felice, io sono felice».

“Anche io sono felice” penso. «Non è un colpo di testa, è una scelta ponderata, sia da parte mia che da parte sua».

«Questo l’ho capito» concede Rey. «Annie è una ragazza molto responsabile, non è tipo da colpi di testa» conferma. «E anche tu, stando ai gossip… come potrai capire, mi sono informato. E potrai comprendere le mie perplessità…»

«Sì, ma io la amo. » lo interrompo. «Non ci sarà un’altra, per me. È inutile aspettare. La amo sul serio».

«Se è così… Trattamela bene: avete la mia benedizione, ragazzi». Sospira, tace un istante. «Sei un uomo fortunato».

«Lo so, signore». E lo saluto.

Metto giù e torno da Ana.

«Ho la benedizione un po’ riluttante di tuo padre» dico orgoglioso e soddisfatto.

Sorrido. È come se avessi appena negoziato un’importante fusione, o un’acquisizione. La più importante della mia vita. Suppongo che sia così.

Beh, ho fame e si sente un profumo.

Salmone.

«Accidenti se cucini bene!» dico sollevando il bicchiere di vino bianco verso di lei, mentre gusto il mio ultimo boccone.

 Lei è perfetta, sarà tutto perfetto…

Un pensiero molesto mi passa per la mente.

«Ana?» domando. «Perché mi hai chiesto di non farti delle foto?»

Lei fisso il suo piatto vuoto, torcendosi le dita in grembo. È imbarazzata.  

«Ana» la esorto cupo. «Cosa c’è?»

Sobbalza.

È grave.

«Ho trovato le tue foto» sussurra spaventata.

“Come cazzo ha fatto ad aprire la cassaforte?”  

«Hai guardato nella cassaforte?» chiedo incredulo e dispiaciuto.

«Cassaforte? No. Non sapevo che avessi una cassaforte.»

«Non capisco.» “Ma che cazz…”

«Nella cabina armadio. La scatola. Stavo cercando una tua cravatta, e la scatola era sotto i jeans… quelli che di solito indossi nella stanza dei giochi. A parte oggi.»

Avvampa imbarazzata.

Io invece sono annichilito.

Può voler dire una cosa sola: Leila.

La guardo a bocca aperta, e nervosamente mi passa una mano tra i capelli mentre prendo atto di quest’informazione. Mi gratto il mento, pensieroso, infastidito.

Ha detto che la scatola era proprio sotto i “quei” jeans: un chiaro messaggio rivolto a me.

Ha avuto accesso alle identità delle sottomesse, ha visto le foto.

Devo controllare se ne manca qualcuna.

Potrebbe averne fatto delle copie.

È un’arma molto potente nelle mani sbagliate.

Scuoto la testa, esasperato.

Ho sottovalutato Leila.

Devo valutare bene la situazione.

Poi penso a Ana. Non sarà stato un bello spettacolo per lei.

«Non è come pensi. Mi ero del tutto dimenticato di quelle foto. La scatola è stata spostata. Quelle fotografie dovrebbero essere in cassaforte.»

«Chi le ha spostate?» sussurra.

Deglutisco. «C’è solo una persona che può averlo fatto.»

«Ah. Chi? E che cosa vuol dire “non è come pensi”?»

«Ti sembrerà brutto, ma… sono una specie di polizza d’assicurazione» dico piano, armandomi di coraggio per risponderle. “Speriamo che se la beva”.

«Assicurazione?»

«Contro le denunce.»

«Oh» mormora. Pensa. Disapprova. «Sì, hai ragione: sembra davvero brutto.» Si alzo e sparecchio. Mi evita, sembra disgustata.

Ma servivano davvero a tutelarmi, abbinate al contratto che sanciva la loro accettazione. Non nego che siano state un piacevole svago e un fantastico souvenir.

«Ana.»

«Loro lo sapevano? Le ragazze… Le sottomesse?»

«Ovviamente sì.» “Tu sputtani me, io sputtano te” non era utile per nessuno divulgare certe cose, neppure per un mare di dollari.

La prendo per le mani e la attiro a me. «Quelle foto dovrebbero essere in cassaforte. Non sono state fatte per divertimento.» Beh, anche. «Forse era così all’inizio. Ma… non significano nulla.»

«Chi le ha messe nella cabina armadio?»

«Può essere stata solo Leila.»

«Conosce la combinazione della tua cassaforte?» chiede stupita.

«Non mi sorprenderebbe.»  È furba come un gatto, anche da pazza. E ora sono convinto che abbia secondi fini. «È una combinazione molto lunga, e la uso di rado. È l’unico numero che ho scritto e che non ho mai cambiato.» Scuoto la testa. «Mi domando cos’altro sappia e se abbia preso altre cose da lì. Senti, distruggerò quelle foto. Ora, se ti fa piacere.»

«Sono le tue foto, Christian. Fanne quello che vuoi» borbotta.

«Non fare così» dico e prendo la sua testa tra le mani e le sollevo il viso, per guardarla. «Non voglio quella vita. Voglio la nostra vita, insieme. Ana, pensavo che avessimo esorcizzato tutti questi

fantasmi stamattina. Avevo questa sensazione. Tu no?»

NON. VOGLIO. OMBRE fra noi.

«Sì.» Sorride. «Sono d’accordo.»

«Bene.» Mi chino la bacio stringendola forte. «Le distruggerò» dico. «E poi dovrò lavorare. Mi dispiace, piccola, ma ho una montagna di roba da fare oggi pomeriggio.»

«Va bene. Devo chiamare mia madre.» Fa una smorfia, non sembra entusiasta all’idea di dare l’annuncio. Io invece non vedo l’ora che lo sappiano tutti. «Poi voglio andare a fare shopping e cucinare una torta.»

“Per me?” Sorrido felice. «Una torta?»

Annuisce.

«Una torta al cioccolato?»

«Vuoi una torta al cioccolato?»  Sorrido di più e annuisco.

«Vedrò cosa posso fare, Mr Grey.»

 

Devo lavorare, ma prima vado a prendere le foto. Nel mio studio apro la scatola e le esamino con distacco. “Strano il fatto che non mi facciano nessun effetto”, noto. Faccio mente locale, manca qualcosa… ma non riesco a ricordare cosa. “Non posso disfarmene ora. Adesso più che mai potrebbero rivelarsi la mia polizza d’assicurazione” rifletto e le metto in cassaforte. “Devo cambiare la combinazione”. Cerco le istruzioni e lo faccio immediatamente, prima di tornare a lavorare.

 

Sono concentrato quando sento dei rumori ormai familiari. Alzo gli occhi e la vedo: una visione.

“È Proprio bella” mi dico. “E anche molto sexy, con quel vestitino”.

«Vado un attimo a comprare alcuni ingredienti.»

«Okay.» La guardo bene. “Dov’è che vai, vestita così?”

«Cosa c’è?»

«Ti metterai addosso dei jeans o qualcos’altro?»

«Christian, sono solo delle gambe.»

Gran belle gambe, ma a mio uso esclusivo!

Alza gli occhi al cielo, irritandomi.

“Finisce che litighiamo”.

«E se fossimo su una spiaggia?»

«Non siamo su una spiaggia.»

«Avresti qualcosa da ridire se fossimo in spiaggia?»

“No, se indossassi una muta da sub, di quelle lunghe, perché quelle a short sono tropp…” «No» rispondo.

Alza gli occhi al cielo di nuovo e mi fa un sorrisetto compiaciuto. «Be’, allora immagina che lo siamo. A più tardi.»  Si volta e scappa.

“Eh, no, eh!”.

Le corro dietro.

Riesce a entrare nell’ascensore prima che possa raggiungerla, anzi, mentre le porte si chiudono, mi faccio ciao con la mano, sorridendomi dolcemente.

Sono fuori di me, torno nel mio studio e cerco di concentrarmi ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è il solco fra le sue gambe.

La vedranno tutti.

E le sbaveranno dietro.

Mi si contraggono le budella dalla rabbia.

Credo sia uno degli abiti di Neiman Marcus.

Probabilmente lei non lo avrebbe mai acquistato, per cui devo darmi anche del cretino.

“Ma se le dico di no, deve obbedire!” penso furioso.

Vorrei proprio punirla. Anche senza verghe otterrei un  ottimo risultato e avrei la certezza che non uscirebbe più in quello stato.

“Eccola, è tornata. Meno male. È uscita e rientrata subito”. Sono un po’ più tranquillo, ma sempre furioso.

Va in cucina.

Ricevo l’ennesima telefonata, per Charlie Tango, questa volta sono buone notizie. Guardo il cielo, sperando di vedere il mio Charlie Tango… e farmi passare la rabbia.

«E l’esperto dell’Eurocopter arriverà lunedì pomeriggio? … Bene. Tienimi informato. Di’ loro che ho bisogno di avere le prime perizie lunedì sera o martedì mattina.» Riaggancio e giro la sedia.

Eccola!

«Ciao» sussurro.

Sa che sono furioso.

Cautamente, entra, aggira la scrivania.

Sono davvero feroce.

Che buon profumo che ha, profuma di vaniglia e cioccolato.

La guardo furioso. Riesce a farmi incazzare in un modo… in un modo che…

Rimane in piedi davanti a me, imbarazzata.

«Sono tornata. Sei arrabbiato con me?»

Furioso!

Sospiro. Le prendo la mano e me la siedo sulle sue ginocchia. Avvolgo le braccia intorno a lei e nascondo il naso tra i suoi capelli.

«Sì» ammetto.

«Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso.» Si raggomitola contro di me e io mi sciolgo. Si scioglie il nodo di rabbia che mi avviluppa la gola facendomi dimenticare tutto, tutto il resto tranne lei. In fondo non era nulla d’importante: nulla! Lei vuole me. “Non ci sarà mai nessun altro per me”, “Lui è tutto per me” le sue parole di poco fa mi riecheggiano nella mente.

«Nemmeno io. Vestiti come vuoi» dico e la sfioro, carezzandole la coscia nuda. «D’altra parte, questo vestito presenta i suoi vantaggi.» E mi chino a baciarla. Quando le nostre labbra si sfiorano, la passione o la lussuria, la gelosia o il profondo bisogno di lei mi colpisce, e il desiderio mi infiamma il sangue. Mi prende la testa tra le mani, infilando le dita nei capelli. Gemo, il mio corpo risponde, e le succhio avidamente il labbro inferiore… la gola, l’orecchio, la mia lingua invade la sua bocca, e prima che se ne renda conto, mi slaccio i pantaloni, me la mettendo a cavalcioni e mi immergo dentro di lei. Lei si aggrappa allo schienale, i piedi che sfiorano appena il pavimento… E iniziamo a muoverci.

 

«Mi piace quando chiedi scusa» sospiro tra i miei capelli, appagato dall’orgasmo riparatore.

«E a me piace quando lo fai tu.» Ridacchia, strofinandosi contro il mio petto. «Hai finito?»

«Cristo, Ana, ne vuoi ancora?»

«No! Il tuo lavoro.»

«Finisco tra mezz’ora. Ho sentito il tuo messaggio sulla segreteria telefonica» dico. Prima ho ascoltato i messaggi di ieri anche io suo. Allarmata, in ansia.

«Quello di ieri.»

«Sembravi preoccupata.»

Mi abbraccia forte. «Lo ero. Non è da te non rispondere.»

Le bacio i capelli, la amo. E sono con lei.

«La tua torta sarà pronta tra mezz’ora.» Sorride e scende dalle mie gambe.

«Non vedo l’ora. Il profumo era delizioso, addirittura evocativo, mentre si cuoceva.»

Si china su di me  e mi posa un bacio all’angolo della bocca e ritorna in

cucina. Sembra felice.

Speriamo, perché io lo sono.

 

Per questa settimana ho finito, ho sbrigato anche tutti gli arretrati di ieri: sono pronto per gustarmi la mia torta.

Quando entro nel salone lei mi sta aspettando con la mia torta in mano, decorata con un’unica candelina dorata accesa.

Sorrido felice. Felice.

Lei mi fa felice come nessuno.

Sa anche farmi incazzare come una furia, ma mi fa tanto, tanto più felice.

Mi avvicino  mentre lei mi canta sottovoce Tanti auguri a te.

Mi chino e spegne la candelina con un soffio, chiudendo gli occhi: devo esprimere il desiderio.

Non mi devo spremere molto.

Io e lei. Per sempre.

«Ho espresso il mio desiderio» annuncio mentre riapro gli occhi.

«La glassa è ancora morbida. Spero che ti piaccia.»

«Non vedo l’ora di assaggiarla, Anastasia» dico.

Taglia una fetta per ciascuno e ci affondiamo dentro la forchetta.

«Mmh…» gemo in segno di apprezzamento. «Questo è il motivo per cui voglio sposarti.»

Lei ride contenta.

 

«Pronta per affrontare la mia famiglia?» spengo il motore della R8, parcheggiata davanti a casa dei miei.

«Sì. Glielo dirai?»

«Certo. Non vedo l’ora di vedere le loro reazioni.»

“Veramente non vedo l’ora di vedere la tua, di reazione, piccola, perché i miei lo sanno già.”  Le sorrido enigmatico ed esco dalla macchina.

Sono le sette e mezzo e, anche se è stata una giornata calda, c’è una brezza fresca che soffia sulla baia. Ana si avvolge nello scialle mentre esco dall’auto. Indossa un abito da cocktail verde smeraldo con una grossa cintura abbinata, sta benissimo. La prendo per mano e ci incamminiamo verso la porta d’ingresso, esattamente come sette giorni fa: sembra passata una vita.

Mio padre spalanca la porta prima che possiamo bussare.

«Christian, ciao. Buon compleanno, figliolo.» Mi stringe la mano, poi mi attira tra le braccia e mi stringe. Ne approfitta e io mi sento… sì, mi sento completo. Intero.

«Ehm… grazie, papà» dico imbarazzato.

«Ana, che bello vederti di nuovo.» Abbraccia anche lei, e lo seguiamo dentro casa.

Prima che possiamo mettere piede in salotto, Miss Kavanagh ci viene incontro dal corridoio. Sembra furiosa.

“Pensa di intimorire me?”

«Voi due! Voglio parlare con voi» esclama con un tono indisponente che mi guasta immediatamente l’umore.

Ana mi lancia un’occhiata nervosa, mi stringo nelle spalle e decido di assecondarla mentre la seguiamo in sala da pranzo, lasciando un Carrick stupefatto sulla soglia del salotto.

Lei chiude la porta e si volta verso Ana.

«Che cazzo significa?» sibila e fa ondeggiare un pezzo di carta davanti agli occhi stupefatti della mia fidanzata. i miei occhi. Spersa, Ana lo prende in mano e sbianca. Deglutisce a fatica.

“Che cazzo le ha fatto vedere?”

Sì, sono preoccupato. 


CAPITOLO 24


Ana è sbiancata. Con un passo si frappone fra me e Miss Kavanagh, come fosse uno scudo.

“Uno scudo? Tu? A me?”

«Che cosa c’è?» chiedo. Davvero non capisco.

Mi ignora. «Kate! Questo non ha nulla a che vedere con te» ruggisce velenosa.

“Velenosa? Con la sua amica? Contro la sua carissima amica Kate Kavanagh? Per difendere me?”

Sorpresa dalla sua risposta, lei sbatte le palpebre, i suoi occhi sono verdi e grandi.

«Ana, cosa succede?» chiedo inferocito.

«Christian, per favore, puoi lasciarci da sole?» mi chiede.

“No, nemmeno morto! Non prima di aver letto quel foglio!” «No. Fammi vedere.» Tendo la mano per ricevere la fotocopia che ha portato Kate. Obbedisce da bravo soldatino e me la consegna.

 “Cazzo, la mail!”. Dentro di me, il Ben Poco Raffinato Signore, risvegliato dal suo sopore proprio questo pomeriggio, sta gridando inferocito. “Ti sei davvero fumato il cervello dietro a questa femmina, Grey! Come cazzo hai potuto essere così imprudente?!?”

Probabilmente perché, da che l’ho vista, non ho pensato che lei, risponde pronta una voce che erompe da dentro.

Mi è bastata un’occhiata per ricordare il contenuto esatto della fotocopia, riesco a visualizzare la mia mano che ripiega il foglio e lo infila nella tasca interna. Lei non sapeva che fosse lì quando le ho dato la mia giacca.

“Il problema è che lo volevi troppo”  mi spiego in un picosecondo. La volevo, la voglio… la vorrò per sempre. “Ciò non toglie che con una simile imprudenza ti giochi il culo, Grey, alla faccia del contratto di riservatezza! E qui, la signorina “mastino” Kate Kavanagh mi ha azzannato le palle e mi arrostisce il culo sulla graticola, sbattendomi in prima pagina! Meno male che non ho distrutto le foto, così ho qualcosa in mano per bloccare le mute di sottomesse che mi si scaglieranno addosso quando mi vedranno appeso per le palle” penso preoccupato.

«Che cosa ti ha fatto?» chiede Kate, ignorandomi. Sembra in apprensione.

Ana arrossisce. «Non sono affari tuoi, Kate» lei risponde esasperata. «Dove l’hai trovato?» chiedo. Sono freddo come il ghiaccio, devo almeno farle dire che ha messo le mani tra gli effetti personali di Ana per avere qualcosa in mano quando ci troveremo in tribunale, perché se la signorina “Woodward & Bernstein”, mi fa uscire sul giornale, io la querelo e la distruggo. E non me ne frega un cazzo che è amica di Ana, che suo padre è un consigliere di due delle mie società e socio minoritario  in altre due e che Elliot le è entrato nelle mutandine e non ne è ancora uscito: io la di-strug-go!

Kate arrossisce.

«Questo è irrilevante.»

Irrilevante un cazzo!

«Era nella tasca di una giacca… che presumo sia tua… e che ho trovato appesa alla porta della camera da letto di Ana».

“Bene! È tutto quello che volevo sapere!”

Il coraggio di Kate vacilla un po’, ma poi sembra riprendersi e mi fissa con riprovazione. Sprizza ostilità da tutti i pori nel suo abito rosso attillato.

È molto bella e ha carattere: capisco mio fratello che ha mollato tutto per seguirla alle Barbados a scoparserla.

«L’hai detto a qualcuno?» chiedo, voglio verificare l’entità del danno.

«No! Ovviamente no!» esclama lei, offesa.

Annuisco: “È anche leale: prima l’amicizia. Non è un vero mastino, probabilmente non lo sarà mai. Non vincerà mai il Pulitzer” mi dico e un po’ mi rilasso. Solo un po’, visto che sto ancora appeso per le palle.

“Ora sarà meglio sbarazzarci di questo foglio”. Mi volto e mi avvicino al camino. Prendo un accendino dalla mensola, do fuoco alla mail e lascio cadere il foglio nel camino, finché non si è consumato del tutto. «Neanche a Elliot?» chiedo, rivolgendo di nuovo l’attenzione a Kate.

«A nessuno» ribadisce lei enfatica, e poi: «Voglio solo sapere che stai bene, Ana» piagnucola, rivolta alla mia fidanzata.

«Sto bene, Kate. Più che bene. Per favore, Christian e io stiamo bene, davvero bene. Quella è una storia vecchia. Per favore, dimenticatene.»

«Dimenticarmene?» chiede lei. «Come posso dimenticarmene? Che cosa ti ha fatto?» E i suoi occhi verdi sono pieni di sincera preoccupazione.

«Non mi ha fatto niente, Kate. Davvero. Sto bene.» Lei fissa Ana perplessa.

«Davvero?» le chiede.

Sarà meglio che le spieghi bene come stanno le cose e mi avvicino alla mia fidanzata, le circondo le spalle con un braccio e la attiro a me, senza distogliere gli occhi da Kate. “Lei è MIA, ora!”

«Ana ha acconsentito a diventare mia moglie, Katherine» le spiego con calma, sperando che basti a sedarla.

«Moglie!» strilla Kate, gli occhi che si dilatano per l’incredulità.

«Ci sposeremo. Annunceremo il nostro fidanzamento stasera» proseguo.

«Oh!» Kate la fissa a bocca aperta. È esterrefatta. «Ti lascio sola per sedici giorni e cosa succede? È una cosa così improvvisa. Quindi ieri, quando hai detto…?» La guarda persa. «Dove si colloca la mail in tutto questo?»

«Non si colloca, Kate. Dimenticatene, per favore. Io amo lui e lui ama me. Non fare così. Non rovinare la sua festa e la nostra serata» implora Ana.

Lei sbatte le palpebre e inaspettatamente i suoi occhi brillano di lacrime. Lacrime di vero affetto e apprensione.

«No, certo che non lo farò. Tu stai bene?» Vuole una  rassicurazione.

«Non sono mai stata più felice» le dice Ana.

Lei le afferra una mano, quasi per strapparla via da me. «Davvero stai bene?» chiede speranzosa.

«Sì.» Ana le sorride, di nuovo piena di gioia.

Kate sembra più serena. È tornata in sé.

Anche lei sorride, sembra felice.

La lascio libera di affondare nell’abbraccio della sua amica e tolgo il mio braccio possessivo dalla sua spalla.

«Oh, Ana… Ero così preoccupata quando ho letto quella mail. Non sapevo cosa pensare. Me lo spiegherai?»

«Un giorno, non ora.»

“Cazzo!” E non so se sono più arrabbiato per il mio segreto violato o per un innaturale senso di colpa.

«Bene. Non lo dirò a nessuno» dice lei.  E in cuor mio lo so, che non lo dirà a nessuno anche se ha capito tutto, ma sono incazzato lo stesso. E poi… proprio oggi!  Beh, oggi non era ancora capitato nulla di tragico… a parte le foto… «Ti voglio così tanto bene, Ana» continua, «come se fossi mia sorella. Pensavo solo… Non sapevo cosa pensare. Mi dispiace. Se sei felice, allora lo sono anch’io.»  Mi guarda negli occhi per scovarvi qualche strano lampo di sadismo, segno inequivocabile di avere di fronte un serial killer, poi si arrende e ripete le sue scuse.

Annuisco, freddo come il ghiaccio: se potessi la ibernerei.

«Mi dispiace davvero tanto. Hai ragione, non sono affari miei» mi dice.

Sentiamo bussare e Kate sussulta. Si stacca da Ana e mia madre fa capolino.

«Tutto bene, tesoro?» mi chiede. Probabilmente mio padre l’ha avvisata del nostro incontro a tre.  

«Va tutto benissimo, Mrs Grey» dice subito Kate.

«Tutto bene, mamma» confermo.

«Bene.» Entra. «Allora non vi dispiacerà se abbraccio mio figlio per il suo compleanno.» Ci sorride.

Io la stringo forte: è la prima volta. La stringo ed è un altro regalo di compleanno che mi concedo… un altro regalo di Ana… So che è così.

«Tanti auguri, tesoro» mi dice dolcemente, chiudendo gli occhi tra le mie braccia. «Sono così contenta che tu sia ancora con noi.»

«Mamma, sto bene.»

Mia madre fa un passo indietro e mi scruta attentamente. «Sono così felice per te» mi dice e mi accarezza il volto, scaldandomi il cuore.

Sono riuscito a dirglielo prima che Mia monopolizzasse la telefonata, non avevo capito se fosse contenta o no della mia decisione.

“È contenta anche lei” constato felice.

«Bene, ragazzi, se avete finito il vostro tête-à-tête, c’è un sacco di gente qui che vuole accertarsi che tu sia davvero tutto intero, Christian, e vuole augurarti buon compleanno.»

“Un sacco di gente?” «Arrivo subito.»

Mia madre guarda ansiosa Ana e Kate, che le sorridono poi fa l’occhiolino a Ana mentre tiene aperta la porta.

Io porgo la mano alla mia fidanzata e lei la prende: c’è un non so che di simbolico in questo gesto, qualcosa di ufficiale

«Christian, mi scuso ancora, davvero» borbotta Kate, docilmente.

“Ok” penso e davvero non desidero guastarmi la serata e il più bel compleanno di sempre.

Nel corridoio Ana mi chiede spaventata: «Tua madre sa di noi?»

«Sì.»

«Oh.»

E pensare che la nostra serata avrebbe potuto essere rovinata dalla tenace Miss Kavanagh, non voglio pensarci. «Bene, è stato un interessante inizio di serata» dice serena.

“Che eufemismo, Miss Steele!” penso divertito: lei mi calma. Con lei sento che tutto andrà bene nella mia vita, perché lei scioglie i nodi della mia anima con un pettine magico. «Come sempre, Miss Steele, hai un dono per gli eufemismi.» Mi porto la “mia” mano alle labbra e ne bacio le nocche mentre entriamo in salotto, accolti da un applauso improvviso, spontaneo e assordante.

“Merda.” Quanta gente c’è qui?

Mia ha detto: “Lo dico a qualcuno…”, ma qui c’è mezzo mondo! “Meglio! Così lo sanno tutti in una volta sola”. Esamino velocemente la sala: oltre ai miei, ci sono i due Kavanagh, John e Rhian,  Mac, Claude ed Elena. C’è anche  quella stronza dell’amica di Mia, Lily. Perché l’ha invitata, proprio non lo so. Ah, c’è anche Ros, con la sua compagna, sono contento.  

Gretchen si materializza con un vassoio pieno di calici di Champagne e sbatacchia le ciglia quando mi vede. “Ma quanto può essere cretina, questa?” penso. “Anche se, meglio lei di quella stronza di Lily!”

L’applauso si estingue, e do il via alle danze, così queste due oche la smetteranno una volta per tutte di guardarmi come se fossi un pasto di Natale.

 Stringo la mano ad Ana e mi schiarisco la voce. «Grazie a tutti. A quanto pare, avrò bisogno di uno di questi.» Prendo due calici dal vassoio di Gretchen e le schiocco un sorriso assassino.

Lei pare sul punto di esalare l’ultimo respiro o svenire.

“Ora questa mi muore qua e va a finire che me la rovina lei , la festa” mi dico divertito, passando la flûte ad Ana.

 Alzo il calice verso il resto della sala, e subito tutti mi seguono. La prima è Elena che mi abbraccia e mi dice: «Christian, ero così preoccupata.» Mi bacia su entrambe le guance.  

Anastasia cerca di sfuggire alla mia presa, ma io non la mollo: non la mollo più.

«Sto bene, Elena» mormoro gelido. Stranamente sono infastidito.

«Perché non mi hai chiamata?» La sua sembra una supplica disperata, i suoi occhi cercano i miei.

«Sono stato occupato.» “Sì, a godermi il mio regalo.”

«Non hai ricevuto i miei messaggi?»

“Li ho volutamente ignorati, Elena. Anche quelli mi hanno infastidito”. Probabilmente è per via del suo fare sempre più possessivo e il fatto che mi chiami ossessivamente ‘CARO’”.

Lei fa un cenno di saluto con la testa in direzione della mia fidanzata.

«Ana» dice facendo le fusa. «Sei adorabile, cara.»

«Elena» fa le fusa anche lei. «Grazie.»

«Elena, devo fare un annuncio» dico. Mi sta distraendo dal mio compito.

«Certo.» Fa un passo indietro, rimanendo accanto a me.

«Ascoltate tutti» dico. Aspetto un attimo, finché il brusio nella stanza non è cessato e gli occhi degli invitati sono di nuovo su di me.

«Grazie per essere venuti qui oggi. Devo dire che mi aspettavo una tranquilla cena in famiglia, perciò questa è una piacevole sorpresa.» Fisso con disappunto Mia, che sorride e mi fa un cenno di saluto con la mano. Scuoto la testa con finta disapprovazione e continuo. «Ros e io,» faccio un segno per indicare il mio braccio destro, «ce la siamo vista brutta ieri. Perciò sono particolarmente contento di essere qui oggi per condividere con voi una notizia veramente speciale. Questa bellissima donna,» e rivolgo il bicchiere alla mia fidanzata, «Miss Anastasia Rose Steele, ha acconsentito a diventare mia moglie, e voglio che voi siate i primi a saperlo.»

Rimangono tutti senza fiato per lo sbalordimento, qualcuno fischia –  Elliot, credo –  e poi l’applauso è generale.

Ana è più rossa dell’abito della sua amica Kate. Le afferro il mento e me la bacio. «Presto sarai mia» le sussurro.

«Lo sono di già».  

«Legalmente» dico solo col labiale. “Te lo faccio firmare, sai, quel benedetto contratto!”

Lily, accanto a Mia, ha l’aria desolata; Gretchen sembra aver mangiato qualcosa di disgustoso e amaro.

Mentre osservo divertito l’effetto della notizia bomba sulla folla riunita, noto Elena. È a bocca aperta. Pietrificata… persino inorridita.

I miei sono i primi a farci le congratulazioni e la baciano.

«Oh, Ana… sono così felice che tu entri a far parte della famiglia» dice mia madre, esaltata. «Il cambiamento in Christian… Lui è… felice. Ti sono così riconoscente.»

“Io? Felice? Cambiamento? Ma si vede così tanto?”

Ovviamente lei arrossisce imbarazzata di fronte a tanta esuberanza. Mi vien da ridere… e, sì, sono fe-li-ce.

Soprattutto sono compiaciuto che piaccia anche ai miei.

Lei è pura. E perfetta.

Di meglio non potevo scovare.

Arriva Mia.

«Dov’è l’anello?» esclama mia sorella abbracciandola. “Deve piantarla di rompere le uova nel paniere!”  Se non le volessi tanto bene sarei davvero furioso.

«Uhm…» Ana mi guarda perplessa.

“Credi davvero che non ti abbia preso l’anello, Anastasia? Credo lo abbia preso in consegna mio padre. Ho già provveduto. Ho provveduto a tutto, amore. Per te, tutto!”

«Andremo a sceglierlo insieme» dico, guardando in cagnesco mia sorella.

«Oh, non guardarmi così, Christian!» mi ammonisce e poi mi abbraccia. «Sono così elettrizzata» dice.

«Quando vi sposerete? Avete fissato la data?» Mi sorride raggiante. “Domani?”

«Non lo so» rispondo esasperato. «No, non abbiamo fissato la data. Ana e io dobbiamo ancora discutere tutto».

«Spero che sia un matrimonio in grande stile… qui.» Mia sorride entusiasta, ignorando il mio tono caustico.

«Probabilmente voleremo a Las Vegas domani» ringhio. “Ma guarda un po’ se questa pulce deve venire ad organizzarmi la vita! Ecco, la wedding planner, le facciamo fare!”

Mia sorella mi fa una smorfia in risposta e io alzo gli occhi al cielo, poi mi giro verso Elliot, che mi abbraccia e mi molla una pacca sulla schiena. «Vai così, fratello!»

Tutti vengono a farci le congratulazioni, chi prima e chi dopo.

«Christian» dice Flynn, porgendomi la mano, e io stringo con gioia. Non mi ha messo i bastoni tra le ruote, anzi, sembra molto felice per me.

«John. Rhian.»

«Sono contento che tu sia ancora tra noi, Christian. La mia vita sarebbe molto noiosa… e molto meno prospera… senza di te.»

«John!» lo rimprovera Rhian.

«Rhian, questa è Anastasia, la mia fidanzata. Ana, la moglie di John.»

«È un vero piacere conoscere la donna che finalmente ha catturato il cuore di Christian.»

«Grazie» mormora Ana, imbarazzata. Credo che trovarsi così al centro dell’attenzione le stia togliendo un po’ del piacere per l’avvenimento.

«Un bel lancio a effetto, Christian.» Flynn scuote la testa, incredulo e divertito.

Lo guardo perplesso.

«John, tu e le tue metafore sportive.» Rhian alza gli occhi al cielo. «Congratulazioni a tutti e due, e buon compleanno, Christian. Che magnifico regalo di compleanno.»

“Brava, Rhian, vedo che hai capito: è lei il mio regalo di compleanno”.

Chiacchieriamo per qualche minuto.

Poi quando Ana e Rhian conversano di pappe e pannolini chiedo a John notizie di Leila.

«Lei sta bene, Christian, risponde bene alla terapia. Un altro paio di settimane e potremo prendere in considerazione di dimetterla e proseguire con un trattamento ambulatoriale» mi dice, tranquillizzandomi.

«Devi chiederle qualcosa per me» dico sottovoce. «Ha aperto la cassaforte, quando è penetrata in casa mia. Ho bisogno di sapere che cosa ha preso.»

«Farò il possibile, Christian, ma è molto furba. Sì, farò il possibile…»

Ros e Gwen ci raggiungono e finalmente posso presentare Ana a Ros: sono felice che si conoscano.

Mia madre interrompe le nostre tranquille chiacchiere per informare tutti che la cena verrà servita a mo’ di buffet in cucina. Lentamente, gli ospiti si avviano verso il retro della casa.

Mia ci blocca nel corridoio. Con il suo vaporoso vestito rosa pallido da bambolina e i tacchi vertiginosi e con in mano due cocktail sibila: «Ana!» Capisco di essere di troppo e lascio la mia futura moglie nelle mani di Mia che la trascina in sala da pranzo, armata dei micidiali Martini di mio padre.

In cucina, affamato, imito gli invitati e, scambiando due parole con Claude, assaggio le tartine al salmone e gli involtini primavera ripieni di gamberi di mia madre.

Chiacchiero del più e del meno con tutti, perfettamente rilassato, nonostante quell’impicciona di Miss Kavanagh e le sue indagini. Eccola! È lì, dalla parte opposta della stanza che chiacchiera con Mia.

“Kate e Mia?”

Sì, sta parlando fitto fitto con Mia!

“E Ana? Dov’è Ana se non è con mia sorella?

Sarà andata in bagno…

«Mia, dov’è Ana?» domando avvicinandomi alle due cospiratrici.

«Non riesci proprio staccarti neppure per un minuto, fratello?» mi dice sarcastica. In risposta sollevo solo il sopracciglio, incenerendola con uno sguardo. «L’ho lasciata in sala da pranzo» decide di rispondermi e torna a parlare con Kate che mi sta scrutando diffidente.

Vado a cercarla e punto alla sala.

“Non vorrei che si fosse sentita poco bene” penso allarmato. “Sarà agitata e cercherà di defilarsi per evitare di stare al centro dell’attenzione”. Cerco una spiegazione che mi sembra perfettamente plausibile, vista la sua riservatezza.

Faccio per aprire la porta ma incontro un po’ di resistenza, allora spingo con più decisione.

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Non riesco a inquadrare subito la situazione: la prima cosa che vedo è il volto cinereo di Ana, le sue belle labbra tremanti e un calice vuoto stretto  nella sua mano. Sembra furiosa.

Poi, pietrificato sulla soglia, noto anche Elena, bagnata e furente.

Impiego un istante a capire la situazione.

“L’ha seguita! Cazzo! Elena ha seguito Anastasia per metterla alle corde! Allora è vero che la perseguita! E non molla! La sera del ballo, il biglietto, la mail –  come diavolo ha fatto a procurarsi la mail? –  e poi, ciliegina sulla torta, lei che piomba a casa mia con quella storia assurda. Quasi quasi me la bevevo… Il fatto è che ho sempre avuto fiducia cieca in lei fino a… fino a che… già, finché non è arrivata Ana. Merda! Elena pensa che io porti ancora il suo collare ed è convinta di avere in mano il guinzaglio!”

Sono fuori di me dalla rabbia.

Fuori, completamente fuori!

«Che cazzo stai facendo, Elena?» sbraito glaciale.

Elena mi guarda sbalordita. «Lei non va bene per te, Christian» sussurra.

Allora io grido. «Che cosa?» sì, grido, facendole sobbalzare entrambe. «Come cazzo fai a sapere che cosa va bene per me?»

«Hai dei bisogni, Christian» dice, cerca di blandirmi.

«Te l’ho già detto… questi non sono affari tuoi» ruggisco. «Cosa significa?» Mi fermo, e la guardo. In questo momento mi colpisce un pensiero, qualcosa che ha detto Ana a proposito di Elena. “Elena vuole  il controllo su di me oppure vuole il posto di Ana?” mi domando sconvolto. «Pensi di essere tu? Tu? Sei tu quella giusta per me?» le chiedo, cercando di essere il più dolce possibile, per farla parlare, ma non riesco a nascondere rabbia e immenso fastidio. Do la schiena ad Ana, ma so che è pietrificata, dietro di me, perché non sento il suo respiro.

Elena deglutisce e sembra raddrizzare la schiena. La sua posa cambia impercettibilmente, diventando più autoritaria. Fa un passo verso di me.

«Io sono la cosa migliore che ti sia mai capitata» sibila arrogante. «Guardati adesso. Sei uno degli imprenditori più ricchi e di successo degli Stati Uniti. Controllato. Motivato. Non hai bisogno di niente. Sei il signore del tuo universo.»

Faccio un passo indietro, come se fossi stato colpito in piena faccia da una delle sue frustate che di solito mi colpivano in ben altri punti, e la fisso a bocca aperta, offeso e incredulo.

«Ti piaceva, Christian, non prenderti in giro. Eri sulla strada dell’autodistruzione, e io ti ho salvato, ti ho salvato da una vita dietro le sbarre. Credimi, piccolo, è così che sarebbe finita. TI HO INSEGNATO TUTTO QUELLO CHE CONOSCEVO, tutto quello di cui avevi bisogno.»

«Mi hai insegnato a scopare, Elena. Ma era qualcosa di vuoto, come te. Non mi meraviglia che Linc ti abbia lasciata.» Sto sparando per far male, non so se penso davvero ciò che ho detto, ma… sì, ora credo davvero che una relazione per funzionare non si debba basare solo sul sesso, bisogna costruire qualcosa. E di certo io non lo voglio costruire con Elena! C’è stato un tempo in cui lo avrei tanto voluto… non certo ora. «Non mi hai mai avuto per te» dico piano, tirandolo fuori da dentro: voglio sapere. «Non hai detto una sola volta di amarmi.»

Lei stringe gli occhi. «L’amore è per gli sciocchi, Christian.» Lo so, l’ho già sentita, questa… “E’ davvero vuota, un sacco vuoto, riempito di cose vacue e spazzatura. Sono parole già dette, nulla di nuovo!”

«Esci da casa mia.» La voce furiosa e implacabile di mia madre ci impaurisce tutti.

“Ecco! Queste saranno di sicuro parole mai udite” mi dico spaventato. Spaventato sul serio. “Cazzo, stavolta mi ha scoperto. Sono nei guai” constato.

Tre teste si voltano all’unisono verso la soglia della stanza, dove lei si trova e sta fissando truce Elena, che impallidisce sotto la sua abbronzatura stile Saint-Tropez.

Il tempo sembra sospeso, mentre tutti e tre facciamo un respiro profondo e mia madre entra con decisione nella stanza.

“Ha capito tutto… o quasi”

Ha gli occhi ardenti di rabbia e non li distoglie da Elena, finché non le arriva di fronte. Elena la guarda allarmata, e lei la colpisce forte con uno schiaffo, il cui suono riecheggia tra le pareti della sala da pranzo. «Tieni i tuoi schifosi artigli lontani da mio figlio, puttana, e vattene da casa mia. Adesso!» sibila tra i denti.

Elena si massaggia la guancia arrossata e la fissa per un momento inorridita e scioccata. Poi corre via, senza darsi la pena di chiudere la porta dietro di sé.

Poi mia madre si volta lentamente verso di me e un silenzio teso cala su di noi come una coperta pesante. Non stacca i suoi occhi dai miei, non riesco ad immaginare a cosa stia pensando, ma sicuramente sta ripercorrendo tutte le tappe della mia vita.

Dopo un momento si rivolge ad Anastasia: «Ana, prima che io te lo restituisca, ti dispiacerebbe lasciarmi un paio di minuti da sola con mio figlio?» La sua voce è tranquilla, roca, ma forte.

“È ufficiale: sono nella merda!”

«Certo» sussurra Anastasia, ed esce il più in fretta possibile.

Questa merda non la riguarda, riguarda solo me.

«Per quanto tempo, Christian?» domanda mia madre con gli occhi lucidi di rabbia e dolore.

La guardo, non rispondo, sperando nel solito riguardo che i miei hanno sempre dimostrato nei miei confronti. So però che l’argine si è rotto proprio ieri e oggi mia madre – e so che lo dirà a mio padre – non avrà nessuna remora, perché sono suo figlio.

E io lo so, lo sento: io sono suo figlio. Un figlio per la prima volta consapevole.

Lei attacca, continua ad attaccare, colpendo ai fianchi.

«Quanti anni avevi?» La sua voce è più insistente. «Dimmelo. Quanti anni avevi quando tutto questo è iniziato?»

Cedo.

«Quindici» sussurro. Ammetto.

Mia madre sbianca. La rabbia defluisce dal suo volto, sembra in agonia.

Credo non stia respirando.

Posso leggerle tutti i pensieri che le passano per la mente e il senso di impotenza stampato in viso.

Poi sbotta.

«Eri un bambino…»

“Mamma,” vorrei dire, “per un ragazzino della mia età era una cosa fighissima essere l’oggetto delle attenzioni di una donna più grande. E che donna!”

Ho il buon senso di tacere.

«Ora capisco…» dice lei e s’interrompe.

Ricorda, rimanda indietro il videotape e io me ne sto qui, impalato davanti a lei. Muto.

«Quella puttana! Ecco perché erano sempre qui, lei e Linc…» Comincia a passeggiare per la stanza, ossessivamente, avanti e indietro.

«Per quanto tempo?»

Tentenno.

«Ti ho chiesto: per quanto tempo?!? Avete smesso quando hai incontrato Ana?»

Faccio un cenno di diniego.

«È finita tanto tempo fa» confesso.

«Per quanto tempo quella puttana è venuta qui, in casa mia, per scoparsi mio figlio?!!»

«Sei anni» mi affretto a rispondere. Non ho mai visto mia madre in questo stato.

«E Linc, lo sa Linc?»

Annuisco.

«È per quello che l’ha lasciata…» mormora fra sé.

“Più o meno” penso e annuisco di nuovo.

«E l’ha riempita di botte». Mia madre scuote il capo, per snebbiare i ricordi. «Ha fatto bene!» dice.

“Non ha fatto bene per un cazzo!” penso io. “È solo un fottutissimo bastardo! Se sapessi tutto, mamma…” Grazie a Dio non ha capito che cosa c’è sotto…

Non sa che razza di grandissimo figlio di puttana sono in realtà.

E non glielo dico.

Magari ci penserà la cara Miss Kavanagh…

Ma è colpa mia, è tutta colpa mia: sto perdendo lucidità e mi lascio sfuggire troppe cose. Non faccio più attenzione, da che sto con Anastasia. Nulla ha più importanza… tranne lei, perché… perché non m’importa più, non voglio più quella vita.

«Ma ti rendi conto?» mi chiede e non so se voglia o meno una risposta.

Annuisco. Sembro uno di quei cagnolini con la molla che agitavano la testa sul pianale delle auto.

“Di cosa mi devo rendere conto?” mi domando. Io non ci vedo nulla di tanto tragico. “Sì, mi scopavo la tua amica. O lei scopava me: indifferente. Mi sono divertito con tutti i loro giochetti. Mi sono sentito potente, anche quando obbedivo ai suoi voleri: ero potente. Più potente di chiunque. Mi ha dato la consapevolezza di poter spaccare il mondo. E ha creduto in me. Che cosa c’è di tanto tragico?”

«Anastasia sa di voi due, ovviamente» congettura.

«Sì, è evidente.»

«Abbiamo sempre trovato singolare, io e tuo padre, la vostra amicizia, ma l’abbiamo giustificata perché eravate soci». S’interrompe e pensa. «E quella puttana è venuta qui per mandarti all’aria la vita un’altra volta, proprio adesso che sei felice» dice mia madre sconvolta.

Sono colpito dalle sue parole: è così, è vero ciò che dice. È per questo che sono così furioso con Elena, perché sta cercando di farmi tornare in quella merda da cui Ana mi ha tirato fuori, mentre lei continua a sguazzarci dentro fino al collo.

«Spero che tu sai tanto intelligente da non permetterglielo, di separarti da Ana» dice amara, sembra piena di rimorsi.

«Non glielo permetterò, mamma. Io la amo e voglio vivere tutta la vita con lei».

«E lei ama te. Lei è per bene, pulita. È la cosa migliore che ti sia capitata, Christian».

«No, mamma. La cosa migliore che mi sia capitata sei tu, mamma» dico piano. «Tu e papà».

I suoi occhi furiosi si riempiono di lacrime e mi attira fra le sue braccia in una stretta infinita, che emana un calore meraviglioso.

Mi tiene stretto finché non è passato il suo momento di commozione, poi mi lascia, afferra il bavero della mia giacca e mi guarda negli occhi. «Non credere di essere fuori dai guai, Christian: lo dirò a tuo padre». Si solleva un po’, mi bacia su una guancia e mi dà una pacca delicata sullo sterno. «Il discorso è solo rimandato, ora va, si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto e Ana ti aspetta».

«Meglio che la cerchi, prima che cambi idea e ritiri la sua promessa» dico preoccupato.

«Vai» mi esorta mia madre e io scappo fuori, lasciandola lì da sola a riacquistare il controllo perduto.

Cerco Ana in cucina e scambio due parole con Ros, intanto la cerco con lo sguardo. Mi libero e vago per il pianterreno, nel salone, nei bagni, nel salone sul retro: sono in ansia.

“Se ne è andata!” sento una voce gridare dentro di me. “Non ne può più di tutta la merda che ti porti dietro ed è fuggita”.

Sono nel panico, come andare avanti senza di lei? Tutto mi ricorda lei, tutto, anche questa casa è piena di lei. Persino la mia stanza…

“La mia camera!” penso speranzoso e mi avvio sulle scale.

“Eccola!” mi dico quando la inquadro in cima alle scale.

Mi aspetta sul ballatoio e io mi fermo sull’ultimo scalino. Ci troviamo occhi negli occhi.

«Ciao» dico guardingo.

«Ciao» risponde con circospezione.

«Temevo…»

«Lo so…» m’interrompo. «Mi dispiace… Non sopportavo i festeggiamenti. Dovevo allontanarmi un po’, lo sai. Per pensare.»

Le accarezzo il suo bel viso e so che questa paura folle di perderla non mi abbandonerà mai. Questa è la sola paura che ho. L’unica fobia che mi sia rimasta. Perderla.

Chiude gli occhi, e appoggia la guancia alla mia mano, scaldandola. «E hai pensato di poterlo fare nella mia stanza?» chiedo.

«Sì.»

Le prendo la mano e la attiro a me, in un abbraccio: sono a casa. Inalo il suo profumo aspirandone l’essenza dai suoi bei capelli: sa di vaniglia, viola e… amore. Sa di Ana.

«Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo» dico.

«Non è colpa tua, Christian. Perché lei è venuta?» mi domanda inquisitrice.

«È un’amica di famiglia.»

«Adesso non più. Come sta tua madre?»

«È decisamente fuori di sé dalla rabbia. Sono davvero contento che tu sia qui, e che siamo nel mezzo di una festa. Altrimenti avrei potuto lasciarci le penne.» Credo mi abbia lasciato andare solo perché c’era lei.

«Terribile, eh?»

Annuisco, in effetti la capisco, ma sono sconcertato dalla sua reazione: è sempre così controllata.

«Puoi biasimarla?» La voce di Anastasia è calma, persuasiva.

La stringo più forte «No» ammetto.

«Possiamo sederci?» chiede.

«Certo. Qui?»

Ci sediamo in cima alle scale.

«Allora, come ti senti?» mi chiede.  

Sospiro. «Mi sento liberato.» Mi stringo nelle spalle, poi sorrido… libero.

«Davvero?» Mi sorride di rimando.

Wow, sarei andato carponi sui vetri rotti per quel sorriso.

«Il nostro rapporto d’affari è finito. Basta.» È una decisione che ho preso in questo istante: rinuncio a tutto.

Mi guarda perplessa. «Liquiderai il business dei saloni di bellezza?»

«Non sono così vendicativo, Anastasia. No. Le regalerò la mia parte. Andrò dal mio avvocato lunedì. Glielo devo.»

Inarca un sopracciglio. «Niente più Mrs Robinson?»

Sorrido e scuoto la testa. «È finita.»

«Mi dispiace che tu abbia perso un’amica.»

«Davvero?» domando scettico e divertito.

«No» confessa imbarazzata.

“Lo so, Ana, che dentro di te stai ballando la conga”.

«Vieni.» Mi alzo e le offro la mano per aiutarla. «Torniamo alla festa in nostro onore. Potrei persino ubriacarmi.»

«Ti ubriachi?»

«Non lo faccio più da quando ero un ragazzino scapestrato.» Scendiamo le scale.

«Hai mangiato?» domando, ripensando alla sua, di sbornia, a Portland.

«No.»

“E figuriamoci!” «Dovresti. Dall’aspetto e dall’odore che aveva Elena, quello che le hai tirato addosso doveva essere uno dei cocktail letali di mio padre.»

«Christian, io…»

Alzo la mano. La stoppo. Non sono arrabbiato, non voglio iniziare nessuna discussione inutile. «Non litighiamo, Anastasia. Se vuoi bere… e buttare alcol in faccia alle mie ex, allora hai bisogno di mangiare. È la regola numero uno. Credo che abbiamo già avuto questa discussione dopo la nostra prima notte insieme.»

… all’Heathman.

Ripenso a quella sera, a quella prima notte che ho avuto vicino il mio gioiello. Tutto per me. “Com’era beeella! La bella addormentata nel mio letto.”

 Raggiunto il corridoio mi fermo e le faccio una carezza, una di quelle carezze che lei dedica a me, e le sfioro il mento.

«Sono rimasto sveglio per ore a guardarti dormire» confesso. «Devo averti amata da allora.» Mi chino su di lei e la bacio dolcemente, concedendomi il piacere di assaporare le piccola scossa che il contatto con le sue labbra di seta mi concede.

«Mangia» le sussurro.

«Okay» acconsente.

Torniamo insieme agli altri e la festa procede benissimo, in allegria e serenità. Credo che mia madre non abbia ancora detto nulla a papà. Si riserva di sparare la notizia quando saranno soli.

E poi sarò nei guai.

Ad un certo punto noto con la coda dell’occhio che Ana e Kate si allontanano. Congedo Claude Bastille con cui sto conversando e le seguo.

Sono uscite dalla porta finestra della sala da pranzo e stanno confabulando complici, fuori nel patio, appoggiate alla balaustra.

Per la seconda volta nello stesso giorno origlio una sua conversazione privata. So che non si fa ed è anche illegale, ma ho fatto di peggio.

«Non voglio chiederti… e non ti chiederò» dice la Kavanagh a Ana, «ma ho capito. E non mi piace».

«Non voglio parlarne, Kate. E sicuramente non ora. Devi fidarti di me».

«Io mi fido di te, non mi fido di lui».

«Lui mi ama… Non sono una bambina, Kate» ribatte Ana decisa.

“Un punto per te, Miss Steele” penso.

«Questo lo so, ma sei inesperta. E lui ha certe abitudini… Sei creta nella mani di uno così» dice la sua amica preoccupata.

 “Cazzi tuoi, Kate? No, vero?”

«Pensi che possa farmi qualcosa che non voglio?»

«Sì, Ana. Una volta che sarai sua moglie…» Si ferma. «Non sarei tua amica se non ti mettessi in guardia, se non ti dicessi che troppe donne sono vittime di un carnefice che dice di amarle… non voglio rovinarti la serata…»

“Ecco, Kate, non rovinarci la serata!”, dico mentalmente, appiattito contro il muro, al buio. 

«Ma io… questa cosa… te la dovevo dire: non sarei tua amica, altrimenti » continua imperterrita..

«Lo so. Io queste cose le so» risponde Ana.

«È che io ti voglio tanto, tanto bene, Ana» le dice commossa e l’abbraccia. «Allora devi fidarti di me. È passata molta acqua sotto i ponti da allora…»

«In un mese?» domanda scettica e allibita. «Ana, per favore!»

“Ma cosa crede?” rispondo tra me, furibondo. “Io, la sottomissione, non ho mai inteso ottenerla con coercizione, subdoli ricatti, né, tantomeno ho mai usato la violenza! Ma chi crede che sia? Un serial killer? Sono un dominatore, mica un assassino!” mi dico, furioso, ma in cuor mio so che non è del tutto vero. “Il dolore sì, ma la violenza vera è tutta un’altra cosa! Non ho mai obbligato nessuno” penso e mi rendo conto anche che ormai molte di queste cose sono lontane.

« Tra noi c’è un rapporto assolutamente normale. Credimi, Kate: non mi farà del male, mai! Mi ama!».

«Questo lo so: si vede» ammette. «Lo dice anche Elliot, che è proprio partito.» Ride. Ha ceduto. «Dice che Christian sembra un’altra persona. E poi, mi fido del tuo giudizio, Ana» concede. «Stai tranquilla, non dirò nulla, tantomeno a Elliot: il tuo segreto morirà con me» dice solenne, facendosi la croce sul cuore. Ana l’abbraccia di nuovo.

«Sai che anche i suoi credevano fosse gay?» dice, una volta che Ana l’ha liberata dalla stretta delle sue braccia.

Sento il sorrisetto di Anastasia. «No, non lo è.» Ridacchia.

“Quanto mi piace quando ride”.

«Anzi, è favoloso».

“Sono favoloso, Ana?” È bellissimo sentirlo e mi riempie di orgoglio.

Ridono entrambe, poi Miss Kavanagh comincia a raccontare delle performance di mio fratello e decido di aver ascoltato abbastanza. Mi defilo, in perfetto silenzio.

 

«Buonanotte, John, Rhian.»

«Ancora congratulazioni, Ana. Starete bene, vedrai.» Flynn ci sorride gentile, mentre Ana e io siamo a braccetto nel corridoio e lui e Rhian si stanno congedando.

«Buonanotte.»

Chiudo la porta e scuoto la testa. La guardo, è arrivato il momento: sono in ansia. Voglio che sia tutto perfetto.

«È rimasta solo la famiglia. Penso che mia madre abbia bevuto troppo.» Probabilmente ha bevuto per non pensare a me… Ora sta facendo il karaoke. Kate e Mia le stanno “dando del filo da torcere.

«Puoi biasimarla?» mi dice Ana, sarcastica.

«Mi stai sorridendo maliziosamente, Miss Steele?»

«Sì.»

«Che giornata è stata!» E non è ancora finita!

«Christian, ultimamente è sempre una giornata così.»

“Sempre più sarcastica, Miss Steele?”  «Un punto per te, Miss Steele.

Vieni… Voglio mostrarti qualcosa.»

“Andiamo!”

La prendo per mano per condurla fuori, passando per la cucina dove mio padre, Ethan e Elliot stanno parlando dei Mariners, bevendo l’ultimo cocktail e mangiando avanzi.

«Uscite per una passeggiata?» Elliot ci stuzzica maliziosamente mentre oltrepassiamo la soglia. Lo ignoro e mio padre lo guarda accigliato, scuotendo la testa in un rimprovero silenzioso.

Mentre scendiamo i gradini che conducono al prato, Ana si toglie  le scarpe col tacco. Uno spicchio di luna splende sopra la baia.

Il suo bagliore getta su tutto una miriade di sfumature grigie, mentre Seattle scintilla in lontananza. Le luci della rimessa delle barche sono accese, un faro brilla nel freddo chiarore della luna.

«Christian, mi piacerebbe andare in chiesa domani». Ana mi sorprende con la sua richiesta.

«Eh?»

«Ho pregato perché tu tornassi sano e salvo, ed è stato così. È il minimo che io possa fare.» “Capisco. Va bene, piccola, è giusto: andremo  insieme.”

«Va bene» dico.

Vaghiamo mano nella mano in un silenzio rilassato per qualche momento poi Anastasia si volta e chiede: «Dove metterai le foto che mi ha fatto José?»

«Pensavo che potremmo metterle nella casa nuova.»

«L’hai comprata?» chiede sgomenta.

Mi fermo, la guardo: non le piace! «Sì. Pensavo che ti piacesse.»

«Sì, mi piace. Quando l’hai comprata?»

«Ieri mattina. Ora dobbiamo decidere cosa farne» mormoro, sollevato.

«Non farla demolire. Per favore. È una casa così bella. Ha solo bisogno di cure amorevoli.»

La guardo con amore, lei vuole sempre rimettere a posto le cose: non la deluderò. La guardo e sorrido. «Okay. Ne parlerò con Elliot. Conosce un buon architetto. Ha già fatto qualche lavoro per me ad Aspen. Potrà occuparsi della ristrutturazione.»

Cammina a piedi scalzi nel vialetto e poi sull’erba. Sbuffa e sorride.

«Cosa c’è?» chiedo.

«Ricordo l’ultima volta in cui mi hai portata alla rimessa delle barche.»

Ci stavo pensando anch’io. Rido sommessamente. «È stato divertente. In effetti…»  “È sempre tutto divertente, con te, amore”. All’improvviso mi fermo e me la carico in spalla.

Strilla.

E ride. 

«Eri davvero arrabbiato, se ricordo bene» ansima.

«Anastasia, io sono sempre davvero arrabbiato.»

«No, non è vero.»

Le mollo una bella sculacciata prima di farla scivolare giù, lungo il mio corpo, fino a terra, e le prendo il suo meraviglioso viso tra le mani. «No, non più.» Mi chino su di lei e la bacio con passione. Mi stacco, sono in ansia.

La guardo, lei mi accarezza il viso e mi rilasso.

“Andrà bene” mi dico. «C’è qualcosa che voglio mostrarti qui dentro» dico e  apro la porta. «Vieni.»

La prendo per mano e la guido su per le scale di legno. Apro la porta in cima e mi faccio da parte, per lasciarla passare.

Rimane a bocca aperta. E anche io. La soffitta è irriconoscibile. È

piena di fiori… Fiori dappertutto.

Bellissimi fiori di campo, mescolati a lucine natalizie e a piccole lanterne che lanciano bagliori tenui e delicati, rendono la stanza magica, come avevo chiesto. Si gira di scatto per guardarmi. Mi stringo nelle spalle. «Volevi cuori e fiori» mormoro.

Sbatte le palpebre, incredula.  

«Hai il mio cuore.» Poi indico la stanza con un gesto.

«E qui ci sono i fiori» mormora, completando la frase. «Christian, è delizioso.» Le tremano le labbra, è emozionata.

Anche io.

Dalla tasca interna della giacca tiro fuori un anello che mio padre in persona mi ha consegnato prima e la guardo.

Mi tremano le gambe e so che è assurdo, perché mi ha già detto di sì, ma sono… sono così emozionato che sento le farfalle nello stomaco e il cuore mi sta battendo dentro il petto come una sveglia impazzita. “Sì, ho un cuore ed è tutto tuo. Batte solo per te”. Mi muovo come un automa. “Ora capisco perché ci si inginocchia, in certi frangenti, altrimenti cadi e schianti a terra. Meno male che sono già in ginocchio” penso, agitato.

«Anastasia Steele. Ti amo. Voglio amarti, curarti e proteggerti per il resto della mia vita. Sii mia. Sempre. Condividi la tua vita con me. Sposami.» Sparo il mio discorsetto che mi sto ripetendo da stamani.

Lei sbatte le palpebre e se non vedessi le lacrime scorrerle sulle gote, penserei che è una statua di cera.

«Sì» biascica.

E io sono stupito e sollevato. E mi sento anche abbastanza scemo, perché mi ha già detto di sì ieri e oggi. Sorrido come uno scemo.

Cerco di non mostrare il tremore delle mani quando le infilo l’anello: è quello che ho scelto per lei: un diamante ovale in una montatura di platino.

«Oh, Christian» singhiozza e s’inginocchia anche lei. E m’infila le dita tra i capelli –  anche l’anulare con l’anello – e mi bacia con tutto il suo splendido cuore e tutta la sua anima.

Mi bacia con amore.

La bacio con amore.

La stringo, forte. Bacio questa donna bellissima, che mi ama e che io amo.  

Siamo una cosa sola, le bocche, le mani, i cuori… incollati. E senza neanche toglierci i vestiti, obbedisco al bisogno primordiale di possederla, di entrale dentro, seguo l’istinto che mi spinge a unirmi a lei. So che è stato un istinto, fin dal primo giorno, ci siamo visti e non ci siamo più separati.

Ci spogliamo convulsamente, senza staccarci uno dall’altra, annegando nel bisogno che abbiamo l’uno dell’altra. Facciamo l’amore.

Sì, io faccio l’amore e assaporo questo fantastico piacere. Fino in fondo. Fino all’ultimo respiro.

Veniamo insieme, abbastanza in fretta, con urgenza, urlando il nostro gemito nella bocca dell’altro.

«Ci sposiamo domani?» le chiedo all’orecchio, sollevando un poco il capo, ancora sdraiati  in mezzo ai fiori della rimessa, lei abbandonata sul mio petto, appagati dal sesso appassionato.

«Mmh» grugnisce in risposta.

«È un sì?» chiedo speranzoso.

«Mmh.»

«È un no?»

«Mmh.»

Sorrido. «Miss Steele, ti contraddici?»

Percepisco il suo sorriso. «Mmh.»

Scoppio a ridere e l’abbraccio stretta. Le bacio i capelli. «Las Vegas, domani, allora.»

Alza la testa, sembra assonnata. «Non credo che i miei genitori ne sarebbero entusiasti.»

“Neppure i miei”. E penso anche alla delusione di Mia. Tutto sommato non mi dispiacerebbe che Elliot…

Faccio scorrere la punta delle dita sulla sua schiena nuda. «Che cosa vuoi, Anastasia? Las Vegas? Un matrimonio in grande stile con tutti gli annessi e connessi? Dimmelo.» Farò tutto ciò che lei vorrà, anche se mi piacerebbe sposarla già stasera.

«Non in grande stile… Solo gli amici e la famiglia.» Mi guarda speranzosa.

“Pochi intimi: perfetto!”

«Okay.» Annuisco. «Dove?»

Si stringe nelle spalle. Non le importa. Vuole qualcosa di semplice. A me piacerebbe farlo qui, a casa mia, come dice mia sorella.

«Potremmo farlo qui?» propongo esitante. Trattengo il fiato e mi rendo conto che mi piacerebbe molto. Vorrei che accettasse.

«A casa dei tuoi? Che cosa direbbero?»

Sbuffo. «Mia madre ne sarebbe entusiasta.»

«Okay, qui. Sono sicura che mia madre e mio padre lo preferirebbero.»

Penso che a Rey non piacerebbe Las Vegas.

Le passo una mano tra i capelli, potrei essere più felice? «Va bene, abbiamo deciso dove. Pensiamo a quando.»

«Dovresti chiederlo a tua madre.»

«Mmh.» Speriamo che non si metta in testa di organizzare qualcosa in stile Hollywood e che si possa fare in fretta. Ma i soldi servono a questo. «Posso concederle al massimo un mese. Ti voglio troppo per aspettare di più.»

«Christian, io sono tua. Lo sono da un po’. Ma okay… un mese.» Mi dà un bacio sul petto, proprio sul cuore, un bacio lieve, casto, e mi sorride. Io la prendo per il mento e assaggio le sue labbra.

“Ora so che sapore ha la felicità: sa di vaniglia” e godo, felice, dei baci del mio amore, su un letto di petali profumati, illuminati da mille luci splendenti.

 So, nel profondo di me stesso, che sarò sempre suo, e che lei sarà sempre mia. Siamo arrivati fin qui insieme, siamo fatti l’uno per l’altra. Siamo destinati a stare insieme.

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Sapete che vi dico? Scrivendo la ff ho dovuto eliminare dai dialoghi il "pensato" di Ana e la sua voce narrante, così quello che ne esce è un continuo sbalzo di umore di Christian. Nelle sue continue "virate" ho inserito la mia interpretazione, ma è spesso stata una scelta obbligata (con qualche mia licenza) se volevo che il discorso funzionasse. Il grassetto evidenzia le parole usate dalla James e io mi muovo abbastanza rigorosamente all’interno dei suoi confini, rispettando tutti i gesti, i tempi e le azioni dei protagonisti.

La seconda considerazione è una domanda.

Come fanno ad essere amiche Leila e Susannah se sappiamo che Leila era una storia finita due anni e mezzo prima, vive fuori ed è sposata, mentre Susannah, che la ospita quando è in città, è l’ultima sottomessa di Christian prima di Ana? Sappiamo che le sottomesse di Christian, più o meno, si conoscono fra loro. 

 

Bene, la mia risposta, la quadratura del cerchio, è Linc.

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